martedì 28 giugno 2016

Stipendi d’oro per abbandonare il nucleare


Sembra che il referendum del 1987, con il quale gli italiani votarono no alle centrali nucleari, abbia fatto la fortuna di qualche dirigente statale. Tutti ricorderanno che i cittadini, durante gli ultimi anni della prima repubblica, bloccarono gli investimenti sull’energia nucleare. Nel 1999 lo Stato, con notevole ritardo, pensò bene grazie al decreto Bersani di costituire una società pubblica, la Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari), che controllasse, smantellasse e decontaminasse i rifiuti nucleari (la cosiddetta decommissioning). Bene, l’incarico della Sogin non si è ancora esaurito, nonostante siano passati già quasi trent’anni dal referendum! E mai probabilmente si esaurirà, per la gioia del direttore generale e dell’amministratore delegato, i quali secondo un documento della Corte dei Conti del febbraio 2008 guadagnavano nel 2007, rispettivamente 167mila euro all’anno il primo, 45mila euro annui il secondo. Per pagare tutto il personale di Sogin (761 impiegati) risulta che vennero sborsati 869mila euro annui lordi. Una gestione che la Corte dei Conti quell’anno giudicò con parole chiare a tutti: “La delibera sui compensi e sulla regolazione dei rapporti di amministrazione non appare allineata ai canoni di sana gestione”.
La Sogin non si è infatti limitata a esistere con i suoi dipendenti, ma come spesso mi è capitato di notare dai documenti statali ha allargato e diversificato la sua attività. Cosa vuol dire? Che la società fondata con il decreto Bersani ha a sua volta acquisito il controllo di un’altra azienda, la Nucleco, che è stata inglobata come nelle scatole cinesi.

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"Venti metri sottoterra" è la storia dell'occupazione nazista di Ancona. Documenti inediti svelano un nuovo volto della Repubblica di Salò: la folle fuga verso le viscere della terra per sfuggire alle bombe, i feroci delitti dei nazisti, l'impotenza del sistema giudiziario di Mussolini. Ma qualcosa ci tiene ancora legati a quell'ideologia. 

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lunedì 27 giugno 2016

Israele prende le distanze dai soldati dell'Isis


Israele sembra scuotersi dopo le voci insistenti di un suo coinvolgimento nella guerra in Siria. Il giornale online ynetnews.com ha annunciato ieri che il Ministro dell'Interno israeliano Aryeh Deri ha presentato formale richiesta al procuratore generale Avichai Mandelblit di revocare la cittadinanza israeliana a due persone già condannate dalla giustizia per aver aderito a gruppi affiliati all'Isis. I due si chiamano Khalil Khalil, palestinese ventiseienne residente a Gerusalemme Est, e Lukman Atun, ventiquattrenne e anche lui di Gerusalemme Est. Il giornale israeliano sottolinea che è la prima volta che un simile provvedimento viene adottato contro gli affiliati all'Isis. I due accusati provengono da una zona che Israele acquisì con la famosa guerra dei sei giorni del 1967. Basterà questo gesto dimostrativo a placare la propaganda anti-israeliana sul web? Il dibattito circa la vera natura politica dell'Isis è in realtà apertissimo e non appartiene solo alla propaganda palestinese. Su Youtube e su Google impazzano video e siti secondo i quali l'Isis starebbe attaccando il mondo intero tranne, guarda caso, proprio il territorio di Israele. Vi sono persino interviste a prigionieri dell'Isis i quali tirano in ballo non soltanto Israele, tra i loro complici e finanziatori, bensì anche la Turchia, l'Arabia Saudita, e i servizi segreti degli Usa, del Regno Unito e della Francia.

domenica 26 giugno 2016

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"Armi di Stato" è il libro-inchiesta che racchiude cinque anni di ricerche storico-giornalistiche sullo spionaggio, sul capitalismo di Stato italiano e la sua connessione con il mercato delle armi.

