giovedì 26 dicembre 2019

Francia, un neofascista nel terrorismo rosso


Madrid, Spagna, venerdì 15 ottobre 1976, ore 17.25. L’ambasciatore americano Wells Stabler lancia un fonogramma ai suoi colleghi di tutta Europa. E’ molto preoccupato, perché nell’anniversario della morte di Francisco Franco, l’ex dittatore militare detto anche il “caudillo”, un gruppo di neofascisti italiani si prepara a organizzare attentati per mettere sotto pressione il nuovo governo democratico. Stabler è convinto che tra questi neofascisti vi siano due italiani che risiedono in Spagna: Stefano Delle Chiaie e Salvatore Francia. E si appella quindi ai colleghi di altre ambasciate per ottenere tutte le informazioni possibili su coloro che parteciperanno al “meeting spagnolo” del 20 novembre.
Ma chi è questo Salvatore Francia, amico del famoso Stefano Delle Chiaie, coinvolto più volte nelle inchieste sulla strategia della tensione? Lo cercano un po’ tutti, a dire il vero. La sua scheda è contrassegnata con il numero 229. C’è anche quest’uomo nell’album del terrorismo internazionale del KGB. L’anno di questo prezioso annuario conservato all’archivio dei servizi segreti di Praga è sempre il 1976. La pagina 240 è segnata con un circoletto scritto a penna. La foto a destra di questo album tascabile, con copertina blu molto elegante, dotata di una perfetta rilegatura e con un indice finale, ritrae un uomo con occhi scuri, barba nera, leggermente stempiato, vestito in modo elegante, con camicia bianca, cravatta e giacca scure. La didascalia non offre molte indicazioni, se non che Salvatore Francia è italiano e risiede in Italia. Dunque perché a ottobre dello stesso anno si trova in Spagna? E perché il KGB, che secondo gli storici tedeschi dovrebbe controllare tutti I terroristi presenti nell’album, non ha previsto questo spostamento? Il famoso album è dunque un semplice schedario un po’ più elegante e ordinato di quelli della nostra polizia?
Ciò che è certo è che Salvatore Francia, sebbene nell’album sia inserito insieme ai terroristi rossi della tedesca RAF, ai palestinesi e all’Armata Rossa giapponese, è uno dei più importanti membri del neofascismo italiano. Destra estrema, perciò, niente a che vedere con la sinistra. Nel 1976 si trova in Spagna perché è un uomo che fugge
Gli italiani scoprono la pericolosità di questo signore nel luglio del 1974, quando la magistratura torinese ha già scoperto vicino Bardonecchia dei campi di addestramento paramilitare. Con una nuova indagine si è risaliti, ora, alla sede di “Anno zero”, che non è il programma dell’attuale noto giornalista Michele Santoro, bensì un periodico diretto proprio da Francia, che divulga il verbo politico di Ordine Nero, a sua volta rifondazione del disciolto Ordine Nuovo. La polizia giudiziaria perquisisce la sede di ‘Anno zero’ e trova i nomi di 35 finanziatori, per lo più di origine romagnola, del neofascismo. Dunque Salvatore Francia è un pezzo grosso, che cerca di sfuggire al processo, poi quando capisce che non è possibile si rende latitante. C’è anche un’ipotesi, alla fine dell’articolo anonimo che ci racconta sulla Stampa tutte queste notizie: che terrorismo nero e rosso siano mossi dallo stesso mandante.
Ma come va a finire la storia di Francia? Lunedì 21 febbraio 1977 Stampa Sera dà finalmente la notizia del suo arresto. Viene scovato in Spagna insieme a un altro neofascista, Flavio Campo. L’articolo uscito solo con la sigla del giornalista, M.Bar, racconta tutta la storia, dal primo arresto di Francia nel 1972 dopo la scoperta dei campi di Bardonecchia, alla nuova inchiesta su ‘Anno zero’. Il suo grande accusatore è Luciano Violante, cui cerca di sfuggire, perché sostiene che sia politicamente schierato a sinistra. Pugliese, 39 anni nel 1977 al momento dell’arresto, Francia ha svolto vari lavori, tra cui anche il cameraman e il rappresentante, prima di dedicarsi alla politica neonazista come seguace di Pino Rauti. Delle tante storie che La Stampa raccontò su di lui ci interessa soprattutto la sua collaborazione con un certo Garcia Rodriguez, neofascista spagnolo con il quale condivise una serie di traffici internazionali di armi, e anche per questo inseguito da un mandato di cattura spiccato dal giudice Violante. Anche Garcia Rodriguez, che secondo il giornale ABC Espana fu colui che aiutò Francia ad evitare l’arresto, compare nell’album del terrorismo internazionale 1976 del KGB.
La Spagna però non permise alla giustizia italiana di estradare il direttore di ‘Anno zero’, che quindi fu espulso e finì in Germania, dove finalmente venne arrestato ed estradato in Italia nel 1981. Lo si scopre leggendo l’articolo della Stampa del 20 febbraio 1983. Ma quel giorno Francia poteva già festeggiare la fine della sua carcerazione, per un indulto arrivato quando non aveva ancora scontato la condanna a 5 anni, per cospirazione politica contro le istituzioni dello Stato, inflittagli dalla corte di Appello nel 1977.
Ma non è finita perché una nuova beffa si compie nel luglio del 1991 con l’archiviazione delle inchieste sulla serie di bombe, undici, fatte esplodere in provincia di Savona nel 1974. Il nome degli esecutori e dei mandanti, scriveva sconsolato Claudio Vimercati sulla Stampa il 16 luglio 1991, rimane nell’ombra. Tutti prosciolti gli indagati. Tra loro c’era anche Salvatore Francia. 


