martedì 26 settembre 2017

Il mercato nero delle armi americane


Giovedì 27 dicembre 1979 partiva da Roma, verso il Bureau of Politico-Military Affairs degli Stati Uniti, un telegramma firmato dall’ambasciatore Richard Gardner. Si trattava di un aggiornamento della lista di aziende americane che stava operando in quel momento, in Italia, nel mercato dell’esportazione delle armi. La notizia è disponibile nel motore di ricerca di Wikileaks, cercando la voce “Page Europa”. Page Europa è l’azienda italo-americana che fungeva, e pare che lo faccia ancora, da intermediario per conto della Nato, e del governo di Washington, nella vendita di armamenti ai governi anti-comunisti. L’elenco di cablogrammi che la riguardano sarebbe lunghissimo: si va dallo scandalo Lockheed, nel quale fu accusata di distribuire tangenti ai politici, ai traffici tra Stati Uniti e paesi africani come la Somalia e la Nigeria, oppure tra Stati Uniti e Grecia. Il tutto attraverso la mediazione della sede romana di Page Europa. Il periodo di queste attività è compreso tra il 1973 e il 1979. Ma ciò che più colpisce è la lista di aziende americane che nel 1979 erano presenti in Italia per vendere armi. Ai loro nomi, l’ambasciatore Gardner aggiungeva per ciascuna di esse anche il numero di dipendenti. Ecco l’elenco completo: VITRO (tre dipendenti), CGE (due dipendenti), GETSCO (tre dipendenti), HUGHES INT. L (un dipendente), PAGE EUROPA (un dipendente), RAYTHEON (due dipendenti), NOTHERN ORDNANCE (due dipendenti), SPERRY (due dipendenti). Cercando su internet questi nominativi spesso ci si imbatte in aziende che operano almeno apparentemente in altri settori, eccezion fatta per la Raytheon Company, che su Wikipedia viene segnalata come un’azienda operante nel settore della difesa degli Stati Uniti. La sua specialità? Negli anni Ottanta si interessò anche ai velivoli civili, mentre dal 2008 è leader nella produzione di missili teleguidati.

martedì 19 settembre 2017

L'autopsia fantasma sul corpo di Aldo Moro


Sul cadavere del presidente della DC Aldo Moro furono redatte almeno due perizie medico legali, con l’evidente scopo di correggere una notizia che era filtrata il 10 maggio 1978 e che venne pubblicata sui quotidiani il giorno successivo. Sia La Stampa, sia il Corriere della Sera annunciarono in un piccolo trafiletto, l’11 maggio 1978, che Aldo Moro, appena ucciso dalle BR, era malato di cancro alla tiroide. Lo aveva accertato l’autopsia effettuata nell’istituto di medicina legale dell’università di Roma. Un “adenocarcinoma aveva intaccato i tessuti della tiroide e quelli immediatamente circostanti”, scriveva la nota. Avevano dunque ragione le spie della Stasi? Il 2 giugno 1978 fu pubblicato su La Stampa un nuovo articolo nel quale veniva rianalizzata l’autopsia, che sarebbe poi stata depositata un anno più tardi. Moro ora nel nuovo esame autoptico risultava godere di ottima salute. La giornalista Silvana Mazzocchi asseriva che “solo nel lobo sinistro della tiroide nel collo c’è un piccolo adenoma cistico della grandezza di un pisello, elemento che provocò la falsa notizia della presenza di un carcinoma.” Perciò, sottolineava, la tesi che il presidente democristiano fosse caduto sotto i colpi delle BR quando era moribondo era infondata. Per fortuna sul sito del Senato è disponibile nel 2017 il verbale originale dell'autopsia che fu eseguita il 9 e 10 maggio del 1978. Venne curata dal dottor Silvio Merli dell'Istituto di Medicina Legale di Roma, assistito dal professor Franco Marracino, alla presenza del dottor Sergio Villaschi. Le parole che usarono i medici sono le stesse della Mazzocchi:
"solo nel lobo sinistro della tiroide nel collo c’è un piccolo adenoma cistico della grandezza di un pisello." La vera stranezza furono, come sostenne la giornalista della Stampa, le continue smentite degli inquirenti.

