martedì 20 dicembre 2016

Clima, rivivremo l'annata 1889-90?


Che tempo farà nel 2017? Molti mass media vi bombarderanno con le previsioni più strampalate. In realtà da alcuni anni, seguendo i concetti basilari della seconda legge di Newton, stiamo riuscendo a prevedere, prima di tutti gli altri, quale sarà a grandi linee l'andamento del tempo atmosferico sull'emisfero boreale. Newton disse: "l'accelerazione di un oggetto è proporzionale alla forza F che agisce su di esso e inversamente proporzionale alla sua massa m". In fisica si chiama anche "secondo principio della dinamica". Nel solstizio d'inverno a nostro giudizio una forza esisterebbe, e sarebbe il vortice freddo che dal Polo Nord inizia a muoversi, più o meno compatto, verso sud, verso le fasce temperate. Quella spinta, unita alla forza di Coriolis che rimane costante, genererebbe una serie di ondulazioni che vanno dal 20-21 dicembre fino allo stesso periodo dell'anno successivo. Le osservazioni che abbiamo svolto per puro divertimento hanno dato ottimi risultati. Si può prevedere il clima che avremo su un ampio territorio nelle varie stagioni dell'anno, basterebbe trovare una spinta del vortice polare nel solstizio d'inverno simile a quella attuale. Tuttavia non sempre, come abbiamo detto più volte, la circolazione atmosferica si mantiene identica, anche qualora si avverasse la situazione che abbiamo appena descritto. Secondo le nostre stime l'anno che più si conformerà all'andamento climatico del 20-21 dicembre 2016 è il 1889-90.
 

Un confronto tra il clima del 20/12/1889 (a sinistra) e del 20/12/2016 (a destra).

domenica 18 dicembre 2016

Un omonimo di Marra fra i Casalesi?


Cosa ci fa un Raffaele Marra in un articolo del quotidiano La Stampa del 1997, nel quale veniva descritto come rapitore di Casal di Principe?
Un uomo con questo nome lo stiamo vedendo tutti, da qualche giorno, mentre nell’auto dei carabinieri, coprendosi il volto con i polsi ammanettati, si avvia verso il carcere. La stessa solfa la leggiamo sui giornali di destra, di centro e di sinistra: il braccio destro del sindaco di Roma, Virginia Raggi, è stato arrestato per corruzione. L’indagato è un uomo di 44 anni, napoletano di origine, che si sarebbe fatto corrompere da un imprenditore per concedere favori. Sembra una nuova inchiesta sul tipo di Mafia Capitale. Eppure un Raffaele Marra, di 23 anni (il Marra attuale ne avrebbe avuti 25, all’epoca), venne arrestato nel 1997 perché scoperto dai carabinieri mentre cercava di incassare i proventi di un sequestro di persona nel casertano, a Casal di Principe, la terra storica dei Casalesi, il clan camorristico di cui parla nei suoi libri lo scrittore Roberto Saviano. Ma Marra e i suoi complici, altre tre persone, non risultavano coinvolti nei traffici dei Casalesi.

venerdì 16 dicembre 2016

Intimidazioni mafiose nel novarese


Sono costretto a scrivere purtroppo un articolo sulle intimidazioni che ricevo personalmente nella zona in cui abito per lavorare. Da quando nel 2009 accettai di trasferirmi in questa zona per effettuare servizi televisivi, non ho fatto altro che subire maltrattamenti ingiustificati, minacce telefoniche, minacce nel condominio, processi senza avvocato, richieste di soldi dall'ente che gestisce le pensioni dei giornalisti, pur senza percepire stipendio nei giornali da parecchi anni. E questo dopo essere stato attirato con l'inganno. Sembra quasi un gioco sadico. Non ho potuto denunciare niente perché i carabinieri, la polizia e la finanza mi cestinavano in continuazione le richieste di aiuto. 
Ora vengo addirittura cancellato da tutte le scuole (di Novara? del Piemonte? d'Italia? dell'Europa? Sarò dannato anche oltre la morte?) per aver rifiutato di subire pressioni da genitori e da dirigenti interessati evidentemente alla promozione degli alunni al di fuori dello scrutinio, ma anche all'umiliazione di un insegnante che si era permesso di assegnare voti sgraditi. Non bastava farmi fuori con la prepotenza in quella media inferiore, allora. Si vuole ottenere molto di più. Devo pensare che i dirigenti siano tutti maleducati e arroganti nella stessa maniera? Vogliono copiarsi tutti nella corruzione? Ci sono persone, molto in alto evidentemente nella politica, nello Stato e non solo, che cercano un capro espiatorio per la mafia che è nel loro territorio. Forse sono loro stessi mafiosi, e non se ne rendono conto. Anzi ne sono certo. Vi copio la definizione di mafia presa dal vocabolario Palazzi: "Unione segreta di persone di ogni grado e di ogni specie che si danno aiuto nei reciproci interessi senza rispetto a legge né a morale; non sempre la mafia ha per fine il male, ma i mezzi che essa usa sono sempre illeciti; era diffusa un tempo in Sicilia". 
Mi sembra che ci siamo. Fino ad oggi ho già collezionato oltre 20 (venti) contratti a tempo determinato del Miur. Lo avevo rimarcato lo scorso anno scolastico a un altro dirigente prepotente della zona, il che dimostra in quale maniera scriteriata e irriguardosa venga usato dalle scuole pubbliche (ma in questo non sarò l'unico spero, viste le regole assurde che ci sono). Un ulteriore contratto, se arrivasse, non migliorerebbe la situazione. Ma ciò che oggi mi lascia senza fiato è l'arroganza di un dirigente che arriva a firmare un decreto, come se fosse un ministro, o un giudice. E mi espelle. Non saprei nemmeno cosa rappresenti e cosa valga una sentenza, perché viene citato il codice civile, di un impiegato statale con incarichi dirigenziali. Però siamo arrivati a questo: a un "atto di supremazia" come quelli dei re anglicani del '500. Oppure si tratta di un proclama napoleonico di fine '700. Di certo sono quei processi contro cui si batteva Cesare Beccaria nel "Dei delitti e delle pene". 




giovedì 15 dicembre 2016

A Marassi la farsa dei recuperi


La credibilità del calcio italiano è sempre più a rischio. E’ andata in scena sul campo di Marassi, a Genova, l’ennesima farsa dei recuperi. Stavolta è toccato a Genoa e Fiorentina disputare una partita che era stata sospesa per le cosiddette cause di forza maggiore. L’11 settembre 2016 le due squadre erano scese in campo, avevano provato a fronteggiarsi, ma si erano dovute arrendere alla pioggia dopo meno di mezzora. Per la precisione erano passati 28 minuti al momento del triplice fischio del direttore di gara, e il risultato era di zero a zero. Arbitrava Banti. C’erano scappati due ammoniti, uno per parte. Questa sera la gara è stata recuperata. I nostri dirigenti testardi come i muli hanno fissato il fischio d’inizio sul 28esimo del primo tempo. La gara deve continuare, a tutti i costi. Ma con quali giocatori? Da quel giorno di settembre tante cose sono cambiate: nuovi infortunati, giocatori fuori forma, nuovi capricci degli allenatori. E un altro arbitro. Fortuna che il mercato di gennaio ancora non è scattato. Perché come era prevedibile gli allenatori hanno stravolto le formazioni. Gli allenatori, evidentemente autorizzati così dal direttore di gara, hanno proceduto durante la partita ad altre tre sostituzioni per parte. E così il conto salirebbe a sette-otto cambi per ciascuna formazione nella stessa partita.

mercoledì 14 dicembre 2016

Terremoti, il Ministero studiava il nordest


Mentre proseguono senza sosta i terremoti nell’Italia centrale, i cittadini possono leggere online dati sconfortanti sull’impegno dell’Italia nella prevenzione. Dalle relazioni dell’Istituto di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS) che il Ministero per l’istruzione l’università e la ricerca aveva approvato fino al 2009, cioè al tempo del terremoto dell’Aquila, si scopre che gli studi si erano concentrati soprattutto nella zona del Friuli Venezia Giulia. Per quanto riguarda l’Italia centrale e meridionale abbiamo trovato solo alcuni progetti nella relazione del 2005 dell’OGS. Il presidente dell’OGS Iginio Marson scrisse che stavano proseguendo e venivano incrementate le attività di prevenzione sismica in Friuli e in Veneto. Si stava inoltre sperimentando un sistema di telerilevamento dei terremoti chiamato “While drilling”, adottato in collaborazione con l’Eni.

domenica 11 dicembre 2016

“Onorevole non spari!”


Non avrà certamente urlato queste parole Paolo Tomassoni quando si vide estrarre contro una pistola, perché lui e il feritore avevano appena 22 anni, ma le avrà pensate molti anni più tardi. Carlo Ciccioli, colui che tirò fuori l’arma al termine di una lite, e gli sparò contro cinque colpi, di strada ne ha fatta molta, in effetti. E’ divenuto un onorevole del Parlamento Italiano, ma soprattutto un noto volto della politica regionale marchigiana di Alleanza Nazionale-Fratelli d’Italia. Con una macchia, però, molto grossa, che non ha mai rivelato. Forse solo i suoi più intimi amici conoscono questo episodio. Era il 25 dicembre del 1974. Era da poco passato Natale, era notte in piazza Cavour, nel centro di Ancona nel 1974. La cronaca dice che Ciccioli avvicinò Tomassoni, esponente della sinistra extraparlamentare, e che la discussione degenerò in una scazzottata. Secondo il resoconto dell’Unità, più approfondito, Ciccioli rimase contuso alla faccia e con un trauma cranico. Ma ciò non toglie che prendere una pistola, come lui fece, una Flobert calibro 6, di quelle dei film western di Sergio Leone (io avevo la versione giocattolo da bambino), e sparare non è un gioco per studenti universitari quale era l’esponente di Fratelli d’Italia, anche se quelli erano pur sempre gli anni di piombo. L’onorevole non poteva dirsi un tiratore scelto, evidentemente, o non voleva ferire l’avversario politico: dei cinque colpi solo uno centrò la coscia sinistra di Tomassoni, il quale fu ricoverato in ospedale con prognosi di dieci giorni.

