giovedì 29 giugno 2017

La polizia giudiziaria non esiste


Ho scritto un titolo provocatorio per far capire ai miei lettori che c’è qualcosa che non va nell’attività giudiziaria italiana. La polizia giudiziaria esiste, ma nei libri non viene affatto identificata come una categoria autonoma. Chi si nasconde dunque dietro questo nome che sentiamo spesso nei grandi processi nazionali? Secondo la legge, la polizia giudiziaria è formata dalle stesse persone che possono fermare i cittadini per strada per una multa: poliziotti, carabinieri, finanzieri, vigili urbani, agenti di custodia e guardie della Provincia. Tutti i corpi di polizia che esistono nella nostra nazione sono complessivamente classificati come polizia giudiziaria.
E’ bene sottolinearlo perché molte persone che vogliono denunciare qualcosa devono pretendere che ciò avvenga in tutte le stazioni di polizia o dei carabinieri o delle finanza. Poi vi sarà chiaro perché faccio questa precisazione.
Il libro un po’ datato ma sempre utile “La legge è con noi” afferma che la Polizia Giudiziaria è formata da due categorie di persone: gli ufficiali con funzioni direttive e gli agenti con funzioni esecutive. Gli ufficiali di polizia giudiziaria sono i graduati delle varie “forze pubbliche” (si chiamano anche così), gli agenti sono tutti gli altri. Anche i sindaci dei comuni in cui non vi siano ufficiali di polizia giudiziaria possono assolvere questa funzione.
Ma allora perché in Italia i notiziari parlano di polizia giudiziaria come di un corpo estraneo? Sul sito Ilvelino.it c’è ad esempio un articolo molto ben scritto nel quale, oltre ai nomi degli indagati della camorra, viene riportata la seguente frase: “Apporto importante alle indagini, svolte dal Commissariato di Scampia, emerge soprattutto dalle indagini tecniche e dagli accertamenti operati dalla Polizia Giudiziaria”. Cosa vuol dire tutto ciò? Una volta mi è capitato mentre mi trovavo nella redazione di un giornale per scrivere un articolo di dover aprire la porta, perché ero lì davanti mentre bussarono. Mi si presentò una donna con i capelli lunghissimi neri legati a forma di coda di cavallo. Vestiva un completo blue jeans, eppure si qualificò come agente di polizia giudiziaria. Doveva perquisire l’ufficio di un giornalista. Un fatto grave. Ma a quale corpo di polizia apparteneva?
Per capirlo occorre leggere il sito della procura di Torino. Vi è scritto che “Presso ogni Procura della Repubblica è costituita una Sezione di Polizia Giudiziaria composta da personale appartenente alle varie Forze di Polizia.” Quindi ciò significa che le indagini che vedete in televisione, quelle importanti, avvengono partendo non da una qualsiasi caserma di polizia, bensì da un ufficio di poliziotti scelti dalla procura, ed esclusi da altri compiti. Specificano infatti i signori del tribunale: “Gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che appartengono alla sezione sono alla dipendenza permanente, diretta e funzionale del Procuratore della Repubblica - che dirige la sezione e ne coordina l'attività - e svolgono per lui e per i magistrati della Procura tutte le attività di volta in volta loro delegate.” E ancora: “Gli appartenenti alla sezione non possono essere distolti dall'attività di polizia giudiziaria se non in casi eccezionali e per disposizione o con il consenso del Procuratore della Repubblica.” Molto chiaro, mi sembra. Si tratta proprio di un corpo scelto, nel quale secondo l’enciclopedia Wikipedia vengono inseriti anche altri cittadini, probabilmente per carenza di personale, ovvero “alcuni soggetti in servizio presso la pubblica amministrazione italiana, e in taluni casi anche privati cittadini, nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge”. Qual è il problema che sorge a questo punto? Che tutte le caserme d’Italia non comunicano direttamente con il magistrato, e dunque verrebbe meno l’obbligo di legge di denunciare i reati all'autorità giudiziaria. Infatti il libro “La legge è con noi” spiega bene la polivalenza del lavoro in polizia: si è da una parte forza pubblica, e dall’altra polizia giudiziaria. Ovunque. Cito testualmente: "Il carabiniere o l'agente che staziona dinanzi a una banca con l'incarico generico di sorvegliare, svolge attività di polizia di sicurezza; quello stesso carabiniere o agente di P.S. se poi arresta o insegue la persona che si è introdotta nella banca per commettere una rapina, svolge un'attività di polizia giudiziaria". Quindi dubbi non ce ne possono essere. La legge mi pare che sia rimasta identica.
Cosa fanno allora tutti gli altri? Qualcuno su Facebook mi ha scritto: “proteggono i politici”. Io mi auguro che facciano anche qualcos’altro. Sicuramente suona molto strano che sul sito dei carabinieri e su quello della polizia compaiano le solite notizie senza nomi dei protagonisti, dunque inutili a livello giornalistico, di piccole operazioni contro la malavita. Intanto perché diventa superfluo leggere i giornali se questi sono fatti con il copia e incolla di avvenimenti presenti sui siti della “forza pubblica”. Ma ancora più grave è il fatto che queste notizie siano contrassegnate dal nome del Ministero della Difesa, per i Carabinieri, e del Ministero dell’Interno per la Polizia. E’ chiaro a tutti che il Ministero della Difesa e il Ministero dell’Interno hanno altro a cui pensare che inviare notizie ai giornali o alle agenzie di stampa. Giusto? E allora cosa fanno se non rispondono al Ministero della Giustizia? Nulla? E’ una domanda che mi piacerebbe porre a una prossima conferenza stampa. Ma temo proprio che non sarò un inviato gradito.
A me non piace parlare della mia vita personale, però quando sono vittima di qualche reato (non considero nemmeno l'ipotesi di esserne colpevole) sono pur sempre un cronista che deve raccontare i fatti. E allora forse oggi ho una risposta alla domanda che mi ponevo da tempo: perché quando entro in una caserma per denunciare le illegalità che subisco, e me ne succedono tante e gravi di cose, non si attiva mai nessuna procedura? Mi dispiace che questa risposta sia stato costretto a trovarmela da solo.

