venerdì 3 gennaio 2020

Destra e sinistra in lotta per colpa del KGB?


E’ possibile che un simbolo della destra italiana fosse al servizio del KGB? Braggion Antonio, scheda numero 27 dell’album del terrorismo internazionale 1976.
Su di lui la politica italiana è tornata recentemente a dividersi, tra colpevolisti e innocentisti, garantisti di destra e giustizialisti di sinistra. Nel 2018, alla notizia della sua morte, i quotidiani nazionali hanno rivissuto quella tragica sparatoria, del 1975, che lo rese tristemente famoso.
Milano, è il 16 aprile. Alcuni ragazzi della sinistra extraparlamentare notano tre militanti di destra che distribuiscono volantini. Racconterà al processo nel 1978 Diofebo Meli Lupi, uno dei testimoni: “La sera del 16 aprile del ‘75, mentre da piazza Cavour percorrevo via Turati, ho visto un gruppo di una decina di giovani attraversare la strada e andare verso un’auto parcheggiata in seconda fila. Ho visto questi giovani colpire l’auto e poi un altro giovane, dentro l’auto, armato di pistola mirare attraverso il lunotto posteriore. Quindi un grido: ‘attenti è armato’. Tutti sono fuggiti, poi gli spari. Un ragazzo è rimasto a terra.”
Il ragazzo citato da questo testimone, nel bellissimo pezzo pubblicato da Susanna Marzolla sulla Stampa il 7 dicembre 1978, si chiamava Claudio Varalli. Aveva solo 17 anni.
Il quotidiano Repubblica, nel 2018, è tornato sul fatto. La sinistra quel giorno del 1975 manifestava per il diritto alla casa. Furono i ragazzi del Movimento Studentesco, i rossi, a far scattare l’aggressione. A suon di spranghe, si gettarono sui tre del Fuan, ossia del Fronte universitario d'azione nazionale, una sigla di destra. Due ‘camerati’ fuggirono, il terzo, Braggion, si chiuse in macchina e sparò.
Ma la dinamica è tutt’altro che delineata. Il Secolo d’Italia ha accusato la sinistra di pretendere il “monopolio della memoria”. Nessuno, in sostanza, vede i reati dei ‘rossi’, mentre i giudici si accaniscono non appena hanno davanti un neofascista.
Ma gli articoli dell’epoca non ci danno quest’impressione. Sentite ad esempio cosa testimoniò Francesco Maserati, commesso in una farmacia tra via Turati e Piazza Cavour. Sentì del chiasso mentre chiudeva il negozio - raccontò Susanna Marzolla sempre sulla Stampa -. Vide dei giovani di sinistra colpire un’auto, “poi uno è salito sull’auto, ha preso una pistola, non so da dove, ha mirato attraverso il lunotto e ha sparato.” E così si pronunciò al processo pure Vitangelo Annichiarico. I ragazzi scapparono ben prima degli spari. Dunque Braggion ebbe il tempo di mirare su un bersaglio in fuga? Oppure, come si difese lui, sparò soltanto per paura di fare la fine di un altro missino, Sergio Ramelli, trucidato a sprangate un mese prima?
Se le cose stessero come le raccontavano i testimoni dell’epoca sarebbe omicidio premeditato, ma la pena inflitta dai giudici all’ex militante del Fuan fu molto più lieve. Tre anni per eccesso colposo di legittima difesa e tre per detenzione illegale di armi, per poi seppellire tutto con la prescrizione nel 1982. I dieci giovani del Movimento Studentesco furono processati per aggressione, ma anche il loro processo finì in prescrizione.
Confessiamo che non conoscevamo questo episodio. Ne avevamo sentiti nominare altri. Se lo stiamo riprendendo la colpa è solo del KGB. La ‘figurina’ numero 27 dell’album del terrorismo internazionale, a pagina 32, parla di questo giovane assassino di destra. Viso pulito, capelli ben pettinati e folti, lucidi, con la riga. Antonio Braggion per il KGB era un italiano, classe 1953, di Milano. Nel 1975 aveva 22 anni. Nel ‘76, quando fu redatto l’album, si trovava forse in Svizzera, nel tentativo di evitare la cattura. Poi inaspettatamente si costituì, nel 1978, e prese parte al processo, col viso coperto da una sciarpa e gli occhiali scuri. La scritta in cirillico, sotto la sua foto, è stata replicata a penna in caratteri europei: Milano. Era la sua città, oppure il luogo a cui il KGB lo aveva destinato? Non è facile stabilirlo con certezza, ma propendiamo per quest’ultima ipotesi.
Il parmense Claudio Mutti, scheda 153 dell’album, per la didascalia del KGB era a Bologna. Abbiamo parlato di lui in un altro articolo sulle bombe di Ancona, anche perché fu coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna del 1980. E poi due uomini su tutti: Carlos lo sciacallo e Ali Hasan Salama, ideatore della strage alle Olimpiadi di Monaco 72. Ci sono anche loro nell’album del KGB. E’ quasi impossibile smentire le ricostruzioni storiche che li vogliono al soldo del Politburo. Come Wadie Haddad, il grande manovratore della ‘trama del terrore’, titolo del bellissimo libro della giornalista Claire Sterling.
Ma quale fu il ruolo di Braggion, se accettiamo l’ipotesi che l’album sia la prova che il KGB era il mandante del terrorismo? L’omicidio Varalli fu legittima difesa o un atto premeditato che doveva scatenare altro odio tra le opposte fazioni politiche? E cosa pensare della dinamica di quell’omicidio, che è così tremendamente simile ai fatti di Genova del luglio 2001? I più giovani come me avranno certamente ripensato a Mario Placanica. Chiuso nella sua camionetta, sparò dal lunotto posteriore contro Carlo Giuliani, un giovane manifestante ‘No global’ che lo aggrediva con un estintore. E lo uccise, anche qui, tra mille polemiche.
Qualche altra notizia. Dopo che le accuse erano finite in prescrizione, Antonio Braggion divenne un avvocato civilista. Nel febbraio del 1996 uscì su un giornale ungherese un suo annuncio. Lo studio Braggion offriva da Milano la sua consulenza alle società ungheresi che operavano in Italia, forte di una certa esperienza già acquisita. Questo è quanto si intuisce dalla traduzione.