sabato 20 aprile 2024

Gli ex nazisti dei Servizi Segreti Italiani

 

Questa relazione spionistica, scritta a Praga nel giugno 1960, non è altro che la traduzione di un rapporto del Kgb inviato pochi giorni prima. Si trova facilmente nell'archivio dell'Stb di Praga, con il codice A11 i.j. 344_f9984.

Ci offre uno spaccato di ciò che era la nostra intelligence prima dell'inizio degli attacchi terroristici sul nostro territorio. Colpiscono due aspetti assai negativi: il primo è la dipendenza totale dei nostri Servizi fin dal 1957, cioè secondo la nostra storiografia dalla nascita di Gladio, dalla politica americana e quindi in palese violazione dei principi di legge, che vorrebbero i Servizi dipendenti esclusivamente dal Parlamento, che è sovrano. Il secondo aspetto è la presenza massiccia di ex gerarchi delle SS naziste, che operavano sotto copertura nel nostro Paese e da qui partivano per missioni di spionaggio nel territorio oltrecortina, cioè nei paesi socialisti. 

Non si intravedono, tuttavia, né qui, né in altre relazioni sulla guerra psicologica della NATO, progetti che abbiano a che fare col terrorismo. Tutto è finalizzato a neutralizzare e minare la credibilità internazionale dei Paesi del socialismo reale, ovvero del Patto di Varsavia. 

RISERVATO

Attività: servizi italiani contro quelli socialisti.