martedì 27 giugno 2017

Novara, continuano le intimidazioni


Si è ripetuta la scena del messo del tribunale. Dell'ufficiale giudiziario in borghese che, allegramente, mi consegna un foglio (l'altra volta nel 2010 era un gruppo di fogli), nel quale ci sono sempre sgradite sorprese. Nel 2010 un amministratore di condominio mi aveva inviato un'ingiunzione di pagamento senza permettermi di andare in causa. Si trattava di spese che gravavano sul precedente proprietario del mio immobile, ma che lui pretendeva da me, con telefonate, raccomandate, minacce. E senza spiegazioni. Mi fecero avere una condanna civile lampo, con annesse spese legali per 2000 euro, senza che avessi visto il tribunale e senza una riunione condominiale per la mia messa in mora. E per ottenere qualcosa, visto che stentavo a credere in questa giustizia sommaria, arrivarono dei vigili urbani armati. E adesso? L'altro giorno una signora mi ha consegnato un foglio in cui c'è scritto che sono imputato, già imputato, senza preavviso, senza essere stato convocato, senza informazioni sull'avvio delle indagini. Dovrei essere processato per diffamazione. Perché un dirigente scolastico non ha gradito alcuni passaggi di due miei post in cui raccontavo dei gravissimi fatti accaduti in una scuola pubblica. E quindi aveva il diritto di rovinarmi la reputazione così? Ancora una volta una persona decide di farsi giustizia da sola, sbagliando di grosso anche sulle sue accuse. Perché mi sono informato e, non solo non ho mai citato l'uomo e non l'ho umiliato con epiteti (cosa che invece verso di me si ripete da anni), ma non sussisterebbe comunque l'accusa di diffamazione nel caso in cui si risponda a un'offesa, a una provocazione (e ne subisco parecchie), oppure se si è un cronista e si svolge il proprio mestiere di raccontare dei fatti. 
Direi che i fatti erano sotto gli occhi di tutti già con il primo post. Inutile commentare ancora. In certe scuole ci sono pressioni inaccettabili di genitori e di dirigenti. A me questo del processo di Kafka (perché è quello) è sembrato subito uno stupido scherzo, poiché conosco perfettamente la prassi giuridica del processo penale per essermene occupato su questo blog negli anni scorsi. Il vero problema sono le reazioni delle forze dell'ordine, le quali mi danno l'impressione, se non di partecipare alle intimidazioni che ricevo, comunque di preferire che il ricatto prosegua. Perché le cose non si sistemeranno di sicuro da sole. A uno dei numeri di emergenza delle forze dell'ordine mi hanno detto una cosa di una gravità estrema: che questa persona avrebbe, uso il condizionale, pagato un avvocato per farmi diventare imputato in un processo penale. E in questo modo. Giustizia a pagamento? A quanto si vende al chilo una denuncia per diffamazione? E una per truffa? E una per stalking? Non ho proprio parole. Sono andato in una caserma e mi sono proprio trovato a disagio. Alcuni militari cercavano visibilmente la rissa verbale. Volevano aggiungere, già che c'erano, qualche altra accusa? Eppoi erano militari anche strani, con una camminata tutt'altro che cadenzata. Molto poco militari e per niente conoscitori e tutori della legge. Non so, a me sembra un muro di gomma simile al caso Ustica. Solo che io sono un cittadino qualunque, in questo caso, anche se scrivo, la gente mi legge e compra qualche volta i miei libri di attualità. Ho inviato e-mail di protesta a tutte le autorità. Non ha risposto nessuno. Solo silenzio. Mi domando con quale spirito questi signori vadano a casa, sapendo che una persona vive nell'ansia anche per colpa loro. Se succede qualcosa dovrò cavarmela da solo. Perché sono solo, purtroppo. Posso soltanto parlare con questo blog. E forse si accaniscono per questo.

