domenica 30 agosto 2015

Un tribunale mussoliniano nel passato dei nostri giudici


I giudici di Ancona lavorarono per Mussolini. E' quanto possiamo dedurre leggendo alcuni articoli del Corriere Adriatico del febbraio 1944, allorché ci fu un dibattito sulla sede ideale per il tribunale dopo i bombardamenti, che ad Ancona avevano provocato danni e vittime. Fu scelto di trasferire i processi a Montecarotto, nell'entroterra, dove ripresero a metà febbraio del '44 per iniziativa del presidente Lombardi. Ma quella giustizia non poteva certamente definirsi indipendente: nei faldoni dell'archivio spicca l'applicazione di alcune leggi fasciste molto severe sullo sciacallaggio, che prevedevano anche la pena di morte. Un altro elemento a sfavore di quel sistema è che furono applicate le leggi razziali contro gli ebrei, anche se ne troviamo traccia soprattutto nel nord Italia. Eppure molti dei magistrati che abbiamo letto nei fascicoli del 1943-44 li abbiamo ritrovati anche nel dopoguerra, e sempre impegnati in inchieste giudiziarie che si risolvevano con l'archiviazione. Il motivo fu sempre lo stesso: perché i colpevoli erano rimasti ignoti.

Primavera 1944, incontri ravvicinati con i nazisti


Anconetani e militari tedeschi, uno di fronte all’altro, faccia a faccia. Accadde durante la seconda guerra mondiale, con l’approssimarsi della primavera del 1944. I tedeschi, che avevano occupato militarmente il capoluogo marchigiano, sentendo il fiato degli anglo-americani sempre più soffocante sul collo, cominciarono a perdere la testa. Gli abitanti di Ancona che avevano deciso di non sfollare si accorsero così che ad entrare nelle loro case erano molto spesso proprio loro, i militari tedeschi, i quali, preoccupati soprattutto di procurarsi viveri e mezzi di trasporto, furono i primi a non rispettare le leggi della Repubblica di Salò. Dai faldoni processuali sono spuntate fuori delle interessanti deposizioni, che aprono uno squarcio di verità sulla difficile convivenza tra anconetani e tedeschi durante l'ultima fase di guerra. Fino a svelare delle vere devastazioni dei soldati nazisti a colpi di scure negli appartamenti della zona del Viale della Vittoria.

Quei quattro rotoli di stoffa di Santa Palazia


Cosa accadde veramente dopo il terribile bombardamento del primo novembre 1943 nel carcere di Santa Palazia di Ancona? Perché molti corpi rimasero sotto le macerie anche nel dopoguerra? Per ottenere una risposta riveste un ruolo molto importante la storia di due giovani, A. P. e M. G., i quali furono accusati di aver rubato quattro rotoli di stoffa mentre si aggiravano nei pressi del carcere giudiziario di Santa Palazia. Eravamo in quel momento a pochi mesi dalla tragedia del bombardamento e la zona si presentava ai loro occhi piena di macerie; certamente un’ottima preda per degli sciacalli in cerca di materiale da recuperare e rivendere. Ma quando l’istruttoria fu ripresa, nel dopoguerra, il giudice affermò nella sua sentenza che non vi era alcuna prova certa che i due giovani fossero gli autori del reato e li assolse. Era il 10 maggio 1948. In realtà dal loro fascicolo processuale abbiamo notato che non solo i due giovani potevano essere innocenti, ma che i militari stessi che li sorpresero a loro volta stavano trasportando su un camion dei rotoli misteriosi, al punto da sembrare infastiditi dalla presenza di A. P. e M. G. Il giudice nel riaprire il fascicolo non dette peso al fatto che quei militari erano dei fascisti.

Quella fuga disperata dalle bombe del '43


Nei primi mesi del ‘44 molti anconetani, che erano sfollati per i bombardamenti degli "Alleati", fecero una breve visita alle loro case, per verificarne le condizioni. Ciò che videro li sorprese: molti dei beni che avevano lasciato all’interno delle stanze erano stati rubati. Corsero quindi alla polizia, come avverrebbe in tempo di pace, e si sfogarono con quei militari. Le loro deposizioni, che abbiamo riportato alla luce dopo tantissimi anni, ci forniscono delle preziose testimonianze a caldo su quei tragici fatti della fine del 1943. I fascicoli penali disponibili presso l'archivio di Stato di Ancona conservano la testimonianza diretta dei protagonisti su ciò che videro tornando nelle case distrutte dalle bombe. La nota stonata di questa storia è che nessuna di quelle famiglie che, oltre a perdere la casa per la guerra si erano ritrovate derubate anche dei loro amati oggetti, ottenne giustizia.