Il servizio segreto italiano operò in modo indipendente fino al 1957 e aveva diverse sedi, tra cui quelle di Udine, Trieste, Padova e Bolzano. Tutte le sedi erano direttamente subordinate a Roma.
Durante lo scambio di informazioni tra i servizi segreti italiani e quelli americani, si è scoperto che entrambe le agenzie di intelligence avevano le stesse informazioni dagli stessi agenti. Su istigazione degli americani, nell'autunno del 1957 fu quindi deciso che i servizi segreti italiani sarebbero stati subordinati alla direzione e al controllo degli Americani. Gli Americani si sono fatti carico anche del finanziamento, per questo gli italiani – nonostante gli attriti che esistono tra i due servizi di intelligence – si sottomettono sempre più alla nuova leadership.
Fino al 1957 il quartier generale dell'intelligence americana in Italia, che operava attraverso l'Austria contro la Cecoslovacchia, l'Ungheria e anche contro il FLRJ, fu a Udine. Presumibilmente per motivi di sicurezza si è poi trasferita a Verona, dove è ospitata in uno degli edifici dell'esercito americano. Inoltre, la sede dispone di un gran numero di appartamenti e uffici cospiratori a Verona, destinati al contatto con l'agenzia. Tuttavia, singoli gruppi di intelligence sono ancora presenti a Udine, Trieste e Padova, nonché in diversi valichi di frontiera italo-austriaci e italo-jugoslavi.
Le linee principali dei servizi segreti americani e italiani contro la Cecoslovacchia vanno da Tarvisio a Villach e da lì passano per Bruck n/Mura a Vienna e la CSR hebo via Salisburgo per la CSR.
La maggior parte degli agenti vengono portati a Villach in macchina, proseguono il viaggio in treno da lì. Da quando gli americani hanno praticamente preso il sopravvento sui
Servizi segreti italiani, lo spionaggio americano non è più attivo come prima (si è un po' ritirato) e lascia il campo principale di attività e un'ampia base agli italiani, che avrebbero migliori opportunità di lavoro.
Un ruolo importante nelle attività di spionaggio degli italiani è svolto dalla stazione di controllo di frontiera di Tarvisio, dove lavorano insieme molti dipendenti di diverse compagnie di trasporti, polizia austriaca e guardie di frontiera.
Fino al 1953 il capo del servizio di spionaggio italiano a Tarvisio era il maggiore dott. FESTA, trasferitosi poi a Trieste come capo della polizia portuale, dove svolse principalmente compiti di spionaggio legati allo sviluppo dei barcaioli stranieri. Il Dott. Festa ha recentemente assunto la guida della Polizia di Stato e dei servizi segreti di frontiera a Udine.
Dal 1953 al 1958, il capo del servizio di spionaggio italiano a Tarvisio fu il noto ufficiale dei servizi segreti italiani, Capitano. dottor. BIRONIO. Essendo un informatore molto capace, BIRONIO aveva molti legami con l'Austria. Dott. BIRONIO è stato legalizzato nel servizio diplomatico italiano come vice console capo del dipartimento passaporti dell'ambasciata italiana a Bruxelles, dove lavora lungo la linea di intelligence della NATO.
Il Dott. BIRONIO è stato sostituito a Tarvisio dal circa 40enne dott. MANN Russo, proveniente dalla stazione di confine di Sillian presso Lienz. Il prof. MANN, che ha rilevato l'intera agenzia dal dott. BIRONIO, è focalizzato principalmente solo sulla sezione news. Uno dei principali agenti dello spionaggio italiano a Tarvisio, che lavora contro la CSR, è lo spedizioniere 43enne Josef TREU. TREU vive a Tarvisio ed è stato un ex tenente colonnello delle SS.
TREU incontra i suoi collaboratori a Vienna o li riceve a Tarvisio. Come spedizioniere interurbano sfrutta non solo i frequenti contatti con l'estero, ma anche i viaggi nei paesi socialisti. Intrattiene rapporti d'affari e di amicizia con i dipendenti della Metrans a Praga, della Masped a Budapest e della Romtzans a Bucarest. Ha ottimi contatti a Vienna. Schenker & Co. e alla DDSG (Compagnia di navigazione del Danubio.)
