sabato 5 dicembre 2020

Un libro svela l’inganno del Conte


C'è un capitolo del libro di Ori “Banchieri e bancarottieri” che è molto chiaro sul vero ruolo che ha oggi, nell’economia italiana, la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), la banca utilizzata da Conte per fronteggiare la pandemia. 

La legge bancaria di Mussolini del 1936 distingueva nettamente due tipi di istituti bancari: quelli del credito speciale a medio-lungo termine e quelli del credito a breve termine. In pratica, i primi erano l'IMI, la Mediobanca, ed erano controllati dalla vecchia versione della Cassa Depositi e Prestiti. Finanziavano la grande industria per conto dello Stato. Ma già dagli anni '60 l'IMI, secondo Ori, era una mezza truffa, perché si stava trasformando in una holding d'affari, che finanziava le imprese anche con capitale di rischio e costruiva così il suo guadagno. Il Testo Unico Bancario del 1993 legalizzò questo illecito, cancellando la distinzione precedente di Mussolini. Il problema a mio parere oggi è un altro. Conte utilizza la nuova Cassa Depositi e Prestiti come se fosse un Istituto di Credito Speciale, cioè fa credere alla gente che il suo intervento in pandemia (vedi il Decreto Cura Italia), sia una strategia statale in linea con la legge di Mussolini. In realtà, va chiarito l'equivoco: la Cassa Depositi e Prestiti fa i suoi affari, è il terzo gruppo bancario d'Italia ed è specializzato nel ristrutturare imprese decotte. Se, al posto di citare un Istituto che legò il suo nome al credito speciale, Conte avesse detto: il decreto Cura Italia è finanziato dal Monte dei Paschi di Siena, o da Intesa Sanpaolo o da Unicredit, lo stratagemma sarebbe passato altrettanto inosservato? 

Pensar male è peccato ma spesso ci s'indovina. Più imprese decotte ci sono, più guadagnano la Cdp e il suo maggior azionista: il ministero dell'economia. Perché il punto chiave è che con il Testo Unico del 1993 gli istituti di credito speciale non esistono più, sono stati assimilati alle banche di credito a breve termine. Il concetto deriva dal neoliberismo: è il mercato che deve mettere il capitale di rischio per il rilancio, non lo Stato. Quindi Conte non può assolutamente usare la Cdp per rilanciare l'economia, in quanto così facendo la Cdp perderebbe l'autonomia amministrativa e dovrebbe accollarsi il debito pubblico. E io ho sempre detto che sarebbe giusto così, vista la situazione che si è creata, perché altrimenti il futuro sarà terribile: avremo uno Stato sempre più indebitato, su cui si scaricano gli oneri dei Btp, e una holding pubblica, proprietà privata dell'Esecutivo, sempre più ricca alla faccia dei contribuenti. 

Il paragone con Mussolini è ancora più chiaro se si pensa che gli Istituti di Credito Speciale furono inventati da Mussolini per rilanciare l'economia in seguito alla crisi del 1929. Fu espressamente vietato alle banche di acquisire quote azionarie delle industrie private, un legame troppo stretto che aveva causato la grande crisi del ‘29. Anche il centro-destra è affezionato a questo concetto di rilancio sul vecchio modello del New Deal, e spiego così il silenzio dell'opposizione su questo abuso di Conte con la Cassa Depositi e Prestiti.

martedì 10 novembre 2020

ESCLUSIVO, la lettera di Raul Gardini su ENIMONT

 

Raul Gardini voleva comprare il 100% di ENIMONT. 

Questo è quanto si evince da una lettera firmata dall'imprenditore ravennate su carta intestata della Montedison. La lettera è del 6 settembre 1990, e Gardini trasmette al presidente dell'ENI, Gabriele Cagliari, la "conclusiva disponibilità" di Montedison: è pronta a un accordo che preveda l'acquisto del nuovo colosso della chimica, per trasformarlo, come ha annunciato l'imprenditore nelle interviste televisive, in un polo chimico della finanza privata. 

L'ENI tuttavia la pensa diversamente. Nel corso della riunione del "collegio sindacale", del 18 settembre 1990, un certo Franceschini interviene per ricordare che l'eventuale cessione di ENIMONT si pone in contrasto con la legge istitutiva dell'Ente, che risaliva al lontano 1953, ai tempi di Enrico Mattei. Questo sconosciuto sindaco di ENI in realtà diventerà famoso: si tratta di Dario Franceschini, attuale Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

Le conclusioni del "collegio" riflettono il pensiero del "dottor Franceschini". Nelle conclusioni del verbale, il collegio impegna ENI a non violare la legge istitutiva nell'affare ENIMONT. 

I tempi diventano importanti. Quando il Ministro Franco Piga viene interpellato è già il 17 novembre 1990. A questo punto, all'interno di ENI, se non anche del Ministero delle Partecipazioni Statali, si sa che il prezzo molto alto con cui il Ministro sta valutando le quote di ENIMONT riguarderà non più una vendita, bensì l'acquisto di quelle azioni dalla Montedison.

La trattativa va avanti come tutti sappiamo e la Montedison esce da ENIMONT pagando una tangente piuttosto impegnativa. Il 23 luglio del 1993, mentre i magistrati di Mani Pulite gli chiedono conto di quella vicenda, Gardini decide di togliersi la vita. Un suicidio su cui varie personalità italiane hanno espresso e motivato i propri dubbi.

Cosa convinse, dunque, l'imprenditore ravennate a cambiare radicalmente progetti nel corso di pochi giorni rispetto alla lettera del 6 settembre 1990? Fu il prezzo esorbitante e quindi molto invitante stabilito dal Ministro Piga? Ma se non voleva cedere ENIMONT, perché Gardini pagò anche una maxitangente?  




lunedì 9 novembre 2020

Se lo Stato ricompra le sue obbligazioni


Gli enti statali investono i loro soldi, e questo ci rende felici. La notizia la apprendiamo dalle relazioni della Corte dei Conti. In particolare ci ha colpito il bilancio di uno dei tanti enti di diritto pubblico che nel 2005 erano presenti sul territorio, l’Opera Nazionale per i Figli degli Aviatori (ONFA). Il problema è che questa ONFA, con un nome dal sapore antico e assai fascisteggiante, i suoi introiti li investiva nei Titoli di Stato. L’ammontare dell’investimento sfiorava quell’anno i 4 milioni di euro, corrispondenti quasi al totale delle sue disponibilità. Mi si corregga se sbaglio: ciò vuol dire che le obbligazioni emesse da un altro ente pubblico, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, finiscono in grosse quantità nelle casse di un altro ente statale. Questa operazione, nel campo azionario, ha un nome: acquisto incrociato di partecipazioni, ed è illegale. Se un imprenditore è proprietario di due aziende, che si chiamano A e B, l’azienda A non può comprare le azioni di B, né B può comprare le azioni di A, se non in modeste quantità. La normativa più aggiornata che ho trovato online parla di un limite del 3%, oltre il quale il cosiddetto acquisto di “partecipazioni incrociate” è vietato. Personalmente la reputo una norma piuttosto morbida. Ma cosa succederebbe se tutti gli enti pubblici acquistassero i BTP del MEF? Di sicuro li compra la Cassa Depositi e Prestiti. E probabilmente anche altri enti pubblici simili all’ONFA. Provo a disegnare uno scenario futuro. Immaginiamo che gli interessi dei BTP continuino a scendere, come gran parte della stampa italiana chiede, considerandolo, a torto, un indice di stabilità economica. E ipotizziamo che contemporaneamente il rating, cioè la credibilità dello Stato sui mercati, rimanga molto basso. Il cittadino privato accetterebbe ancora di investire i suoi risparmi sui titoli di stato? Molte banche lo sconsigliano già oggi. E gli enti pubblici? Continuerebbero a credere nello Stato, cioè su loro stessi? Probabilmente sì. Ma a quel punto si creerebbe un paradosso: lo Stato rimarrebbe indebitato per la maggior parte con se stesso. E chi ci garantirebbe che un domani il Governo e questi enti non si mettano d’accordo per rinunciare al loro credito/debito, creando una sorta di default assistito? E’ possibile che ciò avvenga? Potrebbe sopravvivere un sistema economico che non produce nulla e non accresce il proprio volume di affari? E, soprattutto, la Banca Centrale Europea sarebbe d’accordo?



domenica 8 novembre 2020

ESCLUSIVO: ecco le carte segrete di ENIMONT


Ecco le carte segrete di ENIMONT. Perché nel 1990 l'ENI ricomprò la quota di ENIMONT, in mano a Montedison, a un prezzo più alto rispetto al mercato, permettendo a Gardini di fare un grande affare e obbligando lo Stato, cioè i contribuenti, a rimetterci parecchi quattrini? Fu la contropartita della famosa maxi-tangente? I documenti che siamo riusciti a ottenere dimostrerebbero che questi affari furono decisi molto in alto, tra la presidenza dell'ENI, presieduta da Gabriele Cagliari, e il Ministero delle Partecipazioni Statali, rappresentato da Franco Piga, deceduto per cause naturali proprio alla fine di quel 1990. Quali interessi legavano il Ministero, l'ENI e la Montedison, oltre all'industria chimica? 




Nelle foto, in alto: il comunicato stampa della giunta esecutiva dell'ENI, in basso: le parole del ministro Piga nel verbale della riunione n. 42 del 18 novembre 1990 della giunta esecutiva.

venerdì 6 novembre 2020

Una malattia del tutto sconosciuta?


