martedì 2 ottobre 2018

La Jihad dell’estrema destra italiana

L'ex terrorista Mario Tuti, in una foto in pubblico dominio su Wikimedia Commons

Ancona, sono le 2 e 15 della notte tra il 9 e il 10 maggio del 1974. In una stretta stradina del centro storico, via Podesti, esplode una bomba. Viene lesionato l’ufficio dell’esattoria comunale, crollano i vetri di molti negozi che si affacciano su quella strada che scende dai quartieri alti. Crollano vetri anche dalle finestre dei palazzi. E si fa male una giovane, Rosanna Pignocchi, di 25 anni, a cui è crollata addosso la vetrata della camera da letto. L’articolo compare sul quotidiano La Stampa del giorno successivo. Si sa già chi è il colpevole, perché è stata lasciata una rivendicazione. Contiene insulti al Parlamento e alla magistratura. La firma è di “Ordine Nero”, che altro non è se non il vecchio gruppo “Ordine Nuovo”, che era stato chiuso dalla magistratura per ricostituzione del partito fascista. Quel giorno scoppiano ordigni anche a Bologna, Perugia, Milano. E a Bologna si apre un’inchiesta giudiziaria.
Un anno più tardi, il 13 aprile del 1975, un nuovo attentato potrebbe scuotere Ancona, ma una singolare telefonata anonima di una donna, che chiede di correre alla Regione Marche, contribuisce a sventarlo in tempo. Si dice che l’obiettivo dei terroristi fossero le manifestazioni partigiane organizzate per fine mese. Intanto il 18 maggio 1974 era già arrivata una svolta nelle indagini. Il sostituto procuratore Luigi Persico, dopo essersi consultato con D’Ambrosio e Alessandrini, che si occupavano della pista nera dell’inchiesta sulla strage milanese di Piazza Fontana, è arrivato all’arresto di un professore universitario di Parma.
Si chiama Claudio Mutti, ha 28 anni. E’ un personaggio bizzarro. Intanto - dice l’articolo di Giorgio Battistini della Stampa - è amico di Freda, Ventura e Giannettini, gli indagati di piazza Fontana. Lo si è scoperto nel corso di perquisizioni nei suoi appartamenti. E poi è un fascista convinto. Si ispira alle teorie di Julius Evola, ed è accusato anche lui di voler far rinascere il partito fascista. Mutti però non ci sta e si difende. Non nomina nemmeno un difensore. Sostiene di essere di sinistra, non di destra. Ma l’anonimo giornalista del quotidiano La Stampa è convinto che siano solo bugie. Mutti ha provato a iscriversi al PSI un mese prima, e non lo hanno voluto. Al momento dell’arresto ha in mano anche una tessera di Potere Operaio e della CGIL.
Qualcosa di sinistro e di sinistra c’è veramente. Lo scoprono i servizi segreti francesi nel 1981. Corrado Incerti su Panorama scrive che a Pinerolo viene stampato in quel periodo un periodico chiamato “Jihad”, con redattori dall’apparente nome islamico. In realtà sotto quelle mentite spoglie vi si nascondono degli europei. Umar Amin è Claudio Mutti, che si è convertito all’Islam alcuni anni prima. E’ un sostenitore di Gheddafi e ha scritto per lui un libro intitolato: “La rivoluzione culturale libica e Gheddafi templare di Allah”. Ha fondato anche la Lega Italia-Libia. I servizi francesi affermano che Jihad è un giornale islamista “con elementi di antisemitismo, fascismo e anti-imperialismo.” C’è un misto di concetti di sinistra e di destra. E’ esattamente quello che stava per scoprire il giudice Mario Amato prima di essere ucciso.
Intanto, Claudio Mutti nell’ottobre del 1974 è stato sorprendentemente scarcerato per quegli attentati di Bologna, Perugia e Ancona. Secondo un articolo dell’Unità dell’aprile del 1981 il pm Mario Amato aveva fatto di nuovo arrestare Mutti il 14 maggio del 1979. Erano state trovate lettere con cui si dimostrava che il professore di Parma inviava aiuti in denaro al latitante Franco Freda.
