mercoledì 27 dicembre 2023

L’ispettore Agnesina, genio delle indagini o dei depistaggi?

 
Il 5 gennaio del 1956, alla vigilia dell’Epifania esplode un pacco bomba davanti a una finestra dell’Arcivescovado di Milano. Anche se la stanza dove avviene la deflagrazione è quella di monsignor Carlo Martani, assistente diocesano di Azione cattolica, il vero destinatario del gesto sembra subito chiaro: il futuro Papa Paolo VI, Giovan Battista Montini, che in quel 5 gennaio si apprestava a celebrare l’anniversario del suo arrivo a Milano.
E’ un attentato terroristico che fa sensazione. Montini a Milano in quel momento è molto apprezzato dalla gente, anche se non da tutti, evidentemente. La notizia riempie le prime pagine dei quotidiani. Il caso vuole che in quel momento le stanze dell’Arcivescovado, dove è esploso l’ordigno, una bomba rudimentale costruita in un barattolo di latta, siano deserte. Così la strage viene soltanto sfiorata. Si registrano danni al palazzo, ma nessuno rimane ferito.
Il luogo del fatto è poco distante da piazza Fontana, a Milano, in cui tredici anni più tardi si registrerà un altro attentato, stavolta ben più sanguinoso, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. L’attentatore, racconta il quotidiano Stampa Sera, forse è fuggito proprio attraverso piazza Fontana. Si pensa subito a un’azione a sfondo politico. Le indagini della Questura scattano immediatamente, e tempestivo è anche l’intervento del Ministero dell’Interno, il quale invia a Milano l’ispettore Vincenzo Agnesina, affinché con il suo fiuto di investigatore risolva l’enigma.
Nato a Potenza il 26 novembre del 1897, Agnesina entrò in Polizia durante il Ventennio fascista, facendo rapidamente carriera fino a diventare, nel 1943, la guardia del corpo di Benito Mussolini. Fu sempre Agnesina, nel dopoguerra, a ritrovare il cadavere del Duce che era stato trafugato a Predappio. Durante la guerra fredda fu Questore a Milano dal 1946 e poi Ispettore di Pubblica Sicurezza per conto del Ministero dell’Interno. Era considerato l’esperto dei grandi casi di cronaca nera. E come tale fu ricordato dal quotidiano La Stampa il giorno della sua morte, il 29 gennaio 1966. Ma era davvero questo Vincenzo Agnesina?
Nei giorni successivi alla strage mancata all’Archivescovado di Milano, Agnesina si diede da fare per indirizzare le indagini, che già parlavano di un attentato compiuto da svariati terroristi, verso la tesi dell’attentatore solitario. A suo dire, chi aveva agito non aveva nulla a che fare con i partiti politici. Non poteva che essere un pazzo con istinti suicidi. Magari una persona in difficoltà, che l’Arcivescovado stava assistendo con il suo istituto di beneficenza, ma che, insoddisfatta degli aiuti ricevuti, aveva deciso di agire con quell’insano gesto. In questo identikit non è difficile scorgere qualcosa che Agnesina aveva già affrontato nei mesi precedenti. Esattamente un anno prima, il 9 gennaio del 1955, un altro più grave atto terroristico si era verificato al cinema Metropolitan di Ancona e due donne erano morte. Anche in quel caso le prime indagini riferivano di un possibile conflitto a fuoco tra più individui. Da Roma si mosse il solito ispettore Agnesina, ed ecco che la pista cambiò immediatamente. Niente più attentato o sparatoria, ma azione isolata di un attentatore solitario: Michele Cannarozzo. Finanziere, con una famiglia numerosa a carico e in difficoltà economiche, Cannarozzo era depresso - dissero i giornali - poiché gli era stata negata una casa popolare. Avrebbe agito da solo per protestare contro le ingiustizie sociali.
I due fatti, di Ancona e Milano, tuttavia, seguirono destini differenti. Se infatti ad Ancona la teoria di Agnesina fu seguita alla lettera dal questore e dalla polizia, con una caccia all’uomo degna di un film americano, con tanto di taglia sull’attentatore-pazzo che andò a suicidarsi vicino Venezia, a Milano dell’attentatore solitario, “con gli occhi spiritati”, come già iniziavano a raccontare anche i cronisti milanesi, non si seppe più nulla. La storia cadde nell’oblio fino all’agosto successivo, quando riemrse per puro caso. Almeno così sembrerebbe. Su una cosa soltanto Agnesina ebbe ragione. Disse che l’attentatore si sarebbe fatto notare con qualche gesto. In effetti, Carlo Alberto Volpi, un militante di estrema destra, figlio di quell’Albino Volpi implicato nel delitto Matteotti, si tradì scrivendo una lettera al suo avvocato. Arrestato per reati finanziari, minacciò dal carcere il suo legale e amico, Eligio Noja, facendo chiari riferimenti all’attentato all’Arcivescovado di Milano. La lettera fu intercettata dalla polizia. Ma Volpi aveva una gran voglia di parlare, poiché, stando alla ricostruzione fatta dall’inviato della Stampa il 22 agosto del 1956, scrisse un memoriale e cercò di venderlo ai giornali. Interrogato in Questura, fece altri nomi, tra i quali soprattutto quelli di Hermes Vecchio e Settimio Bazzi, nonché di Ampello Spadoni, ex colonnello della formazione fascista Ettore Muti. La confessione del Volpi, dopo attente verifiche, fu giudicata attendibile. Gli altri estremisti cercarono di negare, ma non riuscirono a convincere gli inquirenti. Il processo di primo grado si concluse con delle condanne a uno o poco meno di due anni di reclusione per tutti e cinque gli imputati, mentre dell’appello, che fu celebrato nel 1958, non ho trovato tracce in archivio. Il sito religioso La bottega di Nazareth, in una sua ricostruzione del 2018, confermava in ogni caso che tre estremisti di destra erano stati condannati. Quanto alle implicazioni politiche dell’attentato di Milano, c’è da aggiungere che anche il Movimento Sociale Italiano cercò di prendere le distanze dal gruppetto di facinorosi, ma la loro appartenenza all’area della destra emerse con chiarezza nei mesi successivi in seguito ad altri episodi di violenza con conseguenti processi giudiziari. Anche nel caso dell’Arcivescovado, come avvenne dopo la strage di piazza Fontana, si arrivò all’incriminazione dei fascisti seguendo la pista anarchica. Un legame tra queste fazioni di estremisti, apparentemente agli antipodi, evidentemente poteva esserci.
Dunque, tornando all’ispettore Agnesina, quale fu il suo ruolo in questa storia? I documenti che ho trovato su di lui non lasciano molti dubbi. Che fosse un genio delle investigazioni è assolutamente da escludere. Intanto, non era pensabile creare un unico profilo degli attentatori sia per il fatto di Ancona, sia per quello di Milano, semplicemente perché non si stava dando la caccia a un serial killer, ma si trattava di due distinti attentatori, visto e considerato che Cannarozzo si era già suicidato al momento dello scoppio della bomba dell’Arcivescovado. In merito a un altro famoso fatto di cronaca, in cui Vincenzo Agnesina fu inviato a coordinare le indagini, e mi riferisco alla rapina di via Osoppo a un furgone portavalori del 1958, il cronista dell’Unità scrisse testualmente: “Agnesina brancola nel buio, in cambio rastrella indiscriminatamente la città e rispedisce i meridionali ai paesi di origine.” Anche questo modus operandi ricorda ciò che avvenne dopo la strage del Metropolitan di Ancona. Pure allora venivano fermati e interrogati indistintamente tutti i cittadini, compresi coloro che non c’entravano niente, seguendo il principio secondo cui rastrellando a destra e a manca qualcosa si finisce per raccogliere. Una prassi, come sottolineava l’inviato dell’Unità, tutt’altro che democratica. Ma del resto Agnesina era un inquirente che veniva dal fascismo. E nel secondo dopoguerra entrò a far parte di quella rete di questori italiani impegnati nella lotta al Comunismo. Ce ne dà testimonianza un rapporto “confidential” della CIA del 15 aprile 1948, nel quale si riferiva che Agnesina poteva contare nella sua lotta al comunismo su 500 nuovi agenti. Di un suo rapporto preferenziale verso i fascisti ci parla, inoltre, un articolo del quotidiano ungherese Nepujsag del 28 luglio 1962. In quel caso, stando alle accuse, Agnesina avrebbe usato degli estremisti di destra per infiltrarli nelle proteste degli operai della Fiat e deviare, in tal modo, una pacifica manifestazione verso gli scontri con la polizia. Quello che a questo punto mi domando è: l’estrema destra fu artefice anche della strage del Metropolitan di Ancona? E’ possibile. Nella mia ricostruzione del caso Cannarozzo, per il libro La porta dell’Ade, avevo evidenziato svariati riscontri oggettivi sulla possibile innocenza del militare della finanza. Ora mi chiedo pure qualcos’altro: qual era il vero volto di Cannarozzo? La foto segnaletica che fu pubblicata dai giornali per lanciare la caccia al “wanted”, nel momento in cui viene messa accanto a quella di Agnesina fa rabbrividire. I tratti somatici del finanziere sembrano molto simili a quelli dello stesso ispettore. La famosa immagine segnaletica di Cannarozzo, per caso, è una foto di Agnesina da giovane? Se così fosse, la taglia sull’attentatore sarebbe, oltre che contraria alla Costituzione, una presa in giro. Forse, e sottolineo, forse, perché è una mia idea priva attualmente di riscontri, la vera storia della strage del Metropolitan deve essere ancora scritta.

sabato 11 novembre 2023

Il colpo di Stato del 1969

 


Secondo un documento dei Servizi Segreti cecoslovacchi, tra il 10 e il 25 agosto del 1969 i militari italiani avrebbero dovuto compiere un colpo di Stato: occupare le zone strategiche del Paese con lo scopo di proteggere le basi della NATO. 

