sabato 28 novembre 2015

Base Conero: non era un punto chiave della Nato


La base del Monte Conero non era uno dei comandi principali della Nato in Italia. Uno dei lettori del mio blog aveva ipotizzato che "Base Conero" fosse stata costruita insieme a quella del monte Moscal e di Mondragone. Questo sarebbe avvenuto dopo l'accordo bilaterale del 1954 tra Italia e Stati Uniti. Ma da un articolo del quotidiano La Stampa del 15 luglio 1990, che parlava appunto della base di Mondragone, si evince che quest'ultima era effettivamente collegata al monte Moscal, però il terzo comando si trovava a Roma, nelle caverne Santa Rosa. Mondragone, Moscal e Santa Rosa erano i punti chiave delle telecomunicazioni della Nato in Italia, con collegamenti fino in Grecia e Turchia. Lo chiamavano il "Fronte sud", e l'Italia pare che fosse l'anello debole del sistema. Lo affermavano sia il libro della spia della Cia Rositzke, sia l'articolo del quotidiano La Stampa del 1990, a firma di Gianni Bisio e intitolato "Obiettivo russo". Anche dopo la caduta del muro di Berlino, il GRU, lo spionaggio militare sovietico, cercava infatti di entrare in possesso della chiave per decodificare le comunicazioni Nato. Victor Dimitriev e l'italiana Maria Antonietta Valente ci erano quasi riusciti. La guerra fredda non era affatto finita. Ma le due spie russe vennero arrestate. Nel 1996 la base di Mondragone venne abbandonata. Il 24 novembre 2015, infine, in seguito ai reportage del giornalista Sergio Nazzaro, la senatrice del Movimento 5 Stelle Vilma Moronese ha presentato un'interrogazione al Senato per chiedere che la ex base di Mondragone sia salvata dal degrado. Resta invece intatto il mistero sul Conero. Quale ruolo ebbe quel tunnel anti-atomico di Ancona? Era una di quelle che Bisio chiamava "basi" o "siti sensibili che osservano l'attività avversaria"? Oppure non faceva proprio parte della Nato?
La mappa delle basi Nato in Italia, Grecia e Turchia presente all'interno della Base di Mondragone. Dov'è la base del Conero?

giovedì 26 novembre 2015

Sul dossier Sifar ci fu un depistaggio del KGB?


E' probabile che il KGB abbia cercato per anni di incolpare gli americani dello spionaggio politico e delle stragi italiane. I sospetti nascono da un articolo. Il settimanale L'Astrolabio, quando era diretto dall'eroe della Resistenza Ferruccio Parri, pubblicò un rapporto segreto della CIA, che risaliva al 1963. Vi si dimostrava che lo spionaggio degli italiani, che in seguito si allargò fino a coinvolgere 157mila vittime, aveva un preciso scopo politico. L'Astrolabio scrisse che era opera del Ministero dell'Interno: era stato ideato da Scelba della DC e perfezionato da Tambroni, sempre della DC. Questo è quanto si legge nel libro di Antonella Colonna Vilasi "Storia dei servizi segreti italiani", edito da Città del Sole. L'Astrolabio auspicava che i dossier spionistici fossero trasferiti dal Ministero dell'Interno al Sifar di De Lorenzo, ma non escludeva che anche il Sifar potesse aver avviato pratiche simili, come poi in effetti avvenne. Ciò che la Vilasi non dice è che L'Astrolabio era un settimanale che dal 1974 al 1984 fu sicuramente "usato" dal KGB. Lo scrisse Repubblica nel suo articolo dell'11 ottobre 1999. Il nome in codice del settimanale di Parri era LOBI. Ma c'erano anche Tempo (ALPHA) (quello di Jannuzzi e Bisignani), L'Avanti (GAMMA) del PSI e molti altri. Erano le rivelazioni dell'archivio Mitrokhin, che però furono misteriosamente cancellate dalla versione italiana del libro. Ora la faccenda si fa più chiara, ma allo stesso tempo si preannuncia piena di inconfessabili segreti di Stato. Collegando gli scoop di L'Astrolabio (e di Tempo, che non fu da meno nel suo "Rapporto sui giornalisti-spia" del 1976) al KGB si può supporre (anche se l'articolo di Parri fu pubblicato sicuramente prima del 1974) che essi facessero parte dei numerosi "provvedimenti attivi" dei russi: dossier scandalistici inseriti nella stampa estera per screditare gli americani.

