giovedì 16 dicembre 2010
La Piovra 6: I Rapporti tra la Mafia siciliana e gli ex Comunisti della Cecoslovacchia?
sabato 11 dicembre 2010
I cambiamenti climatici? Forse non ci sono mai stati
mercoledì 1 dicembre 2010
La Piovra 9: il patto tra la Mafia siciliana e un politico della Democrazia Cristiana?
domenica 28 novembre 2010
La Piovra 8: la mafia di Navarra e il progetto del Principe di Giardinelli?
sabato 6 novembre 2010
La Piovra 5: il traffico armi-droga con l'Africa e la mediazione di Rosario Spatola?
sabato 30 ottobre 2010
Incidente choc in video su internet, ma è mistero.
martedì 26 ottobre 2010
La Piovra 2: Loggia P2 e omicidio Pecorelli?
Casi giudiziari irrisolti dietro la prima "Piovra"?
Cosa si nasconde dietro le vicende dei primi episodi della "Piovra"? Chi è il commissario Cattani? E Tano Cariddi? Nell'articolo precedente abbiamo provato a rispondere a questo quesito spinti dalle polemiche politiche che, incredibilmente, tiravano in ballo questo film, o comunque citavano quella parola, la piovra appunto, che quasi mai viene accostata ai fatti cruenti, quelli veri, della Mafia. Che cos'è dunque la Piovra? E' il film della Cupola, che parla del vero centro del potere, inteso come potere economico illegale, ma anche politico e finanziario? Potrebbe essere così, del resto uno degli stessi protagonisti del film, Espinosa, il mafioso di Ascona, uno dei capi di una sorta di mafia internazionale, descrive proprio così il potere: è la capacità di unire criminalità, politica e finanza. Sì, ma c'è dell'altro. La prima Piovra, quella delle prime quattro serie, andata in onda tra l'84 e l'89, sembrerebbe essere incentrata su alcuni fatti gravi della storia d'Italia che tuttora non sono stati ben definiti dalle inchieste della Magistratura. Un campionario di schifezze all'italiana che emergerebbe molto meglio a distanza di anni, quando alcuni di questi fatti, descritti dal film della Rai, sono poi emersi anche nelle cronache dei giornali e delle tv. Vogliamo pertanto analizzare il film, dopo averlo rivisto recentemente, attribuendo ad ogni serie una titolazione più appropriata, che è frutto di una personale nostra analisi. La serie uno, dell'84 avrebbe quale tema principale: la Mafia siciliana e le inchieste di Falcone sulle banche. La serie due, dell'86, riguarderebbe le vicende della Loggia P2 e dell'omicidio Pecorelli. La serie tre, dell'87, sarebbe incentrata, secondo noi, sul crac della Banca Privata Italiana e sul traffico di armi di Alì Agca. La serie quattro, dell'89, riguarderebbe invece i rapporti tra Mafia, Politica, Pippo Calò, Tangenti milanesi, e traffico internazionale di rifiuti nucleari. Molto più complesse risultano invece le serie successive, in quanto fuoriescono dai fatti che siamo abituati a conoscere dai quotidiani. Analizzeremo una per una le serie della prima Piovra. E poi anche quelle successive, fino alla Piovra 10.
mercoledì 13 ottobre 2010
Bin Laden: i Talebani gli avevano tagliato le linee telefoniche...
Quello che per gli italiani era il “nemico invisibile” prima dell’11 settembre 2001 pare fosse un pericolo circoscritto. Talmente poco legato ai governi islamici, Talebani compresi, che questi ultimi avevano tagliato le linee telefoniche al “Signore del terrore” e si preparavano a sbarazzarsi di quell’ “ingombrante miliardario-terrorista”. Bin Laden aveva fatto proseliti, ma non al punto da potersi permettere di combattere una guerra, per giunta da solo, contro gli Stati Uniti. Questo appare certo dall’articolo che Repubblica pubblicò il 14 febbraio 1999. Dunque il ricercato numero uno dalla Cia stava fuggendo in quel periodo, ma dove? Forse in Iraq si disse. E le sue tracce si perdettero in questo momento, probabilmente, quando sembrava che la cattura fosse imminente. In un articolo antecedente di Repubblica, del 18 agosto 1998, veniva riportata la descrizione del Sunday Times del rifugio di Bin Laden sulle montagne rocciose dell’Afghanistan. Un trilocale con una stanza dotata di due letti, scomodi materassi e coperte di lana. Ecco dunque il suo quartier generale, visto forse via satellite, ma tutto questo accadeva ben prima dell’attentato alle Torri Gemelle di New York. Eppure la sensazione è che le fonti di stampa del dopo-attentato abbiano cercato di replicare queste informazioni nel momento in cui gli Usa cercavano di dare una risposta, anche sul piano militare, al terrorismo. Chi e perché ha portato gli Usa e l’Italia nel posto sbagliato?
