mercoledì 23 agosto 2023

Ecco le rampe sotterranee della guerra fredda

 


Tra le numerose relazioni che il comandante Vittorio Matricardi inviò ai cecoslovacchi mi colpisce in particolare questo dettaglio: una specie di basi di missili che gli americani erano in procinto di installare, nella primavera del 1960, nel loro territorio ed anche nel mondo occidentale. Si tratta dei missili Titan, la cui caratteristica era di poter essere nascosti nel terreno.

Eureka. Era ciò che cercavamo per rendere compatibile e credibile una presenza massiccia di rampe missilistiche - come ipotizzato dallo stesso Matricardi - in Italia, specialmente sul monte Conero, che è un rilievo talmente isolato da poter essere visibile a distanza di decine di chilometri, sia da sud che da nord. Difficile preparare un missile, anche lasciandolo a terra, senza essere visti. Erano missili dalle dimensioni enormi. E i Titan - scriveva Matricardi - erano molto simili agli Jupiter, cui fece cenno nella famosa relazione sulle basi italiane degli americani. 

Sono andato a indagare online, scoprendo innanzitutto che esiste un museo in Arizona, negli Usa, che nel 2023, mentre scriviamo, mostra ai turisti una di queste rampe di Titan, ancora perfettamente funzionante. Si chiama Titan missile museum. Se n'è parlato molto sui giornali (esteri) e su Youtube. Tra la galleria di fotografie che il sito di questo museo offre online, si può ammirare la rampa di lancio dell'Arizona, così com'era negli anni '60, quando era operativa contro l'URSS. Un deterrente - lo definiscono gli esperti - per un attacco nucleare dei russi: spaventarli facendo loro comprendere che gli americani avrebbero potuto sfuggire a un attacco, rimanendo sottoterra per poi contrattaccare. 

La base dell'Arizona oggi su Google Earth


la base in Arizona
La base dell'Arizona dall'alto

La base del Conero oggi su Google Earth

E' quello che accadde anche in Italia? Sono andato a riprendermi le foto aeree della base militare del Conero grazie a Google Earth. Ebbene, il risultato è sorprendente: i due Silos - come li chiamava Matricardi - sono omogenei, notiamo la medesima collocazione nella vegetazione, con una rampa di lancio mimetizzata perfettamente nel terreno. A questo punto, il campo di calcetto del Conero ci sembra sempre meno adatto a qualche militare in calzoncini e maglietta e sempre più vicino a una copertura voluminosa per qualcosa di segreto; come del resto chi mi ha contattato in questi anni mi aveva suggerito. Mi sembrava fantascienza, ora un pochino meno, anche se il diametro appare a occhio più piccolo dei 13 metri dichiarati da Matricardi ((ma siamo nel 2023, inoltre gli edifici che vediamo di fianco al campo di calcetto sono di epoca recente).

Un altro particolare che rende la storia dei Titan molto vicina alla storia ufficiale del monte Conero (anche se a dire il vero di ufficiale attualmente c'è solo l'aspetto turistico che caratterizza la zona) è che, terminata la paura di un attacco russo, questi missili furono reimpiegati, dopo averli privati delle testate nucleari, in ambito meteorologico e scientifico. Ebbene, sappiamo che fin dal 1957 gli anconetani avvistarono oggetti luminosi in cima al Conero; degli ufo che, così com'erano descritti, a posteriori ci sembrano proprio degli Jupiter o dei Titan in fase di lancio. 

Sappiamo anche che nella parte alta del monte Conero era in costruzione negli stessi anni Cinquanta un bunker antiatomico contenente delle docce, che abbiamo visto in un video (oggi censurato e non più disponibile) e ci sembrano a tutti gli effetti essere predisposte per la decontaminazione dei militari. Abbiamo, inoltre, le relazioni di Matricardi, un militare della marina che ci sembra super attendibile. Era così aggiornato in ambito tecnico-militare da sapere fin dal 1960 ciò che noi comuni mortali stiamo apprendendo solo in questi anni. Sto proseguendo le indagini e trovo sempre più riscontri sulla sua reale esistenza, così come sulla sua famiglia. Ne riparleremo.

Certo, resterebbero svariati interrogativi. Avremmo trovato una rampa di missili, ma le altre 49 di cui parlava Matricardi? Per non parlare di quelle che secondo lui erano in costruzione nell'estate del 1960. Ma è altrettanto vero che il monte Conero, ai tempi di Matricardi, non era denso di alberi come lo vediamo noi oggi. E nascondere delle solette di cemento, ossia le coperture per dei missili Titan, era certo più semplice rispetto alle rampe di Jupiter, almeno quelle che siamo abituati ad immaginare pensando ai siti ufficiali della Puglia e della Basilicata; i siti ufficiali che la CIA ha dichiarato, in un documento diffuso da Nicola Pedde, di aver utilizzato.