La 'Strategia della tensione' fu un'idea del KGB


E' certo che il KGB adottò una sorta di strategia della tensione nello stesso anno, il 1969, in cui in Italia avvenne la strage di Piazza Fontana. Lo affermano le carte dell'archivio Mitrokhin nella parte del libro che riguarda l'Europa dell'est. Per contrastare la "Primavera di Praga" attuata dalla destra politica antisovietica di Dubcek, l'URSS fece in modo che scoppiassero delle bombe e che si diffondesse la voce che i servizi segreti statunitensi stessero preparando nascondigli di armi per una rivoluzione. Tuttavia si scoprì, in seguito, che le armi erano degli Usa, ma erano state nascoste in contenitori fabbricati in Russia. Lo scopo del KGB era quello di giustificare con quelle voci una svolta autoritaria in Cecoslovacchia. Ci sono evidenti similitudini con quanto avvenne in Italia, nonostante la matrice degli attentati fu, nel nostro paese, spesso coperta con dei depistaggi. Solo oggi si può dire con certezza che i nostri "servizi" avevano contatti diretti e finanziamenti illegali dagli Usa. A questo punto, è altrettanto plausibile, anche se il rapporto sui giornalisti-spia del 1976 di Jannuzzi accusava soprattutto Washington, che una parte di essi agisse per conto di Mosca. Altri elementi di prova arrivano dal recente libro di Falanga "Spie dall'est". L''autore pubblica alcune dichiarazioni del reponsabile delle relazioni internazionali del PCUS Ponomarev, con le quali egli nell'ottobre del 1976 accusava il PCI di non essere disposto alla lotta armata.

mercoledì 18 novembre 2015

Caso Mattei, prende corpo la pista francese


Se fosse vera la teoria di Enzo Biagi, scritta nel suo libro sulla storia dello spionaggio, l'assassino del presidente marchigiano dell'ENI, Enrico Mattei, avrebbe ora anche un identikit. Il grande Biagi parlò di una confessione. La rilasciò un certo Lamia, agente dello SDECE, un servizio segreto francese. Disse che a uccidere Mattei era stato Laurent, questo il nome di battaglia, il quale in 15 minuti avrebbe manomesso l'altimetro sul Morane Saulnier, fermo all'aeroporto di Catania. L'aereo precipitò tra le fiamme nei pressi di Pavia. Era il 27 ottobre 1962. Ma Biagi era scettico riguardo a questa pista, perché 15 minuti gli parvero troppo pochi. Questo Laurent però è esistito. Ne parla il dossier Mitrokhin a proposito delle spie del KGB in Francia. Il nome di battaglia in realtà glielo diedero i sovietici. Laurent "era uno scienziato che lavorava in un istituto di ricerche aeronautiche della Nato". Quindi era la persona ideale per manomettere in poco tempo l'aereo di Mattei. Prove di un coinvolgimento dello SDECE, che era pieno di spie russe, nell'attentato non sono emerse. Si sa solo che Laurent ricevette nel 1973, 74 e 75 un premio dal KGB di 2000 franchi per il suo ottimo lavoro. E' probabile che questo tecnico aeronautico negli anni '60 non lavorasse ancora per i russi. La mia ipotesi quindi è che l'attentato, se fu lui a commetterlo, venne attuato per la politica antiamericana di Mattei.

Archivio Mitrokhin: ecco i nomi "sbianchettati"


Molti nomi dell'archivio Mitrokhin sulle spie italiane sono stati censurati. Lo avrete letto sui più importanti quotidiani. Si è alzato un gran polverone, ma nessuno ha specificato quali nomi siano spariti e perché. Eppure un articolo di Repubblica dell'11 ottobre 1999 testimonia che i giornalisti ricevettero "oltre 200 schede". Che però nel libro della Bur, in appendice, non ci sono. In pratica sono scomparsi alcuni politici del PSI come De Martino e Accame, e sono stati eliminati i giornalisti più importanti, tra cui Jas Gawronski e Giuliano Zincone. Non c'è accenno a giornali come L'Espresso e Tempo (quello dei giornalisti-spia del 1976), che venivano usati dal KGB. Poi manca quasi tutto il capitolo delle aziende pubbliche, controllate dal PCI e delle quali parlo nel mio libro "Consorzio di Stato". Non si parla dell'Efim, che trafficava armi, di Finmeccanica e di uomini Montedison come l'editore e petroliere Attilio Monti. Vengono elencati solo alcuni esponenti che gravitavano nell'Eni e un uomo della P2. E manca pure Iris, la spia cecoslovacca assunta dal Sismi nel 1978 di cui parlava la relazione del Copasis. Ricostruendo il puzzle si possono trarre delle conclusioni. La pista che avevamo seguito della guerra fratricida tra uomini P2 e delle aziende pubbliche a suon di stragi di Stato è assai verosimile. C'è stata anche una guerra tra giornalisti ed editori, ma Attilio Monti, del Carlino, compare sia nel dossier Mitrokhin sia in quello pro-KGB di Tempo. Si sono salvate solo le storie presenti anche all'interno del libro (che devo ancora leggere).