Ma il giudice Amato era finito su qualcosa di molto grosso. Lo si evince da alcuni articoli sempre del 1979. Tutto nasce da un’indagine della procura di Rieti. Il giudice Giovanni Canzio scopre improvvisamente che c’è un vasto gruppo di neonazisti il quale cerca alleanze con le Brigate Rosse. E’ ciò che scrivevano le spie della Stasi. Giuseppe Fedi della Stampa riporta, il 19 maggio 1979, che: “l’attenzione degli inquirenti è accentrata su Claudio Mutti, 23 anni, di Parma.” Riecco dunque il principale accusato delle bombe del 1974. E’ stato indagato per piazza Fontana come per la bomba sul treno Italicus, ma è stato assolto. L’MSI comunque non l’ha più voluto vedere e l’ha espulso. Compare un nuovo personaggio, forse la chiave di quell’inchiesta, che presto approderà a Roma dal giudice Amato. E’ Maurizio Neri, soltanto omonimo dell’ex calciatore dell’Ancona (come Sgrò, del resto, di cui già c’eravamo occupati). Questo Neri è un ex paracadutista, fa l’operaio, e vive nel reatino, a Salisano Sabino. Indagando su delle scritte ingiuriose lasciate su un monumento, i carabinieri trovano a casa sua l’intero archivio di un’organizzazione eversiva. Ci sono agendine con numeri di telefono, nomi siglati, un manuale per scrivere scritte sui muri, manifesti del ‘comitato Italia-Islam”, e bobine con le registrazioni delle riunioni della cellula.
Per il giudice Canzio questi neofascisti hanno un programma molto vasto, che prevede la creazione di cellule, l’organizzazione di gruppi di ideologie sia di destra sia di sinistra, l’infiltrazione nei gruppi anti-sistema, come quelli ambientalisti, e infine la pianificazione della guerriglia, con rapimenti e attentati. Il sospetto degli inquirenti è che questi terroristi siano gli autori degli attentati di Roma di qualche tempo prima, al Campidoglio e al carcere di Regina Coeli.
Il giudice Amato poche ore prima di essere ucciso è al lavoro, anche di notte, per sbobinare delle registrazioni. E’ completamente solo. Una sua collega, Gloria Attanasio, in un libro di Luigi Manconi uscito nel 1980 rilascerà questo ricordo sul giudice De Matteo, il capo di quella procura di Roma, piena di veleni e scontri politici: “si figuri che aveva detto che Amato era stato vittima del suo ‘eccesso di zelo’.”
Una cosa è certa. La mattina del 23 giugno 1980 il giudice Amato è costretto ad andare al lavoro senza scorta e a piedi, senza auto blindata. La sua è in officina, e il pm De Matteo non ha saputo trovargli un passaggio. Muore alla fermata dell’autobus all'incrocio tra Viale Jonio e Via Monte Rocchetta, falciato da un colpo sparato alle sue spalle dal terrorista nero Gilberto Cavallini, che fuggirà poi in moto con il complice Luigi Ciavardini.
Si torna a parlare sui giornali della cellula nera e rossa di Mutti pochi mesi dopo, quando è già scoppiata la bomba alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. I giudici vanno a cercare il fascicolo su cui lavorava Mario Amato e si avvicinano al gruppo nero noto col nome di “Terza Posizione”. E’ una cellula eversiva che stampa un giornale e dirige nuclei armati come fa il terrorismo di sinistra. Scopi dichiarati da Terza Posizione: organizzazione e costituzione dello Stato di popolo. Si tratta di fascisti che non vogliono stare, né con gli americani, né con i russi. Vogliono - dice La Stampa il 20 agosto 1980 - costituire tanti piccoli stati che confluiscano nello Stato di popolo.
