E' il pomeriggio del 27 giugno 1968.
Roma, via Barberini 86. Viene trovato morto nel suo ufficio un ex
colonnello del Sifar, che è il vecchio nome del servizio segreto
italiano. Da poco si era messo a lavorare in proprio aprendo
un'agenzia commerciale. Si chiamava Lorenzo Rocca, o più comunemente
Renzo Rocca, ma qualcuno dice che si facesse chiamare anche Pino
Renzi, o ingegner Roberto Riberi. Come solo una spia sa fare. Era
piemontese, nativo di Alba, in provincia di Cuneo. Il suo nome fu
accostato a vari scandali degli anni '60, i più torbidi della storia
italiana. Secondo La Stampa, che diede la notizia della sua scomparsa
con un articolo di Gianfranco Franci, Rocca era un collaboratore
fidato del generale De Lorenzo, accusato di aver progettato nel 1964
un tentativo di golpe poi fallito. Ma Rocca era molto altro.
Intercettazioni telefoniche, commesse militari. Quando lavorava per
il Sifar, era capo della REI, la sezione ricerche economiche
industriali del servizio segreto. Ciò vuol dire che tra le sue mani
circolavano i soldi pubblici del servizio segreto, e, come vedremo,
l'uso che ne veniva fatto era pieno di ombre.
Sono le 17.30. La segretaria, la
giovane Lauretta Manzini, ha chiamato la polizia, perché il suo capo
si è chiuso nell'ufficio e non ne è più uscito. L'autista
testimonia di averlo accompagnato in via Barberini alle 14. Stando
alla ricostruzione della Stampa, i poliziotti sfondano la porta e
trovano il colonnello riverso sul pavimento dell'ingresso, vicino
alla porta chiusa dall'interno. Renzo Rocca si è sparato con una
pistola di lusso, con la canna d'oro e il manico di madreperla. Ce
l'ha ancora in mano mentre giace a terra. La pallottola, una piccola
6,35, è penetrata nel cervello dalla tempia, scrive Franci. Vengono
subito svolti degli accertamenti, compresa la prova del “guanto di
parafina”, che non lascia spazio a dubbi. Lo sparo è partito dalla
sua mano e la morte è sopraggiunta verso le 15.30. Rocca si è
suicidato a soli 58 anni. Perché lo avrebbe fatto? Certamente la
vita gli aveva dato tanto: una bella famiglia, due figli, un'enorme
villa in via Nomentana, con un mega parco di tremila metri quadrati,
un'altra villa al mare, mobili di lusso, quadri d'autore, svariate
automobili. Alcuni “amici” cercano di giustificare il gesto.
Raccontano di una crisi depressiva, di cui il dirigente avrebbe
sofferto da molto tempo.
Il mistero vero e proprio, scrive
giustamente Franci sulla Stampa, sono i tre uomini in borghese che
entrano nell'ufficio del colonnello subito dopo la polizia e
prelevano delle carte, forse dei dossier del Sifar, quel famigerato
servizio segreto con cui si vocifera che Rocca abbia ancora a che
fare. Chi sono questi strani personaggi? Uomini dei servizi? Secondo
l'articolo della Stampa si tratterebbe di poliziotti che avrebbero
portato via la segretaria che si era sentita male.
Sarà un caso, ma pochi mesi più tardi
si parlerà di nuovo di quelle carte dell'ufficio di via Barberini, e
ne nascerà uno degli scandali più chiacchierati degli anni '60, ma
anche uno di quelli più insabbiati della storia: il cosiddetto
“scandalo dei generali”. Cesare De Simone dell'Unità, il 15
giugno del 1969, a un anno esatto dalla morte del colonnello Rocca,
lo ricostruiva così: “Un sostituto procuratore della Repubblica,
il dottor Bruno De Maio, dopo un anno e due mesi di pazienti indagini
tramite la guardia di finanza incrimina 32 persone (alti ufficiali e
civili dipendenti dal Ministero della Difesa) per illecite attività
della società Sispre. Tra gli imputati figurano due generali di
brigata (Consolini e D'Alessandro), cinque colonnelli e persino Renzo
Rocca, ex colonnello del Sifar, la cui misteriosa morte nel luglio
(in realtà è giugno, ndr) '68 sollevò molti veli su uno sporco
giro di miliardi legato al traffico d'armi per il Medio Oriente e
l'Africa. Le imputazioni sono gravissime: falso di scrittura, falso
ideologico, peculato e corruzione, violazione del segreto militare.”