La piscina del Taunus di Numana chiusa per debiti


Niente piscina, niente tennis e addio animazione serale per i bambini. I turisti belgi, tedeschi, polacchi e italiani del Taunus di Numana hanno avuto questa amara sorpresa all'inizio dell'estate 2015. L'acqua della grande piscina, azzurra nelle locandine e su internet, era diventata gialla per l'abbandono. Il gestore del ristorante, rimasto invece aperto, è demoralizzato: ha dovuto rinunciare al grande flusso di clienti cui era abituato. Tutta colpa dell'affare Neumann - ha detto sconsolato -. La morte del padre ha fatto emergere ingenti debiti e pare che i figli abbiano rinunciato all'eredità. Tra le proprietà della società c'era anche il complesso del Taunus 2, che è rimasto coinvolto nell'inchiesta. Fino a quando la procedura giudiziaria non si chiuderà - ha affermato il ristoratore - la piscina non potrà riaprire. E si preannunciano, come sempre avviene in Italia, tempi lunghi.

sabato 29 agosto 2015

Ancona 1944, tante denunce nessun colpevole


Tante denunce, nessun colpevole, ma tanti sospetti sui soldati tedeschi. Furono tutto sommato queste le caratteristiche dell’occupazione nazista di Ancona sotto il profilo giudiziario. E' quanto emerge dai fascicoli processuali conservati presso l'archivio di Stato di Ancona e finalmente liberi dal segreto d'ufficio dopo 70 anni. Si scopre così che i cittadini dorici continuarono fino all’ultimo giorno di guerra a recarsi nelle caserme di carabinieri, polizia e guardia di finanza per raccontare le loro disavventure. Ci furono uomini in divisa, ad Ancona, che vollero dare agli abitanti l’illusione di poter contare sempre su uno Stato efficiente. Ma le loro indagini raramente condussero alla cattura dei colpevoli. Tuttavia svelarono che furti e omicidi venivano attuati regolarmente dai soldati tedeschi.

Monte Cardeto in fiamme, e tutta Ancona tremò


Una denuncia penale, ritrovata tra i fascicoli conservati all'archivio di Stato di Ancona, conferma che nel luglio del 1944 ad Ancona vi fu una terribile esplosione al monte Cardeto. Avvenne esattamente il 10 luglio e fu causata dai nazi-fascisti, preoccupati di far saltare in aria tutte le loro munizioni prima di ripiegare verso il nord. Il boato fu talmente forte da danneggiare la serratura di un palazzo del Viale della Vittoria 39. Quella porta era stata anche forzata da un ladro, che aveva portato via degli oggetti di proprietà di un certo Enrico Civelli, direttore dell'ospedale. Questi aveva lasciato in custodia l'appartamento al signor Enrico Cappanera, che fu colui che denunciò il tutto alle autorità. Fu probabilmente l'ultimo atto giudiziario della Repubblica di Salò prima dell'arrivo degli "Alleati". Su di esso indagò Carlo Albertini, un vigile del fuoco che in quell'emergenza assunse anche il ruolo di ufficiale di polizia giudiziaria. Il ladro non fu mai arrestato.

“Astagno-Rupi 29 settembre”, la galleria ricomparsa


Un ritrovamento misterioso, avvenuto nel 2003, durante la costruzione della galleria San Martino di Ancona, dimostra che i numerosi rifugi della seconda guerra mondiale non furono tutti smantellati. Il 4 agosto del 2003 raccontai, dalle colonne di un quotidiano molto noto, che durante i lavori di scavo della galleria gli operai avevano trovato, per sbaglio, un vecchio cunicolo. Parliamo del centro storico di Ancona. Il cunicolo portava verso la zona dell'attuale Jolly Hotel. E lo avevano subito rimurato. Facendo delle verifiche con Google Maps ho constatato che quel cunicolo corrisponde sicuramente al rifugio antiaereo noto col nome di "Astagno-Rupi 29 settembre". Fu costruito dalla ditta "an. muratori cementisti ex combattenti", ed era costato al comune di Ancona la bellezza di 932 mila 978 lire e 09 centesimi, di cui 710 mila lire già pagate in anticipo. Collegava via Astagno con via Rupi 29 settembre ed era una diramazione del più noto rifugio San Martino, il quale oggi, trasformato in una galleria per le auto, collega il quartiere degli Archi con piazza Pertini. Nel dopoguerra il San Martino era stato ridotto a magazzino per una falegnameria.