Ma ecco di nuovo Claudio Mutti. Anche Canzio e Amato indagavano su Terza posizione, e stavano arrivando ai collegamenti internazionali, ai mandanti. Sono mandanti che si ispirano al terrorismo sudamericano. Ma “Terza Posizione” afferma di guardare anche alla lotta del popolo palestinese contro il “sionismo”, all’amicizia con i libici e gli algerini. Questa pista ricalca il percorso che secondo la nostra recente ricostruzione, quella del nostro blog, avrebbero fatto i terroristi palestinesi per sterminare la scorta di Aldo Moro in via Fani. In quei giorni della strage di Bologna, nell’agosto del 1980, si parla con insistenza di un centro in Francia e di un ispettore di polizia. Si chiama Paul Durand. Forse si è incontrato anche con Mutti. L’8 agosto del 1980 un lungo articolo di Gian Piero Testa sull’Unità si occupa proprio di questo. Viene ricordato che il primo a sospettare su una pista francese era stato Giulio Andreotti, che nel 1974, sbarazzandosi di Miceli e Giannettini ai vertici del Sid, aveva affermato: “Una centrale fondamentale che dirige l’attività dei sequestri politici per finanziare i piani di eversione e che coordina lo sviluppo terroristico su scala anche europea si trova a Parigi. Probabilmente sotto la sigla di un organismo rivoluzionario.” Anche Giannettini - sostiene il giornalista Testa - aveva parlato di una centrale eversiva clandestina, di destra e di sinistra, in Francia. E a Parigi di cose negli anni Settanta ne sono successe, come per esempio il conflitto a fuoco in cui muoiono due agenti dei servizi francesi e un libanese, Moukharbal, braccio destro di Carlos. Moukharbal è stato arrestato e sta portando gli agenti nella camera dello Sciacallo per un semplice controllo. Ma Carlos spara e uccide tutti a sangue freddo, compreso l’amico traditore. Di questa storia si era occupato Ernesto Viglione, se vi ricordate, e il suo articolo era finito al vaglio dei servizi cecoslovacchi.
A Parigi c’è anche Henri Curiel, in quel periodo. Aiuta a fuggire i terroristi rossi di tutta Europa. Vi trovano un nascondiglio brigatisti di primo piano come Corrado Simioni, che si mette a lavorare in una strana scuola di lingue: Hyperion. Una cosa è certa: Curiel è un agente del KGB. Il resto non lo si scoprirà mai. Anche perché Carlos lavora per i servizi segreti di Gheddafi, e Gheddafi è un amico degli italiani. No, certamente non solo di Claudio Mutti. Anche Ronald Stark lavora per reclutare giovani terroristi da addestrare nei campi libici. E’ un agente della CIA. Forse si sta infiltrando per scoprire qualcosa. Non si saprà molto nemmeno di lui. E nemmeno dell’ispettore Paul Durand, che nelle prime ore dopo la strage del 2 agosto si sarebbe recato a Bologna con il neofascista Marco Affatigato. Almeno così avrebbe ammesso - afferma Testa sull’Unità - il pm Persico. In realtà anche Marco Affatigato come Giannettini e Stark si sta forse infiltrando negli ambienti terroristici eversivi. Lo spiega sul suo sito l’Archivio ‘900. Sembra che i vertici del Sismi avessero deciso di inserirlo in tutti i fatti tragici di quel periodo, compresa la caduta del DC-9 a Ustica. Stavano cercando notizie di reato, oppure era davvero un depistaggio? 