Dunque gli uomini in borghese che sono
entrati ufficialmente a portar via la segretaria di Rocca sono
militari che lavorano per il giudice De Maio, il quale sta indagando
da qualche mese sullo “scandalo dei generali”? La tempestività
lascia di stucco. Ma che si tratti di questa storia lo dimostra un
altro articolo della Stampa, del 10 giugno 1969, nel cui catenaccio
viene specificato che “lo scandalo (Sispre, ndr) che ha richiamato
l'attenzione della procura della repubblica è scoppiato proprio
quando si sono esaminate le carte trovate nell'ufficio del col.
Rocca”. Vedremo che è un particolare determinante, e che i
giornalisti dopo un solo anno dalla morte del colonnello se l'erano
già dimenticato.
“Si scopre che la Sispre doveva
godere di numerosi agganci all'interno del Ministero della Difesa –
scrive Cesare De Simone sull'Unità -: non solo per essere stata
costituita nel 1953, proprio con l'autorizzazione di quel dicastero,
ma perché suo presidente figurò, dal 1962 al 1966, il generale
Giuseppe Mancinelli, fino al 1960 capo di Stato maggiore generale.”
Dunque la Sispre è una società
pubblica che gestisce commesse militari, ma le affida a un giro
ristretto di aziende private, che per accaparrarsi l'esclusiva sono
disposte a ricoprire d'oro i suoi dirigenti. Tra questi figurerebbe
anche Rocca, che, in quanto dirigente del REI, avrebbe avuto il
dovere di effettuare dei controlli. Invece, a quanto pare, venivano
aggirati. Si prospettava a quel punto il problema delle trattative
private gestite dal Ministero della Difesa. De Simone dell'Unità
proponeva di rimettere la gestione degli appalti militari nelle mani
del parlamento, affinché disciplinasse giuridicamente quella materia
così spinosa. In pratica, la Sispre attraverso la mediazione del
colonnello Rocca aveva permesso – secondo l'accusa - ad alcune
grandi industrie italiane di ottenere “le più allettanti commesse
militari”. “Sembra che il personale della Sispre – raccontava
un articolo dell'Unità del 10 giugno 1969 - oltre a divulgare
verbalmente, ad amici e parenti interessati alla cosa, notizie sulle
quali gravava il top secret militare, avrebbe anche consentito a dei
civili non autorizzati, titolari di società private, l'accesso a
zone e apparecchiature vincolate anch'esse dal segreto. In altre
parole, alcuni degli imputati informavano in anticipo i titolari di
società private dei programmi di lavoro della Sispre, al fine di
permettere loro di approntare progetti e preventivi che avrebbero di
fatto garantito l'attribuzione degli appalti e delle forniture”. Le
quali riguardavano, sia missili terra aria o aria aria, sia
apparecchiature elettroniche militari.
Si profilava il giorno del giudizio per
il mondo militare italiano, e invece di questo vasto sistema di
corruzione non si seppe più nulla. L'ultima traccia negli archivi
della Stampa e dell'Unità è un trafiletto del 2 ottobre 1970, con
cui il lettore veniva informato che il giudice istruttore che
coordinava le indagini, Antonio Alibrandi, aveva inviato gli atti del
procedimento al pm Carmine Cecere affinché formulasse le sue accuse.
Alibrandi, proprio lui, il giudice che in seguito sarà accusato di
essere un fascista convinto, e che in quegli stessi mesi si stava
occupando di un nuovo caso di spionaggio militare, che, come per la
Sispre, riguardava l'Egitto e il Conero: il caso della spia di
Monfalcone, Carlo Biasci. Perché la Sispre andrebbe collegata a
questi due luoghi lo scopriremo tra un attimo.
