giovedì 13 agosto 2020

Ombre naziste sul caso del colonnello Rocca

E' il pomeriggio del 27 giugno 1968. Roma, via Barberini 86. Viene trovato morto nel suo ufficio un ex colonnello del Sifar, che è il vecchio nome del servizio segreto italiano. Da poco si era messo a lavorare in proprio aprendo un'agenzia commerciale. Si chiamava Lorenzo Rocca, o più comunemente Renzo Rocca, ma qualcuno dice che si facesse chiamare anche Pino Renzi, o ingegner Roberto Riberi. Come solo una spia sa fare. Era piemontese, nativo di Alba, in provincia di Cuneo. Il suo nome fu accostato a vari scandali degli anni '60, i più torbidi della storia italiana. Secondo La Stampa, che diede la notizia della sua scomparsa con un articolo di Gianfranco Franci, Rocca era un collaboratore fidato del generale De Lorenzo, accusato di aver progettato nel 1964 un tentativo di golpe poi fallito. Ma Rocca era molto altro. Intercettazioni telefoniche, commesse militari. Quando lavorava per il Sifar, era capo della REI, la sezione ricerche economiche industriali del servizio segreto. Ciò vuol dire che tra le sue mani circolavano i soldi pubblici del servizio segreto, e, come vedremo, l'uso che ne veniva fatto era pieno di ombre.

Sono le 17.30. La segretaria, la giovane Lauretta Manzini, ha chiamato la polizia, perché il suo capo si è chiuso nell'ufficio e non ne è più uscito. L'autista testimonia di averlo accompagnato in via Barberini alle 14. Stando alla ricostruzione della Stampa, i poliziotti sfondano la porta e trovano il colonnello riverso sul pavimento dell'ingresso, vicino alla porta chiusa dall'interno. Renzo Rocca si è sparato con una pistola di lusso, con la canna d'oro e il manico di madreperla. Ce l'ha ancora in mano mentre giace a terra. La pallottola, una piccola 6,35, è penetrata nel cervello dalla tempia, scrive Franci. Vengono subito svolti degli accertamenti, compresa la prova del “guanto di parafina”, che non lascia spazio a dubbi. Lo sparo è partito dalla sua mano e la morte è sopraggiunta verso le 15.30. Rocca si è suicidato a soli 58 anni. Perché lo avrebbe fatto? Certamente la vita gli aveva dato tanto: una bella famiglia, due figli, un'enorme villa in via Nomentana, con un mega parco di tremila metri quadrati, un'altra villa al mare, mobili di lusso, quadri d'autore, svariate automobili. Alcuni “amici” cercano di giustificare il gesto. Raccontano di una crisi depressiva, di cui il dirigente avrebbe sofferto da molto tempo.

Il mistero vero e proprio, scrive giustamente Franci sulla Stampa, sono i tre uomini in borghese che entrano nell'ufficio del colonnello subito dopo la polizia e prelevano delle carte, forse dei dossier del Sifar, quel famigerato servizio segreto con cui si vocifera che Rocca abbia ancora a che fare. Chi sono questi strani personaggi? Uomini dei servizi? Secondo l'articolo della Stampa si tratterebbe di poliziotti che avrebbero portato via la segretaria che si era sentita male.

Sarà un caso, ma pochi mesi più tardi si parlerà di nuovo di quelle carte dell'ufficio di via Barberini, e ne nascerà uno degli scandali più chiacchierati degli anni '60, ma anche uno di quelli più insabbiati della storia: il cosiddetto “scandalo dei generali”. Cesare De Simone dell'Unità, il 15 giugno del 1969, a un anno esatto dalla morte del colonnello Rocca, lo ricostruiva così: “Un sostituto procuratore della Repubblica, il dottor Bruno De Maio, dopo un anno e due mesi di pazienti indagini tramite la guardia di finanza incrimina 32 persone (alti ufficiali e civili dipendenti dal Ministero della Difesa) per illecite attività della società Sispre. Tra gli imputati figurano due generali di brigata (Consolini e D'Alessandro), cinque colonnelli e persino Renzo Rocca, ex colonnello del Sifar, la cui misteriosa morte nel luglio (in realtà è giugno, ndr) '68 sollevò molti veli su uno sporco giro di miliardi legato al traffico d'armi per il Medio Oriente e l'Africa. Le imputazioni sono gravissime: falso di scrittura, falso ideologico, peculato e corruzione, violazione del segreto militare.”