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"Armi di Stato" è una ricerca storica che è nata per scoprire gli scopi e i fondamenti storico-politici che hanno determinato la nascita e lo sviluppo di un'area militare vicino Ancona, dove ho lavorato per anni come giornalista.
I politici italiani sapevano che nel Monte Conero potevano esserci armi pericolose. Il caso che fece emergere queste notizie fu quello del 1984, con l’arresto per sospetti di spionaggio di tre ecologisti che cercavano informazioni sui tunnel del monte Conero. Nel consiglio comunale di Ancona il deputato dei Verdi Marco Moruzzi temeva che nel Conero vi fossero armi atomiche, chimiche o batteriologiche. Il sindaco smentiva tutto, ma ammetteva l’ esistenza di un sito militare nella montagna. Nuovo caso nel vicino 2014: il Messaggero e il Corriere Adriatico hanno pubblicato la notizia secondo cui un videomaker era stato denunciato dai carabinieri per essersi introdotto in un tunnel militare del Monte Conero per girare delle immagini. Il video era stato in effetti divulgato su Youtube e testimoniava la presenza di una struttura molto ben attrezzata per nascondere probabilmente delle armi pericolose. Ma è stato tutto censurato. Chi ha gestito questa base dal secondo dopoguerra in poi? Gli americani o i russi? La mia inchiesta, sviscerando storie dimenticate di spionaggio sul Conero e in altre parti d’Italia, e poi indagando sui segreti della guerra fredda, partendo dall’est e sconfinando verso l’ovest, offre una terza via: il Conero potrebbe appartenere a una Gladio guidata dai nostalgici del fascismo.
La seconda parte riguarda invece la mia vita al nord Italia. La storia che racconto è nata per la curiosità di conoscere i passaggi che hanno portato alle ultime fasi del lodo IMI-SIR, nonché al processo contro la Montedison, azienda con cui indirettamente ho avuto a che fare. La scoperta di documenti inediti mi ha permesso di leggere questa vicenda sotto una nuova sconcertante luce.
Alla base del processo Imi-Sir c’è una verità che viene taciuta: Nino Rovelli ex padrone della Sir fu favorito dallo Stato Italiano attraverso finanziamenti illeciti forniti proprio dall’Imi e per i quali non fu mai processato. E’ un antefatto che i media cercano di nascondere nel raccontare una vicenda successiva, che poteva essere evitata, riguardante la nota causa civile infinita tra Imi e Sir, persa da Rovelli nonostante la corruzione dei giudici da parte del berlusconiano Previti.
Facendo delle ricerche si scopre un dossier della Corte dei Conti sulla vicenda del salvataggio Sir. Emerge che è stata nascosta agli italiani una notizia fondamentale: la costituzione nel 1982 di un Consorzio di Stato che sarebbe stato gestito direttamente dal Ministero del Tesoro. Lo Stato era parte in causa nella disputa giudiziaria. In un secondo momento il Consorzio di Stato venne trasformato in una vera holding, di cui il Comitato del Ministero del Tesoro fu l'azionista di maggioranza con il 60%. Lo Stato in pratica faceva affari su aziende fallite. Questo è avvenuto fino a ieri, cioè fino al 20 gennaio 2010, allorché vi fu uno storico accordo tra la banca Intesa-Sanpaolo e gli eredi di Nino Rovelli per una transazione extra giudiziale sui famosi mille miliardi concessi dall'Imi nel 1977. In quei giorni di gennaio del 2010 vi fu una strana coincidenza che unì le due vicende parallele. Il 19 gennaio fu pubblicata dai giornali la notizia della bocciatura da parte della Corte di Strasburgo del ricorso di Previti per la corruzione. Incredibilmente il giorno dopo avvenne il già citato accordo tra Intesa Sanpaolo e i Rovelli per i 1000 miliardi di prestito Imi del 1977.
Nel finale della mia storia, la parte militare e quella economico-giudiziaria, che già viaggiano di pari passo per lo zampino dei servizi segreti nella guerra chimica tra Sir e Montedison, si uniscono a causa degli ultimi sviluppi, poco noti, del Consorzio Sir. Questo ormai fa parte di Fintecna spa, una specie di cimitero di vecchie aziende pubbliche piene di debiti e di armi.
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sabato 25 giugno 2016

Consorzio Sir, accordo con una «Big four» dei bilanci


Il Consorzio interbancario della Sir di Angelo Rovelli è tutt'altro che defunto, come anticipavamo. Il 27 aprile del 2016 si è tenuta a Roma, nella sua sede di via Boncompagni 6, un'assemblea degli azionisti (banche per l'appunto) per deliberare tra le altre cose la riassegnazione all'azienda PWC di attività integrative di bilancio, note col nome di Reporting Package IFRS. PricewaterhouseCoopers (PWC) è una multinazionale distribuita in 158 paesi con sede a Londra, nel Regno Unito. Stiamo parlando di un colosso delle revisioni dei bilanci. Per Wikipedia è una delle «Big four» insieme alle notissime Deloitte & Touche, Ernst & Young e KPMG. Quello che si può dedurre da questa iniziativa è che all'interno del Consorzio, creato nel 1980 su iniziativa politica della Democrazia Cristiana, con il solo scopo di gestire la liquidazione del polo chimico di Rovelli, vi siano ancora molti interessi. O forse nuove partecipazioni, visto che lo Stato attraverso il suo Comitato lo trasformò in una holding. La nota, diffusa dal nuovo liquidatore Ligestra Tre il 30 marzo 2016, tramite la Gazzetta Ufficiale, con la quale l'assemblea veniva convocata, ha precisato che PWC lavorerà con il Consorzio Sir dal 2016 al 2018, periodo per il quale sarà nominato dall'assemblea anche un nuovo collegio sindacale. Secondo il documento della Gazzetta Ufficiale, il Consorzio Sir vanta un capitale sociale interamente versato di un milione, 515 mila, 151 euro e 42 centesimi.