Contro l'ipocrisia del degrado apolitico


Vorrei prendere una posizione pubblica riguardo alle dichiarazioni del giornalista Andrea Massaro del Resto del Carlino sui monumenti di Ancona. Mi piacerebbe chiamare collega questo signore ma il rapporto di lavoro non è mai stato idilliaco tra me e lui, mentre non lo considero nemmeno un conoscente a livello privato. Diciamo che la foto che ha scelto per il suo profilo pubblico rappresenta perfettamente anche il tipo di comportamento che manteneva all'interno del luogo di lavoro: atteggiamenti da capo di una gerarchia militare. Non tanto accettabile nel mondo intellettuale. Che ne dite? Tuttavia fidandomi del nome altisonante del giornale effettuai oltre dieci anni fa diversi articoli sul degrado e curai una particolare rubrica del Resto del Carlino sul recupero dei monumenti del capoluogo dorico. Scrissi ovviamente molti articoli anche sulla storia della città, ma senza alcuna finalità politica. Ho sempre inteso, e l'ho ribadito più volte, Lucio Martino non potrebbe negarlo, quegli articoli come contributi che inviavo per un'ipotetica pagina sulla cultura e la storia locale. Vogliamo dirla tutta? Sono stato vicino a un partito di centro-destra nel periodo in cui scrivevo per il Carlino, e farà scandalo sapere che mi sedevo a cena vicino a personaggi più o meno autorevoli, ma comunque schierati da una certa parte. Eppure loro stessi possono testimoniare che non ho mai concesso, neppure agli amici, una riga di più di quello che era giusto in un grande quotidiano. Lo spazio era dedicato alla gente dei quartieri. Addirittura venivo scambiato per un giornalista di sinistra, che non potrò mai essere. Ora da alcuni anni leggo che in qualità di vice-caporedattore Andrea Massaro scrive un fondo del giornale facendo opinione proprio sui temi del degrado, dell'arte e, più di rado, della storia. Proposto in questo modo è innegabile che il tema sfondi il confine dell'ambito politico, soprattutto in questi mesi nei quali alcuni esponenti del centro-destra, di Forza Italia in particolare, hanno lanciato battaglie per rifare la scalinata del Passetto o togliere l'amianto dal palazzo del Comune. Mi sembra di aver letto così. Anche il Movimento 5 Stelle, a Roma, cavalca quel tipo di notizie. E allora non sono più d'accordo, non voglio essere trascinato come ex collaboratore in questa storia. Perché un conto è salvaguardare la cultura anconetana, un altro è utilizzare questi temi per fini politici. Del resto parlare della città o della vita civile, nonostante nel giornalismo esista la cronaca bianca, equivale in ogni caso a proporre temi per governare la città. Al Resto del Carlino ho spesso sentito dire che non bisognava far politica. Anzi a dirlo era proprio Andrea Massaro che afferma di essersi laureato in Scienze Politiche. Sarebbe più giusto invece tornare a parlare di politica, in questo senso: dire chiaramente nelle riunioni quotidiane come la si pensa, confrontandosi prima di scrivere un articolo. Un giornalista di Radiodue che conobbi durante l'università giustamente ci avvertiva che basterebbe un aggettivo per modificare il senso di un articolo. I giornali apolitici non esistono, sono ancora più pericolosi di quelli politici. Ad esempio che senso ha la famosa "par condicio" pre elettorale? Se fossi un editore potrei mai accettare di lasciare spazio gratuito nelle interviste a personaggi che sanno solo parlare il linguaggio dell'insulto e della filippica? E perché dovrei? Non lo accetterei per niente. Spendo i miei soldi, scrivo le mie idee. Ognuno faccia così, e allora alle urne vincerà veramente chi vuole governare questo paese con competenza. Ma è il passato che mi spaventa. Alcuni esempi eclatanti indicano chiaramente che Massaro sta andando fuori strada. Molto fuori strada. Un utilizzo della cultura a fini propagandistici avvenne alla fine degli anni '80 del '900 sapete dove? Nella Serbia di Milosevic, dove vennero riscoperte stragi del fascismo esclusivamente per colpire gli ustascia per i quali simpatizzava il presidente croato Tudman. La stampa serba - ha detto recentemente la tv svizzera in un documentario - fu invasa dalle inchieste storico politiche di Milosevic. Sappiamo bene come è andata a finire, con quali orrori e con quante perdite umane è stato pagato il prezzo dell'odio lanciato sui giornali di regime. Ma lo stesso varrebbe al contrario, pensando a quanto scrivono certi quotidiani italiani sulle Foibe di Tito. E' storia? E allora lasciamola agli storici, porca miseria! Tornando in Italia credo pertanto che la città, i suoi luoghi, i suoi monumenti, e il suo degrado, se ancora c'è, siano degli anconetani. Siano loro a stabilire cosa va mantenuto e cosa stona, come è sempre stato, almeno quando sul Resto del Carlino scrivevo anch'io.

giovedì 8 dicembre 2016

Le strane amicizie militari di Carminati


In un’intervista uscita il 6 dicembre 2016 sulla Repubblica, al termine di un’intervista concessa dal criminale dei Nar Massimo Carminati, il giornalista ha riportato importanti parole dell’onorevole Marco Minniti. “Escludo - ha affermato il sottosegretario alla presidenza del consiglio - che Carminati abbia avuto o abbia rapporti con i servizi segreti”.
E’ solo l’ultima stranezza che stiamo registrando nella telenovela giudiziaria nota con il nome di Mafia Capitale. Massimo Carminati non era affatto imprendibile come venne scritto al momento del suo arresto per le tangenti di Mafia Capitale. E questo lo avevamo sospettato. Era stato arrestato più volte. Sul Corriere della Sera veniva inoltre descritto in un articolo del 17 aprile 1993 come “amico di servizi segreti e neofascisti”. Pertanto l’onorevole Minniti dovrebbe correggere le sue affermazioni rilasciate sotto giuramento durante il processo. Se è vero che Carminati non è più un informatore dei servizi segreti, prima sicuramente lo era. Ma non solo. Era persino amico di certi militari dell’Arma dei carabinieri, con i quali nel neanche tanto lontano 1999 aveva svaligiato le cassette di sicurezza del tribunale di Roma.

mercoledì 7 dicembre 2016

Una guerra civile negli anni di piombo


Una guerra civile all’interno della Loggia P2, tra i servizi segreti filo-israeliani e vicini alla Cia, guidati da Gianadelio Maletti e controllati politicamente da Andreotti, e il supersid di Vito Miceli, filo-arabo e amico di Gheddafi, vicino probabilmente anche alle Brigate rosse e ai terroristi tedeschi della RAF. E’ in questo scenario occulto che sembra si siano verificate negli anni di piombo le stragi di Stato da una parte e le azioni terroristiche delle Brigate rosse dall’altro. In sostanza, stiamo dicendo che Guido Giannettini, quando accusava nella sua informativa del 1974 il Mossad, il servizio segreto israeliano, dei depistaggi sulle bombe di Stato, stava probabilmente raccontando la vera storia d’Italia. Ma aveva soprattutto ragione Eugenio Scalfari nell’essere molto duro con la Democrazia cristiana di quegli anni, parlando di Moro e Andreotti quali referenti della Loggia P2.

venerdì 2 dicembre 2016

Minacce gravissime da dirigenti di Stato


Un dirigente scolastico di Novara, oggi, si è permesso di minacciarmi perché avevo assegnato voti troppo bassi in analisi logica agli alunni di una terza media della provincia. Voleva che alzassi quei voti, minacciando di aprire un "procedimento" nei miei confronti, senza minimamente preoccuparsi dello scarso rendimento dei suoi alunni. Era interessato soprattutto al giudizio dei genitori. Cercava quindi il consenso, come va di moda nella politica populista attuale. Non voleva lamentele per i voti. Per l'ennesima volta quindi sono costretto a rinunciare a incarichi di lavoro che erano ben remunerati. Ma è evidente che non si può lavorare sotto ricatto. 
In questo caso avrei dovuto seguire la classe per tutto l'anno scolastico. Avevo perciò previsto un programma per cercare di ottenere comunque qualcosa dai ragazzi. Ma i fatti odierni, ovvero una inaccettabile ramanzina, con urla come al solito sulla faccia da parte del dirigente, mi hanno impedito di lavorare serenamente e liberamente. In queste acrobazie oratorie a Novara si erano già distinti un maresciallo dei carabinieri, durante una mia denuncia buttata via perché non ero forse raccomandato, e un amministratore di condominio, il quale si stava portando via centinaia di euro senza motivo. Come al solito mi viene impedito di difendermi. La corruzione nello Stato dilaga. Nessuno parla, nessuno mi fa scrivere la verità sui giornali locali, e nessuno ovviamente a Novara prova vergogna. 
Già alcuni giorni fa gli alunni di questa terza media mi avevano contestato con una certa arroganza, sia pure senza eccessi come mi era capitato in altre scuole. Un'alunna, molto pittoresca, avrebbe meritato la prima pagina sulla Stampa o sul Corriere di Novara: aveva detto testualmente che il suo 4 in realtà era un 7, perché aveva sbagliato meno della metà degli elementi da riconoscere. Avevo quindi chiesto agli alunni se volevano un 6 politico. La gravità degli errori mi sembrava tale da non meritare nemmeno un mio commento. In genere sono noto nell'ambiente per essere largo nei giudizi. Penso che il mio 4 sia in realtà un 2 o uno zero. 
Invece oggi il dirigente ha pensato bene di dare ragione agli alunni, pretendendo che alzassi i voti. Semplicemente ridicolo. Non solo. Viste le mie resistenze, è andato in classe, dopo che già aveva fatto irruzione durante le mie ore senza scusarsi, e ha aperto un vero e proprio processo contro di me, raccogliendo e scrivendo su un taccuino le testimonianze degli alunni su ciò che avevo detto nella consegna dei compiti. Una specie di processo all'untore di manzoniana memoria. Ha quindi sostenuto, inventando accuse senza senso, che avevo umiliato gli alunni avvertendoli che, con quegli errori in italiano, avrebbero fatto fatica alle scuole superiori. Beh, cosa pretendeva che raccontassi, qualche favola? Ho cercato di spiegare al dirigente che a me non farebbe piacere sentir chiedere dai professori delle superiori: "Chi è quel cane che ci ha mandato questo alunno?" Al che ho avuto la seguente risposta: "Tanto lo dicono lo stesso". E' proprio una "buona scuola" questa novarese.

giovedì 1 dicembre 2016

Renzi inventa il senato nazimaoista


Casualmente facendo zapping sono finito il 30 novembre 2016 sull'intervista di Vespa a Renzi andata in onda sulla Rai. La dialettica del premier è sempre accattivante, mi piace. Poteva colpirmi e spingermi verso il fronte del sì di questo referendum sulla riforma del Senato.
Tuttavia viene come al solito inquadrato solo il problema della riduzione delle spese. Stessi giornalisti, stessa solfa, evidentemente. Vespa non se lo ricorda, ma la Costituzione che il presidente vuole cambiare puntava verso un progressivo allargamento delle rappresentanze, tant'è che nel 1970 nacquero le regioni, e anni dopo furono aumentate le province. Dal 1998 è in vigore la legge Bassanini per un ulteriore decentramento amministrativo. Nasce dunque con Renzi una Costituzione totalmente nuova? Sicuramente sì, perché, in caso di vittoria del sì al referendum di domenica 4 dicembre, gli amministratori locali raddoppierebbero le loro competenze e punterebbero verso Roma, dove andrebbero a sostituirsi ai senatori. Diventerebbero dei diretti funzionari di Roma, come ai tempi di Diocleziano nell’antica Roma imperiale. Ci avvicineremmo al modello delle cosiddette democrazie popolari dell’ex URSS e della Cina.

domenica 20 novembre 2016

L’anima nazista dei servizi segreti di Bonn


Fu il servizio segreto dell’ex Germania Ovest, il BND, a creare Gladio. Questa struttura militare parallela, che nacque dopo il 1956 in funzione anticomunista, non faceva parte della Nato e, soprattutto, non dipendeva dai servizi segreti delle nazioni occidentali. E’ una notizia troppo a lungo sottovalutata, che oggi dobbiamo ripubblicare e analizzare sotto una luce nuova. Uscì per la prima volta il 31 maggio del 1991 sul Corriere della Sera, nei mesi in cui le rivelazioni sulla struttura segreta divenivano di dominio pubblico nel nostro paese.
Cosa significa che la Gladio tedesca non faceva parte della Nato? Vuol dire che Rauti, Giannettini, Nardi, Freda, Ventura, uomini dell’estrema destra italiana, recandosi nell’ex Germania Ovest per addestrarsi come affermavano fonti di stampa nel 1974, erano entrati a far parte di una struttura segreta filo-nazista. Perché certamente non si può parlare del BND fingendo di non vedere la sua storia controversa. Il leader storico di questo servizio segreto del Patto Atlantico fu un generale nazista, Reinhard Gehlen. Scrisse di lui Vinicio Araldi, un giornalista cresciuto sotto Mussolini, ma nonostante questo estremamente equilibrato e onesto: “Questo generale senza volto” fu “fino al 1968, il personaggio centrale dell’organizzazione spionistica tedesco-occidentale, l’avversario più irriducibile del comunismo, tanto odiato e tanto temuto da avere indotto il governo di Ulbricht a porre sul suo capo una taglia piuttosto consistente.”