Questa storia americana mi pare meno credibile rispetto alla versione di Matricardi, ossia che le rampe di missili (Jupiter) fossero quasi tutte situate in prossimità di montagne. E’ noto infatti agli esperti in tema di armamenti che per meglio preservare le testate atomiche sarebbe consigliabile nasconderle, come Matricardi sottolineava, all’interno di grotte scavate sotto alte montagne. Per di più, lasciare degli enormi missili in pianura, alla mercé di ogni possibile minaccia esterna, anche se a debita distanza dai centri abitati, non è mai una scelta intelligente, e gli americani certo stupidi non erano e non sono. 
Sono andato a documentarmi e mi pare alquanto evidente che la scelta della Puglia fosse tutt’altro che segreta, se è vero che fin dal 1960 erano usciti articoli che annunciavano l’arrivo degli Jupiter nelle basi pugliesi. Un segreto di pulcinella. Al contrario, leggendo gli articoli più recenti pare che nessun abitante di quelle zone abbia mai visto o sentito missili pronti a partire, tanto meno con le testate nucleari già pronte, come certa storiografia vorrebbe tramandare. 

Mi sono andato a vedere anche i servizi del TG3 della Rai sulla base dell’aeronautica sul monte Settepani, presso Savona. La similitudine con il bunker ripreso in video nel monte Conero è certamente evidente. Non solo. Pare che una caratteristica comune delle due strutture fosse rappresentata dalle cupole esterne con le quali terminavano i pozzi molto profondi dei tunnel sotterranei. E anche qui, sorpresa. Quel tipo di cupola era una caratteristica delle basi americane dei primi Titan, i cosiddetti Titan I, che furono in dotazione alle forze armate della Nato dal 1959 al 1963, quando vennero sostituiti dai Titan II. 



Il servizio del TG3 sul Settepani è molto utile, il giornalismo anconetano è purtroppo lontano anni luce da questo tipo di libertà di informazione. Tuttavia, non concordo con le conclusioni dei giornalisti, i quali accettano la versione dell’aeronautica, secondo cui la base sarebbe servita in caso di attacco atomico e fu abbandonata perché già nel 1960 queste strutture erano superate. In realtà, la spia Matricardi spiegava che gli accordi bilaterali tra Italia e Stati Uniti prevedevano che fosse delegata proprio all’aeronautica la gestione delle basi missilistiche italiane. Dunque, le cose potrebbero stare diversamente. Una mia ipotesi è che le basi del Settepani, del Conero e di tante altre località servissero per allestire una serie di batterie di missili Titan I, mentre alla stampa veniva fatto credere che gli unici siti dotati di missili fossero quelli pugliesi. Uno specchietto per le allodole. Credo anch’io come tutti che queste strutture non entrarono mai in funzione, soprattutto perché sono troppo pulite. Ma c’è da dire un’altra cosa. I trattati con cui USA e URSS stabilirono, dopo la crisi di Cuba, il disarmo nucleare prevedevano la distruzione dei Silos missilistici, con foto che dovevano documentare la messa in atto delle disposizioni internazionali. E’ certo che molte basi missilistiche furono distrutte, mentre quelle che sopravvissero furono reimpiegate per usi scientifici. 

venerdì 4 agosto 2023

Ombre palestinesi sulla strage di Bologna


Cosa accadeva nel mondo politico internazionale nei giorni dell’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980? E’ quanto uno storico si dovrebbe chiedere nel tentativo di contestualizzare i tragici avvenimenti di quell’estate del 1980, che nel 2022 sono stati rievocati solo per strumentalizzarli in campagna elettorale. La solita triste sceneggiata. 

All’epoca avevo 7 anni. Come ho scritto su Twitter, rispondendo all’appello di Repubblica, con il quale si chiedeva ai cittadini se ricordavano il luogo in cui erano e cosa facevano quel maledetto giorno, in realtà non ho alcuna emozione collegata a quella tragedia. Ciò non è dovuto alla tenera età (infatti la strage di via Fani, precedente di due anni, la ricordo come fosse ieri), ma probabilmente al fatto che mi trovavo come ogni estate (luglio prevalentemente) nella casa dei nonni materni a Viserba di Rimini. Lì non c’era la televisione. Se capitava qualcosa di importante, tipo i mondiali dell’82, si andava a vedere la televisione nei bar di via Dati, il lungomare di Viserba. Probabilmente quel 2 agosto del 1980 stavo per tornare a Roma. La mia unica fonte di informazione erano i telegiornali. Quelli me li facevano vedere. I giornali li leggeva papà. Se lesse la notizia dell’attentato non lo so. Non me ne parlò mai. Mentre ricordo bene come fu vissuto più da vicino il terremoto del novembre 1980 in Irpinia, terra natia di mio padre e dei miei nonni paterni.