La CIA temeva una soluzione autoritaria


“Le Brigate Rosse possono generare pressioni per una soluzione autoritaria”. Finiva con queste parole un rapporto confidenziale della CIA, il servizio segreto statunitense, sulle Brigate Rosse italiane redatto nei primi mesi del 1982 e intitolato "The Red Brigades". Su questo punto convergevano tutte le analisi di intelligence, dei paesi dell’Est, come di quelli occidentali atlantici: le Brigate Rosse creavano instabilità ai governi e potevano portare a una soluzione autoritaria. Ma, conclusioni a parte, l’analisi americana del terrorismo italiano differisce in molti aspetti da quella dei paesi oltrecortina. Si tratta di un rapporto di 15 pagine, censurato in qualche passaggio, corredato da una cinica appendice con le stragi mese per mese, anno per anno. Ciò che colpisce subito è che l’indagine è molto precisa e fredda, più poliziesca, ma debole sotto il profilo politico. La CIA passa in rassegna ogni dettaglio dell’organizzazione dei terroristi italiani, dei quali conosce la vita personale, le opinioni politiche, ne scruta le tattiche militari e studia gli obiettivi che i brigatisti si prefiggono con le azioni criminali. Non c’è dietrologia come nel caso della Stasi e non ci sono sospetti di cospirazioni. Quello che appare non nasconde nulla di diverso, di inconfessabile.

domenica 25 giugno 2017

Ecco le prove che il terrorismo era nazimaoista


Alcuni gruppi terroristici di sinistra venivano sicuramente manovrati dai neofascisti. Lo affermavano gli analisti dell’intelligence dell’ex Germania Est nel 1980, ed è ampiamente e facilmente dimostrabile con una ricerca d’archivio con internet. Nella seconda parte dell’articolo scritto da Hermann Mierecker sul terrorismo italiano, che appare di stampo più politico propagandistico, vi sono due nomi che colpiscono la nostra attenzione. Innanzitutto quello dei NAP, i Nuclei Armati Proletari, dei quali Wikipedia scrive che furono un gruppo di estrema sinistra, e in gran parte confluirono dal 1977 nelle Brigate Rosse. Secondo l’analista della DDR, al contrario, i NAP rappresentavano un tipico esempio di “camuffamento” del terrorismo neofascista. I NAP sarebbero in realtà “un’organizzazione puramente fascista, nemica della democrazia, dei lavoratori e di tutta la sinistra”. Sarebbero state le “Squadre d’azione di Mussolini” a nascondere dei neofascisti dentro ai NAP e questo perché, secondo Mierecker, le “Squadre d’azione di Mussolini” sarebbero identiche alle Brigate Rosse. Per Pankow non è mai esistita una guerra fra opposti estremismi: “Strategia della tensione” e attentati contro i politici erano progettati dallo stesso gruppo di estremisti. Scrive Mierecker: “Un tipico esempio di questa interazione nel contesto della “strategia della tensione” neo-fascista è “l'Organizzazione lotta di Popolo” “OLP”.” Si trattava di un nucleo formato da maoisti e neofascisti di “Avanguardia Nazionale”. Avrebbe fondato basi operative a Roma, Torino, Genova, Napoli, Salerno, Bari e in altre città “che erano centri della “Strategia della tensione”. L'OLP” - prosegue Mierecker - infiltrava la sua gente nei gruppi estremisti di sinistra, organizzava numerosi atti di terrorismo e ha contribuito nel dirigere le indagini della polizia sulla “sinistra”. Queste provocazioni sono per lo più sotto la protezione degli organi dello Stato.”