venerdì 18 novembre 2016

Ombre tedesche sugli anni di piombo


C’è un filo conduttore nella storia dei nostri anni di piombo, che conduce in quella che una volta si chiamava Germania Ovest, o Repubblica Federale Tedesca. E’ lì che alla fine degli anni ‘60 si svilupparono movimenti di guerriglia capeggiati da alcuni giovani di estrema sinistra, in particolare da due donne: Gudrun Ensslin e la giornalista Ulrike Meinhof; e due uomini: Andrea Baader e Horst Mahler. Il nome che venne dato al gruppo nel maggio 1970 fu Frazione Armata Rossa, o più semplicemente RAF. Questi giovani sciagurati, in nome del comunismo e la guerra a quello che consideravano lo “Stato fascista”, organizzarono rapimenti, barbare uccisioni e rapine per tutti gli anni ‘70 del Novecento e poi anche per buona parte degli ‘80. Uno degli indagati di piazza Fontana, Giannettini, affermò che Brandt, leader del partito Socialdemocratico di Germania, era filocinese e antisovietico. Sarebbe stato pertanto lui il “grande vecchio” della sinistra extraparlamentare e addirittura il mandante della strage di piazza Fontana a Milano il 12 dicembre del 1969, per la quale Brandt si sarebbe servito di Giangiacomo Feltrinelli quale esecutore materiale, cioè un sostenitore della banda Baader-Meinhof.

sabato 12 novembre 2016

Tanti italiani spiati per il delitto Moro


La nostra polizia tra il 1978 e il 1979 effettuò decine e decine di accertamenti sugli italiani per scoprire i responsabili dell'uccisione del presidente democristiano Aldo Moro. Questo la costrinse a violare continuamente la vita privata di famiglie il più delle volte innocenti. E' quanto si può desumere sfogliando le mille pagine di documenti originali di cui si compone uno dei volumi digitali preparati dalla Commissione parlamentare sulla strage di via Fani. Come molti avranno letto nei libri o sui giornali, il Governo in quei drammatici giorni approvò una specie di stato d'assedio. Furono disposti numerosi posti di blocco intorno Roma, mentre la polizia bussava a tutti gli appartamenti in cerca dei terroristi. Il giornale spagnolo La Vanguardia durante il sequestro Moro titolò: "Non è Beirut, ma Roma". Questa invadenza della polizia la ritroviamo nei documenti della Commissione parlamentare. Ad esempio nei controlli che venivano disposti a seguito di messaggi telefonici, telegrafati, o di lettere che in continuazione giungevano ai giornali e alle forze dell'ordine. Spesso questi contatti si rivelavano dei depistaggi. Il Corriere della Sera scrisse che poteva trattarsi di una tattica dei brigatisti: prendersi gioco della polizia facendola brancolare nel buio.
Un posto di blocco a Roma, nella copertina del quotidiano di Barcellona, La Vanguardia, del 15 aprile 1978.

Imposimato era certo del legame BR-Gheddafi


Fu Gheddafi a far arrivare le armi dei palestinesi alle brigate rosse. Un giornalista che si sta battendo per dimostrare qualcosa di simile è Giorgio Guidelli, del Resto del Carlino, autore di libri sulle Brigate Rosse marchigiane e sui contatti tra BR e palestinesi. Entrando in questo argomento la mia indagine partita dalle basi Nato e dalla base del monte Conero si incrocia con il suo lavoro. Mi limiterò quindi a tratteggiare un ritratto dell’uomo che funse da tramite per lo smercio di armi alle BR. Un personaggio dimenticato che mi ha molto colpito: “Corto Maltese”. Lo chiamarono così per quei suoi viaggi spericolati in barca a vela dal Libano a Cipro e poi all’Italia, che organizzò per portare alle Brigate Rosse le potenti armi dei palestinesi. Ma il suo vero nome era Maurizio Folini, ed era considerato un uomo del KGB sovietico. Fu proprio il giudice Ferdinando Imposimato, l’attuale grande accusatore della Cia, a scrivere, nel 1987, nella sua sentenza di rinvio a giudizio riportata dal Corriere della Sera, che “Corto Maltese” era un “agente del KGB collegato a Gheddafi e inoltre massimo esponente di quel traffico d’armi che dal Medio Oriente alimentava il terrorismo italiano.”

La polizia di Bonn nascose i contatti tra RAF e BR


Fu la polizia tedesca occidentale ad allontanare i sospetti di un collegamento tra terrorismo tedesco e brigate rosse. E’ quanto si legge nei documenti della commissione parlamentare sulla morte di Aldo Moro, i quali consentono di leggere ogni dettaglio delle indagini condotte tra il 1978 e il 1979. La polizia di Wiesbaden scrisse il 30 luglio 1979 che dai reperti sequestrati non si potevano desumere dei nessi tra la Von Dyck, Heiszler e il delitto Moro. Lo stesso concetto lo ha ribadito nel gennaio 2016 l’ex questore Ansoino Andreassi alla commissione parlamentare: “Noi credevamo e crediamo ancora in quella pista, ma i tedeschi ci bloccarono”.

venerdì 11 novembre 2016

Due tedeschi tra i cecchini di via Fani


I miei lettori devono ricordare bene questo nome: Rolf Heiszler. Tedesco della Baviera, classe 1948, terrorista del “Movimento 2 giugno”. Attualmente, secondo Wikipedia, si trova in carcere a scontare due ergastoli per l’omicidio di due funzionari doganali olandesi, avvenuto il primo novembre 1978. Fu sospettato di aver partecipato anche al rapimento Schleyer nell’autunno del 1977. Parliamo del terrorismo della Raf, la banda Baader Meinhof. Gli inquirenti italiani questo nome lo hanno voluto dimenticare, e non capiamo perché. Heiszler o Heissler è innanzitutto uno dei probabili partecipanti alla strage di via Fani, il 16 marzo 1978. Si parlò di lui nel gennaio del 1980, quando in carcere ricevette la visita del giudice istruttore Claudio D’Angelo. Sono le conferme che abbiamo trovato riguardo alla pista tedesca della valigia “made in Germany”, che si vede nel video di Youtube, di fianco al cappello da aviatore. Negli articoli del 1978 e poi del gennaio 1980 del Corriere della Sera e della Stampa non si parla di sospetti, ma di forti indizi che in via Fani, il 16 marzo 1978, vi fossero almeno due tedeschi: Rolf Heiszler ed Elizabeth Von Dyck, legati alle BR italiane.

Il terrorista del "Movimento 2 giugno", in una foto del quotidiano La Stampa pubblicata al momento del suo arresto nel giugno 1979.

mercoledì 9 novembre 2016

Quei terroristi rossi con la valigia tedesca


Ci siamo voluti dimenticare completamente di una parte del terrorismo italiano, e ci siamo riusciti: quello dell'Alto Adige. Era di sinistra e voleva la secessione dall'Italia. Provocò attentati e morti per oltre un decennio, tra il 1956 e il 1969. Decine di morti dimenticati, che sembrano appartenere a un'altra nazione. Fu sconfitto a suon di condanne della magistratura nel 1969, poi rinacque negli anni '80, ma a quel punto secondo Wikipedia era guidato da Gladio e dai nostri servizi segreti. Gli obiettivi di quelle bombe erano sovente i tralicci e gli agenti delle forze dell'ordine. Ma è proprio ciò che accadde durante gli anni di piombo! Feltrinelli morì mentre cercava di innescare una bomba su un traliccio, mentre molti agenti di polizia e carabinieri furono uccisi dai brigatisti. E' il dossier cecoslovacco a collegare per la prima volta queste due facce che potrebbero appartenere alla stessa medaglia.

domenica 6 novembre 2016

Gheddafi conosceva i nostri segreti militari


Scorte di petrolio libico di contrabbando in cambio di segreti militari. Questo accordo, stretto tra Gheddafi e membri della loggia P2 intorno al 1975, potrebbe essere alla base di molte stragi di Stato che videro i servizi segreti protagonisti di depistaggi o complicita'. Nulla sarebbe probabilmente venuto a galla se il giornalista Mino Pecorelli non avesse deciso di pubblicare a puntate questa storia sul suo OP. Poco tempo dopo, il 20 marzo 1979, Pecorelli fu assassinato. Gli inquirenti così scoprirono nel suo appartamento il dossier che aveva dato origine allo scandalo. Secondo la ricostruzione che ne offrono Mario Guarino e Fedora Raugei nel loro libro su Licio Gelli, fu Giulio Andreotti, allora ministro dell'industria, a chiedere al direttore del Sid, l'ammiraglio Casardi, un'indagine su Mario Foligni, un esponente DC che stava fondando un nuovo partito e per il quale si scoprì che aveva chiesto aiuti finanziari proprio ai libici di Gheddafi. Le microspie di Casardi registrarono i colloqui di una struttura parallela che stava vendendo al colonnello Gheddafi i nostri segreti militari e i carri armati Leopard della Oto Melara in cambio di petrolio a prezzi scontati e fuori dagli accordi dell'Opec. 

lunedì 31 ottobre 2016

Alpi-Hrovatin uccisi dai fondamentalisti?


Il fallimento recente delle inchieste giudiziarie sulla morte dei due giornalisti della Rai nel 1994 in Somalia ha provocato discussioni sui social. Partecipando a una di queste, e andando a cercare informazioni, abbiamo scoperto una terribile verità: la prima ipotesi parlava di un'esecuzione ad opera dei fondamentalisti islamici, i padri di Al Qaeda. Secondo quanto fu scritto dalla Stampa e dall'Unita' il giorno dopo la strage, avvenuta a Mogadiscio il 20 marzo 1994, gli indizi facevano pensare che erano stati sei uomini a sparare sulla macchina dei due inviati della Rai tv. Il comandante del contingente italiano Carmine Fiore disse che, più che della mafia delle scorte, ossia il racket per estorcere denaro ai turisti, poteva trattarsi dei fondamentalisti islamici. A credere in questa tesi era soprattutto L'Unità. Dapprima indagò la polizia somala, poi si inserirono nelle indagini i magistrati italiani e la versione iniziale venne stravolta.



sabato 29 ottobre 2016

L'Isis è più vicino all'Italia



Il sedicente Stato Islamico è più vicino all'Italia. Ma non sono i soldati del Califfo a muoversi, per ora, bensì siamo noi a offrirgli una scorciatoia. Stiamo parlando del gasdotto dell'ENI, che venne ultimato in pochi mesi nel 2004. Si chiama Greenstream. Fu inaugurato, indovinate un po' da chi, dall'ex premier Silvio Berlusconi e dall'ex leader libico Gheddafi. Venne stipulato un accordo tra ENI, titolare del 75% della joint-venture, e la compagnia petrolifera libica NOC, per il trasporto di 8 miliardi di metri cubi di gas all'anno. Ciò che viene nascosto, e che noi vi sveliamo, è che questo gasdotto in realtà consiste in un tunnel che teoricamente sarebbe percorribile anche da un uomo. Il sito Cieli Paralleli pubblica online una foto della parte iniziale. Vi si notano degli operai al lavoro vicino a un binario, con luci e spazio a non finire per chiunque volesse farsi un viaggio sotterraneo come avviene nel canale della Manica. Abbiamo cercato qualche conferma. Online sono presenti alcuni progetti della Saipem, che sta per costruire un altro gasdotto tra la Puglia e l’Albania. La tecnica, a cui anche Cieli Paralleli fa riferimento, consiste nell’inserire i tubi del gas all’interno di un microtunnel, che attraverserebbe l’intera tratta da una costa all’altra. La piccola galleria ha la forma circolare con un diametro molto ridotto. In 520 km vi sarebbe pochissima aria respirabile, ma non si può escludere che qualcuno possa compiere la follia di attraversarlo a piedi. Cieli paralleli ipotizza esattamente questo: che sia servito per una tratta di migranti sotterranea.

giovedì 27 ottobre 2016

Troppi terremoti nelle Marche


Che l'Italia fosse una zona in gran parte sismica chi ha studiato lo sa, e non può stupirsi delle disgrazie che ogni tanto capitano. Il problema è che nelle Marche i movimenti tellurici cominciano ad essere un po' troppi, concentrati sempre negli stessi punti, con scosse che si avvicendano nel giro di pochi mesi. Non dovrebbe andare così. Secondo le statistiche nel nostro paese si registrano 300 scosse all'anno, delle quali 3 o 4 ogni 5 anni possono essere distruttive. Nelle Marche questa cifra è stata raggiunta in soli due mesi. Dopo il clima, sta cambiando anche la crosta terrestre? Un libro di geografia della Zanichelli del 1983 scrisse che una delle cause di terremoti è costituita da «sprofondamenti di rocce rimaste senza sostegno per lo svuotamento di cavità prima riempite di magma, o di acqua, o di gas naturali e petrolio». Specifica infatti che nel caso dei gas e del petrolio «l'estrazione potrebbe causare crolli». Si avrebbero pertanto terremoti «relativamente deboli, percepiti solo in una regione ristretta.» E questo è un problema che nelle Marche dovrebbe preoccupare soprattutto sulla costa. Ma in questi giorni Google News è pieno di notizie che riguardano i test nucleari della Corea del Nord. Queste esplosioni, e in Italia si guardano bene dal dirlo, stanno provocando terremoti artificiali di intensità identica a quella registrata nel centro Italia da agosto ad ottobre. Vi diciamo di più. In un articolo viene spiegato come distinguere i terremoti artificiali da quelli naturali. Questi ultimi, a differenza di quelli artificiali, presenterebbero una doppia ondulazione, orizzontale e verticale. E' possibile che nelle montagne italiane qualche pazzo stia tentando qualcosa di simile? La Nato ci usa come cavie? Noi non ci crediamo, tuttavia una ricercatrice esperta ci ha inviato un video molto interessante. E' tratto da una telecamera di servizio. Vi si nota una luce verdognola precedere la violenta scossa avvenuta nel nord Italia nel 2012. Ognuno si faccia l'idea che vuole.


mercoledì 26 ottobre 2016

Una morte annunciata per colpa di Washington?