Uno dei più stretti collaboratori di TREU è il capo dipartimento della sua azienda, Otto STRAUS, anche lui ex membro delle SS, che fu imprigionato nel campo di concentramento di Oranienburg, dove venivano prodotte grandi contraffazioni di armi straniere.
TREU e STRAUS sono tedeschi, ma hanno ricevuto la cittadinanza italiana. Entrambi sono colpiti dai suoi contatti con ex agenti segreti nazisti, soprattutto con l'ex ufficiale dell'SD e capo dell'Abwehr nazista a Reck, l'ormai sessantenne ingegnere Roland PFANN. PFANN ha funzionato fino al 1951 in Carinzia, da dove si trasferisce in Italia e successivamente a Monaco nella NSR, dove viene legalizzato o effettivamente impiegato presso una ditta di spedizioni. Per lei visita Tarvisio, dove lo incontrano TREU e STRAUS. Il Dr. incontra anche PFANN. FUCHS di Milano, il cui padre ha un negozio di mobili a Klagenfurt-Pischelsdorf. Il dottor ha lavorato durante le guerre. FUCHS nell'Abwehr nazista.
Tutti i cittadini cecoslovacchi in transito da Tarvisio verso l'Italia sono soggetti a cautela. La maggior parte dei passaporti cecoslovacchi sono fotografati. Inoltre gli italiani hanno una lista di cittadini cecoslovacchi e austriaci sospettati di lavorare per i servizi segreti cecoslovacchi.
Le altre due linee dell'intelligence italiana vanno da Terat da un lato via Graz e Viden, dall'altro via Salisburgo fino a Monaco.
Il capo di questo gruppo è Filipo PORTOLAN, ufficiale 60enne dei servizi segreti italiani, residente a Trieste, in Via Bilpoggio n. 3. PORTOLAN, che viaggia molto spesso, alloggia durante i suoi soggiorni nell'albergo "Mariahilf" a Vienna. Il suo modo di lavorare è altamente cospiratorio.
Il fulcro del PORTOLAN a Monaco è la vecchia spia nazista Walter ROSLER, che durante la guerra lavorò in Ungheria, Belgrado e Bratislava. ROSLER è il titolare della società di spedizioni Tierexpres, Monaco, San Pietroburgo. Wolfgangsplatz 10 (tel. 45 25 61). Ha circa 53 anni, è nato a Kronstadt, in Romania, e suo fratello è il noto maggiore dell'ex Guardia di Ferro rumena, Herman ROSLER. Herman ROSLER vive attualmente nella Germania Ovest e, come uno dei leader dell'emigrazione rumena, mantiene un contatto costante con i leader dell'ex Guardie di Ferro dott. EMILIANO. Tierexpres è una società di copertura dell'intelligence italiana. Walter ROSLER visse a Trieste dopo il 1948 e già allora lavorava per gli italiani. Attualmente fa la spola con l'auto a Villach e Trieste per incontri con PORTOLAN. ROSLER lavora anche per il noto agente Gehlen Josef URBAN, che sviluppa il cosiddetto sotto la linea del Danubio.
Secondo informazioni recenti, ROSLER tornerà quest'anno a Trieste, dove lavorerà per i servizi segreti italiani in compiti speciali di spionaggio. Si ammette che gli italiani intendono legalizzare ROSLER per migliorare le condizioni di lavoro dello spionaggio a Vienna. In tal caso la chiave della sua attività verrebbe probabilmente utilizzata dalla ditta Schenker & Co., presso la quale ha lavorato per un certo periodo, in precedenza.
Walter ROSLER, oltre agli stretti contatti con la perfida emigrazione rumena in Austria, Italia, ha visitato personalmente la Germania con l'esperto atomico e missilistico tedesco Dr. OBERTH.
Con la già citata assunzione della guida del Servizio italiano di intelligence di frontiera a Udine, il dott. FESTA è legato alla legalizzazione del Maggiore BIOCHETTI nella Guardia di Finanza Italiana nella zona dei confini statali russo-italiano-jugoslavi.
BIOCHETTI è un vecchio dipendente dei servizi segreti italiani che operava in questa zona anni fa. Poi fu trasferito a Verona, dove lavorò per gli americani.
Ora, dopo il ritorno al confine, ha già avuto molti incontri con un gran numero di austriaci, soprattutto con i suoi vecchi colleghi della truppa dei doganieri di Celje, tra cui i doganieri PIPAN e HAAS.
Negli ambienti interni si sostiene che anche il capo della polizia di Villach, l'alto consigliere di polizia dr. Eugen ROEDER è molto amico di BIOCHETTI da molto tempo e sarà lui a cercarlo ancora. Il focus specifico di BIOCHETTI non è stato ancora stabilito.
A Praga il 18 giugno 1960