martedì 12 ottobre 2010
Bin Laden profetizzava l'11 settembre 2001... nel 1998 su Repubblica
domenica 10 ottobre 2010
La Piovra X: fantasia, realtà o tragiche coincidenze?
Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi, rilasciate a Olbia il 28 novembre 2009, in cui l’ex premier parlava del film La Piovra, lasciano perplessi. Berlusconi disse di voler trovare l’autore del film poiché questo film faceva fare una pessima figura al paese. Eppure La Piovra non è mai sembrato un film vero. Ho seguito tutta la serie da quando avevo 11 anni e l’ho sempre vista come una fiaba. Se fosse stata quella la vera Mafia gli autori e i quotidiani lo avrebbero sottolineato. Quindi solo il cavaliere ha visto in questo film qualcosa di pericoloso. Cosa? Rivedendo la decima e ultima serie emerge una vaga somiglianza tra Berlusconi e il “cattivo” Tano Cariddi. Egli è depositario dei segreti della Mafia, vuole usare le leggi della politica a suo favore ed è fuggito in un castello alle falde dell’Etna. La mafia nel 2001, quando esce il film, poco prima dell’attentato alle Torri Gemelle, è diventata un’Associazione Culturale simile a una setta di cui Tano è leader e si riunisce in uno splendido palazzo. Tano e la mafia nella finzione rimangono sconfitti. Ma l’impressione è che questi personaggi siano più reali di quanto io ho sempre pensato e si muovono sullo sfondo del vero duplice attentato a Falcone e Borsellino.
sabato 28 agosto 2010
Autobiografia
Nel mezzo del cammin della mia vita mi ritrovai in una selva oscura e la retta via era smarrita. Per ritrovarla, sono costretto, controvoglia, a immergermi nei ricordi e a raccontare agli altri chi sono e da dove vengo.
Sono nato in un quartiere di Roma il 29 marzo del 1973. Mia madre mi disse che in quei giorni cadde mentre andava a fare la spesa alla Standa, e che rischiò di perdermi. Era al settimo mese e furono costretti a farmi nascere, con un attrezzo che si chiama forcipe. Mio padre disse che mamma stava molto male e i medici cercarono di salvare lei, più che me. Invece nacqui lo stesso, nonostante loro non mi volessero. Da bambino li odiavo tutti i medici, anche il fratello di mia madre, che mi curava. Si narra che, ancora neonato, gli feci la pipì in faccia, sugli occhiali per essere precisi, mentre mi visitava.
Ancona fu per me come una vacanza che non finiva mai e che prevedeva anche delle lezioni a scuola. Questo per dire che il trasferimento del 1989 cambiò parecchie abitudini della mia vita. La cerchia familiare si restrinse, mentre si allargò l'ambiente esterno. Scegliemmo quella città di provincia perché immaginavamo una vita più facile, più sicura, meno caotica. Roma negli anni '80 era pericolosa. Mio padre non mi volle mai accompagnare allo stadio a vedere la Roma. Mia madre a Roma fu scippata sotto casa, da dei malviventi che le misero un coltello davanti alla faccia accostandosi con il motorino alla fermata dell'autobus, che lei stava aspettando per andare a insegnare a scuola. Le tolsero qualche gioiello e la borsa, che mio padre cercò per tutto il quartiere, inutilmente. Fummo costretti a cambiare le serrature di casa, perché mamma aveva lasciato ai ladri anche le chiavi.
Papà, da direttore a Roma, diventava direttore e capo delle Marche del Sanpaolo IMI ad Ancona. La banca avrebbe rimborsato tutto, anche il gas, tranne i consumi di casa come luce e telefono. L'appartamento era del direttore uscente. L'aveva preso in cima a un alto colle che domina il golfo e tutta la città. E' l'unica parte di Ancona che assomiglia a Genova, da cui infatti quel direttore proveniva. Ma a mamma quella sistemazione non piacque. Volevamo restare vicini al centro, inseguire l'idea che avevamo di raggiungere scuola e ufficio a piedi.