Stando a quanto oggi si può reperire
online su Wikipedia, la Sispre, citiamo testuali parole, “venne
fondata il 2 dicembre 1953 con partecipazione paritetica di FIAT e
Finmeccanica (gruppo IRI) con il nome di Cespre - Centro Studi della
Propulsione a Reazione S.r.l. e l'intento di studiare e progettare
apparecchiature con propulsione a reazione. Si sviluppò grazie alle
commesse affidategli dall'Aeronautica Militare Italiana nel 1953 e
1956 per la realizzazione di un razzo aria-aria, il C-7, il primo di
intera produzione italiana. Nel 1960 realizzò poi il razzo a solido
C-41 (con un contratto da 14 milioni di lire), utilizzato per
ricerche meteorologiche, che effettuò il lancio inaugurale nel 1961
raggiungendo una quota di 30 chilometri. Nel 1961 Sispre (nuova
denominazione di Cespre dal 1956) confluì, insieme a Bombrini Parodi
Delfino, nella Società Generale Missilistica Italiana.”
Dunque, la Sispre si sarebbe occupata
solo di meteorologia. Anche un documento top secret del servizio
segreto cecoslovacco, redatto dal fantomatico comandante Vittorio
Matricardi, raccontava nel luglio del 1960 di lanci di razzi
sperimentali a scopo di ricerca, effettuati dai tecnici della Sispre.
Scrisse: “Nei primi giorni di luglio sono stati fatti una serie di
esperimenti missilistici destinati a permettere un certo numero di
sondaggi ionosferici dal poligono missilistico italiano di Ispra.
Infatti il programma è soprattutto atmosferico ed è costituito da
una serie di sondaggi che sono stati effettuati mediante razzi
progettati da tecnici italiani, ma costituiti con elementi diversi
nella maggioranza di costruzione italiana, ma compositi, pluristadi,
formati con razzi differenti, alcuni di impiego bellico, altri
sperimentali di produzione americana.” I progetti sono della
Sispre, spiegava Matricardi, grazie alla quale sono stati utilizzati
i migliori materiali esistenti sul mercato. La riuscita dei lanci,
che furono in tutto sei, permise alla Nasa americana di sperimentare
un nuovo tipo di razzo chiamato Scout, che avrebbe dovuto trasportare
nelle alte quote dell'atmosfera la strumentazione utile per studiare
gli eventi meteorologici.
Nonostante Matricardi nei suoi rapporti
la collochi geograficamente in Sardegna, la base di Ispra dovrebbe
trovarsi sulla sponda lombarda del Lago Maggiore. In un altro
documento, Ispra e Monte Conero, vengono descritti come due centri
specializzati, insieme a molte altre location del nord-est italiano,
per il lancio di missili Jupiter e Nike. Lanci di razzi sonda per
studi sull'atmosfera avvennero certamente anche dal Monte Conero. Ce
lo testimonia un trafiletto dell'Unità del 28 agosto 1957, nel quale
veniva spiegato, ai lettori che avevano pensato di vedere un ufo nel
cielo di Ancona, che, in realtà, quell'oggetto che emetteva una scia
luminosa giallognola altro non era che un pallone sonda, lanciato
come normalmente accadeva in quel periodo dall'osservatorio del Monte
Conero.
Ma è molto probabile che questa
attività di ricerca fosse solo una copertura. Nello stesso periodo,
l'estate del 1957, era approdato alla Sispre un personaggio assai
poco raccomandabile, su cui l'americana CIA stava costruendo uno dei
suoi consueti e voluminosi dossier spionistici, quelli dedicati agli
ex gerarchi nazisti. Si trattava di Rolf Engel, ingegnere delle SS di
Hitler, specialista nella ricerca sui missili guidati.
Abbiamo capito bene? Un nazista aveva
iniziato a collaborare con la Sispre, ossia l'ente che in cambio di
tangenti regalava appalti militari top secret a società private? Tre
documenti della CIA, che abbiamo reperito nell'archivio FOIA online,
non lasciano alcun dubbio. La Sispre aveva realizzato questo
terribile connubio, ma con quale obiettivo? Sviluppare nuove armi
insieme al generale Aldo Urbani – scriveva la CIA il 16 dicembre
del 1957 - e alle industrie che fanno parte di Sispre, e che abbiamo
già visto su Wikipedia: Fiat company, Finmeccanica,
Bombrini-Parodi-Delfino. Ci sono stati anche contatti tra Engel e
l'allora governo italiano (siamo nell'epoca del centrismo DC, ndr)
durante i quali l'ex nazista ha cercato di persuadere l'esecutivo
italiano a inserirsi nel gruppo europeo di ricerca sui missili. Per
questo motivo avrebbe viaggiato frequentemente alla volta di Brema,
dove esisteva in quel momento un centro missilistico specializzato.