Grave sindrome respiratoria acuta (SARS): situazione di salute pubblica e Stati Uniti

Risposta

Sfondo medico

La sindrome respiratoria acuta grave (SARS) è una nuova malattia infettiva che provoca sintomi simil-influenzali che possono progredire in polmonite. Il periodo di incubazione è di 2-7 giorni ma può essere fino a 10 giorni. I sintomi includono febbre, malessere, brividi, mal di testa, dolori muscolari, tosse, difficoltà respiratorie e diarrea. Il corso della malattia e il periodo di recupero possono richiedere fino a 3 settimane. Nel 10% dei casi di SARS i sintomi sono gravi e i pazienti necessitano di assistenza meccanica per respirare. Una forma grave di SARS tende a manifestarsi di più nelle persone di età superiore ai 40 anni. L'Organizzazione Sanitaria mondiale (OMS) stima che il tasso complessivo di mortalità dei casi sia di circa il 15% e oltre il 50% nelle persone di età pari o superiore a 65 anni. La mortalità è più alta nelle persone con sottostanti malattie croniche (epatite B, diabete, ipertensione, malattie cardiache, ictus) o in quelle di chi ha cercato un trattamento in una fase avanzata della SARS. La SARS è stata riconosciuta per la prima volta in Vietnam alla fine di febbraio 2003 da un epidemiologo dell’OMS e il 12 marzo 2003, l'OMS ha emesso un allarme globale sulla SARS. La nuova malattia è stata successivamente collegata a un'epidemia di malattie respiratorie iniziata a metà novembre 2002 nella provincia del Guangdong, in Cina. Al 22 maggio 2003, un totale di 8.046 casi di SARS e 682 decessi sono stati segnalati all'OMS da 28 paesi in 5 continenti. Cina, Hong Kong e Taiwan rappresentano il 93% di tutti i casi segnalati e il 91% dei decessi riportati. In queste aree, gli esperti di sanità pubblica sono preoccupati che la malattia si sia diffusa all'interno della comunità locale (piuttosto che solo all'interno di ospedali o famiglie), indicando la probabilità di continui casi di SARS. Negli Stati Uniti dal 21 maggio 2003, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno ricevuto segnalazioni da 40 stati di 355 casi e nessun decesso correlato alla SARS; del totale, 290 sono casi sospetti e 65 casi probabili. Alla fine di marzo 2003 un team internazionale di scienziati ha annunciato l'isolamento di un tipo di coronavirus precedentemente sconosciuto che ritengono sia la causa della malattia. Sembra che gli esperimenti sulle scimmie condotti da scienziati olandesi e statunitensi confermino che un coronavirus è la causa della SARS. Tuttavia, gli scienziati in Canada e la Cina ritengono che la coinfezione con un altro agente (clamidia o metapneumovirus) possa anche essere coinvolta. Gli scienziati credono che la coinfezione o qualche altro fattore come la genetica o l'igiene, può spiegare perché alcuni pazienti, chiamati "superdiffusori", sembrano essere particolarmente contagiosi per coloro che li circondano. È noto che i coronavirus causano malattie respiratorie ed enteriche gravi negli animali da allevamento e negli animali domestici; lievi cambiamenti genetici nel coronavirus alterano notevolmente la sua letalità e i sintomi della malattia negli animali. Negli esseri umani, si ritiene che i coronavirus causino circa il 30% dei comuni raffreddori. I pazienti con SARS liberano il virus in goccioline di secrezioni respiratorie create nel frattempo con tosse o starnuti così come nelle feci e nelle urine. Sebbene la maggior parte dei casi di SARS si sono verificati in persone come familiari o operatori sanitari che hanno avuto stretto contatto diretto con una persona infetta, si è verificato un cluster di oltre 300 casi residenti di un complesso di appartamenti di Hong Kong dove si pensa che le acque di scarico contaminate abbiano diffuso la malattia. Come altri virus respiratori umani, il virus della SARS può sopravvivere 48 ore a temperatura ambiente e per periodi più lunghi a temperature più fredde. Scienziati di Hong Kong riferiscono che il virus della SARS può sopravvivere per 72 ore su superfici ambientali come acciaio inossidabile e plastica. Il virus della SARS potrebbe essere unico, tuttavia, nella sua capacità di sopravvivere fino a 4 giorni in campioni di feci da pazienti con diarrea. Sebbene i detergenti non siano efficaci nell'inattivare il virus della SARS, i disinfettanti standard, come la candeggina e l'alcol, sono efficaci. Il materiale genetico del virus della SARS è composto da RNA piuttosto che da DNA. Tutti i virus a RNA sono intrinsecamente soggetti a un alto livello di mutazioni. Di conseguenza, il virus della SARS può cambiare rapidamente ed eludere i trattamenti farmacologici o i vaccini. Il 12 aprile 2003, i ricercatori di Vancouver, in Canada, hanno rilasciato i dati sulla sequenza del genoma per un Virus della SARS isolato. Questo è stato seguito pochi giorni dopo dai dati di sequenza da CDC; diversi altri laboratori hanno anche sequenziato ulteriori virus isolati della SARS. I laboratori stanno attualmente analizzando le variazioni tra i dati di sequenza del genoma. Questa informazione può essere utile per determinare l'origine del virus e per comprenderne il comportamento. I dati sul genoma potrebbero anche aiutare i ricercatori a sviluppare trattamenti, un vaccino e test diagnostici. Attualmente, tutti i test per l'infezione da SARS sono considerati sperimentali. Il WHO e altri stanno lavorando per sviluppare un test diagnostico affidabile che possa essere utilizzato per confermare una diagnosi clinica di SARS. Poiché identificare un caso di SARS è una diagnosi di esclusione, fino a quando non sarà disponibile un test di laboratorio affidabile sulla SARS, l'accuratezza riportata dei numeri dei casi di SARS si baseranno su altri test di laboratorio per escludere agenti di malattie alternative combinati con una diagnosi clinica di SARS. Dati i sintomi non specifici della SARS, una diagnosi clinica non sarà precisa come un test di laboratorio e non includerà il numero molto più elevato previsto di casi di SARS lieve. Tutti i virus respiratori conosciuti causano una serie di sintomi della malattia da lievi a gravi. Scienziati hanno trovato alcuni individui che sono stati infettati dal virus della SARS ma hanno solo sintomi minimi. Non è noto se un paziente con SARS lieve possa diffondere la malattia agli altri. Un accurato test diagnostico identificherà questi casi lievi per aiutare a prevenire la diffusione della malattia e acquisire un quadro statistico più accurato sull'entità dell'epidemia di SARS. Se la definizione del caso SARS viene ampliata per includere casi di malattia lieve, quindi il numero totale di casi di SARS aumenterà di conseguenza abbassando il tasso di mortalità del caso, attualmente stimato al 15%. Gli scienziati devono imparare di più sul processo della malattia della SARS prima di capire quale test (anticorpo, coltura virale, reazione a catena della polimerasi - PCR) utilizzare su quale campione (tampone faringeo o nasale, sangue, feci, urina) per ogni fase di patologia. Un test anticorpale potrebbe non diventare positivo per più di 3 settimane dopo che i sintomi iniziano e non tutti i pazienti montano una risposta anticorpale. Una cultura virale potrebbe non essere positiva in una fase iniziale della malattia o in tutti i tessuti del paziente. Il test PCR, che indica la presenza di frammenti di genoma virale, può rimanere positivo a lungo dopo che i sintomi della malattia si sono risolti perché il virus difettoso (non infettivo) può continuare ad essere presente nel paziente. I media hanno riferito di un trattamento per la SARS sviluppato a Hong Kong che ha qualche merito nell'aiutare i pazienti a superare la malattia. Il trattamento consiste in ribavirina, un agente antivirale, e steroidi, che agiscono sulla risposta immunitaria del paziente. Tuttavia, poiché è stato appurato nei test di laboratorio sulla ribavirina contro il coronavirus che il farmaco è inefficace, alcuni ricercatori ipotizzano che questi pazienti sarebbero stati meglio anche senza trattamento. È improbabile che il problema venga risolto fino a quando non saranno eseguiti gli studi clinici confrontando vari regimi di trattamento. Differenze tra i paesi con decessi per SARS e tassi di mortalità per casi sono molto probabilmente dovute al ritardo del paziente nella ricerca di cure mediche, ma può anche essere dovuto a un virus più virulento o differenze nel modo in cui vengono trattati i pazienti con SARS. Differenze nel numero di casi di SARS tra paesi, soprattutto nel personale sanitario, possono riflettere lacune o ritardi nell'imposizione di misure di controllo delle infezioni necessarie negli ospedali. Poiché la SARS è una malattia nuova e non completamente compresa, i funzionari della sanità pubblica sono molto preoccupati per la diffusione del virus della SARS e polmonite “atipica” e dei sintomi simil-influenzali associati alla malattia. Però, perché nella maggior parte dei paesi la SARS non si è diffusa facilmente nella comunità locale, molti esperti concludono che il virus della SARS non è contagioso come il virus dell'influenza. Al contrario, le epidemie di influenza del passato si sono diffuse rapidamente e sono state molto più mortali. Un'epidemia di influenza del 1968 si è diffusa in tutto il mondo entro 8 settimane e ha causato 700.000 morti. Si dice che l'epidemia di influenza del 1918 abbia ucciso 20 milioni di persone in tutto il mondo. Gli scienziati ritengono che un'epidemia di influenza mortale simile sia destinata a ripresentarsi nel futuro. Negli Stati Uniti, la polmonite e l'influenza "tipiche" uccidono da 60.000 a 70.000 persone ogni anno (1.200 a settimana) principalmente gli anziani. Il numero di decessi dovuti all'influenza negli Stati Uniti è triplicato negli ultimi 25 anni; l'influenza adesso uccide il triplo delle persone dell'AIDS.

