venerdì 2 agosto 2024

L'eredità politica di un Gelli partigiano


Gelli due volte partigiano, questo era il titolo di uno dei più enigmatici articoli di Mino Pecorelli. Lo vorrei ricordare e incorniciare. Sembra scritto ieri. Uscì su OP nel lontano gennaio del 1979. Dovevo ancora compiere sei anni. Ricordo che mi piaceva sentirmi più grande, ma non fino al punto di seguire la politica. Ammetto che me l’ero perso e lo sto recuperando come storico.

Gelli doppiogiochista. Fascista, ma non per davvero. Nemico del comunismo eppure amico dei regimi stalinisti.

Ma da quanto tempo andiamo scrivendo da queste colonne (virtuali) che nel ‘79 eravamo più vicini di oggi a comprendere la vera matrice del terrorismo? Se Pecorelli fosse vivo, sicuramente scriverebbe un’altra severa critica alla stampa italiana. Uguale e identica. Rieccoli lì, tutti pronti, i giornalisti del coro, a cercare il bersaglio facile: il neofascismo. Per poi non colpire nessuno, o un fantoccio di cartapesta. Perché, in fin dei conti, chi davvero crede che la premier Meloni sia, come è stato insinuato, l’erede di quelle stragi così lontane nel tempo? I neofascisti di Ordine Nuovo o Avanguardia Nazionale? I Nar? Terza Posizione? Ma se erano quasi tutti usciti dal Movimento Sociale sbattendo la porta. Millantavano idee politiche antiborghesi, filocinesi e filopalestinesi che nulla hanno a che spartire con il nuovo centro-destra ipermoderato. 

Ciò non significa che ci ergiamo a difensori di Giorgia Meloni e dei suoi Ministri. E’ una cosa che proprio non ci interessa, detto sinceramente. Se c’è una parte del nostro Parlamento che ha sempre guardato agli ex sovietici come a dei partner, non soltanto commerciali, dell’Italia è quella che oggi governa, questo lo sappiamo perfettamente. No, io non credo che i meloniani farebbero il tifo per una P2 filocomunista. Andrebbe altrettanto indigesta alla destra di Salvini? Assolutamente sì, viste le inchieste giudiziarie neanche troppo lontane, e pure agli eredi del Berlusca, amico di Putin, forse di Litvinenko, e chissà di chi altro. 

Ma imbastire un discorso politico partendo da una P2 non più filoatlantica andrebbe bene al PD? Riflettiamoci un attimo. Apparentemente sì. La Schlein partirebbe in pole position, per due ragioni. Berlinguer era considerato dai sovietici un sovversivo di destra, spiato e minacciato insieme ai suoi uomini più fidati. Altro punto in suo favore: il PCI fin dal ‘75 disse di accettare “l’ombrello atlantico”. Era solo una strategia attendista o credeva veramente quel PCI a un cambio di parrocchia così improvviso e indolore? 

Dopo la caduta del muro di Berlino, in realtà, cambiò molto poco. Il nuovo PDS di Occhetto, e poi PD, da sempre va fiero della sua integrità morale e non ha mai voluto seguire le orme degli altri paesi ex socialisti, come la Repubblica Ceca, ad esempio, con cui siamo in contatto, che fanno dell’autocritica il simbolo del nuovo corso politico. Per non parlare di Ungheria o Romania. Il cambiamento economico da un’economia mista a quella di libero mercato richiesta dall’Unione Europea fu, se ben ricordiamo, un fuoco di paglia, dovuto più che altro all’abilità di Romano Prodi nella vendita delle partecipate e alla necessità di alleggerire il debito pubblico. Ma poi tutto è tornato come prima. 

E comunque, guardiamo in faccia la realtà, andiamo all’origine dei partiti. Il PD senza il socialismo reale che partito sarebbe? Un altro PSI? Ma per carità, impossibile. Certo, il riformismo, l’attenzione ai più deboli, ma poi si vuole stringere l'occhio ai giacobini, e addio Turati o Matteotti. Un'altra DC, magari fanfaniana? Ma Fanfani era un ex fascista, non proprio un modello. Riprendere il discorso interrotto con il rapimento di Aldo Moro, un fervente cattolico che andava a Messa tutte le mattine? Ma per favore, non prendiamoci in giro! Se non ci accontentiamo della facciata, il PD attuale e la sinistra DC sarebbero, perdonatemi la similitudine, come il diavolo e l’acqua santa. Ma sarebbe davvero ipotizzabile un partito ex comunista che rompa con il passato, il suo vero passato, ossia la terza internazionale, la rivoluzione del proletariato? Ma non era quella che tutti gli iscritti della “base” operaia inseguivano, rivendicavano, e per la quale erano, i più violenti, disposti a combattere?

E niente, non vedo questo dibattito all'interno della sinistra. Al contrario, gli scudieri della Schlein intendono uscire vincitori anche dalla guerra fredda. E questo comunque non sarà possibile, dovranno farsene una ragione. Senza il mondo comunista sovietico, rimarrebbero Berlinguer e un’impervia via italiana al socialismo, orfana di Marx, Engels, Proudhon, e anche Owen. Riformista, ma non troppo socialista e mai e poi mai craxiana. Basterebbe?


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