Non convincono le ricostruzioni sul mitragliamento del treno tedesco


Il 20 ottobre del 1943 un treno tedesco fu attaccato e mitragliato nella stazione di Passo Varano (Ancona) da 12 aerei "alleati". Dentro c'era del materiale che deflagrò, distruggendo 200 metri di rotaia, diversi vagoni e attirando nel gorgo delle fiamme anche un aereo attaccante. Nel corso degli anni sono state tramandate varie ricostruzioni, che concordano sulla dinamica dell'attacco aereo, ma non sul numero di vittime. Per la maggior parte delle fonti morirono quattro o cinque civili, ma c'è chi vide tra i morti anche dei soldati nazisti, e chi, come me, prende in considerazione anche il fatto che i treni merci carichi di prigionieri ed ebrei, destinati nei campi di sterminio del nord Europa, passavano per Ancona e potevano finire per sbaglio nel mirino degli "Alleati". In una denuncia penale sporta nel gennaio del 1944 da Tito Marchetti per un furto avvenuto a Passo Varano, i carabinieri parlarono di "scoppio di un treno di munizioni", ricordando l'attacco avvenuto pochi mesi prima. Ma un altro Marchetti, Italo, in un libro del 2009 scrive che due testimoni non videro, quel giorno, un treno pieno di munizioni, bensì di grandi bombe da aereo, che sostava nel binario 7 di quella piccola stazione, la quale oggi, con l'alta velocità, ne conta quattro più il binario morto.

Il silenzio dei comunisti sui rifugi antiaerei fascisti


C’è una pericolosa linea di continuità tra l’amministrazione della Repubblica di Salò e quella della ricostruzione post-bellica, sulla quale è ora di fare piena luce. Il sindaco comunista dell'Ancona post-bellica, Luigi Ruggeri, nonostante gli "Alleati" con un documento avessero vietato il rimborso dei debiti dei fascisti, stilò un elenco dei rifugi antiaerei e lo mandò alla prefettura affinché il Ministero dell'Interno inviasse dei fondi pubblici per pagare le ditte appaltatrici. Fu il Ministero a prendere questa iniziativa, inviando a tutte le prefetture italiane, tranne l'estremo meridione, le direttive per ripianare i bilanci, appesantiti per la costruzione di un altissimo numero di rifugi antiaerei. Le opere di smantellamento di questi tunnel ad Ancona furono sporadiche e riguardarono soprattutto la zona di Campo della Mostra, cioè di piazza Malatesta. Nessuno volle che questi luoghi poco sicuri, scavati a venti metri di profondità, nel sottosuolo, divenissero il simbolo della lotta della Resistenza. Perché?

Una diatriba per la mensa fascista mentre la gente moriva di fame


I gerarchi fascisti mangiavano a mensa mentre la gente moriva di fame con le tessere annonarie. Lo si apprende dalle carte del processo penale e amministrativo contro Ignazio Fragalà, ragioniere capo della mensa degli impiegati della prefettura di Ancona-Osimo. L'uomo venne accusato nell'immediato dopoguerra dal suo principale nemico, Artemio Liuti, di essersi appropriato di beni di vario genere della mensa e fu arrestato su inusuale mandato spiccato dal nuovo prefetto di Ancona (Oddo Marinelli?). Si scopre così che la mensa era un ristorante con camerieri e primi, secondi piatti, frutta e vino. Fragalà si difese con un memoriale nel quale accusava a sua volta Liuti di aver gestito male la mensa, percependo persino un alto stipendio che gravava sul bilancio. Il 28 marzo del 1945 il Giudice Istruttore dichiarò che contro Ignazio Fragalà non si doveva procedere, perché quel fatto non costituiva reato.

Le prove del sequestro dei beni ebraici ad Ancona


Il sequestro dei beni ebraici ad Ancona fu annunciato e poi messo in atto. Uno dei principali accusati, nel dopoguerra, fu F.S. che venne denunciato da B.V. di avergli portato via tutti i mobili della sua casa di Palombina, e poi da altre vittime di Senigallia. F.S. venne arrestato a Milano il 26 luglio del 1945 e nella sua deposizione confessò di essere stato il sequestratario dei beni ebraici, ma di aver accettato solo per impedire che gli stessi venissero rubati dai tedeschi. Il 24 ottobre del 1947 il giudice istruttore di Ancona ordinò il "non doversi procedere" contro F.S. per l'amnistia Togliatti, ma probabilmente anche per gli attestati di stima che questi ricevette dagli antifascisti. La stessa sentenza riguardò anche altri processi aperti ad Ancona per il sequestro dei beni ebraici.

La casa del procuratore Lombardi devastata dai suoi amici nazisti


Nel dopoguerra si cercò di cancellare le tracce di una collaborazione tra la magistratura anconetana, che archiviava quasi tutte le denunce, e il comando nazista. La rottura dei rapporti avvenne il 2 luglio del 1944, quando i nazi-fascisti, che facevano scorta al commissario straordinario di Salò, Alberto Graziani, passarono per il Viale della Vittoria, ad Ancona, sparando all'impazzata. Alcuni tedeschi si fermarono al numero 32, devastando l'abitazione del procuratore Alfredo Lombardi, che era situata proprio accanto al comando tedesco. Ritenendo, in preda al panico e alla rabbia, che da quelle finestre fossero partiti dei colpi di pistola, i nazisti rovinarono numerosi oggetti e minacciarono di morte un vicino di casa, l'industriale Luigi Pignami.