venerdì 24 giugno 2016

Servono più furti per pagare i magistrati onorari?


Dopo i giornalisti precari, da due euro a pezzo, ecco i cottimisti della magistratura. Una delle ultime notizie che è servita a gettare altro fango sul mondo lavorativo riguarda proprio i togati. Arrivano le proteste dei magistrati onorari, che a dicembre 2015 hanno scioperato e bloccato le udienze. Di punto in bianco, dopo altisonanti dichiarazioni di facciata, a reti unificate, sull’indipendenza sacra della magistratura, scopriamo grazie a un articolo de La Stampa che in Italia nel 2012 c’erano 4650 giudici onorari. Cosa sono? Sono dei precari, che guadagnano in base al lavoro che svolgono. E l’equazione è semplice, più sentenze portano a casa, più incamerano denaro. Più ladri ci sono, meglio è per le loro tasche. Secondo Il Manifesto i magistrati onorari sono uomini e donne, laureati in giurisprudenza o avvocati, ma probabilmente non usciti da un concorso, che lavorano nel 72% dei casi ai processi penali delle procure italiane e al 100% delle udienze monocratiche. Le loro competenze spaziano da stalking a omicidi colposi, da infortuni sul lavoro a maltrattamenti in famiglia, e arrivano a materie più delicate come lo spaccio, le truffe, le lesioni, le rapine. Devono pagarsi i contributi come le partite iva, ma sono dei dipendenti di fatto dello Stato. Si tratta in pratica di nuove figure lavorative che sostituiscono i pretori. Ma l'intento politico del legislatore è evidente. Dagli anni ‘90, paradossalmente proprio dopo la fine di Tangentopoli, si sta cercando di creare un binario parallelo su cui far scorrere in modo più morbido i processi penali. Addio pretori d’assalto, quindi, e addio scandali di Stato. Nel ventennio berlusconiano l’accusatore deve prima risolvere i suoi problemi.

giovedì 23 giugno 2016

Israele: "Non vogliamo che l'Isis sia sconfitto"


"Non vogliamo che l'Isis sia sconfitto in Siria". Così si sarebbe espresso due giorni fa, il 21 giugno 2016, il generale Herzy Halevy, capo dell'intelligence israeliana durante la conferenza di Herzliya. La notizia, piuttosto sconcertante per chi non sa che svariati soldati dell'Isis vengono curati negli ospedali di Israele, è stata pubblicata dal sito mintpressnews.com, che è disponibile su Google News. Halevy continuerebbe affermando di essere stato preoccupato per le recenti azioni contro il territorio dell'Isis, "la situazione più difficile dalla nascita del Califfato". Meglio che l'Isis conquisti tutta la Siria - avrebbe detto il capo dell'Intelligence israeliana - piuttosto che veder vincere un governo alleato dell'Iran. Mintpressnews sottolinea che la novità di queste dichiarazioni sta nel fatto che mai Israele era stato così favorevole alla sopravvivenza del Califfato. Infatti chiuderebbe con queste parole Halevy: "Faremo tutto il possibile per non trovarci in quella situazione (di vedere l'Isis sconfitto n.d.r.)", sottolineando quindi di voler fare qualcosa di concreto e non più solo retorica.