domenica 14 aprile 2024

Dopo 50 anni l'Italicus ha un mandante

 Conclusioni del mio ultimo saggio: Neonazisti fantasma

Cerchiamo a questo punto di tirare le somme di quanto abbiamo esposto in questo saggio, denso di documenti e di citazioni. E per tirare le somme dobbiamo cercare di fare ordine tra ciò che è uscito nel corso dei decenni sui giornali, ma anche nelle dichiarazioni dei politici, dei magistrati, e ciò che le carte invece dicono. Credo che siano i documenti ufficiali a dover parlare. Il problema è che i documenti sono polverosi, sbiaditi, strappati, disordinati. E poi non hanno la lingua. Deve essere lo storico a saperli scegliere e offrire a questi vecchi fogli la possibilità di esprimersi, di emergere in mezzo alla spazzatura nella quale i vari cancellieri e segretari li avevano relegati.
Partiamo dal neofascismo. Si è detto e scritto che il terrorismo dei primi anni Settanta ormai dello scorso secolo fu caratterizzato dalla violenza fascista. Ci siamo scagliati tutti contro questo mostro, ma abbiamo scoperto, dopo aver tradotto i documenti cecoslovacchi sull'Alto Adige, che così facendo abbiamo abboccato ad una ben precisa strategia comunista. Su questo punto non posso più essere smentito. Dove possono cercare di mettermi in difficoltà? Ovviamente sulle singole stragi. E anche sullo stesso terrorismo pangermanista dell'imputato più famoso di allora: Norbert Burger, perché, se esistono documenti che provano qualche responsabilità personale sulle stragi, o sono stati distrutti o gli archivisti di Praga non ce li hanno inviati. Ma a livello di ideologia posso muovermi all'interno di un percorso ben definito. Dov'era il neonazismo durante la guerra fredda? Non certo nei volantini di Ordine Nero. I nazisti c'erano, erano stati risparmiati dai processi, ma venivano utilizzati dalla NATO per contrastare il comunismo. Dunque altro che volantini farneticanti. E il neofascismo? I nuovi movimenti fascisti della fine degli anni Sessanta, quelli cioè della guerra psicologica o "non convenzionale"? Sappiamo che stavano evolvendo verso posizioni filomaoiste e antiborghesi. La loro collocazione si poteva confondere con le posizioni dell'estrema sinistra. Basterebbe sfogliare qualche pagina di Anno Zero, il giornale clandestino di Salvatore Francia, per farsi un'idea. Fu un periodico rivoluzionario dichiaratamente antiborghese se non addirittura filo comunista. Claudio Mutti fu un altro esponente della destra degli anni Settanta molto colto che professava idee antiebraiche e di conseguenza islamiste, filo palestinesi. A questo punto forse abbiamo colto il senso dell'album del terrorismo del Kgb, tra i cui nominativi comparivano anche Francia e Mutti. È stato quest' ultimo, quando l'ho contattato al termine di questo saggio, a fornirmi la definizione più appropriata: l'album del kgb è un'antologia degli opposti estremismi degli anni Settanta. Dove però, e qui mi sento di correggerlo, gli opposti si attraggono e possono coesistere. Aldo Moro aveva coniato un altro bel termine per l'ossimoro politico che pure rappresentò il suo "Compromesso storico": "Convergenze parallele". Che quell'album rappresenti la prova del coinvolgimento diretto dei russi nelle stragi non sono in grado di testimoniarlo. Ma di sicuro quei terroristi erano immortalati lì non per caso, con tanto di nomi falsi che usavano nella loro latitanza. Nella peggiore delle ipotesi si trattava di uomini e donne, di cui i russi sapevano tutto, con tutte le caratteristiche adatte per destabilizzare l'occidente. Alcuni di loro, membri di Settembre Nero, avevano contatti diretti col Kgb e ne ricevevano assistenza e addestramento militare.
Proseguiamo con la NATO
Gladio non fu un elenco di ottuagenari pronti alla guerra contro l'Armata Rossa. La NATO era ed è ancora un sistema militare che fin dai primi anni Cinquanta disseminò basi militari, missilistiche e bunker sotterranei in tutta Italia. E per rifornire questi centri di potere occulto puntava su un altro sistema criptato di informazioni, il NOS, che era un sigillo dietro il quale veniva occultato, di comune accordo con gli USA, lo scambio di informazioni e merci tra aziende private e organizzazione militare. La nostra Costituzione vieta di costituire società segrete con scopi politici, ma tant'è. Il vero problema è che lo scopo di questo sistema era esattamente l'opposto di quanto ipotizzato dai nostri giudici della strategia della tensione. Non tanto guerra psicologica, bensì calma, silenzio, stay behind, stare indietro, stare fermi. Al contrario, la NATO si mostrava aggressiva con i potenziali nemici, attraverso piani di conquista di Berlino Est, attacchi diretti contro i nemici interni, non tanto con le bombe quanto con lo spionaggio. Ma tutto questo va retrodatato e ricollocato tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio dei Sessanta. Perché nel 1968 il mondo cambia per le proteste spontanee dei giovani di sinistra. Nessuno l'aveva previsto o poteva prevederlo. I paesi socialisti e i palestinesi furono i più lesti a coglierne il potenziale, con l'obiettivo di minare la stabilità in Occidente e intorno alle basi della NATO.
Il sistema Gladio.
Vorrei avere la macchina del tempo per entrare in un bunker italiano della NATO mentre fuori, negli anni Settanta, la penisola era funestata da un rapimento o un omicidio eccellente al giorno. Qualcosa avrei cercato di escogitare affinché quei tunnel della guerra fredda non diventassero una tomba, facile bersaglio di una bomba stragista. E questo probabilmente accadde. Gladio cercò fin dai primi anni Settanta di infiltrarsi nei gruppi estremisti, scoprendo che gli ottimi risultati ottenuti contro il terrorismo altoatesino, praticamente disarticolato con questa strategia, non erano più possibili. Il terrorismo degli anni Settanta era certamente più organizzato, eterodiretto dai paesi socialisti e soprattutto compartimentato, suddiviso in cellule indipendenti che ricevevano ordini da una direzione strategica di cui i gradi più bassi non dovevano sapere niente. Serviva un cambio di marcia. Il principio seguito dai cecoslovacchi per smascherare e ricattare la NATO aveva un senso, anche se non li condusse a dei risultati concreti. Avevano compreso che le cellule brigatiste stavano sfuggendo dalle loro mani. Probabilmente erano piene di teste di legno. Come scrisse Vittorio Lojacono, gli ideatori del terrorismo vedevano ormai le spie della CIA nascoste in ogni angolo, sedute al tavolino di un bar o tra gli amici che si incontravano la sera in piazza. Ho ripercorso la storia di molte di queste insospettabili spie, tranne una, probabilmente la più importante. E più sono sconosciute, più diventano decisive.