martedì 17 novembre 2015

Archivio Mitrokhin, tre funzionari della Farnesina rischiarono il posto


Tre funzionari di Stato "di medio livello" rischiarono il licenziamento per la loro appartenenza al KGB. E' quanto i parlamentari seppero nel 1999 poco prima della pubblicazione dell'archivio Mitrokhin, un dossier con i nomi delle spie del KGB russo in Italia. Lo comunicava la relazione del Copasis del 9 febbraio 2000, la quale specificava che due funzionari furono salvati da una nota di un dirigente della Farnesina e del vicepresidente del consiglio, i quali dettero conto della "piena affidabilità" dei funzionari stessi. Un terzo, invece, aveva già smesso di lavorare sui documenti riservati dal 1997. Ma altri due nomi del dossier Mitrokhin rivelarono la presenza di spie del KGB proprio all'interno del Sismi. Uno è Polatov (rapporto Impedian 9), alla cui identità il Sismi non seppe risalire, l'altro è una certa Iris (rapporto Impedian 177), spia cecoslovacca assunta dal Sismi nell'agosto del 1978 e poi processata negli anni '90. Nell'archivio Mitrokhin il Sismi scoprì inoltre alcuni parenti di agenti segreti italiani, che non vennero licenziati su consiglio del Cesis. Trovò, ancora, 23 agenti del KGB che potevano costituire un pericolo per la sicurezza nazionale, ma non eseguì su di loro alcuna azione di controspionaggio. La causa fu l'apertura dell'inchiesta giudiziaria sul dossier. Sempre il Sismi, a cui venne inizialmente recapitato tutto il materiale, scoprì la presenza di 34 uomini politici. Su di essi tuttavia non prese provvedimenti per non interferire nell'attività istituzionale. La situazione era quindi molto seria, ma l'atteggiamento che tennero i nostri organi di sicurezza desta molte perplessità.

lunedì 16 novembre 2015

Imi-Sir: il Consorzio salda il debito con il Sanpaolo?


Le cronache degli ultimi giorni (novembre 2015), in special modo del Sole 24 Ore, hanno evidenziato come Intesa-Sanpaolo abbia registrato nel bilancio attuale, alla voce delle entrate, delle novità sul fronte del processo Imi-Sir. Si è tornati così a parlare della guerra tra i Rovelli della Sir e la banca Imi, che si trascina dagli anni '90. A maggio del 2015 il tribunale civile di Roma ha stabilito che è la magistratura ad aver sbagliato, per via della corruzione nel primo processo vinto dai Rovelli nel 1990, costringendo così lo Stato a risarcire il danno, 173 milioni di euro più spese e interessi, ad Intesa Sanpaolo, visto che il giudice Metta e l'avvocato Acampora risultano "incapienti" (gli altri condannati sono gli avvocati Previti e Pacifico). Le cose stanno andando come il Nuovo Consorzio voleva: il Sanpaolo ha vinto la causa e ora sarà anche risarcito, in parte. Non trapela nulla di ciò che noi abbiamo svelato, ossia le trame occulte all'interno del Consorzio, che per conto dell'ex ministero del Tesoro era controllato dal Comitato, detentore del 60% delle quote del Consorzio Interbancario (il Nuovo Consorzio del 1982, appunto), nel quale figuravano moltissime banche del nord Italia, ma non più Intesa Sanpaolo (che controlla la vecchia banca pubblica Imi). Il Sanpaolo, come ricorderà chi ha letto i miei aggiornamenti, nel 2003 aveva litigato e chiesto comunque il pagamento dei danni del 1979, a prescindere dalla causa con i Rovelli. Ora ha ottenuto una discreta somma, ma siamo ancora lontani dai 1200 miliardi di vecchie lire che reclamava. Ci pare che questa condanna indiretta per lo Stato sia una specie di regolamento di conti all'interno di un forte, ma burrascoso sodalizio tra Stato e banche.

domenica 15 novembre 2015

Terrorismo, gli internet point sono tutti spiati?