"La DC aiuta i terroristi", ma nessuno credette al pentito


Cossiga e Donat Cattin sostenevano il terrorismo rosso? C’è un giallo nella Democrazia Cristiana di fine anni ‘70. La polizia iniziava ad ottenere qualche risultato nella lotta al terrorismo. E questo grazie al pentitismo. A Roberto Sandalo, un militante di 'Prima Linea' che era appena stato catturato, venne in mente di lanciare questa accusa. Disse di aver avuto dei colloqui con il senatore DC Carlo Donat Cattin, padre del latitante Marco, un altro esponente di 'Prima Linea'. E disse anche - come riportano Montanelli e Cervi - d’aver saputo che allo stesso Donat Cattin il presidente del consiglio Cossiga aveva confidato che il figlio Marco era attivamente ricercato, e che conveniva si rifugiasse oltre confine. Tutto faceva pensare a un’associazione terroristica di estrema sinistra che coinvolgesse anche esponenti della DC. Ma i magistrati minimizzarono e archiviarono tutto. Si era trattato solo dell’interessamento di un padre verso un figlio degenere. Una riflessione però andrebbe fatta. Se questa testimonianza fosse stata rilasciata pochi anni più tardi, forse lo scandalo non sarebbe finito a tarallucci e vino. Abbiamo vissuto tempi in cui c’è stato un vero e proprio abuso delle accuse partite dal carcere. Ne hanno fatto le spese Tortora e forse lo stesso Andreotti. Questo capitolo andrebbe riletto e riscritto, includendo a questo punto nella DC anche Berlusconi.

Dall’Unità spunta un inedito Berlusconi democristiano


Berlusconi un sostenitore della destra democristiana? Ad affermarlo era L’Unità in un articolo del 7 agosto 1978. All’interno di una carrellata sulle principali emittenti televisive private, lo spazio iniziale era dedicato a Telemilano. Scrivevano i giornalisti di sinistra: “La sede è a Milano 2, un quartiere satellite costruito da Silvio Berlusconi, un grosso costruttore legato alla destra DC, amico di Rizzoli.” In fondo al piccolo focus aggiungeva altri dettagli sulla tv: “E’, per danaro, forse la più potente in Lombardia, anche perché vanta grossi appoggi politici nella DC.” Dunque, grazie all’Unità ora sappiamo che anche il leader attuale di Forza Italia era molto vicino a quella corrente democristiana di destra, che definirei giustizialista, ma incerta sulla posizione da prendere con i comunisti. Vuoi vedere che, sotto il letame dei processi infiniti, la sua opinione politica non è cambiata?

mercoledì 22 giugno 2016

Di Pietro, Berlusconi e quella guerra tra amici


Berlusconi, D’Adamo e Di Pietro. Che bel trio, non c’è male. Pare che tra Di Pietro e il suo nemico Berlusconi ci fosse qualcosa in comune, alla faccia di inchieste, di litigate televisive, di appelli agli elettori. La storia non è nuovissima, per certi risvolti la raccontano benissimo Montanelli e Cervi nel loro manuale sul Novecento. Il 15 settembre del 1996 scoppiò una Tangentopoli bis per delle indagini della procura di La Spezia che misero sulla graticola, stavolta, personaggi rimasti fino ad allora in ombra. Il motivo del clamore erano le solite mazzette per convogliare appalti e affari verso una direzione ben precisa, con in più stavolta il traffico d'armi. Il personaggio chiave fu Pierfrancesco Pacini Battaglia, un faccendiere italo-svizzero il quale con la sua finanziaria Karfinco aveva creato 60 milioni di dollari di fondi neri, che dall’Eni erano destinati ai partiti di centro-sinistra: DC e PSI. Di Pietro da inquirente finì per essere inquisito. Come poté accadere? Il motivo va ricercato nel fatto che, secondo l’accusa, gli amici di Pacini Battaglia erano anche amici di Di Pietro. Ad esempio divenne celebre l’avvocato Lucibello, che era il difensore del faccendiere, e c’era un certo Antonio D’Adamo, che, essendo stato dirigente negli anni ‘70 della Edilnord, era nell’orbita di Silvio Berlusconi, ma, presentato al magistrato da un certo Eleuterio Rea, era diventato il datore di lavoro della moglie di Di Pietro, Susanna Mazzoleni. Dall’articolo di Repubblica del 14 gennaio 1996 si evince che per i magistrati vi furono pressioni di Berlusconi su Di Pietro sotto forma di ricatto. Io invece dico che la vera politica questi signori ce l’hanno sempre nascosta, eccola la verità.