Rapporto scritto il 23 maggio 2003 da Judith A. Johnson, specialista in Life Sciences, del Domestic Social Policy Division del Congresso statunitense. E' stato divulgato dal sito Wikileaks. 

mercoledì 14 ottobre 2020

La donna che visse due volte

 

Ingeborg Barz









Karl-Heinrich Adzersen






     Asad Muhammad Asad


Taus Raymun Issa






Una delle domande che mi sono posto, quando ho sfogliato l’album del terrorismo internazionale, è stata: perché così tante belle ragazze tedesche scelsero il terrorismo, la violenza? In fondo, sono due cose, la bellezza e l’uso delle armi, che secondo me fanno a pugni.

Ingeborg Barz era bella, bionda. La sua scheda, la numero 13, dice che non era tanto alta: solo un metro e 61. Portava la frangetta, aveva i capelli lisci, un viso gradevole ed era nata nel 1948. Oggi nel 2020 avrebbe 72 anni.

Storia incredibile, la sua. Si unì alla rivoluzione della Banda Baader Meinhof nel 1971, ma l’anno dopo si sarebbe pentita, e per questo sarebbe stata uccisa proprio da uno dei leader del gruppo terroristico, Andreas Baader, che le avrebbe sparato e l’avrebbe uccisa centrandola nel collo. Eppure il suo corpo non fu mai trovato. Sul sito baader-meinhof.com si legge questa breve sua biografia. 

“Ingeborg Barz, una giovane segretaria, si unì alla banda Baader-Meinhof nel dicembre del 1971 insieme al suo fidanzato politicamente attivo Wolfgang Grundmann. Dopo alcuni mesi di fuga Barz chiamò sua madre il 21 febbraio, dicendo che voleva tornare a casa. Non venne mai più vista. Si è sempre pensato che fosse stata uccisa alla fine di febbraio 1972 perché voleva lasciare il gruppo. Ma il luogo in cui si trovava il suo corpo non è mai stato adeguatamente determinato. Un cadavere venne scoperto in una foresta fuori Monaco nel luglio del 1973, ma non si poté stabilire in modo definitivo che fosse di Barz. Il "traditore" Gerhard Müller del gruppo Baader-Meinhof in seguito ha testimoniato che Andreas Baader le aveva sparato, ma la sua testimonianza era piena di incongruenze e quindi rimanevano domande.”

La polizia tedesca trovò il corpo di una donna che aveva il teschio compatibile con quello della Barz, ma non era stata uccisa, tanto meno per un colpo di pistola nel collo. E’ per questo che nel 1976, e anche in seguito, continuò a cercarla. La sua scheda è presente, sia nello schedario della polizia di Bonn, sia nell’album del KGB. Nel corso di un’intervista che l’ex terrorista Hans Joachim Klein concesse al giornale Der Spiegel, alla domanda sul perché la polizia continuasse a cercare la Barz, Klein rispose: conservano tanti dati. Le schede devono essere sempre terrificanti. La polizia ha un motto: “spara senza pietà”. Hanno bisogno di scene teatrali per giustificare il costoso apparato di polizia.

I dubbi restano. Si dice che Ingeborg Barz fuggì in Irak con una nuova identità. Però pochi l’hanno più vista. Tranne in una circostanza. La sua foto-segnaletica è perfettamente compatibile con l’identikit della donna sospettata della strage di Bologna del 1980. Teoricamente poteva essere lì. Ma se la Barz partecipò davvero alla strage, chi erano gli altri tre terroristi degli identikit che furono diffusi all’epoca dai giornali italiani?

Potrebbe esserci dentro un altro tedesco: Karl-Heinrich Adzersen, detto “il dottore di Heidelberg”. Anche lui ha avuto due vite, se così possiamo dire, tuttavia in questo caso la colpa è anche della giustizia tedesca. Sfogliando gli articoli di Der Spiegel c’è qualcosa che non torna. Adzersen sarebbe stato arrestato due volte nel giro di due anni.

Ma andiamo con ordine. Dati personali: Adzersen Karl-Heinrich, tedesco. La scheda numero 2 lo descrive alto un metro e 90, con foltissimi capelli. E’ nato nel 1944. Nella sua vita criminale, stando a quanto lascia intuire il KGB, usava altri cognomi: Sonke, Nissen e Husum. Vasta eco fu data al suo primo arresto, nel maggio del 1979. In un cablogramma partito da Bonn e diretto al Dipartimento di Stato americano si può leggere, grazie a Wikileaks, il seguente testo: “Le autorità hanno annunciato l’arresto il 9 maggio a Heidelberg di un dottor Adzersen, un medico accusato di aver aiutato la RAF. E’ stato posto in confinamento preventivo a Karlsruhe ma è previsto - potrebbe già esserlo - che sia spostato nel carcere di massima sicurezza.” Secondo l’articolo che uscì su L’Unità l’11 maggio del 1979, Adzersen avrebbe fornito medicinali, narcotici e altro materiale ai membri della RAF. Il suo appartamento fu perquisito. Era un periodo denso di arresti, il 1979, in Germania. Arresti e sparatorie. In una di queste morì Elisabeth Van Dyck, che si sospettava fosse implicata anche nella strage di via Fani. Non mancarono le polemiche, perché pare che la donna fosse di spalle nel momento in cui gli agenti spararono.

Un articolo di Der Spiegel del 1981 spiegò in seguito che, se la Van Dyck non fosse morta, gli agenti sarebbero finiti sulle tracce di Adzersen, come di altri terroristi, il cui mandato di cattura venne sospeso. Adzersen era sospettato di aver partecipato al rapimento Schleyer. Ma intanto erano passati già due anni e l’uomo era tornato libero.

Nel marzo del 1981 la polizia dell’ex Germania Occidentale sorprese alcuni terroristi della RAF, i quali, appena usciti dal carcere, avevano pensato bene di andare a trovare alcuni amici del gruppo. Tra questi c’era il dottor Adzersen, i cui consigli medici erano molto preziosi per i banditi. La polizia sorvegliava tutto di nascosto, senza intenzione di intervenire. Ma ci si mise di mezzo una pattuglia della stradale, che fermò la BMW 2000 grigia di Adzersen per un controllo. Dentro l’auto c’era anche un ricercato e così l’avventura del medico di Heidelberg ebbe nuovamente termine, con la solita coda di polemiche. Sembra di capire che anche in questo caso le accuse contro Adzersen non vennero confermate.

Eppure c’è la scheda del KGB, con tanti cognomi falsi. E c’è la somiglianza con l’identikit di Bologna, quello dell’uomo con tanti capelli. Era Karl-Heinrich Adzersen? E’ possibile che il 2 agosto del 1980 si trovasse a Bologna? Teoricamente sì, è possibile.

Non bisogna dimenticare che, nello stesso periodo, la STASI, la polizia di sicurezza dell’ex Germania Est, in una sua relazione accusava della strage alla stazione di Bologna il gruppo Hoffmann e la RAF. Ne ripropongo il testo già pubblicato su L’indagine impossibile.

“Secondo la comunicazione della BRD-Zeitung "vestfalian Rundschau" del 30.9.1980, uno dei capi dell'organizzazione palestinese "al Fatah", Abu Ayad ha detto ad un corrispondente italiano a Beirut che nell'accampamento di addestramento di Agura in Libano orientale gli italiani così come i tedeschi si stanno addestrando. In termini concreti, l’ 'uz' scrive: "la leadership dell'OLP aveva reso consapevole che in campi di addestramento fascisti in Libano l'attacco a Bologna era pianificato con la partecipazione dei terroristi tedeschi, tra cui un certo Hoffmann. Inoltre, nei mass media occidentali, ci sono state indicazioni di volta in volta che i fascisti italiani si sarebbero formati anche in campi paramilitari in Libia e nello Yemen. I risultati operativi relativi alle attività di viaggio dei membri della "RAF" o "movimento 2 giugno" confermano il loro ripetuto soggiorno in Italia.”

E non è finita. Nell’album del KGB ho trovato anche altri due terroristi compatibili con i rimanenti identikit. Si tratta di due arabi (il testo russo del Kgb dice proprio “volto di discendenza araba”): Abd-Al-Rahman Asad Muhammad Asad (figurina 183), nato nel 1944, e Taus Raymun Issa (figurina 214), classe 1955.

Tutto questo ovviamente non basta per cambiare la storia processuale, ma sono certo che qualche dubbio i giudici d’ora in poi lo avranno.

sabato 10 ottobre 2020

Telefono giallo, il caso Augias


Cosa ha combinato Corrado Augias, conduttore della nota trasmissione televisiva della Rai “Telefono giallo”? Negli anni Sessanta consegnò documenti riservati ai cecoslovacchi. Lo affermano svariati documenti del dossier numero 311, che, come scritto nel solito bigliettino iniziale, che ne descrive in sintesi il contenuto, affronta il tema della politica estera italiana. Ma è Augias il protagonista assoluto della scena. Fu lui l’informatore, il tramite per arrivare ad alcuni segreti italiani. Tra le carte ho rinvenuto persino degli appunti scritti a mano in lingua italiana. Di chi erano? Di Augias? 