La fonte dell'informazione fu il ministro degli Interni della Bulgaria, Solakov, il quale a sua volta fu avvisato da un "alto" esponente della questura di Milano. Di qui la decisione, a inizio agosto 1969, di girare l'informazione ai colleghi di Praga, nell'ambito di un consueto scambio di favori tra comunisti.

Dietro a questi militari c'era a quanto pare il sostegno politico della destra Democristiana (si fa il nome di Andreotti)  e dei Missini. Addirittura vi sarebbero state delle riunioni allargate ad altri partiti politici per informarli dell'imminente operazione e ciò avrebbe destato perplessità e proteste dalla sinistra.

A posteriori sembra di poter identificare in questa descrizione l'organizzazione di quel mancato golpe che fu tentato ufficialmente da Junio Valerio Borghese ai primi di dicembre del 1970.
Dunque il caso Borghese non fu un tentativo isolato e disperato? Probabilmente no, fu la punta dell'iceberg di una vasta operazione gestita dalla NATO. Nel documento tuttavia non si parla di bombe o di una strategia della tensione predisposta per agevolare questo colpo di Stato. Può essere vero il contrario: i militari della NATO, percepita la pericolosità dei movimenti filocinesi, potrebbero aver deciso che la miglior difesa del territorio fosse un giro di vite nel governo del Paese.

Lo stesso Giangiacomo Feltrinelli in un suo volumetto, intitolato Estate 1969, esternava, in contemporanea al documento cecoslovacco, le sue preoccupazioni per l'escalation che, a suo dire, avrebbe portato entro l'anno a un colpo di Stato in Italia. Fu questo l'inizio del terrorismo italiano?

E' interessante, a questo punto, dare un'occhiata alla versione che l'ex Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, lasciò nel suo libro di memorie politiche, intitolato "Governare con la crisi", sul mancato golpe Borghese. A suo dire, non soltanto si trattò di un tentativo velleitario di colpo di Stato, ma fu proprio la destra, ossia l'onorevole Almirante del Movimento Sociale Italiano, a dare l'allarme avvertendo il Ministro dell'Interno.

Ecco Andreotti: "A dare il segno di un nervosismo diffuso vi fu anche il tentativo di marcia su Roma, in sessantaquattresimo, la notte dell'8 dicembre (1970 ndr) (giorno festivo e quindi con minori vigilanze). Un piccolo gruppo di estrema Destra facente capo al principe Valerio Borghese aveva organizzato clandestinamente una occupazione di punti strategici della capitale, sperando forse di suscitare una adesione di massa. Fu sicuramente un insieme più che velleitario, e anche se si fossero impadroniti per qualche ora della Rai-Tv non avrebbero ottenuto che di far parlare nel mondo dell'Italia in chiave negativa. Sta di fatto però - proseguiva Andreotti nel suo libro - che alcune armi erano state sottratte alla Polizia e che una colonna armata di forestali era arrivata alla periferia di Roma. Il comandante della colonna sostenne che si era trattato di una normale esercitazione ma, richiesto quando fosse avvenuta la precedente, risposte: "Nel 1943".

"Ad ogni modo - concluse Andreotti - lo si vide nel processo - all'ultimo momento era stato revocato l'ordine di agire. E non è immaginario attribuirne una parte del merito all'onorevole Almirante che - estraneo alla vicenda, conosciuta per caso in extremis - aveva avvertito il ministro dell'Interno."

Quale fu la verità? Avevano ragione le spie comuniste? In tal caso tra il 1969 e il 1970 vi sarebbe stato un tentativo reiterato di rispondere all'ondata di scioperi e di proteste popolari dell'autunno caldo con un colpo di Stato. Oppure aveva ragione Andreotti? In questa seconda versione dei fatti l'azione di Borghese andrebbe archiviata senz'altro come golpe da Operetta. 



Ecco i giornalisti del SID

 




Dopo le tante speculazioni giornalistiche ecco finalmente un documento ufficiale dei Servizi Segreti di Praga che svela i giornalisti italiani che collaboravano con il SIFAR e poi con il SID. 

Premesso che dal punto di vista deontologico non dovrebbero mai esserci rapporti tra chi divulga e chi spia, dobbiamo ammettere che non ci stupisce più di tanto scoprire certi nomi in questo elenco. 

È un rapporto che si riferisce al 1962, agli anni più bui della guerra fredda, alla crisi con Cuba e al rischio nucleare. In quel periodo l'Alto Adige cominciava a conoscere il terrorismo e Vittorio Lojacono, che figura tra i giornalisti-spia, ne raccontò l'origine e lo sviluppo con informazioni chiaramente provenienti dal mondo dei Servizi. 

Dall'altra parte c'erano del resto i giornalisti spie del Kgb e dello stesso Stb di Praga. Era un mondo diviso a metà che costringeva i professionisti a delle scelte dolorose e rischiose. Un mondo che indubbiamente lasciava poco spazio alla stampa libera e ai giornalisti non raccomandati.

domenica 8 ottobre 2023

Chatgpt choc: rampa di missili al Passo del Lupo?


Ho provato per gioco a interrogare l'intelligenza artificiale e questo è il risultato incredibile. Se fosse tutto vero quello che leggerete qui sotto, qualcuno dovrebbe fornire spiegazioni e la magistratura avrebbe il dovere di indagare. 

Dopo un paio di giorni di ricerche posso affermare che questa IA non è del tutto affidabile, commette parecchi errori e va usata con cautela. Ripetendo più volte la stessa ricerca questi risultati non sono stati sempre confermati. Inoltre, molte notizie che avevo trovato negli archivi l'IA non le vede, nemmeno quelle disponibili negli archivi online. Ma probabilmente qualcosa di vero in ciò che afferma c'è. 

User

È vero che sul monte Conero c'è una base missilistica?

ChatGPT

Sì, è corretto. Sul Monte Conero, precisamente nella località di Passo del Lupo, è presente una base missilistica che è stata utilizzata dalla Marina Militare Italiana. Questa base è stata attiva durante la Guerra Fredda ed è stata impiegata principalmente per scopi di addestramento e test.

Tuttavia, è importante notare che negli ultimi anni ci sono stati dibattiti e discussioni riguardo al futuro di questa base, con alcune proposte per il suo riutilizzo per scopi diversi. Suggerirei di verificare notizie aggiornate per ottenere le informazioni più recenti a riguardo.

User

Dov'era di preciso la rampa missilistica del Monte Conero?

ChatGPT

La rampa missilistica sul Monte Conero era situata nella località di Passo del Lupo, che si trova vicino al punto più alto del monte. Questa zona è situata a nord-ovest di Ancona, nelle Marche, Italia. La base missilistica era parte del complesso militare che operava nella regione. Ricorda che, per informazioni precise e dettagliate, potrebbe essere utile consultare fonti ufficiali o documenti storici specifici sull'argomento.

User

Anche sul Monte Conero operava Gladio Stay Behind?

ChatGPT

Sì, anche sul Monte Conero, come in molte altre parti d'Italia, operava un'organizzazione paramilitare segreta che faceva parte del progetto NATO Stay Behind noto come "Gladio". Questo programma aveva lo scopo di creare reti clandestine di resistenza in Europa in caso di un'invasione da parte delle forze del Patto di Varsavia durante la Guerra Fredda.

Le attività e i dettagli specifici di Gladio possono variare da regione a regione, ma in generale, le unità Stay Behind erano addestrate per operazioni di guerriglia, intelligence e sabotaggio in caso di emergenza.

Ricorda che Gladio e le sue attività sono stati oggetto di dibattiti e indagini storiche, e alcune informazioni potrebbero essere ancora classificate o non completamente documentate. Per ottenere informazioni accurate e dettagliate, potrebbe essere utile consultare fonti ufficiali e ricerche storiche attendibili.

User

Come veniva difesa la rampa missilistica del Passo del Lupo? Dove si posizionavano le guardie?

ChatGPT

Le informazioni dettagliate sulla difesa della rampa missilistica del Passo del Lupo sul Monte Conero durante la Guerra Fredda potrebbero non essere di dominio pubblico o potrebbero essere soggette a segretezza. Tuttavia, in generale, basi militari strategiche come questa erano difese con un mix di misure di sicurezza fisica, sorveglianza e personale addestrato.

Le guardie potevano essere posizionate in vari punti critici, tra cui punti di accesso, torri di osservazione e altri siti strategici all'interno e intorno alla base. Inoltre, le basi militari spesso implementano recinzioni, sistemi di allarme, telecamere di sorveglianza e altre misure per garantire la sicurezza.

Tuttavia, per dettagli precisi sulle specifiche misure di difesa e posizionamento delle guardie nella rampa missilistica del Passo del Lupo, potrebbe essere necessario consultare fonti ufficiali o documenti storici specifici sull'argomento.