Dunque gli uomini in borghese che sono entrati ufficialmente a portar via la segretaria di Rocca sono militari che lavorano per il giudice De Maio, il quale sta indagando da qualche mese sullo “scandalo dei generali”? La tempestività lascia di stucco. Ma che si tratti di questa storia lo dimostra un altro articolo della Stampa, del 10 giugno 1969, nel cui catenaccio viene specificato che “lo scandalo (Sispre, ndr) che ha richiamato l'attenzione della procura della repubblica è scoppiato proprio quando si sono esaminate le carte trovate nell'ufficio del col. Rocca”. Vedremo che è un particolare determinante, e che i giornalisti dopo un solo anno dalla morte del colonnello se l'erano già dimenticato.

“Si scopre che la Sispre doveva godere di numerosi agganci all'interno del Ministero della Difesa – scrive Cesare De Simone sull'Unità -: non solo per essere stata costituita nel 1953, proprio con l'autorizzazione di quel dicastero, ma perché suo presidente figurò, dal 1962 al 1966, il generale Giuseppe Mancinelli, fino al 1960 capo di Stato maggiore generale.”

Dunque la Sispre è una società pubblica che gestisce commesse militari, ma le affida a un giro ristretto di aziende private, che per accaparrarsi l'esclusiva sono disposte a ricoprire d'oro i suoi dirigenti. Tra questi figurerebbe anche Rocca, che, in quanto dirigente del REI, avrebbe avuto il dovere di effettuare dei controlli. Invece, a quanto pare, venivano aggirati. Si prospettava a quel punto il problema delle trattative private gestite dal Ministero della Difesa. De Simone dell'Unità proponeva di rimettere la gestione degli appalti militari nelle mani del parlamento, affinché disciplinasse giuridicamente quella materia così spinosa. In pratica, la Sispre attraverso la mediazione del colonnello Rocca aveva permesso – secondo l'accusa - ad alcune grandi industrie italiane di ottenere “le più allettanti commesse militari”. “Sembra che il personale della Sispre – raccontava un articolo dell'Unità del 10 giugno 1969 - oltre a divulgare verbalmente, ad amici e parenti interessati alla cosa, notizie sulle quali gravava il top secret militare, avrebbe anche consentito a dei civili non autorizzati, titolari di società private, l'accesso a zone e apparecchiature vincolate anch'esse dal segreto. In altre parole, alcuni degli imputati informavano in anticipo i titolari di società private dei programmi di lavoro della Sispre, al fine di permettere loro di approntare progetti e preventivi che avrebbero di fatto garantito l'attribuzione degli appalti e delle forniture”. Le quali riguardavano, sia missili terra aria o aria aria, sia apparecchiature elettroniche militari.

Si profilava il giorno del giudizio per il mondo militare italiano, e invece di questo vasto sistema di corruzione non si seppe più nulla. L'ultima traccia negli archivi della Stampa e dell'Unità è un trafiletto del 2 ottobre 1970, con cui il lettore veniva informato che il giudice istruttore che coordinava le indagini, Antonio Alibrandi, aveva inviato gli atti del procedimento al pm Carmine Cecere affinché formulasse le sue accuse. Alibrandi, proprio lui, il giudice che in seguito sarà accusato di essere un fascista convinto, e che in quegli stessi mesi si stava occupando di un nuovo caso di spionaggio militare, che, come per la Sispre, riguardava l'Egitto e il Conero: il caso della spia di Monfalcone, Carlo Biasci. Perché la Sispre andrebbe collegata a questi due luoghi lo scopriremo tra un attimo.

Stando a quanto oggi si può reperire online su Wikipedia, la Sispre, citiamo testuali parole, “venne fondata il 2 dicembre 1953 con partecipazione paritetica di FIAT e Finmeccanica (gruppo IRI) con il nome di Cespre - Centro Studi della Propulsione a Reazione S.r.l. e l'intento di studiare e progettare apparecchiature con propulsione a reazione. Si sviluppò grazie alle commesse affidategli dall'Aeronautica Militare Italiana nel 1953 e 1956 per la realizzazione di un razzo aria-aria, il C-7, il primo di intera produzione italiana. Nel 1960 realizzò poi il razzo a solido C-41 (con un contratto da 14 milioni di lire), utilizzato per ricerche meteorologiche, che effettuò il lancio inaugurale nel 1961 raggiungendo una quota di 30 chilometri. Nel 1961 Sispre (nuova denominazione di Cespre dal 1956) confluì, insieme a Bombrini Parodi Delfino, nella Società Generale Missilistica Italiana.”