La terribile strage di Parigi ha confermato la pericolosità del terrorismo islamico. Dobbiamo quindi ringraziare il Sisde se da noi non è mai successo nulla di ciò? Perché nell'informativa numero 4 sono presenti le modalità di indagine dell'ex servizio civile sul terrorismo, che nel 2006 fu estesa ovunque. Scrivevano testualmente i relatori sul finire del 2006: "La ricerca informativa del SISDE volta a cogliere modalità e luoghi delle iniziative di proselitismo, reclutamento e radicalizzazione non ha mancato di rivolgersi, oltrechè ai tradizionali centri di aggregazione, anche a esercizi commerciali, internet point e phone center. Il monitoraggio effettuato dal Servizio ha evidenziato l’esistenza di correnti oltranziste in talune località minori del Centro-Nord." Furono trovate 34 associazioni islamiche nelle Marche, 91 in Lombardia, 53 in Piemonte, per fare degli esempi. Ringraziamo allora il Sisde, e stiamo tranquilli: le telefonate che faremo dai locali gestiti dagli stranieri saranno tutte controllate. L'uomo con le cuffiette del film "Le vite degli altri" sarà la nostra realtà, dopo il giro di vite del ministro Alfano. Ma saremo spiati per la nostra sicurezza.

Il clan Mazzarella fu sgominato illegalmente?


La polizia e i carabinieri si fecero aiutare dai "Servizi". E' quanto emerge leggendo il documento numero 3 della nota informativa del SISMI, scritta per il Parlamento intorno alla fine del 2006. Arrestare le persone grazie ai "Servizi" è però illegale. Lo dice la legge sui servizi segreti, anche la più recente del 2007, la quale esclude in maniera assoluta che i magistrati possano dipendere dai "Servizi". Invece è accaduto almeno in due occasioni che gli arresti fossero portati a termine "con il contributo" - recita il testo - di SISMI e SISDE (oggi AISE e AISI). Ci riferiamo all'operazione del 23 febbraio 2006 allorché furono scoperti e arrestati, "con il contributo del SISDE", dei camorristi del clan Mazzarella che operavano con dei criminali ucraini; e all'arresto nel leccese, sempre "con il contributo del SISDE", il 22 febbraio 2006 del latitante Tommaso Montedoro. Le parole della relazione lasciano supporre, non tanto a un'informazione fornita dai "Servizi", ma a un loro concorso diretto nelle indagini. Ciò è vietato e fece scandalo l'ipotesi che per le indagini sull'omicidio di Marta Russo negli anni '90 la polizia potesse essersi avvalsa di strumenti del SISDE. Il Copasir (che allora si chiamava Copasis) interpretò così la legge nella relazione del 3 novembre 1999: "Nessun rapporto diretto può intercorrere tra autorità giudiziaria e servizi di informazione e sicurezza. Gli organi cui questi ultimi possono rapportarsi debbono invece essere, necessariamente ed esclusivamente, quelli della polizia giudiziaria. Per altro, la collaborazione che deve intercorrere tra servizi e polizia giudiziaria riveste carattere eminentemente informativo: i servizi di sicurezza, nelle forme viste sopra, mettono a parte la polizia giudiziaria dei fatti e delle circostanze acquisiti nell'esercizio della propria attività che ritengano integrare fattispecie di reato." Il titolo del quotidiano La Stampa di allora fu: "Stop alle inchieste con gli 007". E invece pare che ci risiamo.

Scalfaro? Sul Conero non era attendibile


Oscar Luigi Scalfaro, che da ministro dell'interno nel 1985 affermò, rispondendo a un'interrogazione parlamentare dei Verdi, che le zone militari del Conero potevano coesistere con i turisti, si fece pagare una tangente di 250 milioni dai "servizi", i quali ancora oggi si dice che controllino la base. E' quello che si può concludere in base alle affermazioni del generale Cornacchia, ex dirigente del SISMI, presenti nel libro del 2013 di Antonella Colonna Vilasi "Storia dei servizi segreti italiani". La richiesta ingiustificata di denaro fu inoltrata dal capo di gabinetto del ministero dell'interno Lattarulo al funzionario amministrativo del SISDE, Timpano, e venne relazionata da Cornacchia ai suoi dirigenti. Scoppiò lo scandalo. La tangente venne dapprima negata dall'ex ministro e presidente della Repubblica, poi ammessa e giustificata in modo poco credibile, secondo il generale Cornacchia, perché sarebbe stata devoluta a un istituto di religiose. Oltre a quella vicenda dei fondi neri del SISDE, furono scoperte dalla magistratura, tra il 1992 e il 1994, anche delle illegalità finanziarie nei conti dei "servizi", e venne sventato un tentativo di depistaggio da parte di un giudice, il procuratore Vinci. Non c'è una diretta connessione con il Conero, tuttavia quelle parole di Scalfaro sulla coesistenza possibile tra base militare e turisti non possono non essere condizionate da quell'episodio di concussione di cui fu protagonista, negli stessi anni, l'ex ministro.

sabato 14 novembre 2015

E intanto il Conero diventa il Vietnam?