Ma chi era questo Rolf Engel e fino a
che punto era coinvolto nel progetto di sterminio del Fuhrer? Scrive
a tale proposito Wikipedia: “Engel fu imprigionato nel 1933. Si è
unito alle SS e ha raggiunto il grado di SS-Hauptsturmführer. Come
membro della SD, è stato di stanza a Strasburgo durante la seconda
guerra mondiale. Quindi è stato trasferito all'Istituto di ricerca
sull'esercito di Peenemünde. Engel era a capo della struttura di
ricerca missilistica delle SS per la propulsione a reazione a
Großendorf vicino a Danzica. Era un membro del Consiglio delle
ricerche del Reich.”
Nel suo rapporto, la CIA spiegava che
Engel dopo la seconda guerra mondiale si trasferì in Francia, dove
lavorò nella ricerca missilistica, quindi volò verso il Cairo, in
Egitto, con un incarico dirigenziale, prima di approdare alla Sispre
nell'estate del 1957 (morì nel 1993 a 81 anni). Riecco quindi
l'Egitto, che nel 1970 tenterà di rubare i segreti militari dei
radar del Monte Conero.
Un altro appunto della CIA del 24
febbraio 1959, riporta di incontri che sarebbero avvenuti a Roma tra
il governo italiano e Rolf Engel, sempre in rappresentanza della
Sispre. Scopo del vertice, la possibile collaborazione tra Italia e
Germania per lo sviluppo di missili insieme ai membri dell'Eugen
Saenger's Institute.
Un altro report americano top secret
del 9 gennaio 1958 (ma ormai declassificato come tutti gli altri),
avente come oggetto Rolf Engel e le sue connessioni, tornava sulla
vicenda con interessanti particolari. Prese parte al vertice anche
l'ingegnere tedesco occidentale, Ludwig Boelkow. Il progetto di Engel
prevedeva una collaborazione non solo tra Italia e Germania ma tra
tre stati atlantici: Francia, Germania Ovest e Italia, per lo
sviluppo di nuovi missili da utilizzare nella NATO. Le tre nazioni
non riuscirono a trovare un accordo, ma conclusero l'incontro con
l'impegno a proseguire su questa strada, cioè sullo sviluppo comune
di missili guidati.
Ma cosa c'entravano la meteorologia, lo
spazio, con Rolf Engel? Secondo un ulteriore report della CIA del 25
marzo 1958, praticamente nulla. “Non è uno specialista dello
spazio”, affermava la spia americana. “E' uno specialista di
propellenti solidi e piccoli razzi”, dove doveva avere un'ottima
preparazione. In quel momento Engel lavorava per la
Bombrini-Parodi-Delfino, in qualità di consigliere capo nel reparto
razzi e missili, e come consulente di base per la Sispre.
Di questi rapporti imbarazzanti tra il
governo, la Sispre e Rolf Engel era informato anche il colonnello
Renzo Rocca? Difficile che non lo fosse. Fu lui a volere la nascita della società insieme a un certo ingegnere Carbo, dirigente della Selenia spa. Secondo l’Unità, Rocca piazzò alla Sispre tutti uomini di sua fiducia. E allora la sua morte, il
suo suicidio, fu dovuto a questo? I servizi segreti italiani subirono
pressioni dalla CIA, a causa della presenza degli ex nazisti nella
Sispre? Ma soprattutto: l'inchiesta del procuratore De Maio e del
giudice istruttore Alibrandi, avrebbe scoperto e denunciato queste
trame nere? Oppure era il modo migliore per coprirle, mettendo in
galera e a tacere i militari che erano coinvolti in questi loschi
affari?
Per capire meglio lo “scandalo dei
generali” bisogna rianalizzare il caso Rocca con gli articoli
dell'Unità. La storia apparirà sotto una luce ben diversa.
Intanto l'ufficio di via Barberini 86,
quello in cui il colonnello si sparò il 27 giugno del 1968: veniva
pagato dalla Fiat. Un appartamento di ben sette stanze, all'ottavo
piano di una delle migliori vie del centro di Roma. Poi il
ritrovamento del cadavere. Non sarebbe stata la polizia a sfondare la
porta, bensì la stessa segretaria, Lauretta Manzini, una ragazza di
22 anni, che, preoccupata per il silenzio che proveniva dall'ufficio
di Rocca, andò a chiamare l'autista e il portiere dello stabile.