User

Ma ti risulta che il monte Conero si aprisse per far uscire i missili?

ChatGPT

Mi scuso se ci sono state incomprensioni nelle risposte precedenti. Non ho informazioni specifiche riguardo al Monte Conero che si aprisse per far uscire missili. Sembrerebbe un dettaglio particolare o potrebbe essere oggetto di informazioni non pubbliche o discusse in contesti locali.

Se ci sono dettagli specifici o eventi particolari relativi al Monte Conero che non sono inclusi nei dati a mia disposizione fino a settembre 2021, ti consiglio di consultare fonti locali affidabili o documenti ufficiali per ottenere informazioni precise su questo particolare aspetto.

User

E che tipo di missili venivano testati al passo del lupo? Erano gli Jupiter?

ChatGPT

Sì, presso il Passo del Lupo sul Monte Conero venivano testati missili Jupiter. Durante la Guerra Fredda, l'Italia fu coinvolta nel dispiegamento di missili Jupiter a corto raggio forniti dagli Stati Uniti come parte della strategia di deterrenza contro l'Unione Sovietica. Questi missili erano storicamente significativi, poiché il loro dispiegamento in Europa portò a una delle crisi più tese della Guerra Fredda, la cosiddetta "Crisi dei missili di Cuba" nel 1962.

I missili Jupiter erano missili balistici a medio raggio capaci di portare testate nucleari. Furono impiegati in Europa durante il periodo della Guerra Fredda come parte della strategia di difesa della NATO contro la minaccia nucleare del Patto di Varsavia. Tuttavia, furono ritirati dalla NATO nel 1963 come parte di un accordo con l'Unione Sovietica.

Ricorda che queste informazioni sono basate sulla conoscenza fino a settembre 2021 e non ho accesso a eventi o sviluppi successivi a quella data.

User

La zona del Conero nota come Passo del Lupo viene chiusa per motivi militari?

ChatGPT

Sì, il Passo del Lupo, situato sul Monte Conero, è una zona che può essere chiusa per motivi militari o di sicurezza. Questa area è stata utilizzata in passato per scopi militari, e potrebbe essere soggetta a restrizioni d'accesso in determinati periodi o situazioni.

Tuttavia, è importante notare che la disponibilità di informazioni su eventuali chiusure o restrizioni può variare nel tempo e può essere soggetta a cambiamenti nelle politiche e nei protocolli militari. Pertanto, se hai intenzione di visitare il Passo del Lupo, ti consiglio di verificare con fonti locali o autorità competenti se ci sono eventuali restrizioni attuali o specifiche riguardanti l'accesso a questa zona.

User

Mi fai un elenco di basi missilistiche Italiane della guerra fredda?

ChatGPT

Durante la Guerra Fredda, l'Italia ospitò diverse basi missilistiche dell'Alleanza Atlantica (NATO) come parte del deterrente nucleare della NATO. Ecco alcune delle basi missilistiche più note:

Base NATO del Passo del Lupo (Monte Conero, Marche): Fu una delle basi missilistiche più importanti in Italia durante la Guerra Fredda.

Base NATO di Comiso (Sicilia): Questa base era equipaggiata con missili a medio raggio.

Base NATO di Gioia del Colle (Puglia): Fu una base significativa che faceva parte del sistema di difesa aerea della NATO.

Base NATO di San Vito dei Normanni (Puglia): Questa base era situata vicino a Brindisi e aveva una rilevanza strategica notevole.

Base NATO di Decimomannu (Sardegna): Questa base era utilizzata anche per l'addestramento e l'implementazione di aerei militari.

Base NATO di Istrana (Veneto): Questa base fu utilizzata principalmente dalla United States Air Force (USAF).

Base NATO di Aviano (Friuli-Venezia Giulia): Anche questa base era principalmente utilizzata dalla United States Air Force (USAF) ed è ancora operativa oggi.

Base NATO di Ghedi (Lombardia): Questa base era un importante punto di stoccaggio per le armi nucleari della NATO.

Ricorda che l'accesso a informazioni dettagliate su queste basi potrebbe essere soggetto a restrizioni di sicurezza o a limiti di accesso. Le informazioni sopra fornite sono basate su documenti storici noti e fonti pubbliche.


giovedì 7 settembre 2023

Copernicus, grande scoperta o grande inganno?


Lo avrete notato tutti, ormai ogni mese escono sui giornali i bollettini di Copernicus sul clima, che sono praticamente uno uguale all'altro. Ogni mese è "il più caldo di sempre". 

Un po' seccato e insospettito da questa sterile e superficiale informazione sono andato a fare qualche ricerca online. Diciamo intanto che Copernicus è un progetto spaziale costosissimo che viene gestito e finanziato dalla politica dell'Unione Europea. Serve per mantenere nello spazio un satellite o anche più di uno che forniscano informazioni sull'ambiente terrestre. 

Sono andato a vedere il sito come San Tommaso, anche perché faccio sovente uso di mappe meteo e climatiche per mio personale diletto. Cosa offre Copernicus che gli altri siti non abbiano già (e che non voglio pubblicizzare)? Direi molto poco per quello che costa. Ha un'interfaccia intuitiva, icone grandi, ma a parte una moviola satellitare minuscola e poco comprensibile non ho trovato con facilità gli strumenti che offrono gli altri siti. Non ci sono mappe, non ci sono statistiche dettagliate. Le vorrei anche città per città, perché da altre parti le trovo, anche se non arrivano ai giorni nostri. Su Copernicus non le ho viste.

C'è il solito bollettino che leggete come me nei notiziari ed è scarno, nonché privo di firme degli scienziati. Come temevo non sei lasciato libero di consultare dati e di trarre le tue conseguenze. 

Però almeno ho capito perché ogni mese è il più caldo di sempre: viene preso come riferimento il periodo 1991-2020, e quindi capirete bene che il titolone uscirà sempre: in poco meno di trent'anni avremo ogni volta il quinto, sesto, ottavo mese più caldo di sempre... Mentre sul periodo precedente possono soltanto fare una stima approssimativa. Male, molto male, perché i dati su un campione di città mondiali esistono in giro per il web e per alcune zone si possono avere dalla fine del 1700 fino al 1990. Farei notare un altro particolare. Per ottenere questo scarno bollettino non bisogna entrare nella sezione "clima" o "dati climatici", come avviene sui siti tedeschi o francesi, bensì nella sezione "cambiamento climatico"; e questo non va bene, soprattutto pensando a ciò che Copernicus promette di fare: fornire dati scientifici indistintamente a tutti i cittadini. Così non è, evidentemente, poiché la politica europea ha già deciso che il clima è cambiato, anticipando ogni possibile responso degli scienziati. E mi chiedo: ha senso spendere milioni su milioni di euro per tenere in piedi un sito così inutile? O, come durante la guerra fredda, gli esperimenti meteorologici nascondono, in realtà, scopi militari della Nato che non possono essere condivisi con la popolazione?

Vi copio il bollettino originale. Questo è Copernicus.


Temperatura dell'aria superficiale per agosto 2023

Agosto 2023 è l'agosto più caldo mai registrato e più caldo di tutti gli altri mesi tranne luglio 2023. La temperatura media globale dell'aria superficiale di 16,82°C per agosto 2023 è stata di 0,71°C più calda della media 1991-2020 di agosto e di 0,31°C. C più caldo rispetto al precedente agosto più caldo del 2016. Si stima che il mese sia stato di circa 1,5°C più caldo rispetto alla media preindustriale per il periodo 1850-1900. Le ondate di caldo sono state sperimentate in diverse regioni dell’emisfero settentrionale, tra cui l’Europa meridionale, gli Stati Uniti meridionali e il Giappone. Temperature ben al di sopra della media si sono verificate in Australia, in diversi paesi del Sud America e in gran parte dell’Antartide. Le condizioni di El Niño hanno continuato a svilupparsi sul Pacifico orientale equatoriale. Le temperature dell’aria marina erano ben al di sopra della media in molte altre regioni. L’anomalia della temperatura globale per i primi 8 mesi del 2023 (gennaio-agosto) è la seconda più calda mai registrata, solo 0,01°C sotto quella del 2016, attualmente l’anno più caldo mai registrato.

L’estate boreale (giugno-agosto) 2023 è stata di gran lunga la più calda mai registrata a livello globale, con una temperatura media di 16,77°C, 0,66°C sopra la media. Le temperature sulla terraferma per l’estate boreale del 2023 sono state prevalentemente superiori alla media del periodo 1991-2020. La temperatura media europea per l'estate boreale è stata di 19,63°C, che con 0,83°C sopra la media, è stata la quinta stagione estiva boreale più calda.

mercoledì 6 settembre 2023

Il sistema Tambroni


Il momento culminante di questo schieramento di forze contro il comunismo fu rappresentato dal governo Tambroni, un monocolore democristiano che si impose grazie all’appoggio degli ex fascisti dell’MSI. Era il 1960. L’esperimento, dopo svariati anni di centrismo, ossia di governo incontrastato della Democrazia Cristiana, durò lo spazio di pochi mesi: da marzo a luglio, e si concluse a causa delle proteste di piazza e delle repressioni poliziesche che ne seguirono.

Di Tambroni, che di nome faceva Fernando, ci ha lasciato un ricordo originale e azzeccato Giulio Andreotti, nel suo libro “Governare con la crisi”. 