Preoccupa ciò che succede nel monte Conero, che nella sua versione militaresca fa capolino in cronaca, e spaventa, solo quando un malcapitato si fa arrestare. In quei casi scopriamo che sotto cinghiali, alberelli e uccellini c'è il Vietnam. Sì, c'è il Vietnam, cari signori. I militari secondo un noto giornalista italiano che scrive contro la camorra avrebbero la licenza di "sparare a vista" su chi entrasse nella base. Dobbiamo accettare un'assurdità simile? L'ultima presunta spia è questo videoamatore di Castelfidardo, Montesi, il quale in uno dei più recenti video ha ripreso dei furgoni che, forse, portavano da mangiare ai militari del Conero. Ma possibile che dei militari seri non abbiano una fureria, ossia una cucina con dei militari cuochi, e si facciano portare le vivande da sconosciuti? Mi sembra strano. Ma poco credibile è lo stesso videoamatore quando sostiene di essere stato processato e minacciato dai servizi segreti. Pare che la porta d'accesso al lunghissimo tunnel abbandonato sia stata murata e che sopra, ma solo ora, vi sia un cartello militare. Come mai allora sul sito Vivereancona, che fa pubblicità al comune dorico, è ancora presente una foto dell'8 maggio 2012 che ritrae l'interno del tunnel ripreso dal Montesi e poi censurato?

Coincidenze con gli attentati di Parigi


La terribile sparatoria di ieri a Parigi è avvenuta pochi minuti dopo la pubblicazione delle mie notizie sulla morte di Moro, nelle quali sottolineo le responsabilità dei servizi segreti italiani. Sono quindi andato a verificare i dati sugli accessi al mio blog, che sono pochissimi se messi in relazione con l'importanza delle informazioni documentate che fornisco. Posso solo dire che nell'ultima settimana ho ricevuto appena 3 visite dal territorio francese, 35 dalla Germania, 40 dagli Usa e 146 dall'Italia; più altre nazioni con poche unità. La stranezza sta forse nel fatto che pochi secondi dopo la pubblicazione della notizia si contano già 6 o 8 accessi, che quasi sicuramente non sono miei. E non credo nemmeno che i miei follower siano così rapidi da fiondarsi subito su ciò che scrivo. Direi ad ogni modo che tra i miei post e gli attentati non c'è alcun nesso. Semmai è il caso di fare luce sui servizi segreti, ieri demonizzati e non solo dal settimanale Tempo, oggi salvatori della patria contro il terrorismo. C'è qualcosa che non convince.

venerdì 13 novembre 2015

Base Conero, nel 1971 il Carlino la citò in un titolo


Il Resto del Carlino il 4 ottobre del 1971 parlò del Monte Conero. Lo fece addirittura nel catenaccio del titolo sulla spia di Monfalcone, C. B., la quale aveva rubato lo schema degli impianti radar "di Monte Conero" per venderlo all'Egitto. Quel giorno B. veniva rinviato a giudizio dal giudice istruttore Antonio Alibrandi, poi molto discusso per la sua appartenenza all'estrema destra e per le accuse di Jannuzzi di aver pilotato il processo Anas. La notizia, partita da Roma e non da Ancona, uscì in modo molto simile in parecchi quotidiani nazionali. Emerge comunque un particolare nuovo. Solo due mesi prima, il 2 agosto del 1971, quando il PM Mario Bruno aveva richiesto l'incriminazione della spia, su alcuni giornali si parlò di un altro giudice istruttore, Eugenio Fusco. E fu così anche nel 1973 al momento della sentenza di condanna a 11 anni. E' quindi possibile che Alibrandi fu chiamato solo temporaneamente per le sue competenze in ambito spionistico-militare.

Aldo Moro fu ucciso per gli "omissis" su Ancona?