lunedì 19 giugno 2017

“Un neofascista a capo delle Brigate Rosse”


Lo disse anche il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, poco dopo il sequestro di Aldo Moro: “questi terroristi sono fascisti”. Poi con il tempo corresse il tiro e si attirò l’odio di Mosca. L’ipotesi, sostenuta da Mierecker, che le Brigate Rosse siano state organizzate da neofascisti travestiti da comunisti può far sorridere. Gli analisti potrebbero definirla il punto più alto della dietrologia anticonformista. Tuttavia va analizzata punto per punto, perché ha dei solidi appoggi nella realtà: l'estremismo di sinistra filocinese unito ad elementi del neofascismo avrebbe creato, secondo l’opinionista della DDR, in Italia un clima di guerriglia che avrebbe fatto l’interesse della classe borghese. Dietro questi atti di terrorismo, secondo l’analisi di Mierecker, vi sarebbe stata la mano della CIA. “E' la CIA, che ha organizzato finanziato e manovrato gruppi terroristici, che ha rilanciato negli ultimi mesi in Italia la guerriglia urbana della P38, ha introdotto la strategia totale armata nel nostro paese, e la sanguinosa lotta contro lo Stato”, avrebbe scritto la rivista italiana “Giorni” nell’aprile del 1977.

“La CIA ha inventato le Brigate Rosse”


“Le Brigate Rosse sono un tipico esempio di utilizzo dell’estremismo di sinistra e del controllo e dell’infiltrazione di organizzazioni di sinistra da parte delle agenzie di intelligence imperialiste, con la CIA in testa, e da parte dei neo-fascisti.” Dunque la CIA avrebbe creato le Brigate Rosse? Queste affermazioni choc arrivano da un opinionista dimenticato, di cui non si sa praticamente nulla. Possiamo solo dire che si chiamava Hermann Mierecker e che un suo articolo del 1980 è conservato nell’archivio della Stasi a Berlino, catalogato con la sigla: MfS-HA XXII 1841. Le ipotesi che formulò vengono etichettate dall’attuale storiografia come “propagandistiche”. Ma se propaganda vuol dire parole vuote senza riferimenti a fatti precisi il giudizio ci appare quantomeno affrettato. Mierecker di prove ne aveva. Volendo sposare le sue teorie potremmo azzardare una considerazione: la sinistra non aveva alcun interesse a sviluppare una guerra disperata con il potere industriale, cui aveva strappato con gli scioperi del 1968-69 degli accordi storici. Difatti le Brigate Rosse non si schierarono mai con il sindacalismo della loro epoca, che fu anzi tra i loro obiettivi militari principali. Chi poteva dunque avere interesse, in un quadro socio-assistenziale che lasciava pochi margini al liberismo economico americano, nel creare una rottura ideologica con la classe dirigente, se non proprio la parte violenta di quel capitalismo sconfitto con lo Statuto dei Lavoratori del 1970?

giovedì 15 giugno 2017

L’internazionale del terrore di Gladio


E’ mai esistita prima dell’attacco al World Trade Center un’internazionale del terrore? Ed è mai stata finanziata dagli arabi? Sembra incredibile ma la risposta arriva dal lontano 1976, dai tempi della banda Baader-Meinhof: sì, negli anni di Piombo si stava creando qualcosa di simile ad Al Qaeda. In un bellissimo articolo della Stampa, intitolato: “I terroristi tedeschi” e pubblicato il 3 agosto del 1976, il giornalista Tito Sansa affermò che vi erano contatti frequenti tra le Brigate Rosse, la RAF e i terroristi palestinesi, ma soprattutto che questi “criminali politici” ricevevano “ingenti sovvenzioni” dai paesi del Medio Oriente. “Non c’è più azione di pirateria aerea, occupazione armata di ambasciata, attentato politico internazionale al quale, insieme con i palestinesi e con il ricercatissimo Carlos, non abbiano partecipato anche tedeschi”, scriveva Sansa nel suo articolo. “A Parigi, all’Aja, a Ostia, a Stoccolma, a Vienna, a Entebbe (per ricordare le azioni più spettacolari) erano sempre presenti terroristi tedeschi, o sono stati impiegati mezzi e armi forniti dai tedeschi.” Ma dove avvenivano i contatti tra le BR e la RAF? In tutta Europa, e non solo. “Avvengono in Francia, in Svizzera, in Austria, in Italia, e soprattutto nel Medio Oriente - disse il capo della polizia dell'ex Germania Ovest, Boeden - da dove (non sappiamo da parte di chi, abbiamo soltanto sospetti) i criminali politici ottengono ingenti sovvenzioni. Non possiamo accusare la Libia - proseguiva Boeden nell’articolo di Sansa - del resto Gheddafi ha smentito seccamente. Possiamo solo dire che lo Yemen meridionale offre ospitalità ai terroristi tedeschi.”