mercoledì 18 dicembre 2019

Il mistero delle notizie scomparse con Atlantide


L’altro giorno abbiamo deciso di rivedere online tutta la puntata di Atlantide, su La7, dedicata alla strage di Milano del 1969. Parliamo ovviamente della bomba che fu piazzata da mani tuttora ufficialmente ignote nella Banca dell’Agricoltura, in Piazza Fontana. Un triste evento su cui sono state spese molte parole di cordoglio dalle autorità nell’anniversario dei 50 anni. Parole tante, passi avanti però, diciamolo: zero. E non sarà certo l’ultimo lugubre anniversario della nostra democrazia.
Come ho scritto direttamente all’autore Andrea Purgatori, su Twitter, ho delle serie perplessità sulla sua ricostruzione. Innanzitutto in un’indagine storica, che vorrebbe essere un ampio riassunto della strategia della tensione da tramandare alle giovani generazioni, manca la parte internazionale del terrorismo. Ciò vuol dire che è stato dimenticato, o peggio ancora omesso, un pezzo di storia già ampiamente documentato, fondamentale per arrivare ad una visione completa di quegli eventi. Si poteva parlare ad esempio dell’attentato di Fiumicino del 1973, che coinvolse direttamente i Servizi segreti italiani. Ma è solo uno dei fatti che sono stati ignorati, a partire dall’operazione “Principe nero” con cui nel 1970 il capo del controspionaggio Ambrogio Viviani mise sotto la protezione italiana il colonnello libico Gheddafi. Pensate un po’.
Un secondo problema è che Gladio mandante del terrorismo è una tesi affascinante, ma sostenuta con questa perentorietà suona superficiale, e oltre a ricalcare le accuse dei sovietici finisce in un vicolo cieco: la commissione Gualtieri stabilì nel 1992 che anche l’antiterrorismo era Gladio, e quindi, di conseguenza, alcuni settori dei carabinieri. Galvaligi, che morì per opera delle Brigate Rosse, tanto per dirne un’altra, era il loro ideatore? Oppure lo poteva essere il generale Dalla Chiesa, che, sia pure con tanti strani ed eterni infiltrati, le individuò e fece arrestare? Per carità, le assurdità non mancano in quelle operazioni da film poliziesco, penso all’episodio che vide come doppiogiochista Frate Mitra, ma bisognerebbe approfondire. Non si può certo lasciar cadere l’accusa e passare ad un altro argomento. Chi vi scrive ha già letto, per curiosità e senso del dovere,
dossier su dossier (è bene specificarlo perché il mondo del giornalismo pullula di gente che ti chieda: ma perché non fai un altro mestiere visto che non ti pagano?). Una risposta definitiva non l'abbiamo ancora trovata, mentre il simpatico autore di Atlantide lascia intendere di averla già in tasca. Vuol dire probabilmente che passa più tempo di noi a leggere i libri della guerra fredda (ma ci crediamo poco).
Capitolo mandanti: se tutti i Servizi italiani, senza distinzioni, idearono il terrorismo negli anni ‘70, come si spiega l’attuale guerra al terrorismo islamico condotta da Forte Braschi, la sede storica e per giunta inviolabile dei Servizi segreti, che tutti i governi finanziano? Una chiave di lettura a questo punto bisognerebbe offrirla, altrimenti il telespettatore potrebbe pensare che, giacché avevano già inventato la strategia della tensione, i nostri Servizi segreti potrebbero aver escogitato anche l’attentato al World Trade Center del 2001. Perché no? Così abbiamo anche aiutato gli americani a recuperare il petrolio mediorientale.
Nel finale del documentario viene poi riproposta l’intervista a Bortolameolli, certamente non una grande rivelazione per chi segue questi argomenti. Faceva parte di uno speciale della pay-tv andato in onda oltre 10 anni fa. Mi risulta che quel gladiatore morì poco dopo l’intervista. Tutto questo andava verificato e specificato, perché altrimenti si dà al telespettatore più informato e attento (noi lo siamo senza falsa modestia) l’idea di voler proporre una minestra riscaldata, che non è né storia, né giornalismo.
Insomma, diciamolo francamente, siamo pessimisti sui lavori degli altri, ossia dei colleghi che portano a spasso per le redazioni (e non la ripongono nel cassetto come noi) la costosissima tessera stampa. E diciamo degli “altri” anche perché non condividiamo nulla di ciò che dicono e fanno i giornalisti italiani contemporanei. Il mondo del giornalismo va avanti senza di noi, ma noi riteniamo che non potrà correre molto lontano, specialmente fingendo di non vedere il nostro lavoro, magari perché non ci siamo piegati alle non regole della categoria (ma esiste ancora?), o, per esser più espliciti, ai finti contratti di assunzione.
Intanto queste inchieste sugli anni di piombo. Come definirle? Più leggiamo articoli e documenti dell’ex mondo sovietico di casa nostra, più ci sembrano la brutta copia delle teorie sul terrorismo che nacquero oltrecortina. Per offrire un esempio concreto di quanto sosteniamo vi proponiamo la traduzione integrale di un lungo articolo, interamente dedicato alla morte di Aldo Moro, che uscì sul giornale ungherese Uj Szò, il 9 dicembre del 1983. Il succo del pezzo del giornalista Vlagymir Malisev, che abbiamo tradotto in maniera certosina con Bing e Google, anche se non mancano purtroppo i punti un po’ oscuri, è che le Brigate Rosse sarebbero state ideate nelle università della California da un certo Marcus Raskin, esponente di spicco della sinistra americana, con i soldi del ricco Rockfeller.