L’impressione che ho avuto leggendo per la prima volta gli articoli del 1978 (avevo 5 anni all’epoca) è che il giallo Moro potesse evolvere solo in una lunga agonia del presidente prima dell’esecuzione. Gli spagnoli della Vanguardia mi hanno convinto. Secondo loro, un ritorno di Moro vivo avrebbe creato più problemi di una sua brutale esecuzione. Una volta che le BR erano riuscite a dividere la Democrazia Cristiana, e a far scrivere al presidente parole di fuoco contro i suoi colleghi - scrissero - Moro era politicamente finito. Come si sarebbe potuto inserire nel parlamento italiano? Sempre il giornale La Vanguardia, durante il sequestro Moro, riportò le risolute affermazioni dell’ambasciatore americano Richard Gardner rilasciate a Milano in forma privata a dei sindacalisti: “Non aiuteremo in nessuna forma il governo italiano a combattere il terrorismo delle Brigate Rosse - disse -, finché il partito comunista avrà il suo peso specifico nella vita politica del paese”. Precisò anche qualcos’altro: che il PCI non poteva dirsi cambiato se accusava la Cia di sostenere il terrorismo italiano. In sostanza, il governo statunitense abbandonava Aldo Moro alla sua sorte, ed è un fatto molto grave. Per di più, le stesse accuse del PCI contro Washington, le lanciavano nello stesso periodo i servizi segreti ex cecoslovacchi. Il loro dossier sul terrorismo, a questo punto, va analizzato con ulteriore attenzione.

Gli stretti legami tra terroristi e intelligence


Chi erano questi famigerati brigatisti rossi? Avevano alle spalle i servizi segreti? L’elemento che ho valutato è stata la posizione di Aldo Moro durante il sequestro Sossi del 1974. Come si comportò da presidente del consiglio, Aldo Moro, di fronte a un evento che poi lo avrebbe colpito personalmente? Entrano in gioco proprio i servizi segreti. Secondo uno scoop del giugno 1976 del settimanale Tempo, Moro non permise alla magistratura di conoscere i dettagli delle operazioni di intelligence sul sequestro Sossi, apponendo il segreto militare. I servizi deviati del generale Miceli si stavano infiltrando nelle BR e stavano creando delle false “prigioni del popolo”. Moro in sostanza conosceva dei dettagli che potrebbero essergli costati la vita, come già avevamo anticipato. Perché il comportamento dell’intelligence italiana non era finalizzato all’arresto dei brigatisti, ma semmai a un loro controllo esterno.

Il comunicato numero 7 delle BR era autentico


Il comunicato numero 7 delle Brigate Rosse, di cui tanto si parla recentemente nelle ricostruzioni sul rapimento di Aldo Moro, non era falso. Cioè, non era falso che fossero state le Brigate Rosse a scriverlo, ma lo era il suo contenuto, cioè l’annuncio che il presidente Moro era stato ucciso e gettato nel lago della Duchessa. La scoperta è avvenuta semplicemente leggendo gli articoli di quei 55 giorni del 1978, nei quali Aldo Moro rimase prigioniero dei terroristi. Illuminante ancora una volta è stato il quotidiano spagnolo La Vanguardia, che mantenne una sua linea indipendente dalla politica italiana e allo stesso tempo offrì un riassunto delle posizioni espresse dai nostri giornali.



domenica 23 ottobre 2016

Leggeva Il Giorno il poliziotto di Moro?



Si aprono gli archivi e arrivano nuovi dettagli del delitto Moro. Terrificante è la foto del giornale spagnolo La Vanguardia, la quale ritrae il luogo della strage di via Fani pochi momenti dopo la sparatoria. Vi sono dettagli importanti: parteciparono al sequestro, secondo i cronisti catalani, ben quattro macchine, una moto e 12 persone, tra cui una donna. Un'auto dei banditi recava una targa diplomatica venezuelana (la 128 di Mario Moretti ndr), che non risultava rubata ma era stata ritirata. Tutti i terroristi erano giovani. Le armi - disse La Vanguardia - erano di varia nazionalità, come poi fu confermato. Secondo la cronaca della Stampa si trattava di armi cecoslovacche, e di una sovietica, il cui bossolo fu raccolto dal giudice Infelisi. Le notizie successive della questura di Roma cambiarono versione: si trattava di armi europee, anche finlandesi, destinate all'esercito italiano e alla polizia. Ma ciò che colpisce, e può essere una novità, è la foto della Vanguardia. Questo giornale era specializzato nelle istantanee. Ne scattò diverse. Ma notate il poliziotto della scorta di Moro ucciso, sulla destra: non solo non ha ancora il telo bianco che lo copre, ma sembra avere in mano un giornale, il quotidiano Il Giorno all'epoca dell'ENI. Come se, mentre sparava, tentasse di ripararsi con qualcosa. O magari fu sorpreso mentre stava leggendo e non fece in tempo a lasciare il giornale. Un'altra ipotesi è che potrebbe trattarsi di un segno lasciato dai rapitori, una specie di firma sul delitto. Ricordiamoci che alcuni di questi dodici terroristi, secondo certe recenti ricostruzioni, non furono mai arrestati. La Vanguardia aggiunse una nota polemica il 19 aprile 1978, quando, accanto alla foto del presidente Moro rapito, pubblicò quella del giudice Guido Barbaro, torinese di adozione, mentre processava il nucleo storico delle BR. I catalani scrissero che dietro Barbaro vi era un crocifisso e la scritta: "La legge è uguale per tutti": "Uguale per tutti, tranne che per Aldo Moro, aggiungiamo noi". Il giudice Barbaro, morto nel 2004, era iscritto alla loggia P2.

venerdì 21 ottobre 2016

Non vogliamo tornare tra le braccia di Hitler


L'articolo di Stefano Sylos Labini uscito in questi mesi sul Sole24Ore, intitolato: "L’ipotesi moneta fiscale in Italia? Il miglior precedente è… tedesco", è imbarazzante quanto prevedibile. Offre una soluzione alla crisi imitando il modello autarchico hitleriano. Il progetto prevede la messa in circolo di una specie di buoni del Tesoro utilizzabili al posto dei soldi per sconti sulle tasse. Ma con quale copertura? In pratica, carta straccia. Dopo tanto odio seminato dalla politica di estrema destra e sinistra, ecco che qualcuno si propone di risolvere in modo autoritario la questione economica. Lo fa con una teoria affascinante, ingegnosa, ma diabolica, imitando Schacht, non tenendo conto del contesto storico in cui l'economia tedesca trovò una via d'uscita negli anni'30, e che non staremo a ripetere.

giovedì 20 ottobre 2016

Tornerà la Lira? Ricordiamoci di Goria


Tra le morti celebri prodotte da Mani Pulite si sono dimenticati di Giovanni Goria. Mi è venuto in mente questo ex presidente del consiglio per le voci del possibile ritorno alla Lira. Giuseppe Turani lo ha scritto il 13 ottobre 2016: il “No” alle riforme di Renzi diventerebbe un “No euro”, e una birra costerebbe mezzo stipendio. Manca un dettaglio: che il nostro collasso non sarebbe diverso da quello di Gorbachev. Dal 1981 l’Italia era precipitata in una crisi epocale. L’inflazione salì al 20% annuo e Craxi fu solo capace di ricorrere alle scorciatoie. Taglio alla scala mobile, e poi Lira pesante, così, solo per aiutare le “massaie” a non avere troppi zeri nel fare la spesa. Goria, l’economista, fu colui che avrebbe dovuto attuare questo strappo alla regola. Non se ne fece nulla. E “Sandokan”, così lo chiamavano, salì alla presidenza del consiglio, rimanendo in carica pochi mesi nel 1987-88. Una sua affermazione fu: "La svalutazione sarebbe follia pura, conviene a un paese che non riesce a crescere". Era nell’esecutivo di Amato quando gli arrivarono gli avvisi di garanzia dei magistrati. Lo accusavano di un fatto di corruzione ad Asti. Si dimise e morì di cancro in poco tempo, il 21 maggio del 1994, a 51 anni. Lo avevano attaccato, umiliato, distrutto, poi era stato archiviato tutto, come al solito. Per niente, perché Mani Pulite fu la solita sparata superficiale, ma molto più brutale del solito. Fu una guerra feroce tra PM, nella quale i grandi scandali non vennero mai a galla. E Craxi, ma pure Berlusconi, lo sapevano.

Banche e aziende italiane del KGB



In Italia il KGB installò banche e aziende fittizie per dei traffici illeciti. Lo si scopre dal libro di Paul Klebnikov, “Il padrino del Cremlino”, in un paragrafo dedicato al collasso del vecchio regime sovietico. Dal 1980 - denunciò lo scrittore assassinato nel 2004 - il KGB ebbe una nuova missione, esportare capitali all’estero attraverso società off-shore. Si tratta di un argomento che conosciamo, in quanto si è manifestato in tutta la sua gravità nei recenti mesi. Ci riferiamo alle polemiche per i fondi del presidente russo Putin a Panama. Ma non solo. Nel 2013 si parlò di una banca cipriota i cui dirigenti facevano parte del KGB. Il libro di Klebnikov aveva parlato già dal 2000 di questo sistema, che coinvolgeva proprio Cipro, ma poi anche la Grecia, il Portogallo e l’Italia, che guarda caso sono le nazioni più indebitate degli ultimi anni. Il traffico avveniva mediante il trasferimento di miliardi di dollari, attraverso un sistema che coinvolgeva aziende e banche fittizie. L’Urss avrebbe inviato petrolio, legname e metalli a prezzo stracciato a queste aziende, le quali lo avrebbero rivenduto ai costi di mercato trattenendo per sé i profitti. Lo scopo - stando a Klebnikov - divenne chiaro quando il sistema politico sovietico fu abbattuto. Il KGB aveva il compito di creare dei fondi segreti da destinare ai membri del KGB e del PCUS. Ma quali aziende in Italia potevano prestarsi a questo gioco? Abbiamo fatto una ricerca nell’archivio della Stampa. La risposta è che sono molte, perché gli accordi commerciali Italia-URSS furono numerosissimi, fin dai tempi di Mattei all’ENI. Ma c’è un articolo che ci ha colpito in particolare. E’ del 28 ottobre 1979. Venne siglato un accordo con cui l’Italia avrebbe fornito impianti in cambio di petrolio e gas. Tra le aziende pronte a lavorare per l’URSS in campo energetico c’erano la Montedison, la Fiat e la Snia Viscosa.

mercoledì 19 ottobre 2016

L’Italia era una piccola URSS?