Aurelio Fianchini
Tutti hanno parlato di lui, e ne parlano ancora. Per le cronache fu il supertestimone del processo contro i neofascisti accusati della strage del treno Italicus, del 4 agosto 1974. Era il treno che percorreva la tratta Roma-Brennero, lungo convoglio pieno quel giorno di turisti italiani e stranieri. I terroristi lo presero di mira come spesso usavano fare in quegli anni, colpire chi viaggiava, ma anche le infrastrutture dello Stato. Una bomba esplose all'una circa di notte nei pressi di una lunga galleria appenninica, a San Benedetto Val di Sambro. Si contarono 12 morti e 40 feriti. Ma c'è chi scrisse che poteva andare molto peggio. Elemento chiave fu una sveglia di fabbricazione tedesco occidentale, molto comune, rimasta stranamente intatta dopo la deflagrazione terrificante. Il treno era in ritardo di sei minuti e fu per quello che il timer di quella sveglia non scattò proprio mentre il convoglio era nel tunnel. Già i tunnel, quelli che in guerra fredda erano affollati di militari della NATO. All'epoca nessuno ne parlava apertamente, ma per i sovietici e la Stasi non era un segreto: fin dal 1972 la DDR conservava nei cassetti del proprio ministero una mappa dei centri strategici NATO in Italia. Riemerge oltretutto un grosso punto interrogativo su una vittima: Tsugufumi Fukuda. Sui siti che commemorano la strage viene ricordato che aveva 32 anni. I giornali dell'epoca aggiungono parecchi dettagli in più ma anche delle forti contraddizioni. Era di Maebashi. O forse furono trovati documenti recanti quelle informazioni. Il mio sospetto è che quella salma non si chiamasse così. Infatti gli inquirenti chiesero e ottennero per via aerea dalla sua città di origine, appunto Maebashi, (probabilmente grazie ai documenti che aveva addosso) le radiografie del dentista e scoprirono che quella salma non aveva la dentatura di questo Fukuda. Gli articoli parlano addirittura di radiografie con protesi, ma questo era un ragazzo di 32 anni. Il particolare uscì per ben due volte sui giornali un paio di settimane dopo l'attentato.
Qui secondo me iniziarono dei depistaggi. Il giornalista scrisse che prima di trarre conclusioni sarebbero state confrontate quelle radiografie con le altre vittime. Il che è strano. Probabilmente speravano di attribuire quella dentatura con protesi a un'altra persona dilaniata dall'esplosione. Resto un po' perplesso. Nello stesso articolo veniva specificato che tutti gli altri passeggeri erano stati identificati, compreso l'olandese. Dieci giorni dopo invece lo stesso giornale, La Stampa, scrisse che era l'olandese a non essere stato identificato, mentre non vi erano più dubbi sul giapponese.
C'è un ulteriore particolare che mi rende sospettoso. Se la vittima fu davvero quel Tsugufumi FUKUDA, mi sarei aspettato altri articoli di approfondimento sull'eventuale parentela con l'allora ministro giapponese Takeo Fukuda, che se non erro poi divenne premier. Dove sono questi articoli? È come se in Giappone fosse morto un certo Andreotti e le autorità locali se ne fossero infischiate di accertarsi se fosse o meno parente del Ministro in carica in Italia; se si trattasse quindi di un attentato mirato contro un'autorità o una semplice coincidenza.
E se questo giapponese con documenti falsi fosse in realtà un terrorista dell'Armata Rossa Giapponese? O forse gli esecutori furono di nuovo gli altoatesini? Nel corso delle prime indagini vi fu anche questa seconda pista, tutt'altro che priva di riscontri, con tanto di identikit e riconoscimento di un giovane trentino, salito a Firenze con uno strano pacco in mano. Quando ho letto su La Stampa la rivendicazione di Ordine Nero ho avuto un déjà-vu. Sia gli esecutori, ovvero i neonazisti di Anno Zero, il giornale di Salvatore Francia, sia il contenuto ricalcano la strategia dei cecoslovacchi e dei russi. Cioè il contenuto del volantino inneggiante al nazismo di Hitler sembra un copia-incolla degli altri volantini del dossier altoatesino che ho analizzato. Parlano di un neonazismo improbabile. Il cerchio si chiuderebbe perfettamente. I giapponesi punirono l'odiato invasore americano con una bomba vicino alle loro basi sotterranee, i neonazisti fantasma rivendicarono, minacciando chi poteva capire: "possiamo colpire dove e come vogliamo", e indicando una falsa pista nera. Nessuno ci avrebbe creduto. Una vittima con documenti falsi? Un volantino farneticante?
E allora qui bisogna parlare brevemente dell'altro grande depistaggio, quello di Aurelio Fianchini, che di fatto divenne decisivo per concentrare i sospetti su un fantomatico e impalpabile fascismo. E non mi dite che non devo chiamarlo depistaggio. Le motivazioni con cui i giudici assolvevano gli imputati per la strage, tra cui Mario Tuti, dichiaravano apertamente l'inattendibilità del supertestimone. Un autentico fantasma. Non faceva che apparire e scomparire, essere arrestato per furto e poi evadere facilmente dal carcere, come se fosse telecomandato dai nostri Servizi Segreti. Silvana Mazzocchi su La Stampa scrisse che quando la procura di Rieti chiese la sua fedina penale risultò incensurato. Fianchini era allo stesso tempo il "provocatore" che secondo i magistrati reatini veniva accusato da Guazzaroni di avergli costruito in casa il covo brigatista di Tolentino. Sempre lui: Aurelio Fianchini, di Tolentino, dell'estrema sinistra, vicino a Soccorso Rosso. Se appartenne ai Servizi doveva far parte della fazione di Vito Miceli, favorevole a un patto con i palestinesi. Tutto ruota intorno a questo sconosciuto maceratese: prima un intero processo per una delle stragi più gravi dal 1945 a oggi, poi la colonna marchigiana delle Brigate Rosse, quella che secondo la procura doveva prendere le redini dell'intera organizzazione terroristica e - aggiungerei - portare agli arresti dei responsabili, come in effetti avvenne con il pentimento di Patrizio Peci nel 1980.
Cercheremo di saperne di più. Proveremo a scavare, sfidando ostacoli dovuti anche alle leggi italiane, molto restrittive sulla possibilità di consultare i fascicoli originali. Dovremmo rifare le indagini sull'Italicus daccapo. E così anche per altri misteri italiani. Per ora vogliate scusarmi quindi se mi congedo senza una risposta definitiva.