Colpo di scena. Noi ci abbiamo messo 50 anni per arrivare al documentario di Atlantide e loro avevano già il colpevole nel 1983? Ma sarà vero? Non sarà vero? Bell’interrogativo. Amletico, diremmo. Una nostra verifica ha portato a dedurre che in Italia se ne parlò soltanto nel 1977, che Raskin fu informato subito delle invettive comuniste e che, sostanzialmente, replicò con una scrollata di spalle. Non ne so nulla, avrebbe affermato ai giornalisti americani che lo intervistarono. Come a dire che dai nemici sovietici ci si poteva aspettare questo e altro. Eppure se leggete bene il pezzo la teoria non fa una piega, e riprende tutti i concetti esposti in questi mesi dall’onorevole Gero Grassi, in parte dallo scrittore Giovanni Fasanella (lui accusa un po’ tutti di essere i mandanti del caso Moro: russi, cecoslovacchi, americani, francesi, tedeschi e persino la regina d’Inghilterra; non me ne voglia ma ho letto più o meno così nella recensione), e dal giornalista Andrea Purgatori in televisione. Anzi, lo sconosciuto Malisev (ma per caso è il regista russo che si trova cercandolo su Google?) aggiunge altri spunti di riflessione, si veda ad esempio lo scetticismo sul pentimento di Patrizio Peci. E tira in causa un personaggio realmente esistito nella storia delle Brigate Rosse: Ronald Stark, di cui abbiamo ampiamente parlato. 
Ma resta un grosso punto interrogativo, quello che proprio nel 1977 l’ex Ministro degli Interni, Francesco Cossiga, non riusciva a sciogliere nel bel documentario di Corrado Stajano e Marco Fini (“La forza della democrazia”, certamente superiore ad Atlantide): questi infiltrati erano traditori del Servizio segreto, e quindi complici dei terroristi, oppure agenti al servizio della giustizia che andavano salvati?

CORPO NEL BAGAGLIAIO DELLA RENAULT ROSSA
Il giorno in cui Moro è stato ucciso, ero distaccato al ramo romano del TAS.
Intorno alle due, il telex batte la notizia: "Oggi, nel centro di Roma, il corpo di un uomo sconosciuto è stato trovato in via Gaetani". Dopo alcuni minuti strazianti, il telex parlò di nuovo. Il nastro blu recitava le seguenti parole: "Il corpo di Aldo Moro è stato trovato a Roma".
Appena ho ceduto l'emergenza a Mosca, mi sono imbattuto in strada, mi sono sbattuto contro l'auto TAS e sono andato verso il centro di Roma. Ho acceso la radio in macchina. Nuovi dettagli sono diventati noti. Nel bar Gaetani, nel centro storico di Roma, è stato trovato poco stretto sul corpo di Moro. La strada non poteva essere avvicinata, l'uomo sulla schiena dell'uomo. L'intera area è stata isolata dalla polizia. Sto arrivando. Ho avuto difficoltà a combattere attraverso il denso cordone della polizia, e mi sono fermato di fronte a un camion a marchio Renault parcheggiato alla recinzione di ferro. Nel bagagliaio, c'era un corpo avvolto in una coperta. La sua testa era inclinata a sinistra senza vita, gli occhi semiaperti, il viso coperto di stoppie autunnali.
Durante l'autopsia, il coroner determinò che Moro era stato ucciso con 11 colpi sparati da dietro una mitragliatrice.
Il procuratore ha fatto luce su qualche dettaglio. Moro era tenuto in un bagno. I suoi capelli erano tagliati da un parrucchiere. Era nello stesso vestito e biancheria intima in cui è stata catturata, ma sembrava essere stata pulita e stirata.
Così Moro non era nascosto in una foresta o seminterrato, ma in un appartamento in città con comfort. Infatti, a giudicare dal breve periodo che intercedeva dall'omicidio alla scoperta del corpo, si potrebbe concludere che il leader del KDP ... lo nascosero nel centro di Roma. L'ipotesi che il corpo sarebbe stato trasportato dai sobborghi all'alba alla città circondati dalla polizia doveva essere liquidato come completamente inaccettabile, poiché il traffico era molto scarso al mattino presto, e ogni singola auto è stata perquisita dalla polizia.
Chi ha ostacolato il leader del KDP?
Moro difficilmente può essere definito una figura politica progressista, come era a capo di un partito conservatore borghese, ed è responsabile di tutti i problemi che ora colpiscono l'Italia: la crisi economica, il lavoro, la miserabile situazione del Sud, l'inesorabile aumento del terrorismo, l'inesorabile aumento della criminalità. Allora perché Moro è stato ucciso? Ho passato tutto quello che è stato scritto in questi giorni su giornali e riviste... È risaputo che quando Aldo Moro è stato rapito, non ricopriva alcuna posizione nel governo o nell'apparato statale, ma era semplicemente un funzionario di partito, il presidente del KDP, Moro, il sindacale del partito, poteva ostacolare il KDP come presidente. Qualcuno ha beneficiato della scomparsa di Moro dalla scena politica. Chi? E per cosa?
Moro nacque in un piccolo villaggio del sud Italia in una famiglia di modesti redditi. Suo padre era un insegnante di scuola e sua madre era un'insegnante di scuola elementare. Aldo è stato benedetto con un talento insolito. All'età di 24 anni, ha insegnato legge presso l'Università di Bari. Nel 1945 si unì al Partito Cristiano Democratico e due anni dopo fu eletto membro del parlamento. Ma nel governo cristiano-democratico di Gasperi, Moro fu nominato vice segretario di stato. La brillante carriera del giovane membro del governo fu inaspettatamente spezzata. La ragione: Moro si oppone alla partecipazione dell'Italia al patto nord atlantico che si è evoluto all'epoca. Il 4 aprile 1949 non comparve nella sessione parlamentare sull'adesione dell'Italia alla NATO. Ma De Gasperi non perdonò Moro per questa testardaggine e lo escluse dal governo.