domenica 17 settembre 2017

La madre di tutte le tangenti... degli americani


La Page Europa spa, l’azienda che pagò le tangenti ai politici italiani per vendere gli aerei della Lockheed, è ancora attiva, a quanto pare. Su internet risulta che sia presente un’azienda con questo nome a Roma e anche nei dintorni della Capitale. L’indirizzo dovrebbe essere cambiato, poiché la sede di questa omonima sospetta è al quartiere Eur. Tuttavia è molto probabile che si tratti della stessa Page Europa di Giorgio Valerio, infatti afferma sul suo sito di occuparsi di telecomunicazioni. Proprio come la sua omonima del 1976, che distribuiva "bustarelle" ai politici, la quale su La Stampa veniva così descritta dall’inviato Vittorio Zucconi: "è specializzata in apparecchiature elettroniche, sistemi di telecomunicazioni, collegamenti via satellite". L’ipotesi che la Page Europa spa sia ancora presente in Italia lascia piuttosto perplessi, ma non è da escludere, visto che non vi fu un processo tradizionale della magistratura ordinaria, all’epoca dei misfatti, bensì un rinvio piuttosto inconsueto alla Corte Costituzionale. Il sistema delle scatole cinesi con cui queste tangenti venivano coperte l’ho riscontrato personalmente in altri settori nei quali fui chiamato a lavorare a Milano dal 2007 al 2009, dieci anni fa ormai. Nessuno delle forze dell’ordine a cui avevo confidato i miei sospetti mi ha preso sul serio. Sicuramente era la Page Europa implicata nello scandalo Lockheed l’azienda che funse da tramite nel marzo del 1987 per una vendita di ponti radio Troposcatter della Marconi al governo turco. La Page Europa fungeva da “capo-commessa” su finanziamento della Nato. Nel marzo del 2015 la stessa scena si è incredibilmente ripetuta. Stavolta la Page Europa figurava come intermediario tra la Selex ES, ossia la vecchia Scialotti, e il governo polacco. Scopo dell'operazione una vendita di sistemi radar della Nato.

giovedì 14 settembre 2017

L’ombra della CIA sulle armi di Montedison


Un legame tra lo scandaletto delle radio taroccate della Edison, spacciate per nuove, e il famoso affare Lockheed fu scoperto dal procuratore Ilario Martella agli inizi del 1976. La presenza nell'affare di un uomo della vecchia Edison, un certo V. A., aveva permesso al magistrato di capire che le tangenti pagate dalla CIA ai partiti italiani, con lo scopo di favorire la vendita di aerei americani da guerra, toccavano anche i dirigenti di Foro Bonaparte. Stando alle parole del giudice Martella riportate da Galvano, il signor A. figurava sia nell’organismo della Com. El., la quale funse da intermediaria per la vendita degli aerei americani, sia nella Page Europa, sussidiaria della Northrop, la quale invece si era occupata delle tangenti. Giorgio Valerio divenne in seguito presidente della Page Europa (che inizialmente si chiamava Edison-page) e nominò tra i suoi collaboratori gli stessi uomini che figuravano nello scandalo dei fondi neri della Montedison, quelli del primo processo archiviato nel 1980, che era partito dalle radioline di seconda mano della Edison. Si venne così a sapere che all’interno di Foro Bonaparte vi era ampio spazio per delle aziende che non soltanto lavoravano sulle armi, fatto all’epoca tollerato, ma erano collegate al gruppo d’affari che faceva capo alla CIA. La Montedison infatti aveva inglobato nell’azienda-contenitore Montedel anche la Elmer, ossia il nuovo nome della Scialotti, la Stirer e la Gregorini, il cui indirizzo coincideva con quello della Northrop. Il signor A. figurava come fondatore e amministratore anche nella Gregorini.