venerdì 15 marzo 2024

I segreti militari della NATO svelati da due amanti


Altra storia assai contrastata, densa di diffidenze, ma anche di preziose informazioni che in mani diverse probabilmente avrebbero cambiato i destini della prima repubblica, è quella di Alceste Santini e della sua amica segretaria, segretaria personale di Giulio Andreotti, ossia Pina De Matteis. 

Sappiamo per certo che Alceste Santini fu un giornalista dell’Unità, vaticanista ed esperto dei Paesi socialisti del secondo dopoguerra, dell’Ungheria in particolare. Era originario dell’Abruzzo, per la precisione di Tagliacozzo. Quando morì, il 27 giugno del 2010, a 83 anni, gli articoli che si trovano online, ad esempio sul sito primanoline.it, lo descrissero come “tessitore di alleanze tra il Partito Comunista e Santa Sede.” 

Del tutto sconosciuta, invece, la storia della segretaria Pina De Matteis, soprannominata dai cecoslovacchi, Domeus. Su internet non si trova niente, e, se dobbiamo fidarci dei dossier cecoslovacchi che si occupavano di questa vicenda, ossia il 314 e il 315, sempre appartenenti ai faldoni archiviati a Praga con il codice 10443, potrebbe non essere mai esistita. Lo stesso Santini, a dire il vero, è un personaggio misterioso, del quale sembra si fosse occupato anche il Kgb. Infatti, se andiamo a consultare i rapporti Impedian, scopriamo che il numero 136 era dedicato proprio ad un non ben definito Santini. In realtà, qualche informazione Mitrokhin la forniva, quanto basta per constatare che questa spia russa corrispondeva quasi certamente ad Alceste Santini. Copio le parti che ci interessano. “Commento: Gradiremmo sapere a tempo debito se siete riusciti a identificare "SANTINI" Corrispondente italiano de "L'Unità" - Nome in codice "Santini" 

1."SANTINI" era un corrispondente del quotidiano del Partito Comunista Italiano (PCI) "L'Unità" ed era specializzato nelle questioni riguardanti il Vaticano. 

2. "SANTINI" era un contatto segreto della Residentura del KGB di ROMA. Nel settembre 1980, tramite il Consiglio per gli Affari della Chiesa, il KGB organizzò un viaggio in URSS per "SANTINI" e sua moglie. Il viaggio era a spese dell'URSS. 

Commento del servizio: la fonte non conosceva l'identità di "SANTINI".”

Ma come poteva il Kgb non conoscere l’identità di Santini se costui collaborava tra il 1959 e il 1961 per l’Stb? E, se davvero si trattava della stessa persona, come è possibile che i sovietici chiamassero la loro spia con il vero cognome? Infatti, nel dossier 314 e 315 di Praga, Santini è identificato col nome in codice Daniel, e la collaborazione si interruppe ufficialmente nel 1966, con l’archiviazione del fascicolo a cura degli stessi servizi cecoslovacchi. Tuttavia, è altrettanto vero che in quasi tutte le relazioni compariva in grande evidenza, ossia in maiuscolo, il nome vero, e assai raramente il codice Daniel. Questa potrebbe essere l’ulteriore conferma che Mitrokhin, con la sua copiatura “matta e disperatissima” dei dossier spionistici sovietici, non ci ha ingannato, ma ha davvero voluto rendere un servizio all’Occidente. Un servizio incompleto ma utilissimo.