Neanche gli americani hanno preso bene la mossa di Moro. E’ ben noto come Henry Kissinger, ex Segretario di Stato fosse ostile  al Presidente del KDP. Dobbiamo presumere che non sia stata solo una antipatia personale. L'ex Segretario di Stato americano ha descritto la posizione di politica estera di Moro come "estremamente negativa".
La carriera politica di Aldo Moro, che sembrava essersi interrotta nel 1953, dopo la sconfitta elettorale di De Gasperi ricominciò a risorgere. Nel 1955 fu nominato Ministro della Giustizia, poi una posizione chiave nel KDP, eletto segretario politico, e nel 1963 fu primo ministro del primo governo di centrosinistra.
Negli ultimi anni, Moro ha spianato la strada ai democratici cristiani per cooperare con il Partito comunista. E se pensiamo al fatto che Gardner, l'ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, era nel cuore d'Italia pochi giorni prima del suo rapimento,
la sua personalità più politica, il quadro è quasi chiaro...
In alcuni ambienti, Moro divenne un simbolo: simboleggiava il turno dell'Italia di sinistra, il coinvolgimento dei comunisti nel governo, la svolta da cui queste persone dipendevano più di ogni altra cosa. Ecco perché Moro dovette essere rimosso dal livello politico, ma questo fu fatto da altri, le "Brigate Rosse". Ciò è supportato, tra l'altro, dal fatto che dopo la morte di Moro, la linea politica del KDP prese una brusca svolta a destra. Al congresso del KDP del febbraio 1980 fu presa la decisione: in nessun caso si poteva entrare per formare un governo in cui i comunisti sarebbero stati seduti.
IL PENTIMENTO-CONFESSIONE DI UN TERRORISTA
Due anni dopo l'omicidio di Moro, l'indagine ha preso una piega inaspettata e sensazionale. Uno dei terroristi delle Brigate Rosse ha cominciato a parlare. Si chiama Patrizio Peci, un attivista di 28 anni del gruppo romano.
Il 4 maggio 1980, il quotidiano romano Messagerro pubblicò un rapporto sugli interrogatori di Peci. Tra gli altri, leggiamo in esso: "Chiedo il mio interrogatorio immediato. Dopo una profonda crisi morale e una lunga riflessione, sono giunto alla conclusione che come uomo e come comunista (ascolta, Peci si definisce comunista! - V.M.) sono obbligato a dire alla corte tutto ciò che io, in quanto membro delle "Brigate Rosse", ho fatto a quello che so a riguardo e al loro lavoro in miniera ".
In futuro, Peci spiega che le "Brigate Rosse" si stavano preparando accuratamente a rapire Moro, e per mesi hanno seguito la vittima prevista. Sulla spiaggia, lontano dalla gente, hanno fatto esercizi a cavallo con mitragliatrici e pistole.
Quando l'ondata di sensazioni si placò un po ', sorsero varie domande. Patrizio Peci ha detto la verità? Ti ha davvero detto tutto quello che sapeva, o ti ha appena detto quello che volevano sentire da lui? In primo luogo, è sospetto che Peci si sia dichiarato comunista all'inizio dell'interrogatorio. Anche se le "Brigate Rosse" erano felici di ricorrere alla terminologia "di sinistra" e persino di chiamarsi a vicenda, il nome comunista è evitato il più possibile. Per i giornali borghesi, la testimonianza di Peci era una bomba. Dopo tutto, uno stesso "comunista" confessa che lui e i suoi "colleghi" hanno rapito e ucciso Moro! Inoltre, Peci ha confessato di essere coinvolto nel rapimento e nell'omicidio di Moro quando è stato catturato.
Un altro dettaglio caratteristico. Peci disse della prigionia di Moro: "Moro si comportava con dignità". Questa affermazione, tuttavia, contraddice le lettere inviate dal capo del KDP dal nascondiglio alla sua famiglia, al governo, alla leadership del kdp.
L'OMBRA DELLA CIA SUGLI APPENNINI
Nel settembre 1981, la stampa italiana pubblicò la notizia che la CIA era dietro il caso Moro. La testimonianza fu trapelata dal fatto che "un informatore sconosciuto" disse alla polizia nel maggio 1979 che un individuo di nome David, un membro del famigerato Green Beretspecial Corps, era un ex capitano dei Marines, che in seguito divenne il U.S. Central. Divenne consigliere militare della sua agenzia di intelligence nella Germania Ovest per orchestrare il rapimento di Aldo Moro e l'omicidio della sua guardia del corpo. Visse a Rama e Milano per un po'.
David era amico intimo di un americano di nome Ronald Stark. Quest'ultimo aveva stretti legami con le Brigate Rosse. Start fu arrestato per la prima volta e condannato per traffico di droga nel 1975. Secondo la stampa, Stark ammise già nell'aprile 1976 che le "Brigate Rosse" avevano rapito una grande figura politica romana.
Li ha anche traditi come terroristi.
Anche F. Coco, il procuratore generale di Genova, dovrebbe essere assassinato. Due mesi dopo, l'assassinio fu compiuto.
La testimonianza di Stark, tuttavia, non era di maggiore importanza per ragioni incomprensibili. Tutto ciò che è successo è che è stato trasferito in un'altra prigione. Come affermato dall'Unita, Stark ha avuto visitatori regolari nella prigione: Wandey Hans, noi vice console a Firenze, e altre figure ufficiali americane. Fu anche avvicinato da personale dei servizi segreti italiani.
"La CIA", ha detto Philip Agee, un ex agente dell'organizzazione di spionaggio americana, in un'intervista con il settimanale europeo, "ha ampia esperienza e tradizione nel campo dell'interferenza nella vita politica interna italiana. La CIA cominciò ad essere più interessata agli affari interni dell'Italia negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale." Agee ritiene inoltre che la CIA abbia il proprio personale sotto copertura nelle organizzazioni di estrema sinistra.