Dunque, la Sispre si sarebbe occupata solo di meteorologia. Anche un documento top secret del servizio segreto cecoslovacco, redatto dal fantomatico comandante Vittorio Matricardi, raccontava nel luglio del 1960 di lanci di razzi sperimentali a scopo di ricerca, effettuati dai tecnici della Sispre. Scrisse: “Nei primi giorni di luglio sono stati fatti una serie di esperimenti missilistici destinati a permettere un certo numero di sondaggi ionosferici dal poligono missilistico italiano di Ispra. Infatti il programma è soprattutto atmosferico ed è costituito da una serie di sondaggi che sono stati effettuati mediante razzi progettati da tecnici italiani, ma costituiti con elementi diversi nella maggioranza di costruzione italiana, ma compositi, pluristadi, formati con razzi differenti, alcuni di impiego bellico, altri sperimentali di produzione americana.” I progetti sono della Sispre, spiegava Matricardi, grazie alla quale sono stati utilizzati i migliori materiali esistenti sul mercato. La riuscita dei lanci, che furono in tutto sei, permise alla Nasa americana di sperimentare un nuovo tipo di razzo chiamato Scout, che avrebbe dovuto trasportare nelle alte quote dell'atmosfera la strumentazione utile per studiare gli eventi meteorologici.

Nonostante Matricardi nei suoi rapporti la collochi geograficamente in Sardegna, la base di Ispra dovrebbe trovarsi sulla sponda lombarda del Lago Maggiore. In un altro documento, Ispra e Monte Conero, vengono descritti come due centri specializzati, insieme a molte altre location del nord-est italiano, per il lancio di missili Jupiter e Nike. Lanci di razzi sonda per studi sull'atmosfera avvennero certamente anche dal Monte Conero. Ce lo testimonia un trafiletto dell'Unità del 28 agosto 1957, nel quale veniva spiegato, ai lettori che avevano pensato di vedere un ufo nel cielo di Ancona, che, in realtà, quell'oggetto che emetteva una scia luminosa giallognola altro non era che un pallone sonda, lanciato come normalmente accadeva in quel periodo dall'osservatorio del Monte Conero.

Ma è molto probabile che questa attività di ricerca fosse solo una copertura. Nello stesso periodo, l'estate del 1957, era approdato alla Sispre un personaggio assai poco raccomandabile, su cui l'americana CIA stava costruendo uno dei suoi consueti e voluminosi dossier spionistici, quelli dedicati agli ex gerarchi nazisti. Si trattava di Rolf Engel, ingegnere delle SS di Hitler, specialista nella ricerca sui missili guidati.

Abbiamo capito bene? Un nazista aveva iniziato a collaborare con la Sispre, ossia l'ente che in cambio di tangenti regalava appalti militari top secret a società private? Tre documenti della CIA, che abbiamo reperito nell'archivio FOIA online, non lasciano alcun dubbio. La Sispre aveva realizzato questo terribile connubio, ma con quale obiettivo? Sviluppare nuove armi insieme al generale Aldo Urbani – scriveva la CIA il 16 dicembre del 1957 - e alle industrie che fanno parte di Sispre, e che abbiamo già visto su Wikipedia: Fiat company, Finmeccanica, Bombrini-Parodi-Delfino. Ci sono stati anche contatti tra Engel e l'allora governo italiano (siamo nell'epoca del centrismo DC, ndr) durante i quali l'ex nazista ha cercato di persuadere l'esecutivo italiano a inserirsi nel gruppo europeo di ricerca sui missili. Per questo motivo avrebbe viaggiato frequentemente alla volta di Brema, dove esisteva in quel momento un centro missilistico specializzato.

Ma chi era questo Rolf Engel e fino a che punto era coinvolto nel progetto di sterminio del Fuhrer? Scrive a tale proposito Wikipedia: “Engel fu imprigionato nel 1933. Si è unito alle SS e ha raggiunto il grado di SS-Hauptsturmführer. Come membro della SD, è stato di stanza a Strasburgo durante la seconda guerra mondiale. Quindi è stato trasferito all'Istituto di ricerca sull'esercito di Peenemünde. Engel era a capo della struttura di ricerca missilistica delle SS per la propulsione a reazione a Großendorf vicino a Danzica. Era un membro del Consiglio delle ricerche del Reich.”