Marito, moglie e figlie al Passetto con i nazisti ubriachi


Nella notte tra il 26 e il 27 maggio del 1944 una famiglia anconetana, i Pierro, accompagnò a cena alcuni soldati tedeschi alla vecchia trattoria del Passetto di Ancona. Lo accertarono gli agenti della Questura di Ancona indagando sulla denuncia che lo stesso Pierro aveva sporto per il furto di alcuni indumenti dalla sua abitazione di via Podesti 7. Quando la comitiva, verso l'una di notte, uscì dal ristorante, i soldati tedeschi erano "alquanto alticci" e, secondo la ricostruzione inviata al magistrato, e poi archiviata, furono proprio questi ultimi a rubare i vestiti dei Pierro. Avrebbero agito mentre accompagnavano a casa la famiglia, approfittando della mancanza di luce elettrica. 

Le strane coincidenze con la morte del comandante Bucci


L'assassinio del comandante dei Vigili Urbani di Ancona, Elpidio Bucci, è sempre più avvolto nel mistero. Il delitto fu rivendicato dai partigiani come un atto di guerra, ma emergono dai fascicoli processuali nuove verità sconvolgenti. Nello stesso giorno, il 27 gennaio del 1944, e quasi nello stesso posto, risulta che fu ucciso anche un ferroviere in pensione, Luigi Giardini, il quale secondo la ricostruzione dei carabinieri fu investito da un'auto dei tedeschi. Al contrario, non si trova nulla in archivio riguardo al delitto Bucci. Nel registro di Stato civile di Ancona, un Elpidio Bucci risulta effettivamente deceduto nel 1944, mentre la morte di Luigi Giardini venne registrata solo nel 1945. Oltre a quest'ultimo, morirono investiti dalle auto tedesche in transito per Ancona anche la signora Ersilia Casaccia, sul cui corpo i nazisti si accanirono facendo marcia indietro e passandoci sopra una seconda volta, e il ciclista Mario Latini.  

Quel carabiniere che tentò di accusare un soldato nazista


Nella primavera del 1944, il vicebrigadiere dei carabinieri della Repubblica di Salò, Filippo Di Prossimo, tentò di accusare un soldato tedesco per un furto di materiale fotografico avvenuto ad Ancona, nello studio del professionista Francesco Crupi. Il soldato si chiamava Paolo Zimer ed era di stanza nella frazione Ghettarello di Ancona. Aveva venduto al militare Mario Renosto un paio di occhiali da sole che risultarono rubati. Interrogato dal carabiniere Di Prossimo, Zimer accusò altri suoi commilitoni tedeschi della Terza Compagnia del battaglione ELS NER 903, che non furono mai identificati. Il vicebrigadiere Di Prossimo a giugno del 1944 si rifiutò di ripiegare con i nazisti verso il nord Italia e, vestito in abiti civili, continuò a indagare sui delitti fino all'arrivo ad Ancona degli "Alleati".

venerdì 28 agosto 2015

Ressa di auto sul Monte Conero

In questa foto scattata da Iphone 6 si distinguono le tante auto nella zona militare del Conero

I parcheggi sul Monte Conero sono strapieni. Ma non parliamo di Portonovo e della gran voglia di mare degli anconetani, bensì della base militare segreta della vetta, a 572 metri sul mare. Le informazioni ci giungono da un'inedita foto scattata dal satellite per il sito Tuttocittà. Nel parco del Conero non ci sono solo alberi e animali, ma anche militari fantasma, che lavorano su un finto campo di calcetto che ora appare protetto da una tensostruttura. Queste automobili che vediamo nella fotografia sono in gran parte di colore bianco, a differenza della famosa base di Vicenza dove ad esempio dal satellite sono distinguibili delle vetture o camionette dell'esercito. Il colore bianco ricorrente è probabilmente segno che sul Conero ci sono uomini della marina militare, la cui auto di servizio è esattamente di quel colore. La vetta si chiama anche «sommità del semaforo». In una guida ricordo di Numana del 1927, Cesare Romiti affermava durante il fascismo che la «sommità del semaforo» era in quel momento una zona occupata dalla Regia Marina e il suo scopo era «la sorveglianza sul mare e sulla costa e, in caso d’infortunio marittimo, il dare avvisi per il salvataggio». Era attiva dai tempi del Risorgimento. Durante la seconda guerra mondiale il Comando fu occupato dai nazisti, quindi dal 1945 non si hanno più notizie. Ma confrontando due immagini scattate dalla Trave in due momenti diversi, il 1967 e negli ultimi anni, si nota che durante la guerra fredda la zona militare del Conero non era così estesa come appare oggi.