martedì 21 giugno 2016

Contrada, il mafioso che lavorava con Falcone



Bruno Contrada, l’ex poliziotto condannato perché sospettato di aver favorito la mafia, lavorava con il giudice Falcone. Nei primi anni ‘80 questi due inquirenti, insieme, conclusero un’inchiesta che da sola racchiude tutti i luoghi e i personaggi del film della Rai, la Piovra. Si può dire che i dubbi sull’ex capo della Criminalpol, allora, non ci fossero. Contrada e Falcone avevano messo le mani su un’organizzazione che, partendo da Marsiglia, in Francia, trafficava la droga, la raffinava in Sicilia e la esportava a New York. Era per l’esattezza giovedì 28 agosto 1980 quando su La Stampa veniva pubblicata questa notizia: a produrre l’eroina per New York era stato il boss Gerlando Alberti, che perciò era finito al fresco all’Ucciardone.
Le raffinerie furono trovate in alcune ville situate tra Carini e Trabia. Già, le ville, come quelle della Piovra 1. Un altro covo pare che Bagarella se lo fosse creato nel castello di San Nicola, che ricorda per certi panorami quello in cui nella Piovra 10 si rifugerà Tano Cariddi prima di suicidarsi sull’Etna. Il lavoro del giudice Falcone era quasi al termine. E’ il processo più vasto mai costruito a Palermo, scrisse Francesco Santini. “Scritta la sentenza potrò lasciare la scorta - dichiarò Giovanni Falcone - tutto sarà noto, non avranno interesse a uccidermi”. Nessuno in quel momento accusava Bruno Contrada. Sarà il giudice svizzero Carla Del Ponte, che ricorda tanto la giudice Silvia Conti del film La Piovra 10, a testimoniare contro Contrada. Ma questo avvenne solo dopo che Giovanni Falcone fu barbaramente assassinato nella strage di Capaci il 23 maggio del 1992. Come mai questo ritardo?

lunedì 20 giugno 2016

Marchini, una stecca fuori dal coro


C’è un’anima "rossa" nella destra di Forza Italia? Le elezioni amministrative di Roma hanno eletto Virginia Raggi, ma hanno anche portato scompiglio nel centro-destra. Berlusconi esce sconfitto, anzi surclassato, con un candidato che non è affatto un nome nuovo per Forza Italia. Di Alfio Marchini si parlò nella prima stagione del centro-destra, quella del 1994, allorché con l’insediamento del nuovo governo dell'ex Cavaliere furono subito nominati, durante l'estate, cinque amministratori della Rai. Tra questi vi era anche Alfio Marchini. Montanelli e Cervi lo hanno descritto così: “Era accreditato di aperture a sinistra e qualcuno aveva parlato di lui come d’un “palazzinaro rosso”. Le divergenze non tardarono. Marchini si dimise già nel dicembre del 1994 dall’incarico in Rai per un “disaccordo” con le strategie del governo Berlusconi. Marchini, tramite un’immobiliare che si chiama Astrim spa, è oggi a capo di un’azienda molto discussa come E-care, call center italiano su cui piovono proteste per dei licenziamenti minacciati sia a Cesano Boscone (ricordate la condanna per il processo Mediaset?) sia a L'Aquila. Ancora più grave è che sulla controllante di E-care, Astrim spa appunto, che ne detiene il 93% delle azioni, la magistratura, secondo quanto ha scritto il quotidiano Repubblica, nutre dei sospetti. Pare che possano essere arrivati ad Astrim (ma ci sono anche altre ditte di Marchini sotto accusa) dei finanziamenti illeciti grazie a una triangolazione di milioni tra la banca popolare di Vicenza e il Lussemburgo.

La "legge salvaladri", un fantasma nell'attualità


Proseguono senza sosta le notizie di arresti domiciliari per politici più o meno importanti, soprattutto quando inizia la settimana lavorativa. L'epoca di Tangentopoli si trascina stancamente nell'attualità. I primi tentativi di porvi un freno risalgono addirittura al governo Ciampi e al successivo Berlusconi I del 1994, la cui famigerata legge "salvaladri" convinse il pool di Mani Pulite a protestare pubblicamente. In un libro di Montanelli e Cervi sulla storia italiana del novecento si legge che questa legge, nota come decreto Biondi, prevedeva la revoca della custodia cautelare in carcere per i reati che non destavano allarmi sociali, come quelli che colpivano l'amministrazione pubblica. Un imputato in quel caso poteva essere tenuto dietro le sbarre "solo se il rischio di fuga era effettivo e ogni altra misura appariva inadeguata". E così accade nelle notizie che leggiamo negli ultimi anni. Tutti indagati, tutti a casa. Tuttavia c'è un problema. Il decreto legge deve poi essere trasformato in legge entro 60 giorni dalla sua pubblicazione, altrimenti perde efficacia. E il decreto Biondi, afferma un articolo del 2013 de Il Giornale, non venne tramutato in legge: "Il 19 luglio 1994 - vi è scritto - Giuliano Ferrara fu costretto ad annunciare che il decreto legge sarebbe stato ritirato, come puntualmente avvenne." Come mai quindi i giudici attuali stanno mettendo in pratica, apparentemente, quelle norme ormai prive di valore? E' un bel mistero.