Parigi e la Libia sono territori in cui un altro neofascista trova amici e nascondigli: Mario Tuti. Fu accusato, condannato e poi assolto per la strage del treno Italicus, avvenuta tra il 3 e il 4 agosto 1974, che provocò 12 morti e 48 feriti. Nel 1975 ammazzò due agenti di polizia che stavano per arrestarlo e finì comunque dietro le sbarre. Il 13 aprile del 1981, nel carcere di Novara, uccise insieme a Pierluigi Concutelli un altro terrorista nero, Ermanno Buzzi, considerato un confidente dei carabinieri. Di Tuti la giornalista Claire Sterling ha tracciato questo breve e inquietante profilo. “Lo stretto collaboratore di Mutti, Mario Tuti, che ora sconta l'ergastolo per omicidi terroristici, aveva raccolto una somma di centomila lire dall'ambasciata libica a Roma poco prima di abbattere due poliziotti nel 1975.”
Insomma, quando si arriva su Hyperion, sui libici, e su legami tra terroristi neri e rossi, le indagini diventano difficoltose. Questo, almeno, e lo speriamo, succede negli anni di piombo. Il motivo viene svelato nel 1986, quando tra Italia e Libia si giunge a un pericoloso scontro diplomatico. Salta fuori un fatto gravissimo, che in parte avevamo già sottolineato: i nostri servizi segreti avevano collaborato per tanto tempo con i servizi libici. Ecco quello che scrisse il quotidiano spagnolo La Vanguardia il 16 maggio 1986. La Libia avrebbe sostenuto sia le Brigate rosse, sia il gruppo neofascista di Mario Tuti “Lotta di popolo”, implicato, ma poi assolto come detto, nella strage del treno Italicus. Qualcosa di ancora più terribile era filtrato il 14 agosto del 1980, sempre per le indagini sulla strage della stazione di Bologna. Il Corriere della Sera stava pubblicando in quei giorni dei reportage sulla cosiddetta “Rete segreta di Gheddafi in Italia”. Un dissidente libico, tale Fadel Messaudi, svelava che l’Italia era piena di agenti libici. Anche il settimanale L’Europeo sostenne nello stesso periodo la tesi dell’appoggio di Gheddafi al terrorismo nero italiano e a Mario Tuti. Scrisse che in Italia erano presenti nel 1980 ben 170 agenti del servizio segreto libico, in piena collaborazione con i servizi italiani. 
E’ chiaro che per i politici italiani coinvolti Gheddafi doveva rimanere un sant’uomo, nonostante queste rivelazioni, ed è per questo forse che dei libri di Sterling e Sablier che accusavano la Libia di essere il mandante del terrorismo mondiale, o degli articoli del Corriere della Sera, della Stampa o dell’Europeo, non resta nulla nella nostra memoria storica. Come se nella nostra attualità non esistessero quelli che l’illustre e più forbito di me Giorgio Bocca avrebbe chiamato “i cascami” del terrorismo degli anni di piombo. Le prove che questo sistema eversivo misto, di destra e sinistra, non era solo una fantasticheria.
Che fine ha fatto Maurizio Neri, l’ex paracadutista operaio su cui nel 1979 indagavano il giudice Canzio e il povero Mario Amato? Sul web ne parlano in pochi, ma qualcuno se lo ricorda. Un forum ci ha indicato la sua nuova vocazione politica. Adesso dirige un giornale, e indovinate come si chiama? “Comunismo e comunità”. E’ diventato uno studioso di Marx, e nel 2013 ha pubblicato un’apologia, anche se lui non la definisce così, del Movimento 5 Stelle. Una terza posizione, guarda caso, nel sistema bipolare italiano, in cui Neri dice di credere moltissimo. E Tuti? E Mutti? Tuti nel 2004 ottenne la semilibertà. Ha lavorato in una struttura di recupero per tossicodipendenti di Tarquinia. Conosco bene il posto. Prima che i miei genitori vendessero la nostra casa al mare, passavo davanti a quella comunità nelle mie passeggiate in bicicletta. Mutti invece per Wikipedia è un saggista ed editore italiano che dirige la rivista di studi geopolitici Eurasia. Per trovare qualcosa delle sue vicende giudiziarie bisogna cercare la stessa biografia di Wikipedia in lingua francese.