Quanto alla De Matteis, fornì ai cecoslovacchi informazioni giudicate molto utili sulla Nato e sul generale Norstad, considerato oggi uno dei padri dell’organizzazione Gladio Stay Behind. Offre un riassunto più che esaustivo di tutta la vicenda uno degli ultimi rapporti dell’Stb, poco prima dell’archiviazione, nel quale la spia Jaroslav Fukan riepilogava dall’inizio alla fine la storia della collaborazione tra Santini e la De Matteis, con una divagazione finale sulla storia d’amore tra i due. Pina De Matteis fu soltanto un’amica? Oppure anche l’amante di Santini? Secondo una ricostruzione presente nel dossier, il giornalista era sposato con Ilaria Zaccagnini, il cui padre era parente del noto esponente democristiano. L’anonimo collaboratore dell’Stb, che fornì la controanalisi dell’attendibilità e della personalità della spia comunista, aggiunse in italiano che la Zaccagnini era un’insegnante di scuola elementare e che i due avevano in quel momento un figlio piccolo di due-tre anni. Comunque sia, dal rapporto tra Santini e la De Matteis sarebbe scaturita la fuga di notizie sui Ministeri presieduti da Giulio Andreotti, all’interno dei quali evidentemente la ragazza, poco più che trentenne, era considerata a torto insospettabile; una ragazza non molto ricca, che aveva deciso di spiare per “indossare abiti più eleganti” e fare una vita migliore. 

Valutazione

Domenus - vero nome Pina De Matteis, nata nel 1928, segretaria del segretario del ministro DI BERNABEI, presso il Ministero della Difesa Nazionale, celibe, appartamento ROMA, zona Cento Celle - non conosce il più vicino indirizzo.

Controlli: due caratteristiche sviluppate da Santini

Per CV:

Domenus vive in una famiglia comune con suo padre, che è sposato per la seconda volta. La mamma è morta qualche anno fa. Il padre ha altri due figli dal secondo matrimonio. Nella casa comune vive anche la sorella di DOMENUS, che ha 22 anni. La sorella lavora in uno studio legale e riesce a malapena a sbarcare il lunario. Ho anche un fratello sposato. Il padre è attualmente disoccupato e malato. Riceve uno stipendio di 20.000 al mese. DOMENUS mantiene praticamente tutta la famiglia con il suo stipendio. Dopo la laurea, ha lavorato presso il Ministero delle Finanze, dove all'epoca lavorava anche l'attuale Ministro della Difesa. Quando Andreotti è stato nominato Ministro della Difesa Nazionale, è andata con lui al Ministero della Difesa Nazionale, dove lavora come segretaria e dattilografa per il Segretario DI BERNABEI. DOMENUS si fida di ANDREOTTI. È un'ottima dattilografa. La madre di DOMENUS lavora come lavandaia. DOMENUS guadagnava 80.000 lire al mese. Recentemente DOMENUS non si è sentita a suo agio a casa e vuole andarsene e trovare un proprio appartamento.

Attività politica:

DOMENUS è organizzata nel partito democristiano. Nel suo luogo di residenza lavora come propagandista per la DC, secondo SANTINI le sue opinioni non sono forti, è cattolica.

Caratteristiche:

DOMENUS è una ragazza laboriosa che cerca di difendere la vita con il suo lavoro. Ha il desiderio di risparmiare qualche soldo per vestirsi meglio e per aiutare la sua famiglia, per difendere le condizioni di disagio. È onesta nei suoi rapporti e ha grande fiducia in SANTINI.

Conoscenza:

SANTINI ha conosciuto DOMENUS tramite sua sorella, che è venuta nell'appartamento di SANTINI per incontrare sua moglie, che la stava preparando per l'esame di immatricolazione circa 4 anni fa. Da allora tra loro è nata un'amicizia.

Opzioni di intelligenza:

DOMENUS, secondo SANTINI, ripone grande fiducia nella difesa nazionale di ANDREOTTI. Si avvicina al ministro e partecipa a tutte le riunioni segrete, che stenografa. Un altro redattore lavora con lei in ufficio. DOMENUS ha accesso a tutte le questioni relative al Ministero della Difesa Nazionale italiano.

Motivi del rapporto:

L'impulso per un contatto regolare tra SANTINI e DOMENUS ci è arrivato nell'aprile del 1960. Secondo SANTINI tra loro si è formato un rapporto di amicizia e fiducia reciproca. DOMENUS è disposta a fornire a SANTINI informazioni provenienti dal Ministero della Difesa italiano con la consapevolezza che queste sono destinate esclusivamente a lui in qualità di giornalista e che non saranno pubblicate. È molto cauta nei suoi rapporti e mostra paura quando vende notizie per non perdere il lavoro.