Nel suo rapporto, la CIA spiegava che Engel dopo la seconda guerra mondiale si trasferì in Francia, dove lavorò nella ricerca missilistica, quindi volò verso il Cairo, in Egitto, con un incarico dirigenziale, prima di approdare alla Sispre nell'estate del 1957 (morì nel 1993 a 81 anni). Riecco quindi l'Egitto, che nel 1970 tenterà di rubare i segreti militari dei radar del Monte Conero.

Un altro appunto della CIA del 24 febbraio 1959, riporta di incontri che sarebbero avvenuti a Roma tra il governo italiano e Rolf Engel, sempre in rappresentanza della Sispre. Scopo del vertice, la possibile collaborazione tra Italia e Germania per lo sviluppo di missili insieme ai membri dell'Eugen Saenger's Institute.

Un altro report americano top secret del 9 gennaio 1958 (ma ormai declassificato come tutti gli altri), avente come oggetto Rolf Engel e le sue connessioni, tornava sulla vicenda con interessanti particolari. Prese parte al vertice anche l'ingegnere tedesco occidentale, Ludwig Boelkow. Il progetto di Engel prevedeva una collaborazione non solo tra Italia e Germania ma tra tre stati atlantici: Francia, Germania Ovest e Italia, per lo sviluppo di nuovi missili da utilizzare nella NATO. Le tre nazioni non riuscirono a trovare un accordo, ma conclusero l'incontro con l'impegno a proseguire su questa strada, cioè sullo sviluppo comune di missili guidati.

Ma cosa c'entravano la meteorologia, lo spazio, con Rolf Engel? Secondo un ulteriore report della CIA del 25 marzo 1958, praticamente nulla. “Non è uno specialista dello spazio”, affermava la spia americana. “E' uno specialista di propellenti solidi e piccoli razzi”, dove doveva avere un'ottima preparazione. In quel momento Engel lavorava per la Bombrini-Parodi-Delfino, in qualità di consigliere capo nel reparto razzi e missili, e come consulente di base per la Sispre.

Di questi rapporti imbarazzanti tra il governo, la Sispre e Rolf Engel era informato anche il colonnello Renzo Rocca? Difficile che non lo fosse. Fu lui a volere la nascita della società insieme a un certo ingegnere Carbo, dirigente della Selenia spa. Secondo l’Unità, Rocca piazzò alla Sispre tutti uomini di sua fiducia. E allora la sua morte, il suo suicidio, fu dovuto a questo? I servizi segreti italiani subirono pressioni dalla CIA, a causa della presenza degli ex nazisti nella Sispre? Ma soprattutto: l'inchiesta del procuratore De Maio e del giudice istruttore Alibrandi, avrebbe scoperto e denunciato queste trame nere? Oppure era il modo migliore per coprirle, mettendo in galera e a tacere i militari che erano coinvolti in questi loschi affari?

Per capire meglio lo “scandalo dei generali” bisogna rianalizzare il caso Rocca con gli articoli dell'Unità. La storia apparirà sotto una luce ben diversa.

Intanto l'ufficio di via Barberini 86, quello in cui il colonnello si sparò il 27 giugno del 1968: veniva pagato dalla Fiat. Un appartamento di ben sette stanze, all'ottavo piano di una delle migliori vie del centro di Roma. Poi il ritrovamento del cadavere. Non sarebbe stata la polizia a sfondare la porta, bensì la stessa segretaria, Lauretta Manzini, una ragazza di 22 anni, che, preoccupata per il silenzio che proveniva dall'ufficio di Rocca, andò a chiamare l'autista e il portiere dello stabile. Insieme, entrarono grazie a un cacciavite, con cui riuscirono a far saltare un paletto che era servito per bloccare la porta, e scoprirono il cadavere. La signorina aggiunse un particolare: aveva lasciato la “serranda” del suo ufficio chiusa e l'aveva ritrovata aperta. Chi era entrato? E perché l'aveva aperta, per fuggire dopo l'omicidio? La polizia fu chiamata solo in serata, secondo questa ricostruzione del quotidiano comunista, e non fece nemmeno in tempo a notare la posizione “strana” del cadavere, perché in quello stesso istante piombarono i tre uomini in borghese, i quali presumibilmente si presentarono con un tesserino, costrinsero la polizia a farsi da parte, raccattarono pratiche e fascicoli e condussero con loro la segretaria. Grazie all'Unità sappiamo ora i nomi di questi uomini in borghese: erano agenti del SID, il nuovo nome del Sifar. Erano guidati dal vicecapo della famigerata sezione D, quella connessa con la CIA e Washington.