Non avrei mai creduto di poter aprire con le mie mani la cartella della sua attività spionistica. Proprio lui, la perfetta applicazione dei principi di oggettività in un’inchiesta giornalistica. Il conduttore discreto, che non entra mai nelle tragiche vicende narrate. Introduce, lascia parlare gli altri, interviene per correggere, sintetizza, analizza i concetti meno chiari ai telespettatori, e poi guida i suoi intervistati verso la soluzione del giallo, in un ampio dibattito finale nel quale appare sempre nelle vesti del moderatore e mai dell’accusatore.

Ho trovato nei documenti l’esatto contrario. Ho davanti un altro dottor Jakyll? Oppure questi documenti furono redatti per rovinargli la reputazione? Ma, ancora, mi sono chiesto: si può parlare veramente di documenti compromettenti?

Corrado Augias venne descritto come un appassionato antifascista, sostenitore della causa socialista e difensore delle vittime della dittatura di Francisco Franco in Spagna. Il 26 luglio 1963 il documento 67 annotò: “Politicamente, fu dapprima membro del Partito radicale e si unì all’ISS (il PCI, ndr) nel 1959/60, dove adottò una posizione chiaramente di sinistra. In particolare, si occupa dei problemi della Spagna. Ha numerosi contatti con i socialisti lì. Ha effettuato numerosi viaggi in Spagna per mantenere questi contatti. A Roma, ha partecipato a tutti i raduni a sostegno della Spagna e di tutte le manifestazioni antifasciste.”

Nel documento 49-51 si legge ancora: “Appartiene alla sinistra del partito, è antifascista e ha buone posizioni politiche. DOŠEK lo riconobbe durante la manifestazione antifascista organizzata a Roma dalle forze democratiche in occasione della fucilazione di Grimau. Due giorni prima, AUGIAS si è confrontato con i fascisti romani. Nel 1962 era in Spagna e in quell'occasione entrò in contatto con i gruppi di opposizione del regime di Franco. Da loro ha ricevuto raccomandazioni ed alcuni spagnoli a Roma con i quali AUGIAS è ora in contatto. Nel mese di Agosto, nell'interesse di questi lavoratori, vanno di nuovo in Spagna.”

Dunque, un giornalista schierato e appassionato, e direi anche piuttosto battagliero.

Il 21 ottobre 1963, dopo un incontro al ristorante Re degli amici, in via del Babuino a Roma, fu redatta un’altra relazione in cui Jaros tornava sull’impegno politico di Augias in Spagna: “DONÁT (soprannome che gli fu dato, ndr) ha detto che l'intero gruppo di spagnoli che ha incontrato è in prigione. Sono circa 15 persone. Uno è in prigione in Italia, gli altri in Spagna. In Italia fu arrestato durante le manifestazioni a Roma, gli altri dopo essere arrivati in Spagna per andare in vacanza. E' certo che in Italia avevano un traditore, che riferiva tutto sulla loro attività, quindi tutto era già preparato in anticipo. Fu arrestato anche un buon amico di DONAT, Fernando SANCHES (l'abbiamo lasciato con il signor Kotva). La più grande sfortuna è che Sanches è andato insieme a Donat e sua moglie in Spagna.”

Curiosa la descrizione in italiano che si legge nel documento 47: “Ha espresso dubbi sulla sua permanenza alla Rai, perché ciò limiterebbe le sue possibilità di dedicarsi al lavoro politico, e perché gli alti guadagni e l’estrema sorveglianza contrastano la sua formazione ideologica”. Sempre nello stesso documento, infatti, si rammentava che nella Rai dell’epoca vi erano programmi curati “direttamente dal ministero degli interni (direzione del servizio informazioni) e che hanno la sede distaccata in via Po”.

Il caso dei contatti tra Augias e Praga non è certamente nuovo. Esplose nel 2009, allorché Il Giornale, quotidiano filo-berlusconiano di destra, pubblicò una serie di articoli di Antonio Selvatici, con i quali veniva rivelato che, stando ad alcuni 007 dell’ex Cecoslovacchia, Augias sarebbe stato un loro infiltrato negli Stati Uniti. La reazione del conduttore televisivo fu immediata e furibonda. Minacciò querele per diffamazione. “È un'accusa talmente ridicola che non varrebbe la pena neanche di rispondere - disse su Repubblica - ma questi sono i tempi in cui viviamo, in cui si è costretti a reagire alle calunnie mediatiche. Ho letto il servizio e mi sono chiesto il perché di tutto quel chiasso.”

La vicenda rimase più o meno sospesa lì, tra rivelazioni peraltro documentate da un libro poi pubblicato dallo stesso Selvatici, e sdegnose smentite. Wikipedia neanche riporta questa breve parentesi della vita del conduttore Rai.

Eppure il cronista del Giornale le cose non se l’era certamente inventate. Aveva ragione ad affermare ai microfoni di Radio Radicale: i documenti sono a disposizione di tutti, chi vuole può leggerli. E’ così. Semmai c’è da rimarcare qualcos’altro: che nei suoi articoli mancano due punti fondamentali. Uno è, come detto, la finalità tutt’altro che deprecabile dei colloqui di Augias con gli emissari di Praga: la volontà di difendere la democrazia in Spagna. Il secondo è che ai cecoslovacchi parlò della Rai e della sua organizzazione. Fu quest'ultimo il tema degli appunti scritti a mano di cui parlavo, ascrivibili con tutta probabilità al conduttore. Basterebbe una prova calligrafica per stabilirlo. E la querela eventuale finirebbe lì, se mai avesse senso portare dal giudice chi divulga documenti provenienti da un archivio pubblico.

Inizialmente è probabile che Augias non fosse consapevole di partecipare a un dossieraggio dei sovietici. Nel documento 33-35, redatto il 24 maggio del 1963 dopo una cena al ristorante Alfredo alla Chiesa Nuova, la spia Jaros espresse questa valutazione del suo candidato: “Dopo due incontri, che si sono svolti con le mie parti principalmente allo scopo di stabilire un contatto amichevole con Augias, si può dire che lo scopo è stato raggiunto. Nonostante la notevole differenza di età tra di noi, ho guadagnato la sua fiducia. Continuerò a essere in stretto contatto (al massimo con mia moglie per i primi due incontri) poi solo tra noi due, dove verranno elaborati e sfruttati.”

Molto importante ai fini dell’attività spionistica era la moglie di Augias. Come si sa, per averlo letto sul Giornale, la signora Daniela è figlia del generale Nino Pasti, uomo influente della NATO. Sembra che il matrimonio con un socialista non fosse stato digerito bene, tanto da essere motivo di alcune liti in famiglia. Un giorno Augias rubò un dossier dal tavolo del generale Pasti e lo consegnò al suo giornale, Paese Sera, per montare una campagna di stampa. Si legge così nei documenti. Sarà vero?

Certamente ai cecoslovacchi un infiltrato nell’ambiente militare della Nato faceva molto comodo e risulta che cercarono di sfruttarlo per ottenere ogni genere di notizia sul nostro armamento.

I contatti tra il conduttore Rai e le spie di Praga proseguirono con incontri al bar e al ristorante. Augias propose uno scambio di programmi tra la sua azienda pubblica e radio Praga. Il 21 dicembre del 1963, Jaros annotò: “DONAT mi ha mostrato una lettera del nostro operatore televisivo Brdeček, che ha inviato a Praga. Lo incontrò a Napoli, dove erano i nostri deputati. Brdeček ha inviato a sua moglie una sciarpa per la nostra televisione (di seta con i personaggi della nostra TV). DONAT vuole negoziare uno scambio di programmi con la nostra radio. Sarebbero canzoni e interventi con i nostri attori. E’ molto attivo nella collaborazione con i nostri attori. Gli ho promesso che avrei scoperto le possibilità.”

Ma il punto principale della mia ricerca è stato capire se il noto conduttore Rai potesse affermare di essere all’oscuro dei progetti spionistici dei sovietici. Vi sono dei passaggi che non lasciano spazio a dubbi. Sì, a mio parere Augias sapeva di consegnare agli ambasciatori cecoslovacchi documenti compromettenti. Documento 115: “desideravo porre una domanda a DONAT - scrisse Jaros dopo l’incontro del 6 giugno 1964 all’Eur di Roma - se poteva procurarmi un elenco telefonico del Ministero della Marina. Rispose affermativamente, dicendo che lo avrebbe detto a Daniela, e se non lo avesse fatto avrebbe trovato il modo per prenderlo da solo.” Questa è la traduzione che ho avuto da Luigi Ceccobelli. Presumo sia attendibile. 