La politica monetaria dei sovietici ricorda molto quella della nostra prima repubblica. E’ ciò che emerge dal libro di Klebnikov. Gorbachev per pagare gli stipendi statali e ridurre il deficit svalutò il Rublo, ma contenendo l'inflazione, controllando cioè i prezzi. I beni erano scarsi e la gente accumulava denaro in banca che non poteva spendere, mentre faceva file lunghe al supermercato. Il problema della moneta lo abbiamo vissuto anche noi, con la differenza che Craxi e compagni cercarono di barare sul costo del denaro, ipotizzando dapprima, negli anni '80, una Lira pesante, poi nel 1992 bruciando le banconote stesse alla Banca d'Italia al momento di entrare nell'Europa Unita. Credo che da allora nulla sia cambiato. Anzi. Abbiamo perso l'abitudine di stabilizzare la nostra moneta, e ancora di più di cercare un rilancio industriale. Il governo bipolare prova a coprire le falle con svendite di beni di Stato e contraendo nuovi debiti con la vendita sistematica di titoli di Stato. Oppure sottoscrivendo nuovi compromessi con i paesi esteri creditori. Se i nostri beni non sono scarsi come quelli sovietici è merito di questi equilibri precari. L'Italia non produce più nulla, le aziende falliscono, il lavoro diminuisce, ma i nostri frigoriferi sono pieni zeppi di beni tedeschi, francesi, coreani. E da quando la moneta e' diretta da Berlino ci salva la Banca Centrale Europea con la sua stabilità, mentre noi spendiamo, programmiamo investimenti in inutili opere pubbliche mettendo praticamente tutto sul conto dello Stato.


La mafia russa è in Piemonte


La mafia russa aveva legami con il Piemonte e sono certo che li ha ancora. Nel libro del povero Paul Klebnikov «Godfather of the Kremlin» ce ne sono parecchie di cose che in Italia non si possono dire. E' forse per questo che non è stato tradotto nella nostra lingua. Un grosso scoop è che un partner della ditta Avtovaz del mafioso Boris Berezovskij era a Torino. Si chiamava Logo System. Fu il frutto di un vecchio accordo di joint-venture del 1989 tra la vecchia ditta di Togliatti (città russa col nome dell'ex leader del PCI), costruita dalla Fiat negli anni '60 e poi passata all'oligarca russo, e una delle sue aziende satelliti di out-sourcing, che gli sarebbero servite per l'informatizzazione degli obsoleti sistemi industriali sovietici.

martedì 18 ottobre 2016

Scandalo: lavorano gratis per l’ateneo!


L’ultima trovata dei nostri politici arriva dall’università del Molise. Ci dicono che, da un po’ di tempo, alcuni docenti universitari, quelli appena arrivati come al solito, sono costretti a lavorare gratis. E, se non si farà qualcosa subito, il malaffare si potrà allargare anche ad altre università. Tutto sembra nascere da una norma, la Gelmini del 2010, la quale iniziava a parlare di docenze gratuite. Da quanto ci dicono alcuni cittadini che hanno intrapreso su questo tema una battaglia politica, nel 2011 è arrivato un secondo decreto, nel quale si è confermato che il 5% delle docenze universitarie conferito a persone “di chiara fama” poteva essere anche gratuito, mentre per le altre veniva introdotto un tariffario, peraltro tutt’altro che dignitoso. Ma in Molise si va anche oltre quel 5%. Vengono colpiti i soggetti più deboli, ossia i precari, che pur di rimanere al lavoro devono accettare di lavorare gratis. L’università si è difesa spiegando che ciò servirebbe per tagliare le spese. L'Avvocatura distrettuale molisana e il Garante di Ateneo hanno avallato questa scelta basandosi sul concetto che “tutto ciò che non vietato dalle norme deve ritenersi lecito”. Non solo. Viene affermato che la docenza garantisce comunque un vantaggio in termini di “prestigio sociale” e quindi il corrispettivo ci sarebbe. Parole, queste ultime, che non sono nuove alle nostre orecchie giornalistiche. Anche nei giornali e nelle tv il prestigio può portare al ricatto del datore di lavoro. Se sei tu a voler lavorare? Perché allora ti dovrei pagare? La battaglia politica in Molise andrà avanti. Si potrà vincere, o perdere. Ma noi non lo accettiamo comunque lo sfruttamento del lavoro. Ci battiamo ogni giorno per smascherare il marcio che c’è in Italia, che non si nasconde solo nelle docenze gratuite, ma pure nelle ben remunerate, ma poco pubblicizzate, docenze per il sostegno scolastico ai disabili, per i quali la lezione si svolge in uno sgabuzzino. Vorremmo smettere di fare titoloni e commentare lo svolgimento di un maxi-processo equo, ma duro, contro i politici degli ultimi vent’anni. Vorremmo che finisse il processo mediatico su quanto si spende o quanto si guadagna, e iniziasse quello sul come si lavora.

domenica 16 ottobre 2016

Moro rapito dal controspionaggio militare



Calogero Cinisi, il politico della Piovra 9 che stringe un patto con la mafia siciliana è con molta probabilità Attilio Ruffini, della Democrazia Cristiana. Ci sono tanti episodi raccontati nella sua biografia scritta su Wikipedia che collimano con il film. Ruffini fu Ministro della Difesa durante il sequestro Moro. Stando a un altro film, Piazza delle cinque lune, il misterioso impiegato dell'Eni presente nel dossier dell'Stb, il cui nome è Claudio Avvisati, era un uomo del controspionaggio militare di quel Ministero della Difesa. E c'è di peggio: i comunicati delle Brigate Rosse sarebbero stati scritti con una macchina dei servizi segreti portata da Avvisati in via Foà ad Enrico Triaca. Si dice che dal 1977 in poi nacquero delle false BR create dai servizi segreti. E' possibile? Un terrorismo che, secondo il giurista americano Vittorfranco Pisano, era nato per protesta contro l'innalzamento del costo del lavoro e per la conseguente disoccupazione. Ora possiamo aggiungere che quelle proteste avevano assunto un volto diverso. Ma se è così, le nuove BR furono manovrate dallo stesso ministro Ruffini, dalla mafia e dalla P2? Forse è la terribile verità che portò alla morte nel 1979 di Pecorelli e del colonnello Varisco. A questo punto resta da capire chi tra cecoslovacchi e americani aveva più interesse a condizionare la politica italiana.

sabato 15 ottobre 2016

Abbiamo il mandante del delitto Moro?



Facciamo un gioco. Immaginiamo che l’URSS abbia vinto la guerra fredda, e che il popolo della Germania Est non abbia mai abbattuto il muro di Berlino. In questo mondo al contrario, i russi avrebbero scritto la storia attraverso i loro giornali, e noi, probabilmente, avremmo avuto altre rivelazioni simili a quelle degli anni ‘70. Ci riferiamo agli scoop che uscirono nel 1976 su L’Espresso, un settimanale che secondo l’Archivio Mitrokhin era di proprietà del KGB, o su Tempo. Ma immaginiamo che anche Andrew abbia voluto esagerare nel condannare lo spionaggio russo. Ebbene, il dossier del servizio segreto cecoslovacco sul terrorismo italiano potrebbe portarci al vero mandante del delitto Moro. In una nota del 28 gennaio 1976 venne redatto quindi un rapporto su Kostiw, che fu descritto come persona dal comportamento piacevole, dall’aspetto elegante, abile nel parlare il russo. Viveva a Roma. Pare che fu seguito dall’Stb, ma non fece movimenti sospetti. E’ l’ultimo documento del fascicolo. Il 6 ottobre 1986 l’Stb archiviò tutto, perché i dati erano “obsoleti e inutilizzabili”. Chi era però questo Kostiw, che nel 1976 - disse Scialoia - era al suo primo incarico alla Cia? Il 13 maggio 2006 il New York Times scrisse che fu un pezzo grosso della Cia nel settore dell’antiterrorismo, passato dal 2004 alle dipendenze di un certo Goss. In quel periodo il Washington Post scoprì uno scandalo: Kostiw nel 1981 era stato sorpreso mentre rubava in un supermercato un barattolo di pancetta da 2,13 dollari. E divenne così il “Bacon guy”. Ma basta per accusarlo di essere anche il mandante del delitto Moro?

Irregolarità nella scuola novarese


Posti del sostegno scolastico regalati, alunni stranieri discriminati, alunni disabili isolati, caos nelle nomine dei docenti, programmi scolastici stravolti. Sono solo alcuni dei problemi visti da un giornalista, obbligato dalla censura dittatoriale sulla stampa a dividersi tra attualità e insegnamento. Non ci si può nascondere per 1200 euro al mese, la dignità professionale non ha proprio prezzo. Non c’è scuola novarese nella quale non abbia visto illegalità. La più grave è il ricatto che ricevono i docenti più giovani, a cui non viene garantito da almeno 20 anni un esame di abilitazione annuale e regolare. Ho visto questi docenti costretti ad accettare posti di sostegno ai disabili, senza averne titolo, né averne fatto richiesta. Ci sono a volte più insegnanti di sostegno che disabili. Questi ultimi vengono quasi sempre allontanati dalla classe e condotti in aule di ricreazione. Di fatto vivono la scuola media in isolamento, e alle superiori vengono bocciati. Le nomine ministeriali da due anni non arrivano in tempo per l’inizio dell’anno scolastico. Molti docenti accettano contratti umilianti, che durano “fino all’avente diritto”, cioè fino alla nomina del docente di ruolo. La scuola diventa così un parcheggio in cui bivaccare in attesa di un altro incarico. I programmi scolastici restano l’ultima preoccupazione. E chi vorrebbe costruirsi una carriera lavorativa si trova di fronte a classi turbolente. Ho visto bambine di prima media accusare con cattiveria una compagna straniera, o bambini fare lo stesso con un ragazzo musulmano. Si susseguono reazioni che a volte possono portare alla rissa verbale e fisica. C’è il bullismo, che i dirigenti cercano di nascondere. E’ emerso da temi di seconda media. La dislessia è un ulteriore elemento di discriminazione. I consigli di alcune classi sono irregolari, perché avvengono in contemporanea e senza che i docenti firmino la presenza. E come se non bastasse certi dirigenti entrano con prepotenza nella gestione della classe, imponendo regole di comportamento. Mi è stato impedito ad esempio di farmi dare del tu dagli alunni. Sono stato rimproverato con durezza da tre dirigenti scolastiche, due delle quali mi hanno rovinato la reputazione davanti agli alunni.

giovedì 13 ottobre 2016

Viglione, cronista o perseguitato?


Chi è Ernesto Viglione, il giornalista che compare nel dossier cecoslovacco sul terrorismo? E’ scomparso nel 2013. Fu un cronista politico per un trentennio. Democristiano, amico dell’ideatore della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, Flaminio Piccoli, durante gli anni di piombo lavorò per Il Settimanale, un giornale di destra che, come sappiamo, nell’estate del 1976 accusò Praga e il Kgb di sostenere il terrorismo. Fu proprio per replicare a queste accuse che l’Stb aprì un’inchiesta sulle brigate rosse italiane, con la quale era convinto di poter svelare agli italiani i nomi dei veri mandanti: servizi segreti italiani, tedeschi e americani. Chi aveva ragione? Probabilmente tutti e due. Sia le accuse di Viglione, sia il dossier cecoslovacco contengono notizie preziose, confermate dai documenti. Vi sono però anche delle stranezze. Vediamole. Un articolo della Stampa sottolineava nel 1979 che alcuni cronisti del Settimanale parteciparono alla riunione del 1965 all’Hotel Parco dei Principi. Vi erano anche Pino Rauti, Giorgio Pisanò e un noto dirigente della Montedison. Fu lì, dissero con certezza le inchieste, che venne decisa la strategia delle bombe, forse con i fondi neri di Foro Bonaparte. Viglione, secondo quanto scrisse all’epoca Lotta Continua, fu indagato alla fine degli anni ‘70 per il delitto Moro, perché considerato vicino a quei servizi segreti coinvolti nelle stragi di Stato. Ne uscì con un’assoluzione in appello nel 1983, dopo una condanna a tre anni e sei mesi in primo grado. Un’altra stranezza la si ritrova nel dossier dell’Stb. L’articolo in cui Viglione parlò di Feltrinelli non venne fotocopiato dai servizi cecoslovacchi, come fu fatto in molti altri casi, ma tradotto in ceco e trascritto manualmente. E’ l’unica volta in cui una relazione dell’Stb non compare con la firma di una spia, bensì di un estraneo.