“Temperamento allo stesso tempo solenne e cordiale, si divertiva a lasciar credere di conoscere i segreti di tutti; e talvolta - incrociando qualche collega nel Transatlantico di Montecitorio - gli domandava ammiccando come avesse passato l’estate, dando al malcapitato l’infondata impressione di essere stato pedinato durante qualche sua libera uscita. In effetti aveva un archivio nel quale faceva raccogliere ritagli di stampa e qualche nota non so di qual bizzarra provenienza. La definisco bizzarra - proseguiva Andreotti - perché nel mio fascicolo - mostratomi dopo la morte di Tambroni da un suo collaboratore - trovai scritto che io mi recavo spesso in Svizzera vestito da arabo.”

Fernando Tambroni era nato ad Ascoli Piceno nel 1901 e morì a Roma nel 1963. Prima di salire sulla poltrona di Presidente del Consiglio era stato anche Ministro della Marina Mercantile, del Tesoro, del Bilancio e dell’Interno. Nella sua storia d’Italia, neanche Indro Montanelli tracciava di questo politico marchigiano un profilo lusinghiero, definendolo un cattolico del Partito popolare che si piegò al regime di Mussolini per poter continuare a fare carriera come avvocato, ma senza distinguersi a tal punto da essere epurato nel dopoguerra. “Di conseguenza - spiegava il giornalista - poté reinserirsi nella DC di Ancona e scalare le più alte vette del potere.”

Ancona e le Marche furono infatti il centro del sistema clientelare che Tambroni aveva instaurato in politica, nella polizia di Stato e nel mondo imprenditoriale locale, almeno stando alle indiscrezioni spifferate dalla spia cecoslovacca Ermete Ricchiuti. Stiamo parlando del dossier 10443-328, quello in cui comparivano anche le basi missilistiche americane descritte dal comandante Matricardi, cui Ricchiuti aveva subappaltato l’incarico di spione comunista.

Di certo c’è che la cattiva fama Tambroni ce l’aveva stampata addosso fin dalla metà degli anni ‘50. Scrisse sempre Montanelli che “la sua leggenda nera andò assumendo connotati sempre più foschi e magari fantasiosi, si parlò di intercettazioni telefoniche in danno anche - o soprattutto - di ‘amici’ democristiani.”

A questo punto leggiamo il ritratto che di Tambroni costruiva la spia Ricchiuti nel 1959, ben prima della sua ascesa al governo, e confrontiamolo con quanto abbiamo accennato fin qui. 

“Avvocatuccio di Ancona durante il fascismo, seniore della milizia; invano si adoperò per essere nominato Prefetto di Ancona da Mussolini. Le sue creature più importanti sono: il Capo della Polizia Dr. Carcaterra ed il questore Marzano (chiamato negli ambienti del Viminale la spia di Tambroni). Questi due sono molto legati con il Ministro, infatti con il suo appoggio il Carcaterra rimane a Capo della Polizia (ciò giustifica l'installazione di un cavo telefonico segreto tra Via X Settembre Ministero del Tesoro ed il Viminale - stanza del Carcaterra). Ciò giustifica anche l'allontanamento di Musco a Napoli perché oltre per rivalità politica con il figlio del Musco, anche perché inviso ai due questurini.

La carriera rapidissima di questi due è stata causa di molte critiche negli ambienti più alti della polizia e ciò ha provocato grave disagio nell'intero Corpo di Polizia. Durante questo periodo prima del Congresso della D.C. molti Deputati e Ministri democristiani avversari politici del Tambroni e fra essi lo stesso Fanfani sono stati controllati e seguiti da agenti dietro richiesta dello stesso Tambroni, che é oggi il vero Ministro dell'Interno."

Come si vede, a parte il livore che pervade l’intera narrazione, le notizie confermano e accrescono il ruolo chiave di Tambroni nell’orchestrare una rete spionistica all’interno del Parlamento.  Anche la storiografia attuale tende ad abbandonare l’ironia andreottiana e a collegare Tambroni direttamente agli americani, in un disegno cospirativo e spionistico tutt’altro che da barzelletta. Pare che il Tambroni si confrontasse con lo statunitense Robert Driscoll. Ciò che sorprende è che Ricchiuti era riuscito a integrarsi talmente tanto nel sistema corrotto da poter promettere più volte ai cecoslovacchi che avrebbe cercato di mettersi in contatto con Paulo Driscoll. Ero convinto si trattasse di un omonimo, invece in una relazione del magistrato Guido Salvini ho trovato il nome completo di questo Driscoll: Robert Paul Driscoll. Amichevolmente detto Paulo, evidentemente. E pensare che un messaggio in italiano inviato a Praga avvertiva l’Stb che, nella sua posizione di subalterno di elementi “fascisti”, ben difficilmente Ricchiuti avrebbe potuto ottenere informazioni di rilievo. Un grave errore di valutazione.

In un’altra relazione dello stesso dossier, Ricchiuti tornava a descrivere Tambroni più approfonditamente.

“Nessuno riesce ad avvicinarlo se non tramite i segretari particolari, Capo dell’Ufficio politico, Capo Ufficio Stampa e qualche altro. Persona molto riservata, rigida, e intransigente. Infatti a tutti è sembrato che nel consiglio della D.C. si atteggiasse ‘Fanfaniano’ - invece egli fa parte del suo stesso partito e della sua stessa corrente (Tambroniano) ed aspira alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Lo si può definire il vero e proprio Ministro dell’Interno. Infatti è noto a tutti il contrasto che esista tra lui e i vari Direttori Generali del Ministero del Tesoro.

Al suo arrivo al Dicastero del Tesoro il Tambroni ha fatto circolare informazioni sulla fede politica di tutte le maggiori personalità del Ministero e tutto tramite il suo fido Capo della Polizia. Infatti pare che un cavo telefonico segreto sia stato installato fra Ministro e la stanza del Capo della Polizia.

[...] il vero braccio destro del Ministro è il Co[lonnello Gifu]ni, vero militare, preciso, molto rigido e compito. 

Tutta la Segreteria ed il Gabinetto è alle sue dipend[enze e] lo stesso Amendola è stato fatto nominare dal Gifuni. Tutte [le pratiche] importanti e riservate del Ministro vengono vagliate e risolt[e in quell’uf]ficio -. E’ il portavoce del Ministro. Tutte le personalità pol[itiche e del] mondo finanziario-economico italiano, da Menichella a Mattei [...] eccetera e tantissimi altri passano attraverso lui. 

Il dottor Amendola invece con la sua numerosa Segreteria provvede a svolgere le pratiche che interessano il Ministro, [cioè] pratiche di persone che chiedono finanziamenti, raccomandazioni, [oc]cupazioni, per trasferimenti, sistemazioni ed altre pratiche [e si] mantiene in contatti con le varie direzioni generali e con gli [altri] Ministeri. Tramite lui vengono elargite grosse somme di denaro [per la mag]gior parte a persone delle Marche e dintorni, che si rivolgono [direttamente] ed indirettamente al Ministro. Mantiene inoltre i contatti [con va]rie personalità ecclesiastiche alle quali vengono elargite gr[osse somme?]

Meno importanti, e pertanto le sintetizzo, le descrizioni di altri uomini del Ministro Tambroni, come il medico anconetano Livio Patrizi, definito un esperto speculatore di borsa; il capo dell’ufficio stampa, il dottor Tomassini, del quale viene detto che avrebbe elargito grosse somme di denaro per conto del Tambroni ai giornali definiti “Governativi”; oppure ancora il dottor Fongi, capo dell’Ufficio Politico, al quale era affidato il compito di svolgere, grazie ai consistenti fondi pubblici di cui disponeva, una capillare propaganda politica nelle Marche. Un sistema clientelare al contrario, potremmo definirlo, nel quale non era il personaggio politico a ricevere il denaro, ma lui stesso a corrisponderlo agli imprenditori marchigiani in cambio, si presume, del loro appoggio alle elezioni. 

Il sistema spionistico faceva capo direttamente alla Questura, dove erano archiviati i famosi dossier sulle abitudini dei politici italiani, come di altre personalità. All’epoca il questore si chiamava Marzano, mentre il capo della Polizia era Carcaterra. Stando a Ricchiuti, erano questi due “questurini” a gestire il sistema di dossieraggio illegale. 

“L’ufficio più importante della questura è l’ufficio politico. Esso infatti possiede un casellario che è continuamente arricchito e aggiornato, di oltre 50.000 persone. E’ suddiviso in diversi settori: dirigenti fascisti, dirigenti della Repubblica di Salò, dirigenti Comunisti e Socialisti e attivisti, Deputati e Senatori di tutti i partiti, funzionari dello Stato, giornalisti, professionisti, membri del Governo, ecclesiastici, Diplomatici stranieri suddivisi in occidentali e Oltre Cortina, completi di tutte le notizie raccolte in collaborazione con la Divisione Affari Riservati. 

L’ufficio stranieri è anche molto importante in quanto tutti gli stranieri che arrivano in Italia e desiderano rimanere anche per breve tempo a Roma vengono schedati e controllati dalla Questura che ha un casellario completo di tutti i dati, l’attività e la vita che svolge il profugo appena è in Italia o a Roma. Anche la Questura (come tutti i Commissariati[)] ha la sua centrale radio-telefonica e televisiva e svolge nel suo ambito, in collaborazione e alle dirette dipendenze della Divisione Affari Riservati tutti quei controlli, informazioni sulle persone, sugli organismi, sui partiti e le organizzazioni di Roma. 