La protesta del pool contro il decreto Biondi:  

L'articolo del Giornale: 



giovedì 16 giugno 2016

Follia DC: un piano Marshall per la Polonia comunista


Durante il terzo governo Andreotti, nell'autunno del 1977, l’Italia si lanciò in un patto economico pericoloso. Fu concesso un ampio credito alla Polonia, appartenente all’area sovietica, e fu tentato l’inserimento di aziende italiane nel mercato del Comecon. E’ quanto si scopre grazie all’archivio digitale dei quotidiani italiani. Alla fine degli anni ‘70 la DC aveva radicalmente mutato la sua politica internazionale. Non più di chiusura netta verso l’est, ma anzi, una politica di compromesso con il PCI. Gli Stati Uniti erano d’accordo, purché si arrivasse a delle riforme economiche. L’Italia aveva bisogno di stabilità. Ma avvennero questi contatti oltrecortina con il Comecon, che a mio parere furono fin troppo arditi. La storia del patto italo-polacco finì su tutti i giornali. Nacque il Comitato italo-polacco per una cooperazione economica. Era il 29 novembre del 1977. Eravamo a pochi mesi dal rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, durante il noto governo andreottiano della “Non sfiducia”. L’Italia, forte dell’astensione comunista pro governo monocolore DC, si impegnò in pratica in uno spericolato piano Marshall con il dittatore filo-sovietico.
Patti meno significativi, ma comunque duraturi (decennali) furono siglati da Aldo Moro nel 1974 con l'Ungheria, con la quale la collaborazione economica si approfondì nel 1982 per iniziativa dell'Iri, e la Bulgaria.

Riemerge la guerra segreta della Democrazia cristiana


Che fine ha fatto la guerra segreta della democrazia cristiana? Quindici grandi casi di spionaggio politico contro l'occidente sono riemersi su internet grazie a un documento in inglese, del lontano 1979, scritto da un illustre giurista americano: Vittorfranco Pisano. La novità contenuta in questo testo di quasi 200 pagine sul terrorismo italiano è la connessione che secondo Pisano esisterebbe tra il controspionaggio, che veniva gestito da una sezione dei carabinieri, e la lotta all’eversione nera e rossa. Questo potrebbe essere l’indizio della matrice internazionale delle Brigate Rosse. Ma potrebbe svelare anche il loro stretto legame con i servizi segreti deviati italiani, di cui già ci eravamo occupati grazie alle teorie del giornalista Lino Jannuzzi del settimanale Tempo. Si può affermare con certezza che diversi fatti portano verso la ex Cecoslovacchia, anche se le teorie sul rapimento di Aldo Moro, nel documento di Vittorfranco Pisano, sono anche altre. Il caso del torinese Eugenio Doria, che verso la metà degli anni ‘50 spiava per Praga, è stato completamente dimenticato, e lo stesso vale per il caso di Davide Fiscarelli, comunista militante il quale nello stesso periodo spiava dalla Puglia per i cecoslovacchi. Riaffiorano poi il famoso caso Rinaldi, l’esperto delle basi Nato italiane e spagnole, il caso Solovov, il caso Spada, il caso delle spie di Trieste, il caso Rojko, il caso della bella spia Henriette Hingyi, il caso Banka, il caso Lemzenko, il caso Arduino, il caso importantissimo del Mig 19 bulgaro che si disse spiò nel 1962 le basi Nato della Puglia, il caso Villa, il quale spiava le basi del Veneto per gli ungheresi. E abbiamo letto, poi, di numerosi diplomatici russi espulsi dal nostro territorio, tra cui i famosi 50 di cui Vito Miceli, allora direttore del Sid, informò Andreotti il 9 maggio del 1972 (ne furono espulsi in realtà 22).

mercoledì 15 giugno 2016

«Comdata? Ha requisiti aberranti»