Per chi spiava l’editore Feltrinelli?


Che Giangiacomo Feltrinelli, editore e militante dell’estrema sinistra, fosse una spia era noto, sia ai parlamentari della commissione stragi del 2001, sia ad alcuni storici. Ma che non spiasse per i servizi cecoslovacchi è secondo noi una grossa novità, che emerge dal dossier che ci è stato inviato dall’archivio di Praga. I fatti sono questi. Tutto nacque da un articolo scritto da Ernesto Viglione su Il Settimanale, il 9 giugno 1976. Il giornalista sosteneva che Feltrinelli, prima di morire nel 1972, fulminato da un suo ordigno mentre preparava un attentato, avesse viaggiato verso Praga con passaporti falsi, intestati tra gli altri a un certo Giancarlo Scotti. Il governo comunista dunque non poteva non sapere, secondo Viglione, che dei terroristi, tra cui i responsabili delle stragi in Alto Adige, si recassero a casa sua per cercare protezione. L’Stb invece non ne sapeva nulla e cercò di aprire una sua inchiesta, dalla quale emerse che i viaggi dell’editore c’erano stati. Il 15 giugno del 1977 l’ufficiale Kubin scrisse queste parole: Feltrinelli ha “visitato la Cecoslovacchia per un totale di 5 volte, di cui 3 con il vero nome e 2 con il nome di Giancarlo Scotti”. Seguivano date, luoghi, orari e le fotocopie dei permessi, con tanto di foto, di Feltrinelli e del suo alter ego Scotti. Quindi dobbiamo correggere la commissione stragi: l’Stb non gestiva i movimenti di Feltrinelli, ma aveva i mezzi per rilevarne ogni movimento. Questo era il comunismo. Si è occupato di questa vicenda anche l’ex dottorando Roberto Bartali, che nel suo bel lavoro intitolato “L’ombra di Yalta sugli anni di piombo” ha estrapolato dati molto simili dai dossier del Sismi e del Sisde e dai fascicoli giudiziari. Secondo questi ultimi Feltrinelli nel 1971 si recò a Praga perché “a Radio Praga c’era una parte di quei partigiani che avevano avuto guai giudiziari.” Come è possibile allora che l’Stb non ne sapesse nulla? Non sarà mica che Feltrinelli era una spia dei nostri Servizi?

Una richiesta di visto di Giancarlo Feltrinelli al governo comunista di Praga.

Un'altra richiesta di visto di Feltrinelli con l'identità falsa di Giancarlo Scotti. Notiamo una certa somiglianza tra questa foto e l'identikit del mafioso Matteo Messina Denaro che la polizia italiana sta trasmettendo nei mass media.
 

martedì 11 ottobre 2016

I furbetti del cartellino sono un'invenzione?


Quante invenzioni ci sono nei nostri giornali? Cominciamo a ritenere che siano tantissime, a partire dai famigerati «furbetti» del cartellino, ossia i lavoratori statali assenteisti. Nelle pagine d'archivio appaiono chiare due differenze enormi con l'attualità: la certezza del diritto, attualmente latitante, e i riflessi sulla collettività, altrettanto inesistenti. Le immagini delle forze dell'ordine create ad hoc sono troppo appetitose in questi anni per non mandarle in onda. E così, nei giorni lavorativi, i quotidiani si riempiono di video con impiegati in mutande che timbrano il cartellino e poi tornano a dormire o a divertirsi. Lo scoop è assicurato, ma la cronaca dal punto di vista giornalistico lascia a desiderare. Tutto si regge sui video. E se le immagini non raccontassero la verità? I giornalisti dovrebbero verificarlo, ma non lo fanno. Abbiamo provato noi. Cercando «assenteisti» nell'archivio della Stampa e dell'Unità si scopre con facilità che le stesse cose accadevano nel 1982, ma con scenari ben più drammatici. All'epoca c'era una legge che non ammetteva scuse: l'abuso d'ufficio, che si chiamava interesse privato in atti d'ufficio. Che fine ha fatto? Renzi quest'anno ha firmato una legge per evitare il reintegro sul lavoro dei «furbetti». In questo modo ha inventato qualcosa che già esisteva. Inoltre nelle cronache attuali mancano le lamentele dei cittadini, i quali di fronte a svariati uffici comunali in cui non si lavora dovrebbero riscontrare notevoli disagi. Ebbene, dove stanno questi disagi?

domenica 9 ottobre 2016

Spunta un legame tra la RAF e le Brigate Rosse?


Certi scrittori hanno evidenziato le similitudini tra gli atti terroristici delle Brigate Rosse e quelli coevi della banda tedesca Baader Meinhof, detta anche RAF: Red Army faction. Ora c’è un documento che svela un legame concreto tra le due fazioni. Riguarda Claudio Avvisati, l’ex impiegato dell’ENI che nell’estate del 1978 fu arrestato dalla polizia con l’accusa di essere uno dei membri del commando che massacrò il 16 marzo 1978 la scorta di Aldo Moro. Su quest’uomo, allora venticinquenne oggi vicino probabilmente alla pensione, indagava l’Stb di Praga, e proprio cercando ulteriori notizie sul web sono spuntati i verbali originali della questura italiana, tra gli allegati del fascicolo datato 1991 della Commissione Stragi del Parlamento. Nei verbali della Digos compare, nell’elenco degli oggetti rinvenuti il 18 luglio 1978 durante la perquisizione di casa Avvisati, un “manifesto in tedesco della RAF.” Avvisati, romano, ex membro di “Potere operaio”, fu indagato perché, dopo i precedenti per associazione sovversiva dei primi anni ‘70, fu colto mentre acquistava una macchina tipografica per il brigatista Enrico Triaca. Ma alla polizia forse sfuggì di essere di fronte a un fanatico della banda tedesca Baader Meinhof. Infatti, in un ulteriore verbale più dettagliato sembra che manchi una riga proprio quando si parlava del manifesto tedesco. Il poliziotto scrisse che aveva trovato anche: “un manifesto su fondo nero con al centro una fotografia di donna” (Ulrike Meinhof? ndr) Nell’andare a capo venne lasciata a metà la parola “fir-” per poi riprendere con “-to i prigionieri della RAF”. Fu un errore di battitura o si cercò di nascondere questo inquietante indizio? La polizia era comunque convinta che Avvisati fosse “l’elemento più qualificato per avviare la tipografia delle Brigate Rosse di via Fucini e di via Pio Foà”. Fece anche un’indagine scrupolosa sul viaggio a Praga del 17 marzo ‘78, da cui emerse che Avvisati, con un certo Patrizi, si era unito solo all’ultimo alla comitiva organizzata dall’ente per i lavoratori “ETLI”. Il misterioso uomo dell’ENI fu scarcerato quasi subito e di lui non si seppe più nulla. 







sabato 8 ottobre 2016

Praga non si fidava di Giuseppe Setti


I servizi segreti dell’ex Cecoslovacchia non si fidavano di Giuseppe Setti. Quest’ultimo secondo alcuni studiosi fu un industriale di Reggiolo che fece il doppio gioco, raccontando fatti italiani all’intelligence dell’Stb. I documenti che mi sono giunti da Praga in un cd rom, invece, non sembrano confermare totalmente questa ipotesi. Stiamo analizzando in maniera approssimativa, con una scadente traduzione automatica di Google, un dossier che gli ex cecoslovacchi prepararono tra il 1971 e il 1986 sul terrorismo italiano. In realtà, l’indagine si svolse in gran parte tra il 1977 e il 1978. Una delle prime relazioni in ordine di archiviazione riguarda questo Giuseppe Setti. Il solito ufficiale Kubin raccontò il 27 ottobre del 1975 come furono organizzati i contatti con l’imprenditore nativo di Reggiolo, classe 1923. Secondo la relazione, Setti apparteneva al partito comunista italiano e dopo il 1947 venne mandato in Cecoslovacchia per un indottrinamento politico. A quanto pare l’Stb non ne era al corrente. Al suo ritorno in Italia, nel 1955, il Sifar italiano lo accusò di essere una spia. Pare che Setti fu anche maltrattato dalla polizia. E quando nel 1965 chiese un nuovo passaporto, per recarsi in Cecoslovacchia per affari, gli fu negato. Fu a quel punto che Setti si rivolse all’Stb, il quale attivò tra il 1967 e il 1968 dei contatti con lui per negoziare una collaborazione. Sembra di capire che il manager di Reggiolo cercasse dei documenti per espatriare, tuttavia Kubin in più passaggi della sua narrazione scrisse che l’Stb non riteneva l’industriale una persona affidabile. I motivi stavano certamente nelle attenzioni che il servizio segreto italiano aveva per i suoi spostamenti, ma forse anche nel fatto che Setti si mostrava più interessato agli affari che alla politica.

mercoledì 5 ottobre 2016

Un misterioso impiegato dell’ENI


Un impiegato dell’Eni fu indagato dal servizio segreto di Praga il 26 luglio del 1978. Si tratta di Claudio Avvisati, classe 1953 quindi all’epoca venticinquenne, romano, ex militante di “Potere operaio”, che era stato arrestato pochi giorni prima dalla polizia italiana. L’accusa era di aver partecipato al rapimento dell’onorevole Moro, dunque di essere uno di quei professionisti che, secondo gli articoli della Stampa di allora, con armi sovietiche e cecoslovacche avevano sterminato la scorta. Mi sono chiesto subito chi fosse questo personaggio, sul quale i servizi cechi avevano trovato nel loro archivio delle segnalazioni, e non sono così convinto che fossero più indiscriminate e frequenti delle nostre. Leggendo qua e là gli articoli italiani d’archivio si potrebbe considerare Avvisati una meteora delle indagini sul rapimento Moro. Accusato di essere addirittura uno dei leader delle Brigate Rosse, fu subito scarcerato. Dovrei a questo punto garantirgli il diritto all’oblio, tuttavia ho notato che sul sito dello scrittore Erri De Luca sono state pubblicate alcune vecchie pagine del giornale di Lotta Continua, proprio dei giorni in cui Avvisati si trovava in carcere. Ma non ne ho capito la ragione. Si tratta forse di una protesta, come quella dell’organo di Lotta Continua, contro la repressione dura attuata dallo Stato nel 1978? Devo a questo punto aggiungere i dettagli che ho reperito nei documenti dell’STB. Claudio Avvisati era stato a Praga tra il 17 e il 20 marzo del 1978 e sembra di capire che alloggiò in un albergo. Aveva chiesto un visto turistico, e presentato alla dogana il suo passaporto. L’STB riuscì misteriosamente a fotografare e inserire nel fascicolo un altro documento con scritte in lingua ceca e timbri della polizia. Il fatto che un indagato delle BR fosse partito per Praga il giorno dopo il rapimento di via Fani poteva giustificare dei sospetti. Tuttavia, a una sommaria analisi del dossier ceco sulle BR, queste indagini non ebbero un seguito.