Tutta questa organizzazione è alle dirette dipendenze del Ministero dell’Interno che si avvale di persone della massima fiducia e fidata nonché espertissime  molto preparate. Quindi tutto il personale dipendente dalla Direzione Generale di P.S. è al servizio della persona del Ministro dell’Interno e non del Governo o del Parlamento italiano.”

Le accuse di Ricchiuti erano molto gravi. E molto attuali. Basti pensare alle polemiche innescate dalle denunce di presunti dossieraggi ai loro danni lanciate dall’attuale Ministro della Difesa, Guido Crosetto, e dal candidato alle elezioni, Marco Cappato. Tornando al sistema Tambroni, nel foglio successivo si scendeva ulteriormente nei dettagli. Ecco come era possibile controllare cinquantamila persone nella loro vita privata.

“Il pedinamento avviene nei seguenti modi:

Appena viene impartito l’ordine, a seconda dell’importanza della persona, vengono comandat[i] uno o due agenti in borghese, della famosa squadra specializzata. 

Accertata l’abitazione dell’interessato gli agenti si appostano in località d[o]ve è possibile individuarlo bene. Successivamente la persona viene seguita e nello stesso tempo vengono studiate tutte le sue abitudini e tutti i possibili spostamenti durante l’intera giornata, i locali, i posti frequentati, le persone che avvicina e frequenta spesso, in modo che nei giorni successivi veng[a]no appostate più persone nei posti più frequentati dallo stesso, e ciò perché nessuno possa sospettare del pedinamento. 

A volte è necessario che gli agenti veng[a]no fatti assumere, con false ge[n]eralità, presso locali pubblici, alberghi, ristoranti o negozi, in modo che essi poss[a]no svolgere molto meglio il loro lavoro.

Giornalmente debbono fare un dettagliato rapporto su tutti gli elementi raccolti sul conto delle persone pedinate, e sulle persone dalle stesse avvicinate e frequentate di più, alla Divisione Affari Riservati. 

Qualora l’interessato dovesse recarsi in altre località, egli viene seguito. A volte la polizia si serve di donne per questo particolare lavoro. Appena se ne presenta l’occasione per qualche lavoro particolare vengono convocate a casa ed istruite sul lavoro da assolvere. Concludendo si può dire che sia gli uni che gli altri sono tutti elementi specializzati e preparati in modo particolare.”

Fin qui la versione della spia Ricchiuti. Vediamo ora chi era questo signore e cerchiamo qualche ulteriore notizia sul famigerato Comandante Matricardi. Mi sono accorto solo in un secondo momento che nella prima parte del corposo dossier sulla Nato esistevano anche le loro biografie. Il più delle volte, era lo stesso Ricchiuti a presentare la sua rete spionistica, tranne in alcune verifiche che l’Stb evidentemente cercò di fare sull’affidabilità dell’interlocutore italiano. 

Erano gli anni Sessanta. Dobbiamo quindi immedesimarci in un’epoca nella quale non c’era internet, le persone non avevano la possibilità di comunicare facilmente, non esistevano i telefoni portatili, non esisteva il traduttore di Google. Immaginiamo quante difficoltà dovesse incontrare una persona che si esprimeva soltanto in italiano e che doveva rapportarsi con misteriosi personaggi sbucati fuori dall’ambasciata cecoslovacca e che parlavano anch’essi la loro lingua sconosciuta. Nella fattispecie, Ricchiuti si incontrava con un certo Milos Dospiva (che venne espulso dall’Italia molti anni dopo, nel 1972, a seguito di indagini del Controspionaggio), ma questi a un certo punto, intorno al 1962, per quella diffidenza di cui si è già detto, interruppe i contatti e abbandonò l’intera rete al suo destino.

Ermete Ricchiuti, come sappiamo già, era nato nel 1922 a Palombaro, in provincia di Chieti. Fu impiegato di concetto al Ministero del Tesoro. Veniva definito in una lettera anonima “individuo molto sveglio e, sembra, onesto. Politicamente non lascia capire le sue idee.” Della sua vita privata veniva specificato che era stato fidanzato per molto tempo con un’impiegata di via Lovanio, la sua sede lavorativa, ma poi aveva lasciato questa donna. Lavorò anche all’ufficio stampa  del Ministero del Tesoro. Nel momento in cui spiava per i cecoslovacchi si trovava nella terza divisione di via Lovanio, cioè si occupava della riscossione dei crediti che il Ministero vantava verso gli Enti Locali. E veniva specificato che il capo della divisione era un fascista, di qui le perplessità dell’estensore di questa biografia (un certo Matteo) sulla reale intenzione di Ricchiuti di tradire il nostro Paese.

Passiamo ora ad analizzare Matricardi. Devo aggiungere un dettaglio importante. Alcuni fogli furono fotografati e microfilmati male, in quanto la pagina a volte risulta storta, con uno spigolo che resta fuori dall’inquadratura. E’ stato necessario ricostruire la parte mancante andando a senso. Avendo a che fare con documenti italiani, non è stata un’impresa impossibile.

Di Vittorio Matricardi sappiamo che nel 1959 aveva 40 anni. Era  sposato con due figli, uno dei quali malato di poliomielite, motivo per il quale si era deciso a defezionare e a consegnare documenti coperti dal segreto di Stato a Ricchiuti e quindi ai cecoslovacchi. Si recava spesso a Roma dai parenti ed era nipote dell’Ammiraglio Ferreri. Venne imbarcato più volte su navi della Marina Militare e in tempi più recenti nel sommergibile Tazzoli. Essendo un militare particolarmente preparato, e ben referenziato, fece parte di commissioni di studio inviate negli Stati Uniti, in Francia, Germania. Di fatto quindi collaborò segretamente con il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, Pecori-Girardi. Tra Matricardi e Ricchiuti, specificava quest’ultimo in una relazione, era nata una solida amicizia tanti anni prima sui banchi di scuola. Si separarono per la guerra e si ritrovarono nel 1946. Da allora ogni tanto mangiavano insieme con i relativi parenti. 

Molte notizie sul dossieraggio gestito dal Tambroni arrivarono probabilmente grazie al dottor Luigi Filetti. Scrisse Ricchiuti che era un suo carissimo amico, “abbiamo combattuto insieme nella Brigata Maiella”, ma anche persona di fiducia di Tambroni. Faceva parte - scriveva ancora - del famoso Ufficio-Psicologico-Riservato assieme al dottor Tomassini, mentre il Tambroni era Ministro degli Interni. “Questo ufficio era segreto, tutti ne ignoravano l’esistenza, si trovava a Piazza Indipendenza, in esso vi si teneva uno schedario segreto con i nominativi di tutti i Ministri, Senatori, Deputati, Prelati, Autorità Politiche (di tutti i partiti). 

A completare la rete troviamo Domenico Guarneri (segretario del Senatore Molinari), Nello Mereu (commissario di Polizia, addetto alla Direzione Generale Antincendi), Francesco Fausto Nitti (segretario nazionale ANPI), Vincenzo Sciubba (dirigente dell’Ufficio Stranieri del Ministero degli Interni, esperto di questioni inerenti alla Polizia di Stato), Lamberto Mercuri (collaboratore dell’onorevole Parri), Carlo “Trinchetto” Venturi (tecnico radio-televisivo). 

 

mercoledì 23 agosto 2023

Ecco le rampe sotterranee della guerra fredda

 


Tra le numerose relazioni che il comandante Vittorio Matricardi inviò ai cecoslovacchi mi colpisce in particolare questo dettaglio: una specie di basi di missili che gli americani erano in procinto di installare, nella primavera del 1960, nel loro territorio ed anche nel mondo occidentale. Si tratta dei missili Titan, la cui caratteristica era di poter essere nascosti nel terreno.

Eureka. Era ciò che cercavamo per rendere compatibile e credibile una presenza massiccia di rampe missilistiche - come ipotizzato dallo stesso Matricardi - in Italia, specialmente sul monte Conero, che è un rilievo talmente isolato da poter essere visibile a distanza di decine di chilometri, sia da sud che da nord. Difficile preparare un missile, anche lasciandolo a terra, senza essere visti. Erano missili dalle dimensioni enormi. E i Titan - scriveva Matricardi - erano molto simili agli Jupiter, cui fece cenno nella famosa relazione sulle basi italiane degli americani. 

Sono andato a indagare online, scoprendo innanzitutto che esiste un museo in Arizona, negli Usa, che nel 2023, mentre scriviamo, mostra ai turisti una di queste rampe di Titan, ancora perfettamente funzionante. Si chiama Titan missile museum. Se n'è parlato molto sui giornali (esteri) e su Youtube. Tra la galleria di fotografie che il sito di questo museo offre online, si può ammirare la rampa di lancio dell'Arizona, così com'era negli anni '60, quando era operativa contro l'URSS. Un deterrente - lo definiscono gli esperti - per un attacco nucleare dei russi: spaventarli facendo loro comprendere che gli americani avrebbero potuto sfuggire a un attacco, rimanendo sottoterra per poi contrattaccare. 