CHI CONTROLLA I TERRORISTI IN ITALIA?
Che la scomparsa di Moro faceva parte della scena politica di alcune forze straniere, è apertamente parlato dalle figure politiche dell'Italia. Flaminio Poccoli, successore di Moro al Presidente del Consiglio Nazionale del KDP, ha descritto il suo predecessore Moro come una figura politica che ha cercato di rimuovere le barriere americane alla libertà dell'Italia e ha pagato un prezzo molto alto per questo. L'omicidio di Moro ha coinvolto una cospirazione internazionale, ha detto l'ex ministro degli Esteri G. Zamberletti:
"Moro non è stato ucciso da un gruppo estremista pazzo", ha detto il senatore Armando Cossuta, membro della leadership del Partito Comunista Italiano. - Non è così infondato che ci siano forze significative all'interno e dietro le "Brigate Rosse" che hanno fatto ricorso a ricatti politici. Svolgono un ruolo non sottovalutato nella nostra vita sociale ed economica, e anche ricoprono posizioni responsabili nell'apparato statale..."
Carlo Francanzani, segretario della Commissione Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti italiana, ha affermato che sotto il nome di "Brigata Rossa" di Moroa "si nascondono varie organizzazioni terroristiche politiche, molto probabilmente legate ai servizi segreti delle potenze occidentali".
Dopo che lo stato non poteva essere scosso, anche se alcune delle sue istituzioni sono state scosse, la CIA si rivolse a gruppi di sinistra al di fuori del parlamento. Nelle università americane, gli studenti sono stati accumulati in un "viaggio di studio" in Italia (precedentemente avevano lavorato correttamente). Il loro obiettivo era quello di integrare questi giovani in gruppi che attaccavano non solo il KDP e i Nuovi fascisti, ma anche i partiti di sinistra. 
Ha reclutato agenti presso l'Università della California.
Si fidarono di loro per creare una nuova organizzazione provocatoria sotto lo pseudonimo di "Autonomia dei lavoratori". I suoi leader non negarono di essere stati finanziati dalla CIA e che elementi neofascisti si nascondessero nei loro ranghi. Secondo la stampa italiana, la famiglia Rockefeller finanzia Marcus Ruskin, CEO dell'Institute for Policy Studies. Uno dei suoi compiti principali è quello di organizzare varie provocazioni. Non fanno ufficialmente parte della CIA, ma ricevono vari mandati dal think tank di Langley per destabilizzare i governi dell'Europa occidentale, che non amano i miliardari di Washington. Marcus Ruskin è stato colui che ha creato le "Brigate Rosse", le "Cellule Proletarie Armate", e, per così dire, tutti i gruppi sovversivi che sono stati in Italia dal 1969 in poi. Quindi abbiamo a che fare con una catena completa, costruita logicamente. Secondo questo, le "Brigate Rosse" di "autonomia laburista", la CIA, la reazione italiana, la mafia, erano tutte interessate a rimuovere Moro dalla scena politica, cercando così di impedire ai comunisti di entrare nel governo.
Se il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro è stato compiuto dalle "Brigate Rosse" degli agenti della CIA, come hanno fatto gli "americani silenziosi" a controllare le attività della polizia e dei servizi segreti italiani? Non è difficile farlo. La CIA ha il suo personale, sia presso la polizia che presso il Ministero dell'Interno, dopo tutto, finanzia da molto tempo il servizio di intelligence e il controspionaggio italiano.
Altre cose sono venute alla luce. All'interno dei servizi segreti italiani, c'era un altro apparato top-secret. In occasione dell'udienza di Catanzaro, dove vi fu il processo ai cospiratori di Milano, noti per il loro bombardamento, lo stesso generale Miceli ha confessato che esiste un'organizzazione del genere - un legame tra i servizi segreti italiani e le affiliate della NATO. È stata fondata nel 1949 quando l'Italia si è unita all'Alleanza atlantica. Gli americani hanno quindi avuto tutte le possibilità di controllare l'indagine sul caso Moro.
Venne anche alla luce dell'udienza delle Brigate Rosse, dicendo che la repressione di Washington su una figura politica poco attraente aveva un background politico. L'ultimo giorno del processo, uno dei leader delle Brigate Rosse Prospero Gallinari ha ammesso: "Aldo Moro è stato rapito e ucciso perché ha cercato di stabilire una maggioranza al potere in Italia in cui i comunisti avrebbero partecipato." La reciprocità del caso Moro ha quindi ripetutamente dimostrato che Washington è dietro le quinte del terrorismo internazionale, i cavalieri americani del "mantello e pugnale" che sono preparati per tutte le cose spregevoli - omicidio, assassinio, atto terroristico, è nell'interesse dei monopoli americani ad alta potenza.
VLADIMIR MALISEV

lunedì 9 dicembre 2019

Delitto e castigo a Langley


“Una piccola puntura penetra nel corpo. La puntura è appena percettibile e la persona sente qualcosa causato dalla puntura di innumerevoli mosche nere nei deserti nordafricani. Tuttavia, il veleno mortale penetra nel corpo e il destino della vittima è segnato.”
Inizia con queste parole drammatiche un interessante articolo del giornale ungherese Uj Szò del 29 giugno del 1984. Sembra una storia di quelle narrate dallo storico Andrew, nel suo Archivio Mitrokhin, sugli spietati killer del KGB. E invece parliamo proprio dell’opposta fazione: della CIA, a conferma del fatto che le accuse, che i due poli della guerra fredda si scambiarono, sono molto simili. Precisamente, raccontiamo oggi la storia di Edwin Wilson, un personaggio non meno enigmatico di Ronald Stark. In comune queste due spie di Langley (la sede della CIA) ebbero la capacità di infiltrarsi nelle linee nemiche. Nel caso di Wilson il nemico con cui stringere una mortale amicizia era il colonnello libico Gheddafi. Una storia assurda, dove il limite tra complicità e spionaggio per proteggere la propria nazione venne abbondantemente varcato. Al punto che i traffici di Wilson con la Libia divennero un caso giudiziario tra i più noti negli Stati Uniti.