L’estrema sinistra cercò appoggio a Praga


Pochi giorni dopo la morte di Aldo Moro avvennero dei contatti tra l’estremismo italiano di sinistra e l’STB. E’ questa, a grandi linee, l’evoluzione dell’indagine dei servizi segreti cecoslovacchi sul terrorismo italiano che emerge da una traduzione approssimativa di alcune relazioni. C’è un uomo chiave in questi giorni, siamo a giugno del 1978: si tratta di Guido Campanelli. La situazione è questa. Campanelli, un ex partigiano del PCI che si allontanò dalla sinistra parlamentare per dissidi sui patti lateranensi, decide di contattare i membri dell’STB, i quali in un rapporto dell’11 giugno 1978 raccontano in prima persona le loro impressioni. Campanelli chiede sostegno ai cecoslovacchi, perché non crede nella politica del PCI. Vorrebbe chiarezza sulla situazione nel mondo sovietico, su cui i quotidiani comunisti sembra che non siano attendibili. Non vuole discussioni accademiche e ideologiche, ma un confronto sui servizi assistenziali per la gente: le pensioni, la sanità. L’agente dell’STB risponde che i loro interlocutori sono nel PCI. Un dialogo con i partiti estremisti, come il suo "La resistenza continua", potrebbe influenzare negativamente le relazioni diplomatiche. Inoltre teme che nella sinistra extra-parlamentare vi sia il maoismo. Il dialogo prosegue. Campanelli ribatte che il maoismo è una diretta conseguenza della politica del PCI, lontana dalle esigenze concrete dei giovani, che “non dà speranze di costruzione del socialismo”. L’agente ceco consiglia di proseguire nel contatto. Campanelli potrebbe risultare utile nella diffusione di materiale “promozionale”, anche se l’esempio da dare agli italiani non andrebbe limitato alla sola Cecoslovacchia, ma allargato al mondo sovietico. Per valutare l’attendibilità dell’italiano viene riportata la sua biografia completa, ma pochi giorni dopo avviene un fatto inatteso. La polizia italiana il 14 luglio 1978 arresta Guido Campanelli perché sospetta che faccia parte delle Brigate Rosse che uccisero Moro. L’STB deve quindi aggiornare la relazione dell’11 giugno con una postilla. Alla fine del processo italiano, nel 1980, Campanelli verrà assolto.

martedì 4 ottobre 2016

Fratello di Minoli fu spiato a Praga


Il fratello del noto giornalista Giovanni Minoli fu spiato mentre visitava Praga, nel 1978, per un documentario. E’ quanto si apprende traducendo, in modo un po’ approssimativo con Google, due relazioni del servizio segreto dell’ex Cecoslovacchia, l’STB. Tra il 29 maggio ed il 3 giugno del 1978 un Lorenzo Minoli della De Agostini, torinese, classe 1951, partì per un viaggio in compagnia di Marco Ricceri, fiorentino, nato nel 1946, dirigente della CISL. I due accompagnavano l’ambasciatore americano a Roma: Martin Artur Wenick. Il servizio segreto cecoslovacco seguì gli spostamenti del gruppo monitorando i veicoli. Minoli, Ricceri e Wenick si mossero, secondo la relazione firmata da un certo Senfeld, nell’area operativa della CIA. Pare che visitarono i monumenti di Praga. “Il loro scopo - scrisse testualmente l’STB - era quello di scattare fotografie di diversi luoghi di Praga in occasione dell’anniversario dell’invasione delle truppe russe in Cecoslovacchia nell’agosto del 1968”. Il materiale sarebbe servito per un documentario in uscita ad agosto del 1978. Non è ancora chiaro cosa c’entrasse questo viaggio degli italiani con le indagini dell’STB sul terrorismo italiano, che è l’argomento principale del fascicolo in cui sono contenute le relazioni di Senfeld. Né si comprende come queste informazioni fossero state ottenute. L’ipotesi più probabile è che l’STB si insospettì perché il gruppo si recò a Praga con un semplice visto turistico. Si intuisce inoltre che le spie di Praga intendevano continuare ad indagare sulle residenze di Minoli e Ricceri in Italia, dato che dei due avevano ottenuto gli indirizzi esatti. Furono redatte delle schede informative sia su Minoli, sia su Ricceri e Wenick.

domenica 2 ottobre 2016

"Combattere le destre con la distensione"


Nella relazione del 2 giugno 1978 il governo sovietico chiese ai cechi di "lavorare sulla distensione" con l'occidente. Solo in questo modo - scrisse il Politburo - si possono "sopprimere le estreme forze di destra". Anche il presidente Usa, Jimmy Carter, stava aprendo al dialogo con l'est, mentre la Democrazia Cristiana di Aldo Moro si avvicinava alle dittature oltrecortina per attivare rapporti commerciali. E' una sottigliezza politica, ce ne rendiamo conto, tuttavia la frase del nostro documento, se la traduzione di Google è corretta, smentisce nettamente le dichiarazioni dell'ammiraglio Fulvio Martini, dei servizi segreti italiani, o quanto meno le limita al periodo di Kruscev. Martini rivelò infatti alla commissione stragi che l'Urss avrebbe preferito rispettare gli accordi di Jalta, e avrebbe ostacolato l'ascesa del comunismo in Italia. Kruscev gli avrebbe detto testualmente: "Il Partito comunista in Italia non arriverà mai al potere, perché noi cominceremmo a preoccuparci veramente, visto che è stato assegnato a Jalta agli americani, non è un paese grigio come la Jugoslavia, è un paese bianco; noi arriveremmo persino a prendere misure attive. Misure attive nel gergo dei servizi significa fare la disinformation: introdurre documenti falsi ed altre cose del genere." Nel 1978 a capo dell'Unione Sovietica c'era Breznev, e non più Kruscev, tuttavia la distinzione andava fatta. Ancora più in contraddizione con il documento dell'STB sono le parole riportate nei libri pubblicati sul KGB e sulla Stasi, all'interno dei quali vi è un'ampia analisi della posizione dell'Urss sul terrorismo italiano. Se infatti Andrew afferma che i sovietici osteggiavano l'Eurocomunismo di Berlinguer, Falanga riporta una conversazione tra le spie di Berlino est e il responsabile delle relazioni internazionali del Pcus, Boris Ponomarev. Questi accusò i comunisti italiani di non essere disposti alla rivoluzione violenta. Disse: "I compagni italiani non vogliono capire che non si può restare sempre sulla difensiva. Anche se v'è l'opportunità di una via pacifica, ogni partito comunista deve essere sempre pronto alla lotta armata". Era l'ottobre del 1976.

"Attenzione ai fascisti infiltrati in polizia"


A pochi giorni dalla morte di Aldo Moro, il 2 giugno 1978, il governo russo inviò al servizio segreto di Praga un'analisi del fascismo in occidente. Vi sono alcuni punti chiave abbastanza chiari. I russi chiesero ai cechi di prestare attenzione, in particolare, a due fenomeni: le infiltrazioni di neofascisti nei sindacati dei lavoratori, così come nelle forze di polizia e nelle forze militari, e poi l'unione tra estremisti neofascisti e maoisti cinesi. Più in generale il fascismo era segnalato in fase di regresso. Le dittature spagnola, portoghese e greca erano cadute. In Italia c'era stata una spaccatura nel "Social movimento nazionale forze di destra italiane", pertanto l'estremismo perdeva consensi, rendendo difficile l'uso massiccio della forza. Elementi chiave erano i governi di centro andati al potere in Europa. Il fascismo - sottolineava il Politburo - si esprime attraverso "l'insoddisfazione verso la debolezza del governo dei democratici cristiani". Quindi utilizza la sua stampa per portare il paese verso l'anticomunismo. Non potendo contare su una maggioranza in Parlamento, in Italia il fascismo penetra nelle forze armate, in quelle della polizia e dei servizi speciali. La borghesia italiana, sicura nel 1978 di contare sul Parlamento, non intende instaurare un regime fascista "duro". Tuttavia - aggiungevano i russi - il pericolo nero esiste, poiché vi è una parte, chiamata "terzo Stato", costituita da soldati, impiegati conservatori, leader politici, che è pronta ad appoggiare il neofascismo se dovesse allinearsi sulle loro posizioni. Anche i "complessi militari-industriali" hanno connessioni con il neofascismo, il quale può arrivare al potere in quei paesi in cui più forte è il pericolo comunista." Ecco perché "alcuni governi socialdemocratici o conservatori tendono ad agire con pazienza e tolleranza con le organizzazioni neofasciste e benevoli verso le loro attività." Se la guerra fredda fosse finita diversamente, questa analisi sarebbe già storia, oggi, e avremmo una spiegazione politica alla strategia della tensione in Italia. Il fenomeno delle infiltrazioni del Movimento Sociale Italiano nel PCI fu analizzato, in ogni caso, anche dalla Cia alla fine degli anni '40 del secolo scorso, mentre l'unione tra filo-cinesi e neofascisti trova riscontri negli articoli di Lino Jannuzzi e nelle indagini sulla bomba di piazza Fontana a Milano del 1969.

sabato 1 ottobre 2016

"Il ministro Cossiga è un bugiardo"


Il servizio segreto dell'ex Cecoslovacchia aprì un'indagine sul terrorismo italiano. Avvenne nel maggio 1977 come reazione alle accuse dell'allora ministro dell'interno italiano, Francesco Cossiga, contro le nazioni dell'est, colpevoli, secondo lui, di sostenere il terrorismo delle Brigate Rosse. E' la sconvolgente novità che apprendiamo dai documenti dell'STB, l'ex servizio segreto cecoslovacco, che sono ormai consultabili all'archivio di Praga. L'STB era convinto che le Brigate Rosse non fossero una realtà di sinistra, bensì che venissero sostenute segretamente dalla borghesia di destra, dai servizi segreti italiani, dalla Cia e dai servizi dell'ex Germania Ovest. Nel documento datato 18 maggio 1977 l'ufficiale ceco Kubin proponeva perciò al suo governo dei provvedimenti per smentire le falsità uscite sulla stampa. Cossiga aveva rivolto le sue accuse dalle colonne del giornale Il Settimanale, in un numero del 9 giugno 1976. Tra le contromisure c'era un'indagine sui nomi dei terroristi che comparivano negli articoli diffamatori della stampa italiana. Qui inizia il mistero, che potrà essere in gran parte svelato solo quando sarà possibile conoscere la traduzione di tutti i circa 200 documenti del dossier dell'archivio di Praga. Queste carte sono scritte in lingua ceca e sono state divise in tre cartelle digitali. Dentro vi sono le fotografie di quasi tutti i documenti: relazioni dell'STB sul terrorismo, visti personali per il soggiorno, schede di spie, lettere, articoli di giornale in italiano. L'STB indagò sulle Brigate Rosse poco prima del rapimento del presidente Moro e soprattutto durante i drammatici 55 giorni di prigionia. Ma lo fece soffermandosi su nomi a noi meno noti, come il militante di "Potere Operaio", Claudio Avvisati, che venne arrestato dalla polizia italiana il 19 luglio 1978. Esiste dunque una storia parallela delle Brigate Rosse, una storia che nessuno in Italia ha voluto raccontare?

venerdì 30 settembre 2016

Quel Di Pietro che spiava in Egitto


Le recenti vicende della guerra in Siria, che vedono ufficialmente alleati Israele e noi italiani contro l'Isis, offrono lo spunto per ricordare un episodio di tanti anni fa. Lo scenario politico è quello dell'Egitto e siamo nell'ottobre del 1960. Ben diciassette persone vengono accusate dalla polizia di spionaggio in favore di Israele, al quale avevano trasmesso "con inchiostri simpatici e radio clandestine informazioni di natura militare, economica e sociale". Lo scrisse nel 1969 il giornalista e politico Vinicio Araldi nel suo libro dimenticato "Guerra segreta in tempo di pace". Tra le persone arrestate figurano il pilota delle linee egiziane, Fuad Moharran, il capo di una compagnia commerciale egiziana, Rachad Rizk, e l'agente segreto Sami Nafeh. Questi tre signori, scrisse Araldi, avevano costruito una rete di spie in Egitto che comprendeva anche gli italiani Raimondo Di Pietro e Ferdinando Paciolla. Viene istruito un processo presso la corte della Rau, le Repubbliche Arabe Unite, durante il quale gli accusati, e tra questi i due nostri connazionali, si difendono dicendo di non essere al corrente dell'uso improprio delle informazioni che fornivano, per di più per compensi di poco conto. Ma le condanne sono durissime: morte per le tre spie principali, 15 anni per Paciolla e 10 per Di Pietro. Da quel giorno molti fatti si sono succeduti, ma non è mutato lo scenario geopolitico del Medio Oriente, a parte il devastante intervento degli Usa. Eppure noi italiani abbiamo vissuto la politica più come un gioco che come un affare serio, dove sono in ballo le vite delle persone. E' il caso della morte sempre in Egitto di Giulio Regeni, che non si è ancora capito se era più giornalista senza stipendio o più ricercatore bistrattato dagli inglesi. E' il caso dei soldati italiani che muoiono nelle missioni all'estero, mentre lo Stato vende aerei da guerra allo stesso Israele, fortemente interessato al conflitto siriano. La nostra politica da talk show non sembra all'altezza della situazione.

