sabato 20 marzo 2021

L’errore fatale dei Vopos

 

I Vopos (Volkspolizei) dell'ex DDR in una foto in pubblico dominio

Un tragico errore o un’imprudenza? Sembra che alcuni documenti d’archivio, facilmente accessibili eppure ignorati dai giornali italiani, possano spiegare la dinamica dell’assassinio di Benito Corghi, avvenuto in un tragico giorno d’agosto del lontano 1976. Corghi, 38 anni all’epoca dei fatti, sposato con due figli già grandi, era un autotrasportatore della ditta ARA. Tra il 4 e il 5 agosto, mentre cercava di attraversare con il suo camion la frontiera di Hirschberg, tra ex Germania Est ed ex Germania Ovest, rimase ucciso dai Vopos (Volkspolizei), la polizia di frontiera della DDR. 

Pochi parlano ultimamente di questo fattaccio. Se lo fanno è perché Corghi è nella lunga lista dei martiri della libertà, quei poveracci che persero la vita, in guerra fredda, cercando di varcare quel confine tra democrazia e comunismo: la cortina di ferro. Eppure dietro la morte di questo giovane camionista c’è una storia ben più grande che coinvolge l’intero apparato economico del Partito Comunista Italiano. Corghi quel giorno non scappava dalla Germania Est, semplicemente faceva il suo mestiere di trasportare carne dai paesi socialisti all’Occidente capitalista. La versione più accreditata dei fatti, raccontata dal Messaggero e da Wikipedia, è questa: dopo aver superato il checkpoint della DDR, Corghi sarebbe stato bloccato al successivo checkpoint della Germania Ovest per un intoppo burocratico. La polizia occidentale avrebbe contestato al camionista che mancava un documento importante, senza il quale non avrebbe potuto procedere. Corghi avrebbe voluto tornare a prenderlo, ma la polizia di Bonn lo avrebbe avvertito: se lo fa, la procedura di espatrio viene annullata. Il trentottenne, originario di Reggio Emilia, avrebbe quindi parcheggiato l’automezzo e sarebbe tornato indietro a piedi, nella corsia dei camion, mettendo in allerta i Vopos dell’ex DDR. Sarebbe seguita l’intimazione a fermarsi con le mani alzate e, poiché Corghi si era spaventato e aveva fatto dietrofront, sarebbero partiti i colpi mortali. A sparare fu un ventenne soldato dei Vopos: Uwe Schmiedel. Processato nel 1994, quando la Germania era tornata unita, fu assolto - afferma Wikipedia - perché “i giudici conclusero che non aveva intenzione di uccidere la sua vittima”.

Ma c’è una versione leggermente differente. Il 9 agosto del 1976, alle ore 16:59 partì un cablogramma dall’ambasciata statunitense di Bonn. Il documento è disponibile su Wikileaks. A firmarlo fu Martin J. Hillenbrand, ambasciatore dal 1972. Rivolgendosi al segretario di Stato raccontò la ricostruzione che gli era stata fatta da Von Arnim del “gruppo di Bonn” dell’ex Germania Ovest. Le cose sarebbero andate in questo modo. Giunto al confine di Hirschberg, Benito Corghi avrebbe superato entrambe le frontiere alle 3 del mattino, e si sarebbe allontanato per le strade dell’ex Germania Ovest. Dunque, nessun problema burocratico lo avrebbe bloccato al checkpoint occidentale. Sarebbe invece stato il guidatore di un altro camion a fargli notare che gli mancavano dei documenti importanti. Doveva tornare a riprenderli. Sempre nel racconto di Von Arnim, Corghi avrebbe riflettuto sul da farsi. Aveva superato tante volte quella frontiera, sapeva che per tornare e poi di nuovo rifare all’inverso il percorso avrebbe impiegato tanto tempo. Quindi avrebbe deciso di parcheggiare il camion, lasciando al suo interno anche i documenti, e si sarebbe allontanato a piedi varcando il ponte, percorrendo la strada che separa un checkpoint dall’altro. Il Vopos a quel punto avrebbe intimato l’alt, ma Corghi non avrebbe udito l’urlo del militare per il viavai di camion che doveva esserci a pochi metri da lui. E quando capì di essere sotto tiro era troppo tardi per ripensarci. Partirono gli spari e Corghi perì in questo assurdo modo pochi minuti dopo, quando la sentinella della DDR, come da procedura, corse verso di lui per soccorrerlo e condurlo in ospedale, a Jena. 

Von Arnim proseguì il suo racconto all’ambasciatore Hillenbrand. I Vopos non sapevano chi fosse la loro vittima. Alcune ore dopo chiamarono il checkpoint dell’ex Germania Ovest per sapere se un camionista stesse tornando per recuperare dei documenti. Il giorno dopo, chiamarono la ditta di trasporti e chiesero se potevano far ritirare i documenti a un altro camionista. Solo alle 17 i Vopos compresero cosa fosse successo. La tragica realtà si manifestò: non solo avevano ucciso un italiano, ma addirittura un iscritto al Partito Comunista. 

Perché ciò era accaduto? E soprattutto come mai Corghi aveva deciso di attraversare quei checkpoint a piedi e senza documenti? Era convinto che l’avrebbero riconosciuto, per giunta alle 3 del mattino, con l’inevitabile foschia che si forma in quelle lande tedesche anche in piena estate? Un po’ difficile da credere, anche se gli autotrasportatori li conosciamo e sappiamo dell’attenzione che pongono ai tempi di consegna. Si scopre, tuttavia, grazie al libro Vodka Cola di Charles Levinson, che era stato da poco siglato un accordo tra l’Istituto del commercio estero italiano e la compagnia della Germania Est chiamata Nahrung-Export, che deteneva - affermava il libro - “il monopolio del commercio della carne e collabora da molto tempo con le cooperative del PCI”. Il coordinamento era curato da Umberto Cardia, della commissione del partito comunista per la cooperazione economica internazionale. In sostanza, spiegava Levinson, Berlino Est aveva la possibilità di esportare merce in Occidente senza i vincoli che vigevano nella CEE. Ne era perciò nato un giro d’affari molto vantaggioso che partiva dall’acquisto, da parte della DDR, a tassi molto vantaggiosi, di carne in Bulgaria, Ungheria, Romania e proseguiva con lo smercio della stessa nei mercati della Coop italiana, ai prezzi alti dei prodotti occidentali. Questa operazione, che l’autore del libro chiamava “frode gigantesca”, aveva fruttato alle casse del PCI ben 40 miliardi di utile netto. Corghi sarebbe rimasto ucciso in circostanze misteriose in uno di questi trasporti, poiché l’ARA, la ditta per la quale lavorava, era legata al PCI, che l’avrebbe trasformato a quel punto in un martire. 

Andò veramente così? I vari documenti convergerebbero verso questa soluzione: la fretta di concludere il trasporto, e poi l’importanza dei documenti, non tanto per il checkpoint occidentale, quanto per le ditte comuniste, che dovevano inserire la carne nei mercati italiani con ogni garanzia di qualità. Qualche dubbio, in ogni caso, resterà sempre.


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