Documento 129-131-133. Si tratta di una scheda di riepilogo per fare il punto sui contatti con Augias. Ne pubblico ampi stralci perché mi è parsa significativa. “Dati personali: nato il 16.2.1935 a Roma, nazione: è Italiano, appartamento a Roma in via Rocca Porena 9, studiò legge, impiego in Italia, televisione in dipartimento programmi stranieri – scambio di programmi culturali all'estero. Prima di entrare in televisione, ha lavorato per qualche tempo nella FAO e in agenzia di viaggi. Alcol: beve di tanto in tanto, soprattutto nella società, ma non si ubriaca. Stabilisce facilmente contatti sociali, buon compagno, può intrattenere la società. Buono, allegro di natura, può accettare battute, anche se concentrate sulla sua persona. Sit. Finanziaria: dalla RAI ha circa 150.000 lire al mese, con lo stipendio di sua moglie il loro reddito è di circa 200.000 lire al mese. Non è noto quanto riceve per la scrittura di articoli. Non riesce a cavarsela bene, è in difficoltà finanziaria prima della fine di ogni mese. Politicamente: membro ISS (PCI) (dal 1959). La sua conoscenza delle questioni politiche è nella media. Era un membro del Partito radicale.”

“Relazioni: soprattutto con i socialisti: DOŠEK, DOX, DALAI, DAN, TONI, DAMO, BONI Vittorio, capo della radiodiffusione estera RAI, DC di sinistra, LEGGERI Antonietta, per qualche organizzazione di culto. SANCHEZ Angelo, comunista, sposato, studente, studia a Roma, BORELLI – ricercatore RAI, membro DC.”

Ma ecco la parte che ci interessa di più: “Materiale compromesso: Ha passato i nomi di giornalisti e annunciatori italiani, interfaccia di radiodiffusione straniera, ha preparato uno schizzo dell'organizzazione radiofonica gestita dal personale del Ministero dell'Interno, il materiale non è stato utilizzato. Il materiale è principalmente prezioso come materiale di compromesso. Possibilità del suo utilizzo: è principalmente l'uso di sua moglie per acquisire conoscenze dal suo posto di lavoro e per cerchie vicino a suo padre, specialmente durante la visita di suo padre negli Stati Uniti nell'estate trascorsa – acquisire conoscenza delle relazioni Italia-USA. Sviluppo operativo: contatto stabilito il 30 Maggio 1963 presso la reception dell’Ambasciata bulgara. Dall'inizio del contatto fino al 31 Gennaio 1964, si tenevano le riunioni con Donat di cui 2 riunioni nell'appartamento di Donat e 8 riunioni in bar e ristoranti. Rilasciato: dall'inizio del contatto al 31.1.64: 39.360 lire spese per riunione, 7.570 lire per “premi”. Conclusione: lo sviluppo di Donat ha fatto notevoli progressi. L'attuale conoscenza dei suoi tratti caratteriali è positiva. Quando gli è stato chiesto dall'AG se ha amici che si occuperebbero di problemi della NATO, ha risposto che ci avrebbe pensato, soprattutto perché il suo contatto fosse diretto e non attraverso diverse persone. I dati mancanti dovranno ancora essere aggiunti. Come prossimo passo, sarà necessario parlare con Donat delle possibilità di usare sua moglie e, secondo i risultati, preparare una proposta per un libro di reclutamento di Donat.”

Sono parole a mio avviso molto gravi. Come quelle del documento 137. L’incontro avviene il 17.11.1964, dalle 12 alle 12.15 al Bar ADUA, in via del Corso. Scrive sempre Jaros: “Sono riuscito a catturare DONAT in TV fino al 16.11.1964. Si offrì immediatamente di incontrarsi il giorno successivo e decise lui stesso il posto. Questo è un bar poco visitato, che ha una stanza separata che è di circa 5 tavoli. Quando è arrivato DONAT, nessuno, tranne noi due era lì, DONAT ne ha approfittato e mi ha consegnato il giornale, dicendo che dentro era quello che volevo qualche tempo fa. Disse brevemente che DANIELA non lavorava più al ministero, aveva preso un congedo di maternità e non sarebbe tornata. DONAT è diventato un critico culturale presso L'AVANTI e si dice che sia abbastanza soddisfatto. Si dice che abbia fatto bene a non trasferirsi al PSIUP. Collabora anche per le elezioni, perché aiuta nella segreteria della città. E' felice in TV. Dato che doveva tornare immediatamente in TV, ci siamo organizzati per vederci nella settimana dopo le elezioni. Sfortunatamente, non è stato in grado di determinare esattamente quando e quindi rimarrà il telefono.”

Una persona che consegna un oggetto nascosto all’interno di un giornale, in un bar poco frequentato, sa quello che sta facendo. Mi pare una scena vista in qualche film. E aver “passato” i nomi dei colleghi della Rai a una nazione in cattivi rapporti con l’Italia non è un comportamento da apprezzare. Se non è una spy story, questa, le somiglia parecchio, mi vien da dire.





venerdì 9 ottobre 2020

Tutti gli errori di Ustica&Bologna

Ho trovato sugli scaffali di una grande libreria il volume di Paolo Cucchiarelli, intitolato “Ustica&Bologna” e durante l’estate ho deciso di acquistarlo, sia per il mio interesse sull'argomento, sia per leggere qualcosa di divertente nel tempo libero.

Nel complesso sono seicento pagine di inchiesta giornalistica, ben costruita, con interviste e verifiche sui giornali dell’epoca, quindi tecnicamente ottima. Eppure ho riscontrato subito tre errori, che in un volume così vasto, così avvincente, perché è una lettura che sicuramente non annoia, potrebbero passare inosservati. In un primo momento ero disposto a perdonarli, perché li attribuivo all’interpretazione soggettiva che l’autore cerca di far emergere dalla mole consistente di documentazione che viene presentata nel volume. Si tratta comunque di sviste piuttosto gravi. Analizziamole un attimo.

1) Viene scritto che il cielo su Ustica era terso. A me non risulta affatto. Il clima meteorologico è stato totalmente snobbato nella vicenda Ustica e invece in un volo aereo ha la sua importanza. Forse su Palermo il cielo poteva essere terso, come mi pare affermasse il comandante del DC-9 ai passeggeri nell’audio della scatola nera. Ma ci sono giornali che parlano di cielo nuvoloso sulla Campania, dove l’aereo di linea sarebbe precipitato, inoltre le mappe meteo di archivio dimostrano che sul mar Tirreno, la sera del 27 giugno 1980, potevano esserci vento e qualche temporale. Se anche sulla dinamica degli aerei, su cui si sofferma a lungo, Cucchiarelli è così impreciso c’è da preoccuparsi.

2) L’autore scrive che il DC-9 cadde perché il Mossad, per evitare che venisse trasportato in Libia, tramite il DC-9, un carico di uranio, gettò su un’ala dell’aereo di linea italiano dell’Itavia il motore di un A7 Corsair, che in seguito fu trovato nel mare nella zona della strage. Ma se Cucchiarelli avesse fatto meglio le sue ricerche nei giornali, che in parte cita, avrebbe capito che nel 1969 nel mare di Ustica era precipitato proprio un A7 Corsair, con forse un carico atomico. Nel mio libro che gli avevo mandato parlo proprio di questo episodio, peccato che lui si senta bravo e non lo legga.

3) Il giornalista Cucchiarelli romanzando un po’, cosa che un cronista non dovrebbe mai fare, immagina che il pilota del Mig23 libico precipitato sulla Sila stesse scortando il DC-9 e il carico di uranio. Avrebbe visto l’attacco del Mossad, sarebbe stato preso da rimorsi e sarebbe atterrato in un aeroporto segreto della NATO a Crotone (se non ricordo male). Qui i carabinieri lo avrebbero inviato con il suo aereo, già bucherellato dai colpi di mitraglia del Mossad, in Puglia in un altro aeroporto della NATO. Ma lui, ancora devastato dai rimorsi, si sarebbe suicidato. Bella storia. Però il francese Sablier affermò nel 1983 in un libro sul terrorismo che il Mig23 caduto sulla Sila era in perlustrazione sulle basi NATO del monte Mancuso e del monte Nardello e che fu abbattuto dalla stessa NATO. Io non so se andò così, però Cucchiarelli dimentica completamente di citare queste due basi. Ora, del fatto che il Mig fu abbattuto prove non ce ne sono, ma che un nemico degli americani come Gheddafi potesse mandare un suo aereo ad atterrare vicino alle basi che lui minacciava apertamente in quegli anni mi pare veramente fantascienza.

E vengo a un altro errore, che c’è, secondo il mio parere, nell’interpretazione della politica internazionale che emerge dalla lettura dell’intera inchiesta. Sullo sfondo di un antiamericanismo abbastanza marcato, Cucchiarelli sembra attribuire le due stragi, di Ustica e Bologna, alla fine di una politica double face di Italia e Stati Uniti durante l’era Carter, e cioè la fine di una politica estera che, sottobanco, permetteva al raìs Gheddafi di costruirsi in Libia un arsenale da guerra in grado di produrre la bomba atomica. Ossia, i servizi segreti israeliani, Gladio e la P2, già pronti a caldeggiare la salita al potere del più intransigente Reagan, avrebbero colpito i cittadini italiani a Ustica e Bologna per dare un segnale al nostro governo: smettila di giocare su più tavoli. Il che è plausibile, perché Carter fu accusato di aver permesso proprio questo emergere di dittature in Africa, dittature tuttavia ostili agli Stati Uniti. Il manuale di Sabbatucci lo specifica. Tuttavia, far credere, come a me è parso di capire dalla lettura del volume di Cucchiarelli, che Italia e Usa fossero alleati di Gheddafi fino al punto di cedergli gli aeroporti della NATO, mi pare un passo troppo azzardato.