La magistratura fu dunque ostacolata nelle indagini sulla morte di Rocca. Il SID bloccò anche l'accesso alla villa sulla Nomentana, dove vivevano la moglie, Renata Fiorio, e i due figli del colonnello, Stefano e Marco. I tre uomini in borghese erano il capitano Fusco, il tenente Vecchio e il tenente colonnello di fanteria De Virdis. A coordinare l'azione dalla sezione D del SID fu il colonnello Viola. E' dall'intervento di questi personaggi che sarebbe partito anche lo “scandalo dei generali”. Ma chi li aveva avvertiti?

Il caso Rocca diventò un giallo che appassionò i lettori dell'Unità. Il giornale gli dedicava ogni giorno un'intera pagina. Verso i primi di luglio emersero altri dettagli importanti. Il colonnello Rocca non adoperava mai la pistola di lusso di piccolo calibro con cui si sarebbe ucciso, bensì una calibro 9. Non aveva alcuna intenzione di suicidarsi, almeno prima di quel pomeriggio, per il quale aveva predisposto degli appuntamenti importanti: uno alle 15, per il quale contrariamente alle sue abitudini era tornato nel suo ufficio, e poi un altro alle 17.30. Ed è per questo che aveva chiesto all'autista di aspettarlo fino alle 17. L'uomo che lo spinse al suicidio, oppure lo uccise, fu probabilmente il personaggio con cui Rocca doveva incontrarsi alle 15.

Sorsero nuove ipotesi, non suffragate da prove: che fosse stato drogato, oppure che lo avessero costretto a suicidarsi. L'autopsia, che finalmente il magistrato, il dottor Pesce, riuscì a ordinare, ebbe un esito singolare: il colonnello Rocca si sarebbe suicidato stando sdraiato sul pavimento. Il paletto con cui era stata bloccata dall'interno la porta che senso aveva, per un depresso che voleva farla finita? Sembrerebbe più un “lavoro” professionale. Anche la prova del “guanto di parafina” diede un esito incerto. Dapprima positivo, cioè tracce di polvere da sparo sarebbero state presenti sulla mano del suicida, poi negativo. Nulla di fatto. Impronte di due uomini vennero inoltre rinvenute nel ballatoio che portava al balcone dell'ufficio. Erano degli agenti del SID? La tesi del suicidio vacillava pericolosamente. Alle 17.30 Rocca avrebbe dovuto incontrarsi in un bar vicino alla stazione Termini con Nicola Falde, suo successore alla REI. Probabilmente avrebbe dovuto mettersi d'accordo su qualcosa. Comunque, aveva in programma di fare dei tentativi per risolvere le sue questioni. Prima di morire avrebbe cercato più volte di mettersi in contatto telefonico con Giulio Andreotti. Per riferirgli cosa? Pare che Andreotti abbia sempre negato di conoscere bene il colonnello Rocca.

Noi ora sappiamo quali retroscena si celavano dietro la sua attività e possiamo ipotizzare che si sia trattato di omicidio o al massimo di istigazione al suicidio. Magari uno di quei “lavoretti” della CIA, con l'utilizzo di droghe. Un delitto perfetto, di cui non doveva restare nessuna traccia.


2 commenti:

  1. ERRATA CORRIGE: avevo erroneamente datato la morte del colonnello al 28 giugno, interpretando male le parole del cronista della Stampa, il quale nel quotidiano del 29 giugno scriveva che i fatti si riferivano a "ieri pomeriggio", come facevo anch'io sui quotidiani. In realtà era ieri rispetto al 28 giugno, scritto all'inizio del pezzo. Mi scuso per la svista.

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  2. Ho aggiunto in un secondo momento un dettaglio sui rapporti tra il colonnello Rocca e la Sispre, mi sembrava giusto approfondire la cosa, visti i risvolti clamorosi che ci sono.

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