Il leader DC fu assassinato per i segreti legati al Sifar? Perché non rivelasse il doppio gioco dei servizi deviati? O perché poteva aver capito cosa si nasconde nel monte Conero? Una cosa è certa: Moro era ricattato da Vito Miceli, capo del famoso Sid parallelo. La verità sulla sua morte sta probabilmente negli articoli scritti da Lino Jannuzzi e Luigi Bisignani su Tempo tra luglio e dicembre 1976. Molti dei loro scoop si sono in seguito avverati, e messi insieme formerebbero il movente di quell'orrendo delitto. Miceli ricattava Moro, perché non rivelasse i segreti del rapporto Manes sul golpe De Lorenzo, quelli riguardanti la città di Ancona e l'aeroporto di Falconara. Jannuzzi scrisse parole di fuoco contro il leader DC per quelle "bugie". Il Sifar interferì nella politica italiana anche ricattando i politici dopo averne spiato le abitudini intime e private. Ma il ricatto sessuale era tipico del KGB. Lo scrisse nel 1983 la spia della Cia, Rositzke. Si parlò anche di un contatto diretto tra il Sifar e i presidenti della Repubblica, che sarebbero stati informati dal 1964 fino al 1976 sulle direttive che arrivavano dall'estero (dagli Usa? dall'URSS?) e sulle scelte da adottare. Tant'è che Andreotti (atlantista) decise di riformare, quell'anno, i servizi attribuendone il controllo al presidente del Consiglio e al nuovo comitato parlamentare detto Copasir. A questo punto entrerebbero in gioco i terroristi: prima l'Ordine Nuovo di Rauti con tendenze "nazi-maoiste" (piazza Fontana nel '69), poi le Brigate Rosse. Le loro attività eversive per Jannuzzi coinciderebbero con i governi Moro. I mandanti sarebbero gli stessi: i servizi deviati, con la compiacenza di qualche politico DC e la copertura di certi magistrati corrotti. Ci sarebbe stato negli anni '70 un regolamento di conti mafioso tra pezzi deviati dello Stato. Moro, apponendo il segreto, entrerebbe a mio parere involontariamente in questo scenario. Il suo rapimento era annunciato. Recenti documenti del Copasir, che parlano di una scissione nella P2, avvalorano queste ipotesi di una guerra fratricida. Gli "omissis" furono svelati solo nel 1990, alla fine della Guerra Fredda, quando si seppe anche parte del segreto di Gladio. Resta invece il buio profondo sul monte Conero.

mercoledì 11 novembre 2015

Uno "spione" alla corte di Monti-Riffeser?


Lando Dell'Amico viene descritto nel reportage di Tempo "giornalista-ricattatore-spione", politicamente ex repubblichino, ma convertito alla socialdemocrazia. Per questo pare che fu autore di un tentativo di corruzione di un congresso repubblicano di Ravenna, su richiesta del presidente dell'ENI Enrico Mattei e con l'aiuto del Sifar. Entrò poi nella sfera di influenza del petroliere Attilio Monti, futuro editore del Resto del Carlino. Per Monti fondò nel 1959 l'agenzia giornalistica "Montecitorio". Nel 1957-58 avrebbe tentato di coinvolgere, con documenti falsi, Giulio Andreotti nello scandalo Giuffré, facendosi aiutare dal Sifar e da "alcuni ufficiali della Guardia di Finanza". Fu un dossieraggio falso, secondo Jannuzzi, perché così stabilì la commissione parlamentare d'inchiesta. Ma c'è una possibile bufera sugli attuali editori del Resto del Carlino. Jannuzzi affermò che nel settembre del 1969, poco prima della strage di Piazza Fontana, Monti avrebbe trasmesso, tramite il giornalista fidato di Allavena, appunto Lando Dell'Amico, dei soldi a Pino Rauti. Il giornalista avrebbe poi lasciato traccia di ciò in una lettera inviata al genero di Monti, Bruno Riffeser. A quel punto, sempre Dell'Amico si sarebbe pentito, avrebbe consegnato tutto al giudice Gerardo D'Ambrosio, ma alla fine avrebbe ritrattato ogni accusa, costruendosi una villa. Di queste terribili ipotesi vorrei dire che intanto mi vergogno, perché ho firmato dei pezzi sul Resto del Carlino per alcuni anni. Monti voleva partecipare alla 'strategia della tensione'? Io penso di no, ma non nego che l'ambiente di lavoro sia subdolo e ostile. Posso confermare solo un contatto nei primi anni '80 tra la redazione del Carlino di Ancona e i Servizi Segreti. Non sottovaluterei neanche il fatto che nessuno di questi personaggi querelò il giornalista Jannuzzi.

Allavena, doppio gioco all'ombra del Conero?