«Comdata? Ha requisiti aberranti». Ecco i commenti che si leggono su un forum rumeno a proposito di una delle aziende più discusse del momento, Comdata Care, che gestisce alcuni servizi commerciali di Vodafone. I malcontenti italiani sono legati come sappiamo ai licenziamenti. E c'è la speranza, lasciata aperta dai giornali, che tutto possa risolversi. Ma è guardando queste aziende con gli occhi degli stranieri, nei paesi in cui queste ditte sono andate ad aprire stabilimenti, che si scopre la verità. «Salari bassi, forte stress, requisiti aberranti.» Il sito è undelucram.ro e a parlare sono i dipendenti, in forma anonima, con dei nickname. Tutti sconsigliano di lavorare per Comdata, che in Romania si chiama Comdata Service. Mi hanno colpito alcune frasi, che più o meno nella traduzione di Google suonano così: «Siamo umiliati come in un match di calcio tra Milan e Farul Constanta». Nel senso che è umiliante essere maltrattati da stranieri nel proprio paese. Oppure hanno commentato: «Vengono create gelosie tra dipendenti, il team leader ha delle preferenze, quindi attenzione se siete nuovi», «i buoni vengono dati a seconda di quanto sei 'amichevole' con le autorità di vigilanza e da quanti anni sei nella compagnia.» Un altro scrive: «I salari sono bassi, se si considera che in Italia prendono 5-6 volte di più. I programmi sono vecchi - prosegue parlando forse dei prodotti messi in vendita da Comdata - e quindi è difficile realizzare l'obiettivo per ottenere premi di risultato.» Poi mi piace questo commento: «Gli stipendi sono pagati sulla carta, ma non nella tua mano», il che vuol dire - spiega il dipendente - che ciò che c'è in busta paga non sempre viene corrisposto dall'azienda. Un forumista scrive questo consiglio: «Se si dispone di nervi saldi e di resistenza (e il lavoro di ufficio può essere faticoso, alcuni sono morti, se non lo sai) allora Comdata può essere un'opzione per un lavoro temporaneo.» Altrimenti - conclude - è meglio fare il cameriere, «i redditi sono più alti e compensano lo sforzo fisico.»

domenica 12 giugno 2016

"Rivuoi la casa terremotata? Pagala!"


"Se rivuoi il tuo alloggio terremotato, devi restituirci in vent'anni il 70% della spesa. Se non la rivuoi, beh, allora ci ridai il 100% subito..." Se non era un ricatto poco ci mancava. A fare questa proposta tutt'altro che allettante fu il comune di Ancona alla fine degli anni '70. La fonte è un articolo del quotidiano La Stampa del 2 settembre 1979, per la precisione di Ermete Grifoni, una firma doc. Il 14 giugno di 44 anni fa esatti, Ancona subì per 15 secondi una delle scosse più devastanti, del decimo grado della scala Mercalli. Il Guasco e il centro sono rimasti da allora quartieri fantasma, con diverse case sventrate, pericolanti e mai ricostruite del tutto. Cosa accadde dopo le scosse? Grifoni scrisse nel 1979 che risultava risanato soltanto il quartiere di Capodimonte, verso la periferia, con 418 alloggi predisposti, di cui solo 110 già pronti. Su Wikipedia risulta che nel 1979 fosse Guido Monina il primo cittadino dorico, un repubblicano, che governava con comunisti (!) e socialisti.
Il suo comune si comportò da vero proprietario degli immobili privati, a quanto pare senza alcuna ordinanza di esproprio, peraltro oneroso per il comune, per motivi pubblici. Come se Ancona fosse l'URSS. Inoltre anche le agevolazioni promesse rischiavano di saltare per aria. Grifoni infatti dava quel 2 settembre la notizia che, per portare avanti i lavori, sarebbero serviti altri soldi pubblici, dopo i 29 miliardi già stanziati ed erosi dalla svalutazione monetaria. Ma il rifinanziamento tardava ad arrivare. Eh già, che fine avrà fatto?

venerdì 3 giugno 2016

Monti-Riffeser coinvolto nel golpe Borghese?


La notizia sconcertante arriva da un documento della Cia, contenuto nell'archivio online del servizio segreto statunitense. Attilio Monti, petroliere ed editore del quotidiano Il Resto del Carlino, è possibile che facesse parte della rete cospirativa del principe Junio Valerio Borghese.
Insieme ad altri industriali molto famosi avrebbe finanziato il Fronte Nazionale di estrema destra, che tentò il colpo di stato nel dicembre 1970. Il nome del noto industriale, deceduto nel 1994, compare in una relazione della Cia del 31 agosto 1970, indirizzata all'ambasciata Usa di Roma l'11 settembre dello stesso anno. Stiamo parlando del fascicolo numero 31 della serie, ormai desegretata e scaricabile direttamente dal sito, dedicata all'ex comandante della Decima Flottiglia Mas, la cui attività militare ed eversiva venne seguita dai servizi statunitensi fin dal 1944, allorché - scrissero - Borghese ruppe i rapporti con Mussolini e Pavolini. La spia scrisse nel documento solo i cognomi, ma specificò che Monti era "an oil man", un uomo del petrolio. Non credo ci si possa sbagliare. A finanziare i golpisti, stando a queste rivelazioni, c'erano altri nomi eccellenti. Ecco ad esempio Angelo Costa, ex presidente di Confindustria e fondatore della Costa Armatori spa. C'è poi un noto armatore, il cui cognome è Fassio. E viene citato un certo Di Faina, ma il sospetto è che possa trattarsi di Carlo Faina, dirigente della Montedison.