Almaviva ancora esclusivista sui radar israeliani


La notizia è del 30 gennaio 2016 in un avviso pubblicato sul sito della Guardia di Finanza. Almaviva spa, nello stesso periodo in cui apriva vertenze contro i propri lavoratori dei call center, minacciando ben 2500 licenziamenti, ha continuato a ricevere svariati milioni di euro per acquisire dagli israeliani e aggiornare con i propri sistemi i radar utilizzati dalle forze militari della Nato. Sono per la precisione 2 milioni 624.939,26 euro, iva esclusa, i fondi pubblici erogati ad Almaviva con l’appalto del dicembre 2015. Il giro d’affari internazionale legato a sistemi elettronici militari, dunque, crea un seguito rispetto a quanto fu scritto nelle notizie del 2011. Non c’è stata alcuna gara d’appalto, l’unica offerta era quella di Almaviva spa, che ha agito in regime di concessione esclusiva, un sistema di origine fascista che ricorda il piano di ricostruzione di Ancona dell'imprenditore Edoardo Longarini. Il motivo per cui è stata scelta ancora una volta Almaviva spa viene riportato nelle righe successive dalla Guardia di Finanza, che motiva così il provvedimento: “La «Almaviva» SpA è l'unica in grado di realizzare il servizio in argomento, con i requisiti tecnici ed il grado di perfezione richiesti.” L'acquisto del materiale avviene grazie a un accordo stipulato da Almaviva con la ditta israeliana "Elta Systems ltd", che opera nell'attivissima industria bellica israeliana fin dal 1967, anno della guerra dei sei giorni. Nel 2003 presentò al salone aeronautico di Le Bourget un sofisticatissimo radar antimissile da un milione di dollari.

I soldi di Longarini sono dei contribuenti


I soldi di Longarini andrebbero restituiti ai contribuenti non al comune di Ancona. Il costruttore Edoardo Longarini negli anni ‘90 fu accusato e condannato dalla magistratura per aver fatto lievitare i costi del piano per la ricostruzione di Ancona, e per esserseli poi intascati lasciando strade e ponti incompiuti. Raccontava la storia in quel periodo sul Corriere della Sera il giornalista Mario Di Tullio, che è stato un mio collega al Resto del Carlino. Scrisse che lo Stato era stato derubato di 67 miliardi di vecchie lire. Il governo aveva scelto Longarini sulla base di una legge che risaliva al 1951, creata dalla DC per la ricostruzione post-bellica di varie zone d’Italia colpite dai bombardamenti. Il progetto veniva assegnato in esclusiva, senza un appalto pubblico, sulla base di un istituto, quello della concessione, che risaliva ai tempi di Mussolini: al 1929. Longarini avrebbe dovuto rimettere in piedi zone di Ancona che dopo i bombardamenti del 1944 avevano subito anche un terremoto (nel 1972) e una frana (nel 1982). Ma concluse poco o niente, come gli anconetani sanno. A rimetterci a quel punto furono tutti gli italiani, a cui con la legge 317 del 1993 vennero chiesti attraverso un aumento della pressione fiscale i fondi necessari al rifinanziamento dei progetti. Questi ultimi chiaramente furono sottratti alla Adriatica Costruzioni di Longarini e finalmente assegnati ad altre ditte mediante appalto. Enrico Marro del Corriere della Sera scrisse che i contribuenti avrebbero pagato altri 230 miliardi di vecchie lire per completare dopo ben 50 anni la ricostruzione post-bellica di Ancona, Macerata e Ariano Irpino. Eppure una recente sentenza del tribunale di primo grado ha assegnato gli oneri per la mancata ricostruzione soltanto al comune di Ancona, che ha già pianificato di utilizzare quei fondi per la sistemazione delle infrastrutture cittadine. Tutto ciò non basta, poiché i costi per completare le strade di Ancona, non esistendo il federalismo fiscale che reclama la Lega Nord, furono spalmati dal Parlamento su tutte le Regioni.