Giovanni Allavena, l'uomo della schedatura di 157mila italiani, secondo l'inchiesta di Jannuzzi del 1976 avrebbe "arruolato decine e decine di giornalisti fascisti". Il redattore di Tempo lo definì un "colonnello, poi generale, stretto collaboratore del generale De Lorenzo". Fu "coautore" del "Piano Solo", quello che solo i carabinieri avrebbero dovuto attuare nel 1964, e sostituto di De Lorenzo dopo il fallito golpe del Sifar. Questo militare corrotto interessa da vicino la storia del Conero. Secondo altre fonti come Repubblica, che parlò di lui quando morì il 27 settembre del 1991, Allavena fu capo del controspionaggio di Ancona fino al 1956. Quindi, ne deduciamo, proprio mentre nasceva la base del Conero e mentre al cinema Metropolitan veniva attuata una strage dai risvolti poco chiari. L'orientamento politico di questo militare non ci pare di estrema destra. Allavena, dando per buone le accuse di Jannuzzi, avrebbe scelto tra i giornalisti da lui assoldati per raccontare la cronaca anche Lando Dell'Amico, socialdemocratico, il cui nome sarebbe collegato all'attuale editore del quotidiano di Ancona, Il Resto del Carlino. Il militare avrebbe inoltre rubato dei fascicoli del Sifar per darli a Licio Gelli. Ma soprattutto pare che fu stimato da Agnelli, che gli regalò una concessionaria Fiat a Roma, proprio nel periodo in cui la Fiat fondava una sede in Russia, in nome di un ponte economico tra USA e URSS. Ulteriore conferma di un doppio gioco starebbe nel fatto che Allavena, fondatore di un comitato per l'elezione di Nixon, secondo Repubblica fu ascoltato dal PM Mastelloni nel novembre del 1990 nell'inchiesta su Argo 16, aereo che si disse fu fatto cadere dal Mossad israeliano per vendetta contro la politica filopalestinese del governo italiano. Conferme? Ce ne sono tante: Allavena comparve cinque anni dopo l'inchiesta di Jannuzzi nella lista della Loggia P2 e si parlò di lui anche quando nel 1990 scoppiò il caso Gladio.

Jannuzzi, dalle accuse ai giornalisti alla difesa di Berlusconi


Chi è Lino Jannuzzi, il grande accusatore dei giornalisti? Nel periodo di quegli scoop era nella direzione del settimanale Tempo, che fu un grande giornale, fondato nel 1939 dalla Arnoldo Mondadori. Nel 1976 Tempo era edito ormai dalla Palazzi e diretto da Carlo Gregoretti. Con Jannuzzi figuravano firme come Franco Ferrarotti, Gaio Fratini, Dacia Maraini, Ruggero Orlando, Sandro Paternostro e molti altri, ma anche il futuro inquisito Luigi Bisignani. Era un settimanale scandalistico che si occupava di politica, cultura, arte. Leggendo gli articoli di Jannuzzi del 1976 ho scoperto un raffinato scrittore e un pungente critico dei poteri forti. Come nell'articolo sulle spie, nel quale arrivò a ipotizzare che il ministero degli Interni, "non alleva più le 'Avanguardia nazionale', ma si cresce le 'Brigate Rosse' e i 'Nap'. Che cosa aspettiamo? - fu la sua denuncia - di diventare tutti 'brigatisti'?" Due anni dopo, quando Aldo Moro fu ucciso senza che il mondo politico intervenisse, Tempo era già chiuso. Le sue pubblicazioni si interruppero nel gennaio del 1977. Jannuzzi proseguì la carriera nei giornali di centro-destra e quando scese in campo Berlusconi fu quello il suo modello, dopo aver difeso Andreotti, sostenuto l'ascesa di Craxi al PSI e aperto a una "primavera" del PCI per "applicare la Costituzione". Accusò invece Cossiga di essere un accentratore di potere. Del resto anche il Copasir vide nella sua relazione del 5 marzo 1996, sul dossier spionistico dell'ex capo del SISMI Cogliandro, una contrapposizione netta tra De Benedetti, che acquistò nel 1987 uno dei bersagli di Jannuzzi e cioè L'Espresso, e l'asse Andreotti-Craxi-Berlusconi, al punto che in una nota del settembre 1989 del dossier Cogliandro - disse il Copasir - l'attacco a Berlusconi veniva "considerato un pericolo per il Governo Andreotti". All'opinione pubblica però è più nota, per le successive vicende giudiziarie-fiume, l'amicizia diretta Craxi-Berlusconi. L'impressione è quindi che Jannuzzi e gli stessi giudici di "Mani pulite" raccontino solo una parte di ciò che sanno.

Un "gioco del ricatto" nei processi di Berlusconi?


Lino Jannuzzi in un reportage di Tempo del settembre 1976 sembra descrivere gli attuali processi di Berlusconi. All'epoca lo fece per criticare l'incapacità della Commissione Inquirente, che giudicava sui reati dei parlamentari, di arrivare a delle condanne. Quella Commissione aveva l'abitudine, secondo Jannuzzi, di comportarsi come Pietro Scaglione, che lui definiva "il procuratore della mafia", cioè colluso con i criminali, contrariamente ai giudizi positivi che invece hanno espresso di recente il giudice Grasso e Wikipedia: "Molte denunce o lettere 'anonime' - scrisse Jannuzzi nel '76 - se le scriveva da sé (almeno così vuole la leggenda). Poi le faceva riposare qualche tempo, e le guardava coprirsi di polevere, e ingiallire fino al limite della prescrizione dei reati che vi erano elencati." Questo secondo il giornalista di Tempo, ma era così anche per il giudice Squillante, intervistato allora da Tempo e poi protagonista in negativo nei processi del "Berlusca". Tutto avveniva perché Scaglione, e così l'Inquirente, voleva aspettare il momento giusto nella vita sociale per tirare fuori dal cassetto le accuse e far nascere "il processo dell'anno." Senza che quel processo arrivasse a qualche risultato, "fino a spegnersi in una assoluzione per insufficienza di prove, e soltanto per qualcuno degli imputati minori". Era un gioco del ricatto che costò caro al povero giudice Scaglione, crivellato di proiettili nel 1971 "sotto il muro del cimitero, dove andava la domenica a interrogare i morti sui segreti dei vivi del suo paese". Jannuzzi oggi difende Berlusconi, come nel 1976 difendeva Andreotti. Non chiede più le condanne dei politici, al contrario le critica. Perché nella persecuzione dei giudici moderni non riscontra nulla del gioco dei ricatti degli anni di piombo?