Abitavamo con nonna, la mamma di papà, che era molto premurosa con me. Manteneva fitti contatti con l'America, dove c'erano la sorella del marito con la sua famiglia americana. E poi con la figlia di una sua sorella di Frigento, che è un paese in cima a un alto colle di fronte a Torella dei Lombardi, il paese dell’Irpinia dove nel 1935 nacque papà. Nel primo caso si scambiavano lettere, naturalmente, mentre con la nipote nonna era spesso al telefono, in genere alla mattina.
Io le ero affezionato, perché è stata lei a crescermi a Roma. Non ha fatto una fine degna. Mio zio fece ordinare un’autopsia del corpo, ma mi pare che non emerse nulla di particolare e tutto venne archiviato. Poi tre anni dopo se ne andò pure lui, che era stato per venticinque anni sindaco socialista del suo paese. Nonno, il padre di mio padre, morì di infarto a 70 anni nel 1970, mentre festeggiava una rielezione del figlio. E’ una cosa che mi raccontava sempre nonna quando ero piccolo. Lo portarono a Napoli di corsa con l’ambulanza, ma non ci fu niente da fare. Mi raccontava, forse favoleggiando, che nonno Vincenzo in punto di morte in ambulanza le avrebbe detto che papà avrebbe presto avuto un figlio, che sarei io. Nonna mi diceva pure che le era morto un figlio mentre era incinta, tanti anni prima.
I nonni materni vivevano per conto loro nel quartiere fondato da Mussolini e mai completato che si chiama Eur, dove c'è la sede dell'Eni di Enrico Mattei. Nonno era un generale dell'Aeronautica in pensione, con un appartamento arredato con mobili antichi. C'erano dei simboli dell'antica Roma, come il discobolo. Poi mi pare un quadro gigantesco con uno sfondo cupo tipico dello stile di Caravaggio, una crosta probabilmente, raffigurante i tre moschettieri. Il suo studio era pieno di libri, dove io andavo a scartabellare in cerca di vecchie foto, cartoline. Mi mostrava le imprese che aveva compiuto in Africa, non tanto per conquistarla, quanto per salvare gli indigeni. Motivo per il quale si meritò la croce nera di guerra. Mi mostrava le foto con lui abbracciato alle donne nere eritree di Asmara, oppure di Dire Daua in Etiopia e di altre città che non ricordo.
C'era un quadro, vicino alla scrivania, che era stato dipinto per lui intorno al 1956. Era una sua gigantografia. Un suo ritratto mentre era in divisa. Aveva il volto imbronciato. Nonno era molto preciso e aveva l'abitudine di appuntare in un'agenda tutti i numeri di telefono, un po' come fanno i giornalisti. Essendo diventato da adolescente piuttosto dispettoso, gli disegnavo delle croci vicino alle personalità dell'Aeronautica o della medicina (si era laureato in Medicina a Padova) che erano morte. Gli davo degli aggiornamenti, che però non gradiva, motivo per il quale venivo tenuto lontano da quel posto.
Non ho mai sentito le origini dei miei genitori come parte della mia esistenza. Né qualcuno mi ha mai chiesto di rappresentare quei luoghi. Papà e la sua famiglia erano legatissimi all’Irpinia, le montagne dell’avellinese, mamma e la sua invece erano perlopiù originari di Fano, vicino Pesaro, mio nonno paterno aveva vissuto a lungo a Padova ed era un padovano autentico, “grand dottore” come vuole la tradizione, laureato in Medicina. Mi è capitato, da quando sono insegnante, di parlare con alunni che si sentono calabresi pur essendo nati e vissuti nel nord Italia. Non è il mio caso. Eppure i luoghi dei miei genitori non mi sono mai dispiaciuti, anche perché rappresentavano periodi di vacanza spensierata. Papà era di Torella dei Lombardi. E’ un paesino tuttora arroccato, è proprio il caso di dire, intorno al castello dei principi Caracciolo. Ho fatto appena in tempo a vedere un paio di volte come si presentava prima del terremoto del 1980. Aveva un sapore, un odore di antico, di mattoni vecchi, di strade e case costruite centinaia di anni prima. La casa dei nonni, malgrado fosse molto raffinata nell’arredo, non aveva l’acqua corrente. Vi si accedeva attraverso dei gradoni che per me all’epoca, a 6 anni, sembravano enormi. Mi chiedo ancora quale destino avrebbero avuto queste persone senza il terremoto.