Insieme, entrarono grazie a un cacciavite, con cui riuscirono a far
saltare un paletto che era servito per bloccare la porta, e
scoprirono il cadavere. La signorina aggiunse un particolare: aveva
lasciato la “serranda” del suo ufficio chiusa e l'aveva ritrovata
aperta. Chi era entrato? E perché l'aveva aperta, per fuggire dopo
l'omicidio? La polizia fu chiamata solo in serata, secondo questa
ricostruzione del quotidiano comunista, e non fece nemmeno in tempo a
notare la posizione “strana” del cadavere, perché in quello
stesso istante piombarono i tre uomini in borghese, i quali
presumibilmente si presentarono con un tesserino, costrinsero la
polizia a farsi da parte, raccattarono pratiche e fascicoli e
condussero con loro la segretaria. Grazie all'Unità sappiamo ora i
nomi di questi uomini in borghese: erano agenti del SID, il nuovo
nome del Sifar. Erano guidati dal vicecapo della famigerata sezione
D, quella connessa con la CIA e Washington.
La magistratura fu dunque ostacolata
nelle indagini sulla morte di Rocca. Il SID bloccò anche l'accesso alla villa sulla
Nomentana, dove vivevano la moglie, Renata Fiorio, e i due figli del
colonnello, Stefano e Marco. I tre uomini in borghese erano il
capitano Fusco, il tenente Vecchio e il tenente colonnello di
fanteria De Virdis. A coordinare l'azione dalla sezione D del SID fu
il colonnello Viola. E' dall'intervento di questi personaggi che
sarebbe partito anche lo “scandalo dei generali”. Ma chi li aveva
avvertiti?
Il caso Rocca diventò un giallo che
appassionò i lettori dell'Unità. Il giornale gli dedicava ogni
giorno un'intera pagina. Verso i primi di luglio emersero altri
dettagli importanti. Il colonnello Rocca non adoperava mai la pistola
di lusso di piccolo calibro con cui si sarebbe ucciso, bensì una
calibro 9. Non aveva alcuna intenzione di suicidarsi, almeno prima di
quel pomeriggio, per il quale aveva predisposto degli appuntamenti
importanti: uno alle 15, per il quale contrariamente alle sue
abitudini era tornato nel suo ufficio, e poi un altro alle 17.30. Ed
è per questo che aveva chiesto all'autista di aspettarlo fino alle
17. L'uomo che lo spinse al suicidio, oppure lo uccise, fu
probabilmente il personaggio con cui Rocca doveva incontrarsi alle
15.
Sorsero nuove ipotesi, non suffragate
da prove: che fosse stato drogato, oppure che lo avessero costretto a
suicidarsi. L'autopsia, che finalmente il magistrato, il dottor
Pesce, riuscì a ordinare, ebbe un esito singolare: il colonnello
Rocca si sarebbe suicidato stando sdraiato sul pavimento. Il paletto
con cui era stata bloccata dall'interno la porta che senso aveva, per
un depresso che voleva farla finita? Sembrerebbe più un “lavoro”
professionale. Anche la prova del “guanto di parafina” diede un
esito incerto. Dapprima positivo, cioè tracce di polvere da sparo
sarebbero state presenti sulla mano del suicida, poi negativo. Nulla
di fatto. Impronte di due uomini vennero inoltre rinvenute nel
ballatoio che portava al balcone dell'ufficio. Erano degli agenti del
SID? La tesi del suicidio vacillava pericolosamente. Alle 17.30 Rocca
avrebbe dovuto incontrarsi in un bar vicino alla stazione Termini con
Nicola Falde, suo successore alla REI. Probabilmente avrebbe dovuto
mettersi d'accordo su qualcosa. Comunque, aveva in programma di fare
dei tentativi per risolvere le sue questioni. Prima di morire avrebbe
cercato più volte di mettersi in contatto telefonico con Giulio
Andreotti. Per riferirgli cosa? Pare che Andreotti abbia sempre
negato di conoscere bene il colonnello Rocca.
Noi ora sappiamo quali retroscena si
celavano dietro la sua attività e possiamo ipotizzare che si sia
trattato di omicidio o al massimo di istigazione al suicidio. Magari
uno di quei “lavoretti” della CIA, con l'utilizzo di droghe. Un
delitto perfetto, di cui non doveva restare nessuna traccia.