martedì 6 agosto 2024

Armi e droga ai palestinesi grazie alla P2?


I rapporti tra il venerabile Licio Gelli e la Romania di Ceausescu, di cui scrisse Mino Pecorelli su OP, sono documentati da un’informativa dei Servizi Segreti scritta poco prima del suo arresto, quindi una delle più recenti. Verso la fine si legge: “Si suppone che a breve termine dovrà interrompere ogni rapporto commerciale con la Romania, dove importa abiti confezionati, perché alcuni funzionari di quel Paese che lo hanno agievolato sembra siano stati fatti arrestare affinché non abbiano più le promesse provvionali (provvigionali? Ndr)”.

E’ alquanto improbabile che il Gelli si limitasse all’importazione di abiti, seppure lo facesse, sempre secondo il documento dei nostri Servizi, con agevolazioni fiscali illegali e forti ricavi. Il 9 giugno 1972, il capo del reparto D del Sid, Gian Adelio Maletti, ricevette una relazione molto dettagliata dal suo sottoposto Felice Scefa (Pecorelli non la citò nei suoi articoli), nella quale il Gelli emergeva quale ambiguo e inaffidabile trafficante di armi, che agiva fin dall'immediato dopoguerra in combutta con i paesi del Cominform, adoperando le sue fantomatiche attività commerciali per mascherare i continui spostamenti ed ottenere il passaporto.

Infatti la storia di Gelli più recente si interseca, anche se soltanto di sfuggita, con quella di un personaggio molto misterioso, agente dei nostri servizi ma probabilmente doppiogiochista. Parliamo di Aldo Angessa, la cui vicenda occupò intorno al 1987 ampi spazi della cronaca nazionale italiana e svizzera. 

Vado subito ai punti che mi interessano e sintetizzo il resto della storia. Anghessa come Gelli manteneva stretti rapporti con la Romania di Ceausescu. Questo non emerse in Italia bensì in Canton Ticino, dove una parallela inchiesta del noto procuratore Dick Marty accertò che i traffici per i quali Anghessa era indagato provenivano dalla Romania. L’articolo uscì il 23 settembre del 1987 sul Giornale del Popolo di Lugano. Svolgendo accertamenti su un complice di Anghessa si arrivò a un certo Antonio Canova di Bergamo. Qual era il traffico? In pratica, le aziende italiane produttrici di armi come la Valsella vendevano i loro prodotti nuovi fiammanti ai Paesi belligeranti del Medio Oriente, come Iran e Siria, aggirando le leggi italiane. In che modo? Vendendo le armi ad altre nazioni che non c’entravano apparentemente nulla, come la Nigeria, e poi con una triangolazione facendole approdare dove effettivamente dovevano. In cambio approdavano in Italia vecchie armi da cedere ai terroristi palestinesi per i loro attentati e droga per la mafia siciliana. 

Aldo Anghessa, che si faceva chiamare anche Torriani o Morel, affermò di agire come agente provocatore, un poliziotto in incognito che doveva inserirsi e persino favorire certe azioni. E poi? E poi non si sa, perché quando le inchieste partivano uno dei primi ad essere arrestato era proprio lui, che riusciva in ogni caso in breve tempo a farsi scarcerare. Quale fu il suo ruolo è difficile dirlo. Ma attraverso il suo amico Antonio Canova, Dick Marty riuscì a ricostruire il percorso del traffico. “Si sa però che viaggiava molto in Romania, Malta, Svizzera e Portogallo, ufficialmente per importare in Italia materie prime per l’agricoltura e automobili, di fatto per trattare armi e altro materiale strategico.” E ancora poche righe sotto proseguiva: “Canova non faceva mistero della sua reale professione di intermediario nel commercio illegale di armi: con gli amici bergamaschi si vantava di portare nella sua valigetta le foto di strani «depositi di uranio» in Svizzera e i progetti segretissimi di un aereo sperimentale. Il fatto che abbia compiuto numerosi viaggi a Bucarest, dove pare fosse «di casa» nelle alte sfere, lascia supporre che anche la Romania sia coinvolta in questo traffico d'armi sempre più intricato e misterioso.”

Appare a questo punto evidente che da una parte le aziende del sistema Gladio traevano profitti economici illeciti, dall’altra i Paesi socialisti più impegnati nel terrorismo come Romania e Jugoslavia ottenevano un salvacondotto per il riarmo dei palestinesi presenti in Europa. Dunque, il ruolo della Romania non era secondario o dovuto ai metodi fascisti di Ceausescu, come sostiene sul suo sito Archivio900, bensì il Regime comunista era la mente dell’intera operazione.

Come si vede dallo stralcio del pezzo di Foa, inoltre, le analogie con le attività di Gelli sono molte, e non finiscono qui, anche perché mentre uscivano queste notizie anche Gelli era indagato ed era stato appena arrestato a Ginevra. Sul quotidiano italiano La Stampa del 29 settembre del 1987 uscì un articolo intitolato: “Armi connection, una nuova pista”. Era successo che al confine di Chiasso era stato arrestato un avvocato, Giuseppe Lupis, che trasportava una valigetta contenente 31 miliardi di vecchie lire in promesse di pagamento da parte del governo indonesiano. Sembrò evidente la connessione con le inchieste di Dick Marty e del procuratore italiano di Massa, pure lui sulle tracce della finta ditta che importava generi alimentari, ovvero la Eurogross, e quindi di Anghessa. Il giudice italiano si chiamava Augusto Lama. Ma emergeva una connessione importante, se non decisiva, con Gelli, infatti queste cambiali erano dirette, a quanto pare, alla banca del Maestro Venerabile. 

Scrisse la giornalista Donatella Bartolini: “I titoli trovati in possesso dell’avvocato calabrese erano destinati a qualche conto dell’Union de Banque Suisse, la stessa intestataria di un conto del Venerabile Maestro della P2 Licio Gelli e di ‘capitali’ che la Valsella Meccanotecnica di Brescia avrebbe usato in operazioni finanziarie relative alle sue ‘triangolazioni’.” 

Purtroppo, le tracce finiscono qui e non credo soltanto per le inevitabili difficoltà della magistratura nel districarsi nel groviglio di conti segreti delle banche svizzere. Per i giudici all’epoca non era di fondamentale importanza sapere se il mandante di questi trafficanti fosse la Nato o il Patto di Varsavia. E in ogni caso non è escluso, come già scritto da noi in altri articoli, che vi fossero dei taciti accordi tra i due schieramenti, soprattutto quando si trattava di affari e di profitti.

Aldo Anghessa morì nel settembre del 2020 a 76 anni in Senegal, dove si era rifugiato per evitare le conseguenze delle sue tante attività spericolate, soprattutto capitalistiche. Di Antonio Canova è veramente arduo sapere qualcos’altro, se non che era bergamasco come Anghessa, mentre la vicenda giudiziaria del traffico armi-droga ebbe ulteriori sviluppi con le inchieste del giudice Carlo Palermo e più recentemente con altre indagini sulla mafia.


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