Traditore degli Stati Uniti o pedina di un progetto molto ampio della CIA per destabilizzare il Medio Oriente? Secondo Paolo Cucchiarelli, autore di recenti libri sulla strategia della tensione, la risposta giusta è sicuramente la seconda, ragion per cui Wilson fu, per lui, uno dei mandanti della strage di via Fani. 
La storia che emerge dal giornale ungherese è assai complessa. Wilson - secondo l’autore dell’articolo comunista, ossia F. Alekszejev - con quel veleno delle mosche del deserto aveva il compito di uccidere Gheddafi. Scriveva testualmente su Uj Szò: “Sappiamo che per 15 anni, dalla metà degli anni '50 al 1970, Wilson fu associato alla CIA e per 5 anni prestò servizio nel Servizio di intelligence navale degli Stati Uniti. Nell'aprile del 1961, partecipò a un atterraggio fallito a Playa Giron, insieme ai sommozzatori cubani. Wilson è stato visto raramente dai suoi colleghi presso la sede della CIA di Langley. Preferiva rimanere nel segreto speciale laboratorio della California dove si trovavano armi speciali per gli omicidi che furono commissionati dal servizio segreto degli Stati Uniti. La mosca nera non è stata prodotta qui?”
Insieme a Francis T. Terpil, un altro assassino della CIA, Wilson avrebbe aperto verso la metà degli anni ‘70 aziende private di esportazione di armi in Medio Oriente, principalmente a Beirut, in Libano. Gli affari andarono a gonfie vele e il traffico si allargò all’Uganda del dittatore Amin e, attenti bene, alla Turchia, dove operavano i terroristi di destra noti come “Lupi Grigi”, tra cui un certo Alì Agca, che pochi anni prima aveva tentato di uccidere il Papa a Roma.
Ufficialmente la CIA non c’entra mai niente, ma pochi ci credono. Perché - sostenevano gli ungheresi di Uj Szò - quando le cose vanno male, la CIA si tira subito indietro. E a Roma, nell’attentato a Giovanni Paolo II, e poi con Gheddafi, il lavoro sporco non era stato portato a termine.
Dunque chi era Edwin Wilson? Per il Washington Post, che il 20 dicembre del 1982 gli dedicò un articolo (lo abbiamo trovato in un ritaglio di giornale conservato nell’archivio della CIA), nient’altro che un “traditore”, il quale dopo un litigio con la moglie se n’era andato in Libia per rifornire di armi il colonnello libico Gheddafi. Difficile da credere, in ogni caso. L’intrigo sarebbe stato scoperto quando l’ex agente CIA trasferì la sede della ditta di armi sul suolo americano. Fu così accusato dal tribunale federale statunitense di aver rifornito di esplosivi e quant’altro, non solo la Libia, ma anche le Brigate Rosse, gli irlandesi dell’IRA, i giapponesi dell’Armata Rossa e i palestinesi. Anche in Italia la vicenda uscì, il 17 giugno del 1982 sulle colonne della Stampa, con i connotati di una spy-story scoperta prima che portasse ulteriori danni, cioè il coinvolgimento di altri “berretti verdi” nella mega cospirazione. Gheddafi avrebbe protetto Wilson in Libia, e quando questi fuggì a Santo Domingo gli Stati Uniti sarebbero riusciti a ottenere la sua estradizione. Per conto di Gheddafi Wilson avrebbe anche ucciso delle persone - stando alla Stampa - ma soltanto perché dissidenti del regime autoritario di Gheddafi.
Edwin Paul Wilson era nato nel 1928 ed è morto nel 2012. Wikipedia scrive che il tribunale statunitense, dopo averlo condannato e costretto a 22 anni di carcere, di cui 12 in isolamento, nel 2004 ribaltò la sentenza e lo rilasciò. Nel 2007 anche la causa civile, intentata da Wilson per risarcimento danni contro i giudici che lo avevano incriminato, fu archiviata per l’immunità di cui i giudici stessi godevano nella loro attività. Fu accertato che molte prove, durante il processo, erano state occultate sia dai servizi americani, sia dal dipartimento di stato.
Volendo tracciare un profilo della strategia americana negli anni di piombo, si potrebbe azzardare che la CIA aveva predisposto due piani: un primo momento, molto intenso e duraturo, di collaborazione con i terroristi rossi e un secondo di eliminazione dei loro esponenti più importanti. In una parola, Gladio?

domenica 1 dicembre 2019

L’americano che aiutava brigatisti e palestinesi


C'è un insospettabile tra i terroristi collegati al covo brigatista di via Gradoli. C’è una persona che non c’entra niente con il terrorismo di sinistra e che invece aveva un documento falso, che proveniva dallo stesso stock trovato dalla polizia a Roma, in via Gradoli, quando il 17 aprile del 1978 fece irruzione nell’appartamento di Mario Moretti e trovò una marea di indizi utili alle indagini sul sequestro Moro.
Il caso Moro, dunque, torna protagonista delle nostre pagine, dobbiamo sbattere ancora lì. Ma ci ripromettiamo di farlo per offrire la nostra versione definitiva del giallo. L’uomo di cui ora parleremo è l’anello di collegamento tra due mondi apparentemente opposti, il governo americano e i palestinesi. Due ambienti che, invece, stando ai documenti che abbiamo trovato ed esposto nel nostro lavoro, risultano coinvolti nel rapimento dell’ex presidente del consiglio Aldo Moro. Gli americani sapevano fin dal primo giorno che nel sequestro erano coinvolti i palestinesi, mentre questi ultimi collaboravano con la RAF, i cui uomini è quasi certo che parteciparono alla strage della scorta di Moro in via Fani, il 16 marzo del 1978.