mercoledì 13 settembre 2017

Il terrorismo islamico ha origini socialiste


E' giusto attribuire le colpe del terrorismo islamico alla religione di Maometto? Sono diversi mesi che sui giornali italiani si leggono editoriali che invitano la gente a non accogliere i musulmani, perché sarebbero pericolosi per la società. La campagna denigratoria di questo gruppo etnico, oltre a scontrarsi con la Carta dei diritti umani dell'Unione Europea, che è vincolante dal 2009 con l'approvazione del Trattato di Lisbona, e che sancisce la libertà di culto, non ha alcun fondamento nemmeno nella storia. Delle origini del terrorismo islamico parlò in tempi non sospetti, quando il fenomeno era sconosciuto, lo storico delle relazioni internazionali Ennio Di Nolfo. Tutto nacque con l'affermarsi in Siria e poi nel resto del mondo arabo del partito Baath, il quale propugnava una forma giacobina e 'spirituale' di socialismo, che dapprima entrò in conflitto con il mondo comunista dei sovietici, quindi si avvicinò progressivamente verso forme estreme simili al nazionalsocialismo di Hitler. Per Di Nolfo il Baath, da cui proveniva anche Saddam Hussein, era il "partito della resurrezione", "il cui principale teorico, il siriano Michel Aflaq, aveva cercato di miscelare elementi di panarabismo con motivi di ispirazione islamica e di riforma sociale come programma di un partito delle classi medie (e dei militari) siriani e poi, con gli opportuni adattamenti, di altre parti del mondo arabo." In Egitto il tentativo di fondere il partito Baath con il regime di Nasser, che era vicino ai russi e orientato verso un socialismo laico e nazionalista, fallì. Di Nolfo afferma anche che gli sciiti, cioè gli iraniani, erano i "campioni della lotta contro il privilegio e l'oppressione e quindi contro i detentori del potere", i sunniti al contrario, che rappresentano il 90% dell'universo islamico, "esaltano il valore del rispetto verso le autorità politico-religiose". Come potrebbe l'Isis, che viene considerato un gruppo sunnita, costituire un pericolo per le democrazie europee senza l'aiuto di qualche potenza occidentale?

lunedì 11 settembre 2017

Quando la Edison vendeva armi al Pakistan


C’è una vecchia storia che lega la Montedison, l’azienda poi indagata da Mani Pulite per la maxitangente Enimont, e il Pakistan, in un sodalizio finalizzato al traffico di armi. Lo scandalo scoppiò nell’ottobre del 1971 durante le indagini del magistrato Di Nicola su quella fornitura truffaldina di ricetrasmittenti militari orchestrata dalla vecchia Edison del presidente Giorgio Valerio, a metà degli anni Sessanta. La Edison vendette all’esercito italiano delle ricetrasmittenti spacciate per nuove, mentre invece erano riciclate da materiale delle seconda guerra mondiale di origine statunitense. Partirono le indagini che portarono a scoprire i fondi neri anche nella nuova Montedison, scatenando il primo processo terminato con delle assoluzioni. Ma intanto erano passati otto anni durante i quali era stata insabbiata la vicenda pakistana. Secondo uno dei tanti scoop di Giorgio Zicari del Corriere della Sera, la Edison aveva ottenuto nel 1967 la licenza per vendere materiale elettronico al Ministero della Difesa del Pakistan da una società americana, la “Davis Co.”. Aveva poi ceduto i diritti a due società del gruppo Scialotti, che era stato a sua volta assorbito dalla Edison. Le società si chiamavano “C.I.V.” e “Lampel”. Il Pakistan nel 1971 era finito sotto embargo per la guerra di liberazione bengalese, scoppiata nel marzo per liberare l’est pakistano, che divenne il Bangladesh. In Pakistan si formarono anche i primi guerriglieri mujaeddin, sostenuti dagli Stati Uniti, come reazione all’invasione russa dell’Afghanistan del dicembre 1979. E in Pakistan morì Osama Bin Laden, il 2 maggio 2011, nel corso di un’operazione dell’americana CIA. Il 1967 è molto lontano, eppure negli anni Ottanta il giudice Palermo aveva scoperto un traffico di armi molto simile che legava la Montedison al medioriente e all’Africa. Anche questa vicenda fu insabbiata. E' certo che il rapporto Montedison-Scialotti, con il nuovo nome di Elmer, proseguì fino a Mani Pulite, e così anche la vendita di armi.