Intervista rivela legame tra Usa e Isis


Sono sempre più numerose le notizie secondo cui gli Stati Uniti e Israele starebbero aiutando i miliziani dell'Isis. Alcuni mesi fa si parlava su Yournewswire.com di una vecchia e-mail della Clinton intercettata da Wikileaks. Vi veniva rivelata la necessità per gli Usa di proteggere Israele con una guerra in Siria. Ieri è invece comparsa un'intervista sconvolgente su Trunews, firmata dal giornalista Jurgen Todenhofer del tedesco Koelner Stadt-Anzeiger. In questo lavoro eccezionale il capo di Al Nusra, Abu Al Ezz, rivelerebbe un legame diretto tra l'Isis e gli Usa, attraverso l'invio di armi sofisticate delle quali gli esperti statunitensi starebbero anche spiegando ai miliziani le modalità di utilizzo. «Gli americani sono al nostro fianco», avrebbe detto il leader del gruppo che "è parte di Al Qaeda". Ma Abu Al Ezz afferma altre cose sensazionali: ad esempio che quando Al Nusra fu assediata ottenne supporto dagli Usa, Israele, Arabia Saudita, Qatar e Turchia. «Ci aiutarono con i satelliti, razzi e telecamere di sicurezza termici». Ad Al Nusra verrebbero anche inviati premi in denaro dall'Arabia Saudita per le conquiste. Il gruppo godrebbe del sostegno di Israele, che è in lotta con l'Iran e gli Hezbollah libanesi, nonché del supporto degli 007 occidentali. A queste accuse ha risposto alcuni giorni fa il sito Jerusalem Post, affermando che l'accostamento tra Isis e Israele è propaganda nazista. «Ci stanno accusando di essere il diavolo», hanno scritto gli israeliani, «ma queste calunnie vengono dal mondo islamico, dell'estrema destra ed estrema sinistra».

Abu  rivelerebbe

mercoledì 28 settembre 2016

L'imprenditore Impregilo incorona Renzi


Grandi manovre alla sfarzosa corte del premier del PD. Il Renzi ospite di Impregilo fa già capire che, se ci sarà un appalto pubblico per costruire il ponte sullo stretto di Messina, e non vedo cosa altro possano avere nella loro mente limitata, Impregilo sarà quello che lo vincerà. Grillo recita la parte del difensore dei soldi dei cittadini, ma continua a non riuscire a proporre qualcosa di concreto. Del resto quando parli di infrastrutture non c'è mercato, come da altre parti. La caduta del muro di Berlino ha portato al passaggio dal monopolio di stato a quello di un amico di stato, come nella Russia di Eltsin. Non ci sono concorrenti ne' sui treni, perché la rete ferroviaria resta nelle mani di un solo proprietario, ne' sulle autostrade, e lo si vede dai pedaggi dell’unica società privata monopolista che aumentano senza inflazione. In questo scenario molto semplice si può costruire solo con i fondi pubblici, perché al privato che vorrà proporre progetti come sogna Impregilo sarà impossibile vendere pedaggi. Basta vedere il teatrino che lo stesso Impregilo ha messo in scena ad Ancona per l'uscita dal porto, che poi non si fa mai ovviamente, perché un'autostrada di 10 chilometri gestita da Impregilo sarebbe come la ferrovia Napoli-Portici del 1839, una cosa modernissima e mai vista. Nonostante queste facili argomentazioni, ad Ancona la polemica, alimentata dal movimento di Grillo, continua ad arroventarsi, producendo l’ennesima incompiuta del dopoguerra. Impregilo secondo un articolo del Messaggero di Ancona aveva proposto l’opera all'Anas a costo zero, contando sui pedaggi, ma poi ha voluto rivedere l’accordo chiedendo milioni di finanziamento statale. Grillo, giustamente, grida al complotto contro gli altri concorrenti dell’appalto: quanto avevano chiesto per l’uscita a ovest? Nessuno pensa ad aprire il mercato delle autostrade. E finché sarà così, gli imprenditori amici del PD continueranno a prenderci in giro.

martedì 27 settembre 2016

I campi di concentramento del 2016


Lo Stato italiano sta creando dei veri campi di concentramento. Netta è infatti la similitudine tra l'aspetto architettonico dei lager nazisti e quello dei centri di accoglienza. Ma è anche ingiusta la detenzione che subiscono questi stranieri, che vengono privati persino di un avvocato. Lo sottolineava nel marzo del 2014 il senatore marchigiano Luigi Manconi, che con la sua commissione aveva fatto visita ai Cie, i centri per l'identificazione e l'espulsione. Scriveva: "Si è riscontrata la presenza di persone private della libertà personale per prolungati e periodi di tempo, impossibilitate a svolgere alcun tipo di attività ricreativa o formativa." Manconi era rimasto colpito dalla depressione di questi stranieri, costretti a prendere psicofarmaci. Le regole adottate da ogni singola prefettura erano durissime. "Alcuni dei divieti previsti nei singoli centri dalle prefetture sono incomprensibili - lamentava il senatore nella relazione - non sono permessi gli accendini, e solo in alcuni casi si possono usare i fiammiferi; i lacci delle scarpe vengono requisiti all’ingresso nel centro; non sono ammessi telefonini con la fotocamera". La vera organizzazione di questi centri la si trova sul sito del Ministero dell'Interno. Esistono tre categorie: la prima riguarda chi arriva dall'estero. Per loro esistono i centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa). Lo Stato però sta cercando anche tutti gli stranieri già presenti in Italia, che finiscono nei famigerati Cara, se chiedono protezione internazionale, e nei centri di accoglienza. Su questi ultimi c'è una frase terribile: Essi - dice il sito del Ministero - "garantiscono prima accoglienza allo straniero rintracciato sul territorio nazionale per il tempo necessario alla sua identificazione e all'accertamento sulla regolarità della sua permanenza in Italia." Si tratta a nostro avviso di una vera discriminazione razziale, se non di un rastrellamento nazista. Solo chi non chiede protezione internazionale finisce nei Cie, la terza categoria, e ciò spiega perché il senatore Manconi li trovò semivuoti. Inutile aggiungere che il Ministero non cita alcuna legge dello Stato, se non per i già noti Cie.

 

Il cinegiornale della polizia italiana


Non ha avuto alcun effetto in Italia lo scandalo che travolse mesi fa la polizia italiana in Svizzera. Nel marzo del 2016 si diffuse in Ticino, attraverso i quotidiani, la notizia che la polizia italiana stava arrestando dei criminali della mafia calabrese. La legge tuttavia non consente a un sistema giudiziario di sconfinare "sua sponte" in un paese che, per giunta, non è nemmeno europeo. Nel volgere di poco tempo i giornalisti rossocrociati scoprirono la verità. La Polizia Italiana aveva girato un video falso assumendosi dei meriti che non aveva. Infatti l'arresto c'era stato. Si trattava dell'operazione denominata "Helvetia", ma era stato portato a termine dai gendarmi del Canton Ticino. In Svizzera la notizia è morta nel volgere di poco tempo, da noi poteva suscitare ben altri sospetti. Si tratta di un fatto gravissimo e senza precedenti ufficiali. Cosa pensare di tutti quei video che ogni giorno occupano spazi enormi nelle televisioni nazionali, di tg e trasmissioni di attualità? Si tratta pur sempre di prove di reati che dovrebbero rimanere nei faldoni della procura fino al processo, e invece fanno parte spesso della videoteca di siti internet e canali Youtube. Avevo posto questi quesiti al magistrato Antonio Di Pietro, senza ottenere stavolta alcuna risposta. E mi ero lamentato con la Guardia di Finanza, artefice di arresti di falsi ciechi ripresi e derisi mentre corrono in moto o in bici, ma senza prove mediche della totale cecità. Le fiamme gialle si giustificarono spiegando che applicavano la legge 150 del 2000, quella che regola la pubblicità della pubblica amministrazione sui mass media. Una pubblicità, peraltro, pianificata anno per anno. L'impressione complessiva è che la realtà mandata in onda, visto anche quanto avviene nel campo vastissimo dei ghostwriter, sia una storia ben costruita, verosimile, ma aggiustata come piace ai gruppi di potere del centro-sinistra.

La base del Conero è davvero della Nato?


Continuano a sorgere dei dubbi circa il fatto che il monte Conero sia tuttora una base della Nato. Negli elenchi delle oltre cento basi definite Usa e Nato, cioè controllate dalla coalizione atlantica o direttamente dagli Stati Uniti, il Conero non compare. Abbiamo visionato i siti kelebekler.com, disarmiamoli.org, disinformazione.it e anche byebyeunclesam.files.wordpress.com, nei quali viene segnalata nelle Marche la sola base di Potenza Picena, dotata di un "Centro radar Usa con copertura Nato." Come mai pertanto a così breve distanza, visiva e chilometrica, la Nato avrebbe installato un'altra stazione di controllo radar? In realtà in qualche sito come nogeoingegneria.com il monte Conero viene segnalato e ne viene indicato lo stesso scopo che si può leggere su Wikipedia. Il Conero avrebbe orientato i suoi radar, "forse", precisa il compilatore dell'elenco, sul Medio Oriente. Cosa impedisce ai radar di Potenza Picena di assolvere la stessa funzione? Le colline dell'ascolano? E' un fatto che, durante le recenti guerre degli Stati Uniti, del Conero non si è mai parlato, neanche nelle cronache locali.

domenica 25 settembre 2016

Un suggeritore guida il premier del PD


Il premier del PD e presidente del consiglio, Matteo Renzi, avrebbe avuto un suggeritore per le sue idee politiche. Secondo quanto hanno scritto alcuni importanti giornali di centro-destra, riprendendo le accuse di questo suggeritore pentito, Renzi sarebbe andato in onda a Ballarò, sulla Rai, senza sapere cosa dire, chiedendo che i testi gli venissero forniti da un ghostwriter. Una pratica, quest'ultima, talmente diffusa nel partito democratico da far scrivere ad alcuni blogger che persino personalità illustri come D'Alema e Veltroni avrebbero solo firmato i loro libri, che in realtà sarebbero stati scritti da autentici fantasmi della cultura italiana. La vicenda non è nuova, tuttavia riteniamo di dover sottolineare alcuni punti fondamentali. Non è pensabile che un presidente del consiglio, il quale si è preso in mano un governo tecnico e ha disegnato riforme epocali in pochi mesi, non sappia cosa dire di fronte alle telecamere della Rai. Perché ciò vuol dire che forse questo accade anche in Parlamento, e milioni di italiani pendono dalle decisioni di uno sprovveduto, aiutato da un giovane ghostwriter che si sta lamentando di non essere stato pagato. Ma è ancora meno accettabile che queste notizie escano su giornali importanti senza che altri mass media, come vorrebbe il manuale del buon giornalismo, le abbiano riprese e sottolineate. Soprattutto è grave che non vi sia stata alcuna crisi di governo, ammesso che ancora queste possano esistere con il PD. Come si può accettare che a capo della maggioranza sia stata messa una controfigura, ma diciamo anche un manichino, manovrato dietro le quinte da un'oscura organizzazione segreta, oltretutto vietata dalla Costituzione? Bisognerebbe tornare ad arrossire dalla vergogna e riscoprire i veri valori della vita.