La base dell'Arizona oggi su Google Earth


la base in Arizona
La base dell'Arizona dall'alto

La base del Conero oggi su Google Earth

E' quello che accadde anche in Italia? Sono andato a riprendermi le foto aeree della base militare del Conero grazie a Google Earth. Ebbene, il risultato è sorprendente: i due Silos - come li chiamava Matricardi - sono omogenei, notiamo la medesima collocazione nella vegetazione, con una rampa di lancio mimetizzata perfettamente nel terreno. A questo punto, il campo di calcetto del Conero ci sembra sempre meno adatto a qualche militare in calzoncini e maglietta e sempre più vicino a una copertura voluminosa per qualcosa di segreto; come del resto chi mi ha contattato in questi anni mi aveva suggerito. Mi sembrava fantascienza, ora un pochino meno, anche se il diametro appare a occhio più piccolo dei 13 metri dichiarati da Matricardi ((ma siamo nel 2023, inoltre gli edifici che vediamo di fianco al campo di calcetto sono di epoca recente).

Un altro particolare che rende la storia dei Titan molto vicina alla storia ufficiale del monte Conero (anche se a dire il vero di ufficiale attualmente c'è solo l'aspetto turistico che caratterizza la zona) è che, terminata la paura di un attacco russo, questi missili furono reimpiegati, dopo averli privati delle testate nucleari, in ambito meteorologico e scientifico. Ebbene, sappiamo che fin dal 1957 gli anconetani avvistarono oggetti luminosi in cima al Conero; degli ufo che, così com'erano descritti, a posteriori ci sembrano proprio degli Jupiter o dei Titan in fase di lancio. 

Sappiamo anche che nella parte alta del monte Conero era in costruzione negli stessi anni Cinquanta un bunker antiatomico contenente delle docce, che abbiamo visto in un video (oggi censurato e non più disponibile) e ci sembrano a tutti gli effetti essere predisposte per la decontaminazione dei militari. Abbiamo, inoltre, le relazioni di Matricardi, un militare della marina che ci sembra super attendibile. Era così aggiornato in ambito tecnico-militare da sapere fin dal 1960 ciò che noi comuni mortali stiamo apprendendo solo in questi anni. Sto proseguendo le indagini e trovo sempre più riscontri sulla sua reale esistenza, così come sulla sua famiglia. Ne riparleremo.

Certo, resterebbero svariati interrogativi. Avremmo trovato una rampa di missili, ma le altre 49 di cui parlava Matricardi? Per non parlare di quelle che secondo lui erano in costruzione nell'estate del 1960. Ma è altrettanto vero che il monte Conero, ai tempi di Matricardi, non era denso di alberi come lo vediamo noi oggi. E nascondere delle solette di cemento, ossia le coperture per dei missili Titan, era certo più semplice rispetto alle rampe di Jupiter, almeno quelle che siamo abituati ad immaginare pensando ai siti ufficiali della Puglia e della Basilicata; i siti ufficiali che la CIA ha dichiarato, in un documento diffuso da Nicola Pedde, di aver utilizzato.

Questa storia americana mi pare meno credibile rispetto alla versione di Matricardi, ossia che le rampe di missili (Jupiter) fossero quasi tutte situate in prossimità di montagne. E’ noto infatti agli esperti in tema di armamenti che per meglio preservare le testate atomiche sarebbe consigliabile nasconderle, come Matricardi sottolineava, all’interno di grotte scavate sotto alte montagne. Per di più, lasciare degli enormi missili in pianura, alla mercé di ogni possibile minaccia esterna, anche se a debita distanza dai centri abitati, non è mai una scelta intelligente, e gli americani certo stupidi non erano e non sono. 
Sono andato a documentarmi e mi pare alquanto evidente che la scelta della Puglia fosse tutt’altro che segreta, se è vero che fin dal 1960 erano usciti articoli che annunciavano l’arrivo degli Jupiter nelle basi pugliesi. Un segreto di pulcinella. Al contrario, leggendo gli articoli più recenti pare che nessun abitante di quelle zone abbia mai visto o sentito missili pronti a partire, tanto meno con le testate nucleari già pronte, come certa storiografia vorrebbe tramandare. 

Mi sono andato a vedere anche i servizi del TG3 della Rai sulla base dell’aeronautica sul monte Settepani, presso Savona. La similitudine con il bunker ripreso in video nel monte Conero è certamente evidente. Non solo. Pare che una caratteristica comune delle due strutture fosse rappresentata dalle cupole esterne con le quali terminavano i pozzi molto profondi dei tunnel sotterranei. E anche qui, sorpresa. Quel tipo di cupola era una caratteristica delle basi americane dei primi Titan, i cosiddetti Titan I, che furono in dotazione alle forze armate della Nato dal 1959 al 1963, quando vennero sostituiti dai Titan II. 



Il servizio del TG3 sul Settepani è molto utile, il giornalismo anconetano è purtroppo lontano anni luce da questo tipo di libertà di informazione. Tuttavia, non concordo con le conclusioni dei giornalisti, i quali accettano la versione dell’aeronautica, secondo cui la base sarebbe servita in caso di attacco atomico e fu abbandonata perché già nel 1960 queste strutture erano superate. In realtà, la spia Matricardi spiegava che gli accordi bilaterali tra Italia e Stati Uniti prevedevano che fosse delegata proprio all’aeronautica la gestione delle basi missilistiche italiane. Dunque, le cose potrebbero stare diversamente. Una mia ipotesi è che le basi del Settepani, del Conero e di tante altre località servissero per allestire una serie di batterie di missili Titan I, mentre alla stampa veniva fatto credere che gli unici siti dotati di missili fossero quelli pugliesi. Uno specchietto per le allodole. Credo anch’io come tutti che queste strutture non entrarono mai in funzione, soprattutto perché sono troppo pulite. Ma c’è da dire un’altra cosa. I trattati con cui USA e URSS stabilirono, dopo la crisi di Cuba, il disarmo nucleare prevedevano la distruzione dei Silos missilistici, con foto che dovevano documentare la messa in atto delle disposizioni internazionali. E’ certo che molte basi missilistiche furono distrutte, mentre quelle che sopravvissero furono reimpiegate per usi scientifici. 

venerdì 4 agosto 2023

Ombre palestinesi sulla strage di Bologna


Cosa accadeva nel mondo politico internazionale nei giorni dell’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980? E’ quanto uno storico si dovrebbe chiedere nel tentativo di contestualizzare i tragici avvenimenti di quell’estate del 1980, che nel 2022 sono stati rievocati solo per strumentalizzarli in campagna elettorale. La solita triste sceneggiata. 

All’epoca avevo 7 anni. Come ho scritto su Twitter, rispondendo all’appello di Repubblica, con il quale si chiedeva ai cittadini se ricordavano il luogo in cui erano e cosa facevano quel maledetto giorno, in realtà non ho alcuna emozione collegata a quella tragedia. Ciò non è dovuto alla tenera età (infatti la strage di via Fani, precedente di due anni, la ricordo come fosse ieri), ma probabilmente al fatto che mi trovavo come ogni estate (luglio prevalentemente) nella casa dei nonni materni a Viserba di Rimini. Lì non c’era la televisione. Se capitava qualcosa di importante, tipo i mondiali dell’82, si andava a vedere la televisione nei bar di via Dati, il lungomare di Viserba. Probabilmente quel 2 agosto del 1980 stavo per tornare a Roma. La mia unica fonte di informazione erano i telegiornali. Quelli me li facevano vedere. I giornali li leggeva papà. Se lesse la notizia dell’attentato non lo so. Non me ne parlò mai. Mentre ricordo bene come fu vissuto più da vicino il terremoto del novembre 1980 in Irpinia, terra natia di mio padre e dei miei nonni paterni.

Ma cosa accedeva dunque nell’agosto del 1980 nel mondo? Scusate la lunga divagazione, serve a capire il motivo per cui oggi apro internet e mi metto alla ricerca di informazioni d’archivio. Ebbene, c’era qualcosa che nei ricordi della strage di Bologna non sento mai nominare. Lo Stato di Israele aveva compiuto un bel colpo di mano: aveva deciso con una legge del Parlamento, varata esattamente il 30 luglio 1980, di proclamare Gerusalemme capitale indivisibile della nazione. “Con  69 voti  favorevoli,  15  contrari  e  tre astenuti,  il  parlamento  israeliano ha  approvato  la  legge  che  fa  di Gerusalemme  la  capitale  unica  ed indivisibile  dello  stato  di  Israele.” Con queste parole veniva annunciato dal giornale svizzero Gazzetta Ticinese un fatto che aveva già un precedente, nel 1950, ma che rischiava di provocare una nuova reazione violenta dei palestinesi. Gerusalemme è da sempre divisa in due zone, la parte israeliana e quella araba. Ogni tentativo di forzare la mano, anche molto recente, è stato interpretato come un abuso. Figuriamoci cosa poteva accadere in un periodo denso di attentati, compiuti in giro per l’Europa dalle fazioni interne dell’OLP, l’organizzazione per la liberazione della Palestina. 

Le reazioni politiche furono veementi. Persino gli Stati Uniti condannarono la decisione israeliana, accusando il capo del governo, Menachem Begin, di mettere in pericolo gli accordi di Camp David, ossia quel patto di pace con cui era stata messa fine alla guerra dello Yom Kippur, tra Israele ed Egitto. Ma gli storici sanno che, quando Israele è in guerra, tutto il mondo arabo si coalizza e si allea con i suoi nemici. 