giovedì 7 settembre 2017

La vendetta delle BR contro Dozier


Il 17 dicembre del 1981 un commando di brigatisti rapì a Verona il comandante della Nato per l’Europa meridionale James Lee Dozier. Si trattò probabilmente di una vendetta attuata due giorni dopo una sentenza che condannava i capi della cellula torinese Fiore e Acella a svariati anni di carcere, per aver trafugato un dossier dei carabinieri sulla base Nato di Vicenza. In questo dossier, ottenuto grazie a un carabiniere complice, si parlava anche dell’azione che portò alla morte ad Acqui Terme di Mara Cagol, la donna di Renato Curcio. Per la CIA comunque l’azione contro il comandante della Nato era stata programmata in un vertice tra Brigate Rosse e membri della tedesca RAF avvenuto in Svizzera, a Losanna, e poi in altri incontri a Milano, nel maggio di quello stesso anno, il 1981. Il servizio segreto statunitense, che seguì quelle vicende con attenzione, lo affermava in un telegramma conservato nell’archivio online del governo americano. Vi sono archiviati anche degli articoli di giornale secondo i quali la prigione padovana in cui Dozier fu trovato e liberato il 28 gennaio del 1982 fu svelata agli investigatori da un mafioso, un certo Restelli, che era in carcere a Milano. Il Viminale all’epoca smentì queste voci, di cui non furono trovate prove convincenti. Ciò che si può affermare con certezza è che nelle relazioni della CIA, pur di liberare il cittadino americano, veniva proposto anche di contattare la mafia per ottenere aiuto nelle ricerche.

sabato 2 settembre 2017

Carabinieri (di Gladio?) si esercitavano con gli israeliani

La "piovra" di Stato che sconfisse il terrorismo; fu poi accusata di nascondere Gladio

Il Gruppo Intervento Speciale dei carabinieri, noto con la sigla GIS, durante i primi anni Ottanta inviò dei membri selezionati a esercitarsi insieme all'antiterrorismo israeliano, al GSG-9 dell'ex Germania Ovest e con il SAS-22 britannico. Lo scopo era uno solo: sconfiggere le Brigate Rosse. Dopo il rapimento di Aldo Moro lo Stato italiano aveva lanciato una vasta offensiva, puntando in particolare su unità operative speciali, tra le quali figuravano i GIS dei carabinieri e i NOCS della polizia di Stato. Questi militari sostenevano delle dure esercitazioni fisiche, che prevedevano anche combattimenti corpo a corpo, assalti e recupero dei prigionieri, l'uso di vari di tipi di arma, ed esercitazioni psicologiche. Erano tutti molto giovani, dai venti a trent'anni, e, dati i rischi delle missioni, non potevano operare per più di quattro anni, dopo i quali i reparti attuavano il turn-over, un ricambio generazionale. Alcuni anni dopo una commissione parlamentare accosterà, direi giustamente, questi reparti operativi delle forze dell'ordine all'organizzazione segreta di Gladio-Stay Behind. Le notizie che vi abbiamo riportato sui GIS e sui NOCS vennero raccolte in un dossier della CIA datato maggio 1984 e intitolato: “Italian counterterrorism: policies and capabilities”, “Anti-terrorismo italiano - politiche e capacità”. Si tratta di un resoconto dell'attività di contrasto al terrorismo italiano condotta dal governo di centrosinistra dell'epoca. Secondo questo rapporto di intelligence erano stati raggiunti importanti risultati grazie alla riorganizzazione dell'anti-terrorismo italiano in un sistema gerarchico repressivo, in mano ai servizi segreti, che rendeva marginale il ruolo della magistratura.