Fino a che punto Gheddafi era padrone del territorio italiano? Quando ero adolescente un amico di mio padre (che lavorava come impiegato alla NATO...) scherzava polemicamente sul fatto che l’Italia stesse per diventare un protettorato della Libia. C’erano sicuramente degli infiltrati occidentali, come Ed Wilson, che rischiavano grosso inserendosi nel traffico di armi del raìs. E ce n’erano altri che si inserivano nella Brigate Rosse, commettendo furti e forse anche altro, prima di arrivare, se ci si arrivava, all’arresto dell’intera organizzazione. Lo stesso Cossiga si chiedeva, dopo la strage di piazza Fontana del 1969: fino a che punto sono infiltrati e quando inizia la vera complicità? Non è facile rispondere. In fin dei conti, gli Stati Uniti processarono e misero in galera Ed Wilson e il suo complice Frank Terpil. Allargare il doppio gioco di un solo uomo, o due, ai governi mi pare eccessivo.

Cucchiarelli omette il dossier Mifobiali, che ho letto e commentato in passato e che dimostra l’esatto contrario: i traffici tra il nostro governo e la Libia avvenivano nell’ambito di settori deviati e corrotti della nostra politica e del settore militare. Tanto è vero che questi criminali vennero accusati di aver ceduto materiale coperto dal segreto militare, come armi e radar della NATO, a Gheddafi, in cambio di un grosso affare nell’acquisto del petrolio libico. Come potevano, dunque, i servizi segreti israeliani colpire gli inermi cittadini del DC-9 e di Bologna se la politica filo-libica era, come da me più volte sostenuto, condotta da settori deviati della nostra politica di centro-sinistra? E’ evidente che concentrare una ricerca storica su due singoli episodi, eclatanti ma comunque circoscritti nel tempo, senza indagare, più in generale, sugli scopi politici del terrorismo italiano, ed estero, degli anni Settanta, è stato un errore di impostazione del lavoro di Cucchiarelli. E rimandare il lettore alle prossime puntate non mi pare un modo serio di procedere. 

giovedì 17 settembre 2020

Famosa agenzia viaggi proteggeva la CIA?


Una famosa agenzia di viaggi svizzera avrebbe permesso agli agenti americani della CIA di infiltrarsi in Italia. Per farlo avrebbe utilizzato un suo dipendente in continuo contatto con i carabinieri. Queste rivelazioni furono fatte ai cecoslovacchi nel 1960 da un giornalista dell’Unità. Dovrebbe trattarsi di Mario Petrucci, che era anche direttore dell’agenzia viaggi Italturist e impiegato nella segreteria del PCI. Il dossier, tuttavia, riporta erroneamente, in alcuni documenti, anche il nome di Matteo Petrucci.

Tutto sarebbe partito da un’intervista, rilasciata non si sa dove. E’ il contenuto del documento 15, del 10 giugno 1960, della cartella 342, dedicata appunto all’Italturist. L’agenzia incriminata sarebbe Hotelplan, una famosa agenzia di viaggi tuttora esistente in Canton Ticino, nella Svizzera italiana, mentre in Italia è stata inglobata nel colosso Alpitour.

L’accusa è pesante. L’agenzia avrebbe lavorato sui viaggi turistici solo all’apparenza, e costantemente indebitata, mentre avrebbe agito come vero e proprio sportello informativo per gli agenti americani che dovevano recarsi in Italia in incognito. I buchi di bilancio di Hotelplan sarebbero stati sistematicamente coperti dagli Stati Uniti, la cui sede sarebbe stata posta a Zurigo, esattamente come quella di Hotelplan.

Viene citato più volte il direttore e fondatore di Hotelplan, Ghisetti. Questi sarebbe stato un agente americano, per giunta con precedenti legami anche con la Germania nazista. Un altro personaggio ricorrente in questa storia è un certo Biodo o Bodo. Sarebbe stato lui a intrattenere rapporti con i carabinieri e i servizi segreti italiani, che si affidavano a Biodo/Bodo per conoscere i nomi dei turisti italiani appartenenti al PCI.

“Hotel Plan” (nei documenti il nome dell’agenzia compare staccato) avrebbe avuto in Italia due sedi, una a Milano e un’altra a Roma. Stando a un altro rapporto del dossier 342, completamente in Italiano, ossia il numero 35, la sede di Roma, mal gestita e sempre in deficit, sarebbe servita a Ghisetti soltanto “come ufficio di rappresentanza con i suoi contatti continui che ha a Roma con le autorità governative.”

L’altro personaggio misterioso è Biodo/Bodo (i nomi nei documenti spesso sono storpiati e privi delle doppie consonanti). Sicuramente si tratta di Eraldo Bodo, che compare anche in un altro dossier, il 000, cioè quello contenente i potenziali contatti o soggetti da attenzionare in Italia. Nella scheda numero 93, l’Stb annotò che questo Bodo lavorava per alcune ditte cecoslovacche: KOVO, Pragoexport, Ceramics Skloexport. E aveva frequenti relazioni commerciali con gli ungheresi. Che si tratti della stessa persona lo dimostra il suo indirizzo di residenza: via degli Amedei (o Amadei) 8 - Milano, ossia quello della sede milanese di Hotelplan, il cui nome, tuttavia, nel dossier 000 non compare.

Petrucci, ingaggiato come spia dai cecoslovacchi anche per captare eventuali “provocazioni” americane alle Olimpiadi di Roma 1960, avrebbe trovato nel 1956, sulla scrivania dell’ufficio, un biglietto comprovante questi contatti tra Hotelplan e i carabinieri, tuttavia non sufficienti a dimostrare come vera tutta questa storia, fatta soprattutto di supposizioni. Il documento 15 si chiude infatti con un altro sospetto del firmatario del rapporto, il solito Lesnik: che Hotelplan abbia lavorato, guarda caso, solo con cittadini americani, “che rimangono misteriosamente sempre in Italia”, pur senza essere in cerca di lavoro e senza un’attività vera e propria.

Nel corso della sua “collaborazione” spionistica, Petrucci si sarebbe servito di una persona avida di denaro, almeno secondo quanto scritto nei documenti: un certo Omodei, che aiutò Petrucci ad aprire l’agenzia Italturist. La conoscenza tra Petrucci e Omodei sarebbe iniziata nel 1958. In quel periodo, Omodei lavorava nella segreteria del socialdemocratico e futuro presidente della repubblica, Saragat. In seguito, venne licenziato e si mise a lavorare per Italfide.

I cecoslovacchi erano molto interessati a intrattenere contatti con le agenzie viaggi, perché attraverso queste società sarebbero entrati e usciti dai paesi sovietici i cittadini stranieri. E a quei tempi il passaggio di frontiera non era affatto semplice. Ne sanno qualcosa Luigi Ceccobelli e il suo amico Scargetta che furono arrestati nel 1977. Viaggiavano proprio con una di queste agenzie dell’Italturist. Le spie dell’Stb avevano, inoltre, il sospetto assillante che tra questi turisti si potesse nascondere qualche spia del patto Atlantico o della Germania Ovest.

I contatti tra l’Stb cecoslovacco e Mario Petrucci si interruppero già il 22 maggio 1962. A quanto pare, a suggerire questa soluzione fu la brillante carriera che Petrucci stava intraprendendo nel Partito Comunista, le cui posizioni politiche, dopo l’invasione dell’Armata Rossa in Ungheria del 1956, non coincidevano sempre con quelle del Politburo. 

giovedì 13 agosto 2020

Ombre naziste sul caso del colonnello Rocca

E' il pomeriggio del 27 giugno 1968. Roma, via Barberini 86. Viene trovato morto nel suo ufficio un ex colonnello del Sifar, che è il vecchio nome del servizio segreto italiano. Da poco si era messo a lavorare in proprio aprendo un'agenzia commerciale. Si chiamava Lorenzo Rocca, o più comunemente Renzo Rocca, ma qualcuno dice che si facesse chiamare anche Pino Renzi, o ingegner Roberto Riberi. Come solo una spia sa fare. Era piemontese, nativo di Alba, in provincia di Cuneo. Il suo nome fu accostato a vari scandali degli anni '60, i più torbidi della storia italiana. Secondo La Stampa, che diede la notizia della sua scomparsa con un articolo di Gianfranco Franci, Rocca era un collaboratore fidato del generale De Lorenzo, accusato di aver progettato nel 1964 un tentativo di golpe poi fallito. Ma Rocca era molto altro. Intercettazioni telefoniche, commesse militari. Quando lavorava per il Sifar, era capo della REI, la sezione ricerche economiche industriali del servizio segreto. Ciò vuol dire che tra le sue mani circolavano i soldi pubblici del servizio segreto, e, come vedremo, l'uso che ne veniva fatto era pieno di ombre.

Sono le 17.30. La segretaria, la giovane Lauretta Manzini, ha chiamato la polizia, perché il suo capo si è chiuso nell'ufficio e non ne è più uscito. L'autista testimonia di averlo accompagnato in via Barberini alle 14. Stando alla ricostruzione della Stampa, i poliziotti sfondano la porta e trovano il colonnello riverso sul pavimento dell'ingresso, vicino alla porta chiusa dall'interno. Renzo Rocca si è sparato con una pistola di lusso, con la canna d'oro e il manico di madreperla. Ce l'ha ancora in mano mentre giace a terra. La pallottola, una piccola 6,35, è penetrata nel cervello dalla tempia, scrive Franci. Vengono subito svolti degli accertamenti, compresa la prova del “guanto di parafina”, che non lascia spazio a dubbi. Lo sparo è partito dalla sua mano e la morte è sopraggiunta verso le 15.30. Rocca si è suicidato a soli 58 anni. Perché lo avrebbe fatto? Certamente la vita gli aveva dato tanto: una bella famiglia, due figli, un'enorme villa in via Nomentana, con un mega parco di tremila metri quadrati, un'altra villa al mare, mobili di lusso, quadri d'autore, svariate automobili. Alcuni “amici” cercano di giustificare il gesto. Raccontano di una crisi depressiva, di cui il dirigente avrebbe sofferto da molto tempo.