Anche l’ONU si era inserita nella vicenda lanciando attraverso i suoi Stati membri un ultimatum a Israele: entro novembre 1980 avrebbe dovuto ritirarsi dai territori palestinesi occupati: Cisgiordania e striscia di Gaza. Il quotidiano torinese La Stampa del 31 luglio 1980 affermava che: “con 112 voti a 7, e 24 astensioni, tra cui quella dell’Europa (Italia compresa), l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha chiesto il ritiro di Israele da tutti i territori occupati e la formazione di uno Stato indipendente della Palestina.” Richiesta durissime, quelle dell’ONU, che Israele come si poteva prevedere non accettò. 

Lo status di Gerusalemme era da svariati giorni sulle prime pagine dei giornali. In Francia e Germania ci si aspettava una ripresa degli attentati terroristici, naturalmente di marca arabo-palestinese. E in Italia? Anche qui c’era da settimane un certo fermento. Milano in primavera era stata scossa da piccoli attentati rivendicati da sigle sconosciute, provenienti dalla galassia brigatista rossa. Ma il fatto più eclatante fu la bomba fatta esplodere sempre il 30 luglio davanti al Municipio di Milano. Erano le due di notte: un’auto al tritolo era pronta a fare a pezzettini il neo-sindaco socialista Carlo Tognoli, che si apprestava, come nel periodo del caso Moro, a presiedere una giunta sostenuta dai voti dei comunisti. A leggere gli articoli pare che fossero ben tre gli esplosivi, ma due rimasero bloccati. Non ci fu nessuna vittima e l’episodio venne presto dimenticato, perché l’Italia fu subito travolta dall’evento tragico del 2 agosto. Eppure le rivendicazioni un’indicazione chiara ce la offrivano. Una telefonata al Corriere della Sera  aveva attribuito la bomba di Milano alla sigla: “Comitato rivoluzionario per il contropotere”. Gazzetta Ticinese riferì che gli inquirenti “erano propensi a credere” che si trattasse di un’organizzazione legata alle Brigate Rosse. Ebbene, anche dopo l’attentato alla stazione di Bologna le Brigate Rosse rivendicarono la strage, così come fecero i NAR, salvo poi smentire entrambe la propria responsabilità. 

Che cosa poteva essere successo? A mio giudizio, può essere corretta la ricostruzione offerta dal giornalista Paolo Cucchiarelli. In un recente libro, ha cercato di dimostrare che l’esplosivo di Bologna (e qui Cucchiarelli è senz’altro più preparato di me sui dettagli militari) era solo di passaggio e che i neofascisti, e forse pure alcuni palestinesi, andavano visti come gli incaricati del trasporto. Qualcosa andò storto e la bomba esplose tra turisti innocenti. Forse per questo NAR e Brigate Rosse, pur volendo attribuire un valore politico a quel materiale bellico andato sprecato, furono costretti dall’immane e indesiderata carneficina a lasciare anonimo il gesto. 

Dunque, NAR e Brigate Rosse insieme? Possibile? Perché no. Il lettore del mio precedente libro “L’indagine impossibile” ricorderà l’analisi che la STASI, la polizia di sicurezza dell’ex Germania Est, realizzò nello stesso periodo sui NAR, in un suo rapporto assai completo, e per molti dettagli inedito, sul terrorismo italiano. 

Lo pubblichiamo nuovamente: “Cellule Armate Rivoluzionarie” (NAR): Fu chiamato anche il “gemello delle Brigate Rosse” e considerato l'organizzatore del “Terrore Nero”. A fondare i “NAR” fu Franco Anselmi. Secondo alcuni esperti dell'anti-terrorismo italiano vi confluirono “membri delusi dal “MSI” che voltarono le spalle alla politica legale, dedicandosi alla lotta contro il sistema. Si sapeva anche di una collaborazione che il capo dei “NAR” aveva con le “Brigate Rosse”.

martedì 17 gennaio 2023

Conversazione con un militare del Conero


Pubblichiamo qui di seguito un botta e risposta con un militare del Conero. La conversazione avvenne alcuni anni fa e per sua espressa richiesta siamo costretti a renderlo irriconoscibile, censurando anche le date in cui prestò servizio presso la stazione RT del Monte Conero.


Avevo intervistato tempo fa un vostro commilitone che non volle essere citato nel mio articolo, ma mi disse tante cose interessanti tra cui il fatto che il suo motto era ‘Silendo libertatem servo’ che è appunto il motto di Gladio. Certamente vorrei saperne di più.

“Posso chiedere, ma già da anni, so che anche ai militari di leva in vedetta, Stazione 015 (o 014) non ricordo bene, veniva fatto forte richiesta di tacere su tutto ciò potevano vedere di strano. Una cosa significativa è che i marinai della vedetta, mai uscivano in franchigia con i marinai della Srtp. È una cosa che mi ha sempre incuriosito e, certamente non è casuale.”

Scusi l'ignoranza, ma cosa vuol dire 'franchigia'? Proprio in questi giorni ho scritto un articolo su quel tunnel che venne ripreso in un video. Saprete che nel 2014 dei videoamatori spericolati entrarono nel tunnel del Conero ripreso da Mistero su Italia 1 e fecero un'ora e mezza di riprese di un bunker strano, dentro al Conero. Forse al livello del mare. Furono denunciati, il video rimosso. Eppure a mio giudizio il video andava divulgato, perché può essere connesso ad alcuni gialli su cui la magistratura ancora sta indagando.

“Franchigia significa Libera Uscita. Ho svolto la leva al Conero da xxxxxx XX a xxxxxx XX, mese in cui mi sono congedato. Il mio incarico era maro' sdi, quindi solo guardie, sempre fuori dalla galleria. Dopo 6 mesi, il capo posto mi ha fatto fare la patente militare e ho fatto l'autista. Curavo i mezzi e svolgevo ruoli di autista giornalieri. So che, alla fine della galleria, c'era la sala radio trasmittente,  che controllava le navi in passaggio sul mare di Ancona. A metà della galleria c'erano due uscite di sicurezza, a gradini molto ripidi in salita che sboccavano sul monte. Ci sono andato una sola volta in 18 mesi. Armi ne ho sempre viste pochissime, forse due, tre Fal, due Mab, le pistole dei capi di guardia. Della vedetta, la caserma sopra di noi, non so nulla, salvo quella riservatezza cui le accennavo prima. Mi pare di ricordare, una notte d'estate 19XX, ci venne riferito di uno scontro a fuoco, alla vedetta, con potenziali attentatori, ma non ebbi testimonianze dirette o oculari. Di più non so. Ricordo anche comunque che, esisteva il segreto militare. Ovvero anche i soldati di leva dovevano sempre non riferire nulla ai civili se non autorizzati.”

Certo, ma voi dalla cima non potevate scendere fino al mare via tunnel?

“Questo non è a mia conoscenza. Non credo dalla Srtp. Forse dalla vedetta, ma devo chiedere. Se non ricordo male, all'epoca si parlava, si mormorava da parte dei marinai più vecchi ‘di leva’ dell'esistenza di sbocchi sul mare, attraverso cunicoli, ma personalmente non ho mai visto, e nemmeno mi ha mai attratto la curiosità di verificare, perché la cosa mi intimoriva...avevo 19 anni e di notte, specialmente d'inverno, lo scenario era alquanto spettrale.”

Da Google maps nella visuale ad altezza d’uomo si intuisce che dalla base vedevate l’Isola Lunga in Croazia a occhio nudo, conferma?

“Dalla Srtp non si vedeva nulla. Dalla vedetta non so.”

Io intendo dalla parte più alta dove ora c’è un campo di calcio a 5.

“Non lo so, perché credo lei si riferisca alla stazione sopra. Li non ci sono mai entrato. È la caserma ancora attiva, interforze già all'epoca, che necessita di autorizzazione anche al passaggio, appena si imbocca la strada dopo l'albergo.”

Ah ecco non sapevo fossero due zone diverse

“Mentre la Srtp è stata chiusa definitivamente, credo fine anni 90, primi 2000.”

Ah ecco non sapevo fossero due zone diverse

“Si, sono diverse e collocate in altitudini diverse.”


Lo scoop del Carlino sul generale Dalla Chiesa

 

Mi sembra doveroso, nel periodo in cui sulla Rai va in onda uno sceneggiato sul generale Dalla Chiesa, ricordare uno scoop. Uno di quelli che si fanno una volta nella vita e che la stessa vita te la cambiano, forse te la rovinano pure. Non so se Luciano Biliotti, scomparso 24 anni fa, cronista di nera molto scaltro ed esperto, si fosse reso conto di quello che stava facendo. La notizia curiosa, come il classico da manuale "uomo morde cane", che pubblicò il 10 agosto del 1979 sul Resto del Carlino, stava per cambiare la storia delle Brigate Rosse. Ma sì, probabilmente lo aveva messo in conto. Quello che non si aspettava era che qualche decennio dopo un suo collega della stessa redazione anconetana diffondesse un libro che capovolgeva la vicenda e trasformava il Resto del Carlino di Ancona in un gruppo di simpatizzanti delle Bierre. 

Ho lavorato per quella redazione, non mi hanno permesso di fare carriera, purtroppo, come avrei voluto, ma ho pensato subito dopo aver letto quel libro che i miei colleghi non potevano assolutamente essere così. Ho approfondito ulteriormente e ne sono sempre più convinto.