venerdì 9 giugno 2017

L’Italia complice dei terroristi? I politici se ne infischiano


La notizia è su tutti i giornali del mondo. Solo il parlamento italiano finge di non vederla. Un piccolo ma ricchissimo paese della penisola araba, il Qatar, è stato isolato dagli altri stati confinanti perché accusato di essere un finanziatore e fiancheggiatore politico del terrorismo islamico. Il problema è che l’Italia è uno dei principali partner commerciali del Qatar, così come l’Inghilterra. Non solo. Il quotidiano online La notizia giornale ha subito ricordato il 6 giugno 2017 che l’Italia a questo Stato arabo non ha venduto beni commerciali qualsiasi, bensì armi. Nel 2016 sono stati venduti siluri, navi militari e bombe per oltre trecento milioni di euro. E forse molti guadagni non sono neppure stati dichiarati ufficialmente in bilancio. Il Qatar in cambio si è impegnato a finanziare opere pubbliche italiane e aziende private, ed è presente un po’ ovunque, dalla Sardegna al cuore di Milano. Ci si sarebbe dovuti aspettare una crisi di governo. Il partito di maggioranza, il PD, è gravemente coinvolto in questo scandalo. Invece i politici italiani non leggono i giornali e vanno avanti alla cieca. Probabilmente è troppo tardi per una verifica parlamentare che possa salvare la faccia di questa seconda repubblica. Le notizie che furono pubblicate dagli illustri quotidiani britannici, come L’Independent e il Telegraph, alcuni anni fa, quando l’Isis muoveva i primi passi, parlavano chiaramente di gravi responsabilità del Qatar nel terrorismo islamico. Possibile che un parlamentare italiano non abbia l’abitudine di farsi una rassegna stampa anche dei giornali esteri? Lo conoscono l’inglese? Da dove deriva tutta questa loro ostentata sicurezza? Dal fatto che sono convinti di poter condizionare la stampa e non viceversa di essere costretti a seguirne gli scoop?

lunedì 5 giugno 2017

Famoso fotoreporter tra i ricercati dei cecoslovacchi


C’è anche un famoso fotoreporter dell’Unità e del Corriere della Sera tra gli italiani che, insieme a Luigi Ceccobelli di Fratta Todina, furono indagati dai servizi segreti cecoslovacchi perché sospettati di far parte di una rete terroristica (oggi si dice così, no?). Il fotografo è Rodrigo Pais, e non ci possono essere dubbi che l’Stb cercasse proprio lui. In un documento compare un elenco di nomi e cognomi accompagnati dalla data e dal luogo di nascita e dalla località della loro residenza nel 1977, al momento dell’inchiesta. Rodrigo Pais è l’ultimo della lista, preceduto dal commento dell’intelligence: “qualche viaggio a Praga”. Era nato il 28 settembre del 1930 a Roma. Tra i vari servizi che Pais aveva effettuato c’era, secondo quanto riporta l’enciclopedia Treccani, anche un reportage sulla “grande festa del Primo maggio 1968 a Praga con il popolo cecoslovacco stretto intorno ad Alexander Dubček”. Potrebbe essere il motivo per il quale i cecoslovacchi lo avevano inserito tra i sospettati. Ma quale rapporto poteva esserci con Luigi Ceccobelli e i suoi amici umbri, i quali furono accusati dalla signora Barbara Slagorska Berardi di far parte di un nucleo terroristico neofascista? Proprio non si riesce a capirlo. Neanche lo stesso Ceccobelli fornisce una spiegazione all’enigma.