Ma chi è questo insospettabile? Per saperlo dobbiamo ritirare fuori un episodio dimenticato, che avvenne ad Abano Terme, in provincia di Padova, nel 1979. Nella notte tra il 15 e il 16 luglio di quell’anno un ordigno scoppiò davanti all’albergo Bristol di Abano Terme, in via Monte Ortona. I carabinieri - scrisse il quotidiano La Stampa il 17 luglio - seguendo le testimonianze arrestarono quattro sindacalisti. Due di loro probabilmente stavano trasportando la bomba in un altro luogo, ma all’improvviso gli esplose in mano. Si chiamavano G. V. e P. S., poco più che trentenni. Le altre due persone arrestate erano le loro mogli: A. M. e G. G. Decisiva fu la testimonianza di un metronotte, il quale vide il V. e il S. tentare una disperata fuga dopo l’esplosione, per poi accasciarsi a terra per le ferite. I carabinieri perquisirono la macchina e l’appartamento dei sindacalisti dimostrando che il gruppo, mogli comprese, aveva lasciato dappertutto tracce della fabbricazione di ordigni, inoltre trovarono armi e materiale riconducibile all’organizzazione Prima Linea. I due sindacalisti erano molto conosciuti perché facevano parte della federazione bolognese della CGIL e del PSI, da cui furono subito espulsi. Il fascicolo processuale finì nelle mani del magistrato Aldo Fais, che smistò il tutto al sostituto procuratore Lorenzo Zen.
Nel frattempo, però, alla dogana era stato arrestato un quinto uomo della banda che cercava di scappare dall’Italia: L. B., il nostro uomo misterioso, collegato al covo di via Gradoli. Era la notizia più eclatante dell’articolo dell’Unità del 9 gennaio 1980 firmato da Gian Pietro Testa. Erano passati già alcuni mesi. I magistrati romani si erano recati a Bologna - scriveva Testa - per consultare il fascicolo della bomba di Abano Terme. Le indagini del procuratore Zen avevano accertato che i quattro sindacalisti erano soliti ricattare le proprie vittime, industriali e albergatori, per estorcere loro denaro, e la bomba dell’albergo Bristol doveva servire proprio a questo.
“B. è personaggio tutto da scoprire. - scriveva testualmente il giornalista dell’Unità, Testa - Ha lavorato in Germania, dove andava costituendo fantomatici circoli ‘Lenin’ e dove venne arrestato per una rissa. Poi lavorò in un kibbuz israeliano, infine giunse a Bologna, pronto a partecipare attivamente ai fatti del marzo '77. B. (che aveva acquistato con un passaporto rubato a Roma più di dieci pistole) era in possesso di alcuni documenti falsi, uno dei quali farebbe parte dello ‘stock’ trovato nel covo br di via Gradoli a Roma, scoperto durante le indagini sul caso Moro.”
Insomma una scoperta non di poco conto. La vicenda processuale dei sindacalisti si concluse nel maggio del 1981, con la condanna comminata dal tribunale di Bologna a tutti gli imputati: dagli 8 ai 5 anni, mentre B. si prese due anni, e uno andò a N. L., un altro esponente del PSI. In totale, stando all’articolo di Vincenzo Tessadori della Stampa del 29 maggio 1981, la banda aveva progettato ben 364 estorsioni, portandone a compimento solo due. I proventi di queste attività criminali sarebbero servite ai “profughi cileni”, anche se i militanti socialisti cileni esclusero, durante il dibattimento, di aver mai chiesto soldi a questi italiani. Più probabilmente si trattò di un tentativo dei servizi segreti di inserirsi nell’estrema sinistra.
Ma come siamo arrivati, noi che vi scriviamo da queste colonne, al caso di Abano Terme? si chiederà qualche magistrato che per sbaglio finirà sul nostro blog. E’ molto semplice, dal dossier cecoslovacco sul caso Ceccobelli. Se infatti il postino di Fratta Todina c’entrava ben poco con il terrorismo, non si poteva dire la stessa cosa di L. B. Anche lui se ne andava in giro con la macchina per l’ex Cecoslovacchia nel giugno del 1977. E l’STB, il servizio segreto comunista di Praga, in quei giorni gli italiani che passavano per il loro territorio li stava tenendo d’occhio tutti. Era in corso una vasta operazione antiterrorismo che faceva seguito alla denuncia della signora Barbara Slagorska Berardi: alcuni italiani, a suo dire, si preparavano a compiere attentati nei paesi ex sovietici. Però la montagna partorì un topolino. Cioè di vero non c’era quasi nulla. Non furono trovate prove a quelle accuse. L’unico personaggio che poteva destare sospetti venne lasciato inspiegabilmente libero, ed era proprio il nostro uomo: L. B.
Un L. B., nato il 20-6-1939, partì dall’ex Cecoslovacchia il 9 giugno 1977 alle ore 8.30 con destinazione l’Italia. Che si trattasse della stessa persona poi arrestata dalla nostra magistratura perché legata alla bomba di Abano Terme lo dimostra il particolare che anche per l’STB questo B. era vissuto in Germania, a Berlino, dove aveva lavorato come autista presso la ditta Schenker. L’8 giugno 1977 durante un controllo a Breclav gli agenti gli avevano trovato addosso una pistola di fabbricazione cecoslovacca con delle cartucce. L’uomo si era difeso - scriveva il documento dell’STB - asserendo che le armi gli servivano per la difesa personale e le aveva acquistate a Roma al mercato nero. Dettaglio, anche quest’ultimo, che corrisponde perfettamente con quanto narrato dal giornalista Testa: B. avrebbe comprato più di dieci pistole a Roma con passaporto rubato. In passato aveva viaggiato attraverso l’URSS altre due volte.