Ma cosa accedeva dunque nell’agosto del 1980 nel mondo? Scusate la lunga divagazione, serve a capire il motivo per cui oggi apro internet e mi metto alla ricerca di informazioni d’archivio. Ebbene, c’era qualcosa che nei ricordi della strage di Bologna non sento mai nominare. Lo Stato di Israele aveva compiuto un bel colpo di mano: aveva deciso con una legge del Parlamento, varata esattamente il 30 luglio 1980, di proclamare Gerusalemme capitale indivisibile della nazione. “Con  69 voti  favorevoli,  15  contrari  e  tre astenuti,  il  parlamento  israeliano ha  approvato  la  legge  che  fa  di Gerusalemme  la  capitale  unica  ed indivisibile  dello  stato  di  Israele.” Con queste parole veniva annunciato dal giornale svizzero Gazzetta Ticinese un fatto che aveva già un precedente, nel 1950, ma che rischiava di provocare una nuova reazione violenta dei palestinesi. Gerusalemme è da sempre divisa in due zone, la parte israeliana e quella araba. Ogni tentativo di forzare la mano, anche molto recente, è stato interpretato come un abuso. Figuriamoci cosa poteva accadere in un periodo denso di attentati, compiuti in giro per l’Europa dalle fazioni interne dell’OLP, l’organizzazione per la liberazione della Palestina. 

Le reazioni politiche furono veementi. Persino gli Stati Uniti condannarono la decisione israeliana, accusando il capo del governo, Menachem Begin, di mettere in pericolo gli accordi di Camp David, ossia quel patto di pace con cui era stata messa fine alla guerra dello Yom Kippur, tra Israele ed Egitto. Ma gli storici sanno che, quando Israele è in guerra, tutto il mondo arabo si coalizza e si allea con i suoi nemici. 

Anche l’ONU si era inserita nella vicenda lanciando attraverso i suoi Stati membri un ultimatum a Israele: entro novembre 1980 avrebbe dovuto ritirarsi dai territori palestinesi occupati: Cisgiordania e striscia di Gaza. Il quotidiano torinese La Stampa del 31 luglio 1980 affermava che: “con 112 voti a 7, e 24 astensioni, tra cui quella dell’Europa (Italia compresa), l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha chiesto il ritiro di Israele da tutti i territori occupati e la formazione di uno Stato indipendente della Palestina.” Richiesta durissime, quelle dell’ONU, che Israele come si poteva prevedere non accettò. 

Lo status di Gerusalemme era da svariati giorni sulle prime pagine dei giornali. In Francia e Germania ci si aspettava una ripresa degli attentati terroristici, naturalmente di marca arabo-palestinese. E in Italia? Anche qui c’era da settimane un certo fermento. Milano in primavera era stata scossa da piccoli attentati rivendicati da sigle sconosciute, provenienti dalla galassia brigatista rossa. Ma il fatto più eclatante fu la bomba fatta esplodere sempre il 30 luglio davanti al Municipio di Milano. Erano le due di notte: un’auto al tritolo era pronta a fare a pezzettini il neo-sindaco socialista Carlo Tognoli, che si apprestava, come nel periodo del caso Moro, a presiedere una giunta sostenuta dai voti dei comunisti. A leggere gli articoli pare che fossero ben tre gli esplosivi, ma due rimasero bloccati. Non ci fu nessuna vittima e l’episodio venne presto dimenticato, perché l’Italia fu subito travolta dall’evento tragico del 2 agosto. Eppure le rivendicazioni un’indicazione chiara ce la offrivano. Una telefonata al Corriere della Sera  aveva attribuito la bomba di Milano alla sigla: “Comitato rivoluzionario per il contropotere”. Gazzetta Ticinese riferì che gli inquirenti “erano propensi a credere” che si trattasse di un’organizzazione legata alle Brigate Rosse. Ebbene, anche dopo l’attentato alla stazione di Bologna le Brigate Rosse rivendicarono la strage, così come fecero i NAR, salvo poi smentire entrambe la propria responsabilità. 

Che cosa poteva essere successo? A mio giudizio, può essere corretta la ricostruzione offerta dal giornalista Paolo Cucchiarelli. In un recente libro, ha cercato di dimostrare che l’esplosivo di Bologna (e qui Cucchiarelli è senz’altro più preparato di me sui dettagli militari) era solo di passaggio e che i neofascisti, e forse pure alcuni palestinesi, andavano visti come gli incaricati del trasporto. Qualcosa andò storto e la bomba esplose tra turisti innocenti. Forse per questo NAR e Brigate Rosse, pur volendo attribuire un valore politico a quel materiale bellico andato sprecato, furono costretti dall’immane e indesiderata carneficina a lasciare anonimo il gesto. 

Dunque, NAR e Brigate Rosse insieme? Possibile? Perché no. Il lettore del mio precedente libro “L’indagine impossibile” ricorderà l’analisi che la STASI, la polizia di sicurezza dell’ex Germania Est, realizzò nello stesso periodo sui NAR, in un suo rapporto assai completo, e per molti dettagli inedito, sul terrorismo italiano. 

Lo pubblichiamo nuovamente: “Cellule Armate Rivoluzionarie” (NAR): Fu chiamato anche il “gemello delle Brigate Rosse” e considerato l'organizzatore del “Terrore Nero”. A fondare i “NAR” fu Franco Anselmi. Secondo alcuni esperti dell'anti-terrorismo italiano vi confluirono “membri delusi dal “MSI” che voltarono le spalle alla politica legale, dedicandosi alla lotta contro il sistema. Si sapeva anche di una collaborazione che il capo dei “NAR” aveva con le “Brigate Rosse”.