Di quelle giornate a Torella mi restano impressi nella memoria alcuni particolari. La tappa fissa, visto che si scendeva da quelle parti molto di rado, era il cimitero, dove riposavano i nonni, bisnonni e chissà chi altro della famiglia. Il cimitero di Torella a metà degli anni Ottanta aveva tre diverse collocazioni per i defunti. C’erano gli eleganti loculi esterni, una parete molto alta con file di lapidi e fiori, e poi, in un angolo si apriva una scaletta, ben illuminata, che portava nel sotterraneo. Qui vi erano accatastate un’infinità di cassette di ferro o zinco, che presentavano un foro centrale per la fotografia, che molto spesso mancava. Le foto erano molto rare all’epoca da quelle parti. Alcune nostre immagini di famiglia le trovai rovistando nel comò di nonna, che si era salvato dal terremoto. E la vidi finalmente nel suo aspetto da giovane quarantenne. Quindi, mancando le foto, dal foro delle cassettine emergevano i teschi e le ossa dei defunti. Qualche parente lasciava dei ramoscelli di ulivo, che restavano incastonati tra le ossa. Ricordo che in una cassetta c’era la foto della defunta vestita di nero sul letto di morte. In questo luogo si scendeva per andare a trovare i bisnonni. Aveva un aspetto simile alla scena del film “Un borghese piccolo piccolo”, in cui Alberto Sordi andava a cercare la bara del figlio in una stanza affollata, in un caos di pianti e di voci. Se non fosse scomparso prematuramente il fratello di papà, saremmo ancora lì sotto a salutare e pregare per i nostri parenti, ma, sfortunatamente, lo zio non c’è più e quindi abbiamo una bella tomba di famiglia già bell’e pronta. Non saremmo comunque mai finiti nella terza parte del cimitero di Torella, un sottoscala pieno di teschi dell’Ottocento o di qualche secolo prima. Defunti per i quali non c’era più nessun parente che potesse piangere.
Di Fano invece ricordo le vacanze al mare, i lunghi viaggi, difficoltosi su strade ancora impervie, degli anni Ottanta partendo da Roma, con soste per mangiare nei soliti ristoranti dell’Umbria. Erano in ogni caso delle tappe molto brevi, perché nonno, il padre di mia madre, aveva comprato una seconda casa a Viserba di Rimini e il punto di arrivo vero e proprio di quei viaggi era la Romagna, che per nonno era assai preferibile al mare di Fano. La terrazza di Viserba ha attraversato varie fasi della mia crescita. Non che quel posto fosse il migliore del mondo, però era il premio per le mie promozioni scolastiche, la via di fuga da Roma nelle festività. C’era un significato in tante piccole cose. Appena arrivato mi precipitavo ad aprire l’armadio del corridoio, aveva delle ante che emettevano un cigolio tremendo. Era lo scrigno che conteneva i giocattoli: secchiello, paletta e soprattutto un modellino di camion che trasportava cemento più unico che raro, all’epoca. E ogni volta nonna mi urlava: fai piano con quell’armadiooooo che cade giù tutto!!! I nonni non so perché avevano avuto la brillante idea di riporre il vecchio dondolo sopra l’armadio, ma mica ci stava tutto! metà restava sospesa sulla testa. E poi tanti altri ricordi. La mattina capivo se era bel tempo e si sarebbe andati al mare dal rumore degli zoccoli anni Settanta della gente che andava verso la spiaggia. La televisione non c’era. Non so perché, nessuno pensava mai di portarsene una piccola dietro, nemmeno in epoche più tecnologiche come negli anni Ottanta. Allora i miei o decidevano di fare una passeggiata sul lungomare, oppure stavano sulle sedie in terrazza a spettegolare su questo o quel cliente delle pensioni che c’erano davanti. Passeggiata sul lungomare significava fermarsi ogni dieci metri alle sale giochi o alle macchinette a scontro, perché le avrei provate tutte. Tutto ciò rendeva unico quel posto.