Roma, tegola da 50 milioni sul nuovo sindaco


Chiunque vincerà le elezioni di domenica a Roma avrà subito la strada in salita. Il 15 luglio 2016 il nuovo sindaco è chiamato a sborsare una cifra enorme, che si aggira sui 50 milioni di euro. Questo infatti è l'ammontare che risulta sia stato raccolto nel 1996 quando furono lanciate tra i cittadini le obbligazioni Boc, del comune di Roma Capitale. Soldi che, stando alle dichiarazioni rilasciate sui giornali dell'epoca dagli amministratori pubblici, sarebbero serviti per finanziare il trasporto pubblico. In particolare era previsto l'acquisto di 28 nuovi tram. Ma erano altri tempi, quelli. Alla fine del 2014 arrivò, poi, il ciclone giudiziario di Mafia capitale, e il titolo subì un crollo. Anzi, fu addirittura tolto dal listino delle quotazioni. A gennaio del 2016 i primi segnali di una ripresa. Pare da notizie online che sia stata pagata la cedola annuale, che certo è ben poca cosa: si aggira su un tasso dello 0,30%. Ma il bello viene adesso. A luglio, cioè tra un mese o poco più, l'obbligazione scadrà e quei cento miliardi di vecchie lire (50 milioni di oggi) dovranno essere restituiti. Ce la farà la sterile politica attuale, con il comune già in commissariamento per i troppi debiti, a trovare tutti questi soldi, oltre a combattere il tanto propagandato degrado pubblico?

giovedì 2 giugno 2016

Casa Savoia: "2 giugno festa della Nazione"


"La data del 2 giugno sia assunta non come pura festa della Repubblica, ma come vera festa della Nazione". Il messaggio è stato pubblicato oggi sulla pagina Facebook di Emanuele Filiberto di Savoia, ma è stato il padre, Vittorio Emanuele, ex principe del Regno d'Italia, a scriverlo indirizzandolo agli italiani. L'anniversario dei 70 anni dal referendum monarchia-repubblica è diventato così occasione per gli ex sovrani per riaprire una vecchia ferita, evidentemente mai rimarginata. Il referendum premiò la repubblica per pochi voti in più. L'ex principe ricorda anche, nel messaggio di oggi, le polemiche per una presa di posizione di De Gasperi molto discussa all'epoca dal "re di maggio", Umberto II, allorché il presidente del consiglio assunse i poteri di capo dello Stato prima del pronunciamento della Cassazione causato dal ricorso dei monarchici. Vittorio Emanuele non si ferma qui e rivendica un'altra ricorrenza importante: il primo voto delle donne - scrive - fu voluto da Umberto II con due decreti luogotenenziali. Il messaggio suona nel complesso come un'iniziativa politica più decisa, che rimette in discussione l'accettazione del referendum di 70 anni fa da parte di Casa Savoia. I segnali di una svolta in questo senso non mancano. Su Facebook proliferano gruppi filo-monarchici con un discreto seguito. Qualcuno ha rilanciato anche l'Uomo Qualunque, un piccolo partito autoritario e anti-politico nato nel 1944 per l'iniziativa del giornalista e commediografo Guglielmo Giannini, segno che una parte del paese guarda al passato remoto con parecchia nostalgia.

mercoledì 1 giugno 2016

Novara, apertura notturna per il Penny?


Secondo indiscrezioni la catena di supermercati Penny starebbe programmando a Novara l'apertura dei suoi punti vendita anche negli orari notturni. Questa scelta sarebbe dovuta ai risultati positivi che il Penny sta ottenendo nelle aperture delle giornate festive, come ad esempio il 2 giugno. Non poche tuttavia sono le preoccupazioni di alcuni dipendenti, a detta dei quali il gestore della catena dei supermercati sta puntando a massimizzare i profitti a discapito dei diritti dei lavoratori. Cosa sta dunque succedendo? Stiamo forse tornando agli inizi del capitalismo, quando, ai primi del '900, la corsa verso il surplus dell'impresa non conosceva i limiti dello Statuto dei lavoratori?