Mino Pecorelli è sicuramente il Marilli del film La Piovra 2


La certezza che la vita del giornalista ucciso nel 1979 sia stata rappresentata nel film della Rai La Piovra 2 arriva dall'inchiesta di Lino Jannuzzi sui giornalisti spia. Alla voce "OP", che era l'agenzia di Pecorelli, il redattore di Tempo scrisse nel 1976: "Uno dei giochi preferiti da Miceli e da Marzollo era questo: di tanto in tanto facevano attaccare pesantemente dalla OP questo o quel personaggio politico; poi si presentava al personaggio oggetto degli attacchi per garantirgli che sarebbero intervenuti per farli cessare". Pecorelli così sarebbe stato pagato per tacere, più che per pubblicare. Ci sono riscontri di questa teoria non solo nel film, ma anche nell'inchiesta del Copasir sulle deviazioni dei Servizi, datata 6 aprile 1995. Gli inquirenti del Parlamento affermarono nella relazione che i giudici, dopo l'omicidio di Pecorelli, sequestrarono in casa del giornalista una serie di documenti riservati provenienti dai Servizi Segreti e provarono l'esistenza di fitti contatti tra Pecorelli e i vertici dei Servizi, tra cui anche Vito Miceli, l'uomo del Supersid. Il giornalista aveva nelle mani, tra gli altri, un fascicolo dei Servizi sull'attività di Licio Gelli nell'immediato dopoguerra in Toscana (pare che vi fossero dei contrasti interni alla Loggia P2). Questo fascicolo segreto venne chiamato "Cominform", che è il nome dell'ente economico dell'ex URSS. Dunque anche il giudice Alibrandi e i militari del monte Conero possono aver avuto rapporti diretti con Gelli e l'ex URSS?

martedì 10 novembre 2015

Base Conero, il giudice Alibrandi era un "fascista corrotto"?


Antonio Alibrandi, il giudice che istruì il processo contro la spia di Monfalcone, C. B., che aveva rubato lo schema degli impianti radar del monte Conero, era fascista e corrotto? L'accusa gli fu mossa dal giornalista di Tempo, Lino Jannuzzi, nel famoso reportage del settembre 1976 sui giornalisti spia. Alibrandi secondo le indiscrezioni era un "propagandista" di Almirante e avrebbe aperto un'inchiesta sull'Anas "pilotandola secondo gli indirizzi e gli intrighi dell'ufficio 'I'' della Guardia di Finanza e del ministro delle finanze dell'epoca, il socialdemocratico Luigi Preti". Secondo Jannuzzi quella fu un'inchiesta creata per attaccare i socialisti. Ma Alibrandi violò anche il segreto istruttorio "favorendo la fuga di notizie tendenziose tramite il cronista giudiziario dei giornali della catena Monti, Guido Paglia". Cosa c'è di vero in queste accuse? Alibrandi fu sicuramente un giudice discusso, lo scrisse pure La Stampa nel 1981. Sua fu anche l'inchiesta sull'Italcasse e, in particolar modo, quella sulla Sir di Rovelli, a proposito della quale si disse in ambienti parlamentari che era stata partorita a casa di Licio Gelli. Un'inchiesta della P2, quindi, voluta per screditare i nemici privati della Montedison. Dai fondi neri di quest'ultima, secondo fonti di sinistra, sarebbero usciti i soldi con cui Attilio Monti acquistò il Resto del Carlino. E il cerchio si chiuderebbe. Su Alibrandi c'è inoltre l'ombra terribile di un coinvolgimento del figlio nella strage di Bologna del 1980. Sono notizie sconvolgenti soprattutto perché gettano dubbi sull'operato dei magistrati che si interessarono del monte Conero e che ebbero rapporti con i servizi segreti, ai quali con la legge 801 del 1977, voluta da Andreotti, fu proprio vietato di entrare nelle indagini della magistratura.