Sembra di capire (la traduzione non è chiara in questo caso) che B. venne “rimosso dal treno” in Germania all’altezza della località Bad Schandau e qui sarebbero state adottate “le misure italiane”.
Era già ricercato in Italia? Ma allora perché si attese lo strano attentato di Abano Terme per arrestarlo?
Torniamo all’articolo di Gian Pietro Testa dell’Unità. I giudici romani erano andati, dicevamo, fino a Bologna per saperne di più sui sindacalisti di Abano Terme. Il giudice istruttore Vito Zincani aveva scoperto dei collegamenti incredibili tra il terrorismo di sinistra e la CIA. Il S., uno dei due cui la bomba del 1979 era esplosa in mano, era strettamente legato a degli infiltrati dell’eversione internazionale: due cileni, un certo S. e T. V. V. I due erano stati arrestati a Pisa nell’ambito di un’inchiesta sul gruppo “Azione rivoluzionaria” che faceva capo a un altro oscuro personaggio, americano in questo caso, che è la chiave per capire i contatti tra palestinesi e spie della CIA, Ronald Stark. 
Ma a questo punto le indagini ufficiali si stavano arenando. Gian Pietro Testa aveva intuito che si preparava l’ennesimo insabbiamento. Del resto Ronald Stark era stato appena scarcerato proprio perché agente della CIA. Pochi mesi dopo altri tragici lutti avrebbero scosso l’Italia con la tragedia del DC-9 caduto a Ustica e la bomba del 2 agosto 1980 a Bologna. Ma chi era Ronald Stark? Di lui le cronache italiane e le trasmissioni sui gialli irrisolti si sono occupate a lungo. Interessante è però l’articolo del quotidiano svizzero Gazzetta Ticinese uscito a firma di Gianni Bucci il 21 ottobre del 1978, secondo cui Stark era “un ricco americano implicato nel traffico di droga, che pare abbia avuto un ruolo nel sostegno dei brigatisti rossi”. Si presentava ai controlli con altri nomi: il britannico Terence Abbott, e il libico Alì Kouri o Kery. Stark, mentre era in cella, fornì una cartina di un campo di addestramento libanese per terroristi situato a Baalbeck “ad un giovane terrorista arrestato a Lucca”. Si trattava di Enrico Paghera. Il campo di Baalbeck era controllato dall’Imam Moussa Sadr, scomparso in circostanze poco chiare da Roma nel 1978. Forse fu rapito e ucciso dagli uomini di Gheddafi.
Il 15 aprile del 1983, quando Stark fu arrestato nuovamente in Olanda, Gianni Marsilli dell’Unità scrisse uno dei migliori ritratti di questo personaggio. L’americano si qualificava come un “palestinese apolide”, sostenitore della causa araba. Era “scuro di pelle, baffi spioventi e corporatura robusta, colto e plurilingue”. Secondo dei testimoni avrebbe avuto un ruolo nell’attentato di Fiumicino a un aereo israeliano, nel 1973, in cui persero la vita 34 persone. Intratteneva anche - sempre secondo l’articolo dell’Unità - “rapporti frequenti con i libici come faceva una certa parte della CIA americana”. “Con ogni probabilità - proseguiva il pezzo - Stark era un infiltrato dei servizi americani nelle frange più estremiste delle organizzazioni palestinesi, con compiti di destabilizzazione nell’area mediterranea e di contatto tra terroristi arabi e italiani.”
Ronald Stark contattò i personaggi più influenti delle Brigate Rosse, Curcio e Franceschini, ma fu tradito da quel Paghera a cui stava fornendo istruzioni su come recarsi al campo di Baalbeck. Ma Paghera disse cose ancora più importanti e gravi. Sarebbe stato proprio Stark a fargli avere una licenza di uscita dal carcere per andare a scrivere il falso comunicato numero 7 delle Brigate Rosse sul lago della duchessa. Quello che è certo è che l’americano anche in carcere intratteneva rapporti con i diplomatici americani, tanto da fornire, una volta scarcerato, come sua residenza, l’indirizzo del consolato americano a Firenze. Questo è quanto affermava in conclusione del suo pezzo Gianni Marsilli, che sottolineava l’importanza della pista armi-droga per comprendere il fenomeno del terrorismo, ossia per capire il contesto nel quale si sviluppava all’inizio degli anni Ottanta il terrorismo politico.
Stark non ammise mai ufficialmente di essere un agente della CIA, eppure gli americani non fecero nulla per ottenere un mandato di estradizione. Lo deduciamo spulciando i cablogrammi di cui disponiamo grazie a Wikileaks. Promettevano alle autorità italiane di procedere all’arresto solo se il misterioso capellone si fosse recato spontaneamente negli Stati Uniti. Cosa che, probabilmente, non era nei programmi della CIA.

P.S. Data la gravità delle accuse che formuliamo in questo articolo, sebbene siano ampiamente documentate, preferiamo siglare i nomi dei sindacalisti coinvolti nei fatti di Abano Terme, perché purtroppo la legge italiana non è sempre alleata del giornalismo e garantisce agli imputati che hanno scontato la loro condanna il diritto all'oblio. Ce ne scusiamo con i lettori, siamo informati della presenza di un'inchiesta giudiziaria in corso di svolgimento sul covo di via Gradoli, ma i tempi per la stampa sono duri, e piuttosto che rischiare minacce o querele, preferiamo glissare sulle responsabilità individuali, anche per evitare confusione con gli omonimi, garantendo di pubblicare questi nominativi negli aggiornamenti del libro cartaceo.