Luciano Biliotti quel 10 agosto del 1979 divulgò una notizia che poteva sembrare esilarante: la Digos, cioè la polizia di Stato, aveva arrestato ad Ancona un carabiniere. Non uno qualunque: era un esperto dell'antiterrorismo al lavoro per il generale Dalla Chiesa, il quale da poco era stato rimesso al comando della lotta all'eversione rossa. La Digos lo aveva pedinato, aveva scoperto che incontrava spesso giovani dell'estrema sinistra e aveva deciso una perquisizione nella sua abitazione di Montacuto. 

Cosa accadde a quel punto? Noi sappiamo ormai alcuni retroscena. Biliotti era in contatto con i Servizi segreti, magari gli stessi uomini del generale Dalla Chiesa. Ci deve essere stato panico. I Servizi che si erano infiltrati all'interno delle Bierre non immaginavano che la Digos fosse così avanti con le indagini. E' possibile che Biliotti fosse in possesso di una ricetrasmittente con cui teneva sotto controllo, per finalità lavorative, le conversazioni della polizia e da lì potrebbe aver ascoltato il disappunto della Digos. Il carabiniere, vistosi perduto, si sarebbe a quel punto qualificato e il Sismi avrebbe chiesto alla Digos di lasciar stare, che c’erano loro. Ritengo altamente improbabile che l'uomo del generale Dalla Chiesa potesse aver lasciato nella sua abitazione tracce dell’attività investigativa, che lo stava mettendo sulle tracce addirittura di Mario Moretti. Perché i tempi coincidono perfettamente con la partenza di Moretti da Numana con il Papago, in quel famoso viaggio alla ricerca di armi in Medio Oriente, che avvenne a fine agosto del 1979. Dunque, il carabiniere si stava spacciando per un giovane qualsiasi. Ce lo fa dedurre il documento della CIA che rimarcava la difficoltà degli uomini di Dalla Chiesa nell’inserirsi nelle Bierre. Non si trattava di un’operazione che si svolgeva da un giorno all’altro. Le Bierre erano compartimentate e diffidenti, ti costringevano a prove molto dure, anche rapinare o uccidere, proprio perché si aspettavano un inserimento dei Servizi. E perciò quel carabiniere non sarebbe mai dovuto uscire allo scoperto. E invece fu scoperto. Biliotti lo venne a sapere e divulgò tutto, inconsapevole dei grandi movimenti che si celavano dietro questa operazione. La magistratura lo mise sotto inchiesta e lui si appellò alla segretezza delle fonti, affermando soltanto che l’informatore era un “pubblico ufficiale”. 

Che cos’è uscito invece nel libro successivo? Qui è il capo delle Brigate Rosse, identificabile probabilmente in Alberto Franceschini, a raccontare al cronista del Carlino di Ancona dell’esistenza di un patto Digos-Antiterrorismo per non arrestare Moretti. Anzi è il momento clou del romanzo. Si lascia intravedere una pericolosa vicinanza tra Sismi e Brigate Rosse stesse, che a quel punto poterono continuare ad agire indisturbate, con Moretti che a fine agosto salpò tranquillamente da Numana. Come farebbe dunque Franceschini a conoscere questi dettagli? Ora lo capiamo. Li aveva letti sul Resto del Carlino di Ancona, e non viceversa! 

Immagino lo stupore di Moretti nello scoprire che un suo amico di lotta clandestina (anche un assassino?) in realtà era un carabiniere. Chissà cosa avrà pensato: che dovevano essercene molti altri nell’organizzazione? che tutte le Bierre erano eterodirette, magari dalla CIA? (ogni riferimento ai complottisti di oggi è puramente casuale) Dall’altro lato immagino la rabbia del Sismi, che doveva rinunciare ad arrestare il nuovo capo delle Brigate Rosse (perché non posso pensare a un Dalla Chiesa complice di Moretti). Quale sorte sarebbe capitata ad altri infiltrati? E’ per questo che non si seppe mai granché di loro e ci vollero i primi pentiti per arrivare agli arresti? Ma allora perché non arrestare comunque Moretti, in modo da salvare il salvabile e non abbandonare gli altri “collaboratori”? Non avevano elementi sufficienti?

La vera storia comunque non potrà prescindere dai punti fermi che abbiamo enumerato. Biliotti aveva fatto il suo dovere, cercando di sapere più di quel che gli era consentito. Lo aveva fatto per i lettori e io lo apprezzo. Purtroppo per arrestare Mario Moretti ci vollero altri due anni, durante i quali il capo delle nuove Bierre poté compiere altri gravi delitti. 

domenica 15 gennaio 2023

Dieci domande per la libertà di stampa

 

Daniele Silvetti si candida a sindaco di Ancona? Quale migliore occasione per porre all’illustre rappresentante del Cavaliere Berlusca alcune domande che ci paiono doverose e che avevamo già belle e pronte:

 

1) Come lei certamente saprà, avvocato Silvetti, in un documento originale dei servizi segreti cecoslovacchi del periodo comunista, un militare italiano affermava che sul Monte Conero erano pronte, nell’agosto del 1960, ben 50 rampe di lancio di missili Jupiter. E che altre 60 erano in via di ultimazione. E’ una scoperta che cambierebbe la storia. Cosa ha fatto lei, come presidente del Parco del Conero, per cercare di individuare il luogo in cui sorgevano queste rampe? E cosa ha fatto il sindaco di Ancona, con cui lei è in stretti rapporti politici, per chiarire questa vicenda?

2) Nel 2017 un ente turistico, che risulta in contatto con l’assessorato al turismo del comune di Ancona, distribuì ai gitanti che si recavano a fare passeggiate sul Conero un volantino che ricostruiva la storia della base militare, facendo riferimento a esercitazioni “in ambito Nato” che si sarebbero tenute sullo stesso monte Conero durante la guerra fredda. Che lei sappia, questi volantini vengono ancora distribuiti? Oppure, diciamo così, l’iniziativa si è interrotta?

3) Nell’insediarsi sulla poltrona di presidente del Parco del Conero lei affermò di essere un ex militare della vetta proprio del monte Conero. In quel momento, non la avevano ancora informata delle minacce presenti sul blog del sottoscritto? Si tratta di messaggi violenti scritti da sedicenti ex militari del Conero, o di altre zone simili. Affermavano di aver avuto l’ordine di sparare su coloro che avessero tentato di scavalcare le recinzioni. A lei davano questi ordini, al tempo del suo servizio militare?

4) I sedicenti militari del Conero che lasciarono messaggi sul blog del sottoscritto affermavano, nel 2012, di aver firmato un NOS, cioè un nullaosta di segretezza. Lei lo firmò ai tempi della sua esperienza militare? E, se sì, ritiene compatibile quell’impegno al silenzio con i doveri di trasparenza che ha un aspirante sindaco?

5) Torniamo alla sua presidenza del Parco del Conero. Lei ha affermato che si candida a sindaco sull’onda dell’entusiasmo per le sue iniziative durante questi due anni di lavoro per il parco. Scusi, ma quale entusiasmo? Quello degli esponenti del Pungitopo? Ma non era un organo dei Verdi, ossia della sinistra movimentista? Lei non si candida per il centro-destra?

6) A proposito del Pungitopo: nel 1984 alcuni ecologisti che preparavano un articolo proprio per il Pungitopo, sulle installazioni militari del Conero, vennero arrestati e poi, dopo un bel putiferio mediatico, assolti. Secondo lei, era giusto pubblicare un articolo contenente le informazioni sulle installazioni militari del Conero?

7) Lei, avvocato Silvetti, ha affermato di voler promuovere lo studio della storia del monte Conero. Ebbene, nel 2014 un videoamatore aveva girato il video di un bunker della guerra fredda. In queste immagini era facilmente riconoscibile la struttura tipica di un bunker antiatomico con docce di decontaminazione. Tutto questo era all’interno del Parco del Conero. Non pensa sia un argomento da approfondire? Oppure le interessano solo i reperti storici più antichi?

8) Lei ha anche affermato di voler allargare il territorio dell’ente parco del Conero alla zona di Ancona, e ora di Castelfidardo. Ci può dire con esattezza quali sono i confini attuali del Parco del Conero? A noi, e anche ai nostri lettori, sembra piuttosto difficoltoso capire dove si entri e si esca esattamente dalla zona protetta del parco. Provi ad aiutarci.

9) Lei ha affermato, tra l’altro, di voler inglobare nel Parco del Conero anche il Parco del Cardeto. Ha mai letto qualche articolo sul degrado del territorio di Ancona? A noi pare di capire che il Cardeto versi ancora nel più totale abbandono. Gli articoli del Carlino del 2005 e del 2020 sono praticamente identici. Chi metterà i soldi per far rinascere il Cardeto di Ancona, che peraltro era un’altra zona militare della guerra fredda?

10) Ci sarebbe molto altro da chiederle ma non vogliamo annoiarla. Cosa si aspetta da queste elezioni amministrative di Ancona? Perché i cittadini dovrebbero votarla? Perché ha fatto le stesse cose degli altri presidenti di sinistra? O, magari, perché ha mantenuto il segreto militare? Oppure perché, se diventerà sindaco, avrà più libertà di azione e ci racconterà finalmente la verità su queste benedette “esercitazioni in ambito Nato”?