Il mistero vero e proprio, scrive giustamente Franci sulla Stampa, sono i tre uomini in borghese che entrano nell'ufficio del colonnello subito dopo la polizia e prelevano delle carte, forse dei dossier del Sifar, quel famigerato servizio segreto con cui si vocifera che Rocca abbia ancora a che fare. Chi sono questi strani personaggi? Uomini dei servizi? Secondo l'articolo della Stampa si tratterebbe di poliziotti che avrebbero portato via la segretaria che si era sentita male.

Sarà un caso, ma pochi mesi più tardi si parlerà di nuovo di quelle carte dell'ufficio di via Barberini, e ne nascerà uno degli scandali più chiacchierati degli anni '60, ma anche uno di quelli più insabbiati della storia: il cosiddetto “scandalo dei generali”. Cesare De Simone dell'Unità, il 15 giugno del 1969, a un anno esatto dalla morte del colonnello Rocca, lo ricostruiva così: “Un sostituto procuratore della Repubblica, il dottor Bruno De Maio, dopo un anno e due mesi di pazienti indagini tramite la guardia di finanza incrimina 32 persone (alti ufficiali e civili dipendenti dal Ministero della Difesa) per illecite attività della società Sispre. Tra gli imputati figurano due generali di brigata (Consolini e D'Alessandro), cinque colonnelli e persino Renzo Rocca, ex colonnello del Sifar, la cui misteriosa morte nel luglio (in realtà è giugno, ndr) '68 sollevò molti veli su uno sporco giro di miliardi legato al traffico d'armi per il Medio Oriente e l'Africa. Le imputazioni sono gravissime: falso di scrittura, falso ideologico, peculato e corruzione, violazione del segreto militare.”

Dunque gli uomini in borghese che sono entrati ufficialmente a portar via la segretaria di Rocca sono militari che lavorano per il giudice De Maio, il quale sta indagando da qualche mese sullo “scandalo dei generali”? La tempestività lascia di stucco. Ma che si tratti di questa storia lo dimostra un altro articolo della Stampa, del 10 giugno 1969, nel cui catenaccio viene specificato che “lo scandalo (Sispre, ndr) che ha richiamato l'attenzione della procura della repubblica è scoppiato proprio quando si sono esaminate le carte trovate nell'ufficio del col. Rocca”. Vedremo che è un particolare determinante, e che i giornalisti dopo un solo anno dalla morte del colonnello se l'erano già dimenticato.

“Si scopre che la Sispre doveva godere di numerosi agganci all'interno del Ministero della Difesa – scrive Cesare De Simone sull'Unità -: non solo per essere stata costituita nel 1953, proprio con l'autorizzazione di quel dicastero, ma perché suo presidente figurò, dal 1962 al 1966, il generale Giuseppe Mancinelli, fino al 1960 capo di Stato maggiore generale.”

Dunque la Sispre è una società pubblica che gestisce commesse militari, ma le affida a un giro ristretto di aziende private, che per accaparrarsi l'esclusiva sono disposte a ricoprire d'oro i suoi dirigenti. Tra questi figurerebbe anche Rocca, che, in quanto dirigente del REI, avrebbe avuto il dovere di effettuare dei controlli. Invece, a quanto pare, venivano aggirati. Si prospettava a quel punto il problema delle trattative private gestite dal Ministero della Difesa. De Simone dell'Unità proponeva di rimettere la gestione degli appalti militari nelle mani del parlamento, affinché disciplinasse giuridicamente quella materia così spinosa. In pratica, la Sispre attraverso la mediazione del colonnello Rocca aveva permesso – secondo l'accusa - ad alcune grandi industrie italiane di ottenere “le più allettanti commesse militari”. “Sembra che il personale della Sispre – raccontava un articolo dell'Unità del 10 giugno 1969 - oltre a divulgare verbalmente, ad amici e parenti interessati alla cosa, notizie sulle quali gravava il top secret militare, avrebbe anche consentito a dei civili non autorizzati, titolari di società private, l'accesso a zone e apparecchiature vincolate anch'esse dal segreto. In altre parole, alcuni degli imputati informavano in anticipo i titolari di società private dei programmi di lavoro della Sispre, al fine di permettere loro di approntare progetti e preventivi che avrebbero di fatto garantito l'attribuzione degli appalti e delle forniture”. Le quali riguardavano, sia missili terra aria o aria aria, sia apparecchiature elettroniche militari.

Si profilava il giorno del giudizio per il mondo militare italiano, e invece di questo vasto sistema di corruzione non si seppe più nulla. L'ultima traccia negli archivi della Stampa e dell'Unità è un trafiletto del 2 ottobre 1970, con cui il lettore veniva informato che il giudice istruttore che coordinava le indagini, Antonio Alibrandi, aveva inviato gli atti del procedimento al pm Carmine Cecere affinché formulasse le sue accuse. Alibrandi, proprio lui, il giudice che in seguito sarà accusato di essere un fascista convinto, e che in quegli stessi mesi si stava occupando di un nuovo caso di spionaggio militare, che, come per la Sispre, riguardava l'Egitto e il Conero: il caso della spia di Monfalcone, Carlo Biasci. Perché la Sispre andrebbe collegata a questi due luoghi lo scopriremo tra un attimo.

Stando a quanto oggi si può reperire online su Wikipedia, la Sispre, citiamo testuali parole, “venne fondata il 2 dicembre 1953 con partecipazione paritetica di FIAT e Finmeccanica (gruppo IRI) con il nome di Cespre - Centro Studi della Propulsione a Reazione S.r.l. e l'intento di studiare e progettare apparecchiature con propulsione a reazione. Si sviluppò grazie alle commesse affidategli dall'Aeronautica Militare Italiana nel 1953 e 1956 per la realizzazione di un razzo aria-aria, il C-7, il primo di intera produzione italiana. Nel 1960 realizzò poi il razzo a solido C-41 (con un contratto da 14 milioni di lire), utilizzato per ricerche meteorologiche, che effettuò il lancio inaugurale nel 1961 raggiungendo una quota di 30 chilometri. Nel 1961 Sispre (nuova denominazione di Cespre dal 1956) confluì, insieme a Bombrini Parodi Delfino, nella Società Generale Missilistica Italiana.”

Dunque, la Sispre si sarebbe occupata solo di meteorologia. Anche un documento top secret del servizio segreto cecoslovacco, redatto dal fantomatico comandante Vittorio Matricardi, raccontava nel luglio del 1960 di lanci di razzi sperimentali a scopo di ricerca, effettuati dai tecnici della Sispre. Scrisse: “Nei primi giorni di luglio sono stati fatti una serie di esperimenti missilistici destinati a permettere un certo numero di sondaggi ionosferici dal poligono missilistico italiano di Ispra. Infatti il programma è soprattutto atmosferico ed è costituito da una serie di sondaggi che sono stati effettuati mediante razzi progettati da tecnici italiani, ma costituiti con elementi diversi nella maggioranza di costruzione italiana, ma compositi, pluristadi, formati con razzi differenti, alcuni di impiego bellico, altri sperimentali di produzione americana.” I progetti sono della Sispre, spiegava Matricardi, grazie alla quale sono stati utilizzati i migliori materiali esistenti sul mercato. La riuscita dei lanci, che furono in tutto sei, permise alla Nasa americana di sperimentare un nuovo tipo di razzo chiamato Scout, che avrebbe dovuto trasportare nelle alte quote dell'atmosfera la strumentazione utile per studiare gli eventi meteorologici.

Nonostante Matricardi nei suoi rapporti la collochi geograficamente in Sardegna, la base di Ispra dovrebbe trovarsi sulla sponda lombarda del Lago Maggiore. In un altro documento, Ispra e Monte Conero, vengono descritti come due centri specializzati, insieme a molte altre location del nord-est italiano, per il lancio di missili Jupiter e Nike. Lanci di razzi sonda per studi sull'atmosfera avvennero certamente anche dal Monte Conero. Ce lo testimonia un trafiletto dell'Unità del 28 agosto 1957, nel quale veniva spiegato, ai lettori che avevano pensato di vedere un ufo nel cielo di Ancona, che, in realtà, quell'oggetto che emetteva una scia luminosa giallognola altro non era che un pallone sonda, lanciato come normalmente accadeva in quel periodo dall'osservatorio del Monte Conero.

Ma è molto probabile che questa attività di ricerca fosse solo una copertura. Nello stesso periodo, l'estate del 1957, era approdato alla Sispre un personaggio assai poco raccomandabile, su cui l'americana CIA stava costruendo uno dei suoi consueti e voluminosi dossier spionistici, quelli dedicati agli ex gerarchi nazisti. Si trattava di Rolf Engel, ingegnere delle SS di Hitler, specialista nella ricerca sui missili guidati.

Abbiamo capito bene? Un nazista aveva iniziato a collaborare con la Sispre, ossia l'ente che in cambio di tangenti regalava appalti militari top secret a società private? Tre documenti della CIA, che abbiamo reperito nell'archivio FOIA online, non lasciano alcun dubbio. La Sispre aveva realizzato questo terribile connubio, ma con quale obiettivo? Sviluppare nuove armi insieme al generale Aldo Urbani – scriveva la CIA il 16 dicembre del 1957 - e alle industrie che fanno parte di Sispre, e che abbiamo già visto su Wikipedia: Fiat company, Finmeccanica, Bombrini-Parodi-Delfino. Ci sono stati anche contatti tra Engel e l'allora governo italiano (siamo nell'epoca del centrismo DC, ndr) durante i quali l'ex nazista ha cercato di persuadere l'esecutivo italiano a inserirsi nel gruppo europeo di ricerca sui missili. Per questo motivo avrebbe viaggiato frequentemente alla volta di Brema, dove esisteva in quel momento un centro missilistico specializzato.

Ma chi era questo Rolf Engel e fino a che punto era coinvolto nel progetto di sterminio del Fuhrer? Scrive a tale proposito Wikipedia: “Engel fu imprigionato nel 1933. Si è unito alle SS e ha raggiunto il grado di SS-Hauptsturmführer. Come membro della SD, è stato di stanza a Strasburgo durante la seconda guerra mondiale. Quindi è stato trasferito all'Istituto di ricerca sull'esercito di Peenemünde. Engel era a capo della struttura di ricerca missilistica delle SS per la propulsione a reazione a Großendorf vicino a Danzica. Era un membro del Consiglio delle ricerche del Reich.”

Nel suo rapporto, la CIA spiegava che Engel dopo la seconda guerra mondiale si trasferì in Francia, dove lavorò nella ricerca missilistica, quindi volò verso il Cairo, in Egitto, con un incarico dirigenziale, prima di approdare alla Sispre nell'estate del 1957 (morì nel 1993 a 81 anni). Riecco quindi l'Egitto, che nel 1970 tenterà di rubare i segreti militari dei radar del Monte Conero.

Un altro appunto della CIA del 24 febbraio 1959, riporta di incontri che sarebbero avvenuti a Roma tra il governo italiano e Rolf Engel, sempre in rappresentanza della Sispre. Scopo del vertice, la possibile collaborazione tra Italia e Germania per lo sviluppo di missili insieme ai membri dell'Eugen Saenger's Institute.

Un altro report americano top secret del 9 gennaio 1958 (ma ormai declassificato come tutti gli altri), avente come oggetto Rolf Engel e le sue connessioni, tornava sulla vicenda con interessanti particolari. Prese parte al vertice anche l'ingegnere tedesco occidentale, Ludwig Boelkow. Il progetto di Engel prevedeva una collaborazione non solo tra Italia e Germania ma tra tre stati atlantici: Francia, Germania Ovest e Italia, per lo sviluppo di nuovi missili da utilizzare nella NATO. Le tre nazioni non riuscirono a trovare un accordo, ma conclusero l'incontro con l'impegno a proseguire su questa strada, cioè sullo sviluppo comune di missili guidati.

Ma cosa c'entravano la meteorologia, lo spazio, con Rolf Engel? Secondo un ulteriore report della CIA del 25 marzo 1958, praticamente nulla. “Non è uno specialista dello spazio”, affermava la spia americana. “E' uno specialista di propellenti solidi e piccoli razzi”, dove doveva avere un'ottima preparazione. In quel momento Engel lavorava per la Bombrini-Parodi-Delfino, in qualità di consigliere capo nel reparto razzi e missili, e come consulente di base per la Sispre.

Di questi rapporti imbarazzanti tra il governo, la Sispre e Rolf Engel era informato anche il colonnello Renzo Rocca? Difficile che non lo fosse. Fu lui a volere la nascita della società insieme a un certo ingegnere Carbo, dirigente della Selenia spa. Secondo l’Unità, Rocca piazzò alla Sispre tutti uomini di sua fiducia. E allora la sua morte, il suo suicidio, fu dovuto a questo? I servizi segreti italiani subirono pressioni dalla CIA, a causa della presenza degli ex nazisti nella Sispre? Ma soprattutto: l'inchiesta del procuratore De Maio e del giudice istruttore Alibrandi, avrebbe scoperto e denunciato queste trame nere? Oppure era il modo migliore per coprirle, mettendo in galera e a tacere i militari che erano coinvolti in questi loschi affari?

Per capire meglio lo “scandalo dei generali” bisogna rianalizzare il caso Rocca con gli articoli dell'Unità. La storia apparirà sotto una luce ben diversa.

Intanto l'ufficio di via Barberini 86, quello in cui il colonnello si sparò il 27 giugno del 1968: veniva pagato dalla Fiat. Un appartamento di ben sette stanze, all'ottavo piano di una delle migliori vie del centro di Roma. Poi il ritrovamento del cadavere. Non sarebbe stata la polizia a sfondare la porta, bensì la stessa segretaria, Lauretta Manzini, una ragazza di 22 anni, che, preoccupata per il silenzio che proveniva dall'ufficio di Rocca, andò a chiamare l'autista e il portiere dello stabile. Insieme, entrarono grazie a un cacciavite, con cui riuscirono a far saltare un paletto che era servito per bloccare la porta, e scoprirono il cadavere. La signorina aggiunse un particolare: aveva lasciato la “serranda” del suo ufficio chiusa e l'aveva ritrovata aperta. Chi era entrato? E perché l'aveva aperta, per fuggire dopo l'omicidio? La polizia fu chiamata solo in serata, secondo questa ricostruzione del quotidiano comunista, e non fece nemmeno in tempo a notare la posizione “strana” del cadavere, perché in quello stesso istante piombarono i tre uomini in borghese, i quali presumibilmente si presentarono con un tesserino, costrinsero la polizia a farsi da parte, raccattarono pratiche e fascicoli e condussero con loro la segretaria. Grazie all'Unità sappiamo ora i nomi di questi uomini in borghese: erano agenti del SID, il nuovo nome del Sifar. Erano guidati dal vicecapo della famigerata sezione D, quella connessa con la CIA e Washington.

La magistratura fu dunque ostacolata nelle indagini sulla morte di Rocca. Il SID bloccò anche l'accesso alla villa sulla Nomentana, dove vivevano la moglie, Renata Fiorio, e i due figli del colonnello, Stefano e Marco. I tre uomini in borghese erano il capitano Fusco, il tenente Vecchio e il tenente colonnello di fanteria De Virdis. A coordinare l'azione dalla sezione D del SID fu il colonnello Viola. E' dall'intervento di questi personaggi che sarebbe partito anche lo “scandalo dei generali”. Ma chi li aveva avvertiti?

Il caso Rocca diventò un giallo che appassionò i lettori dell'Unità. Il giornale gli dedicava ogni giorno un'intera pagina. Verso i primi di luglio emersero altri dettagli importanti. Il colonnello Rocca non adoperava mai la pistola di lusso di piccolo calibro con cui si sarebbe ucciso, bensì una calibro 9. Non aveva alcuna intenzione di suicidarsi, almeno prima di quel pomeriggio, per il quale aveva predisposto degli appuntamenti importanti: uno alle 15, per il quale contrariamente alle sue abitudini era tornato nel suo ufficio, e poi un altro alle 17.30. Ed è per questo che aveva chiesto all'autista di aspettarlo fino alle 17. L'uomo che lo spinse al suicidio, oppure lo uccise, fu probabilmente il personaggio con cui Rocca doveva incontrarsi alle 15.

Sorsero nuove ipotesi, non suffragate da prove: che fosse stato drogato, oppure che lo avessero costretto a suicidarsi. L'autopsia, che finalmente il magistrato, il dottor Pesce, riuscì a ordinare, ebbe un esito singolare: il colonnello Rocca si sarebbe suicidato stando sdraiato sul pavimento. Il paletto con cui era stata bloccata dall'interno la porta che senso aveva, per un depresso che voleva farla finita? Sembrerebbe più un “lavoro” professionale. Anche la prova del “guanto di parafina” diede un esito incerto. Dapprima positivo, cioè tracce di polvere da sparo sarebbero state presenti sulla mano del suicida, poi negativo. Nulla di fatto. Impronte di due uomini vennero inoltre rinvenute nel ballatoio che portava al balcone dell'ufficio. Erano degli agenti del SID? La tesi del suicidio vacillava pericolosamente. Alle 17.30 Rocca avrebbe dovuto incontrarsi in un bar vicino alla stazione Termini con Nicola Falde, suo successore alla REI. Probabilmente avrebbe dovuto mettersi d'accordo su qualcosa. Comunque, aveva in programma di fare dei tentativi per risolvere le sue questioni. Prima di morire avrebbe cercato più volte di mettersi in contatto telefonico con Giulio Andreotti. Per riferirgli cosa? Pare che Andreotti abbia sempre negato di conoscere bene il colonnello Rocca.

Noi ora sappiamo quali retroscena si celavano dietro la sua attività e possiamo ipotizzare che si sia trattato di omicidio o al massimo di istigazione al suicidio. Magari uno di quei “lavoretti” della CIA, con l'utilizzo di droghe. Un delitto perfetto, di cui non doveva restare nessuna traccia.