Contatti SANTINI-DOMENUS:

La maggior parte degli incontri tra SANTINI e DOMENUS avvengono per le strade di Roma e nei ristoranti. Nel corso del rapporto è capitato più volte che SANTINI DOMENUS chiamasse l'operatore dipendente per fissare un incontro. L'ultimo verbale che gli ha venduto è stato elaborato insieme a lei nell'appartamento di SANTINI.

Messaggi venduti:

DOMENUS ha finora venduto i seguenti messaggi a SANTINI:

Lo sviluppo della cooperazione militare dell'Europa occidentale, la riorganizzazione del sistema missilistico italiano e atlantico, l'invito di ANDREOTTI a Bonn da parte di STRAUS, il controllo del vice Ministro italiano da parte del controspionaggio, l'urgenza di armare con missili gli eserciti dei paesi della NATO armi, la visita del Gen. NORSTAD a Roma.

Ha venduto anche un rapporto sulla sua partecipazione come segretaria alla riunione del Consiglio della NATO a Parigi e documenti originali sull'esercito italiano.

I messaggi vengono valutati positivamente.

Per i messaggi venduti furono pagate 100.000 lire.

Conclusione:

Non abbiamo ancora verificato l'esistenza di DOMENUS, non ne conosciamo le date esatte, la residenza, il numero di telefono. Non si conosce bene il rapporto con SANTINI. Finora non ci ha venduto abbastanza materiale per considerare di convertirlo in gestionale. Poi abbiamo solo due caratteristiche scritte da SANTINI. I contatti tra SANTINI e i loro incontri non si svolgono in maniera cospiratoria. Santini ha chiamato più volte DOMENUS sul telefono del lavoro. Sono presenti piccole imprecisioni nelle caratteristiche riguardanti la famiglia di DOMENUS. Soprattutto l'ultima notizia che non andava d'accordo con i suoi genitori e che vuole trasferirsi. SANTINI si offre di procurarle un appartamento. DOMENUS è probabilmente l'amante di SANTINI.

Suggerisco:

Controlla DOMENUS in altro modo, verificane l'identità e completa i dati di base. Inoltre, indurre SANTINI a sviluppare appositamente DOMENUS e ad attivare la vendita di messaggi del Ministro italiano, in modo che sia sufficientemente compromesso. Falla interessare finanziariamente alla vendita di notizie.

Fukan Jaroslav


domenica 10 marzo 2024

Caso Striano, siamo davvero così vulnerabili?


Dagli articoli che escono sui giornali riguardo al caso dossieraggio, il cosiddetto "caso Striano", sembrerebbe emergere un'imbarazzante vulnerabilità del nostro sistema di sicurezza delle informazioni protette.

Tutto è nato da una denuncia in Procura del Ministro Crosetto, il quale, se abbiamo capito bene, avrebbe letto su Domani indiscrezioni sulle sue attività, così ben raccontate che non avrebbe gradito l'affronto. Dalla conseguente inchiesta sarebbe emerso che un finanziere, Pasquale Striano, avrebbe effettuato migliaia di accessi (con le sue credenziali?) nel sistema informatico della Divisione Nazionale Antimafia. Avrebbe quindi raccolto, a destra più che a sinistra, notizie riservate su vari personaggi d'Italia, denunciabili ma pure innocenti, e le avrebbe cedute ai suoi amici giornalisti. L'infedeltà di questo militare (spia dei russi? braccio destro della P2?) avrebbe trascinato nell'illegalità anche un abile magistrato antimafia, Antonio Laudati. Con loro sono sotto inchiesta tre giornalisti del quotidiano Domani, nonché altri soggetti ancora non ben identificati.

Fin qui i fatti. Pochi. Poi ecco arrivare, come in tutti i tormentoni che guadagnano le prime pagine dei nostri giornali di Stato, cioè sovvenzionati dal Governo di turno, la valanga di commenti. Da questo tam tam di sdegnati e adirati parlamentari si fa largo il concetto che il sistema militare e giudiziario italiano sono vulnerabili. Ebbene sì, siamo uno Stato così debole che un finanziere è potuto entrare tremila volte nel sistema cifrato della DNA con le sue credenziali e nessuno, se non fosse stato per il Ministro Crosetto, se ne sarebbe accorto.


Domani chiude oggi (scusate il gioco di parole) un suo pezzo con una nota congiunta della senatrice Aurora Floridia e della deputata Elisabetta Piccolotti.
«Dalle audizioni emerge una condizione di estrema vulnerabilità delle banche dati italiane dell’intero sistema giudiziario, sia rispetto ad attacchi interni di funzionari dello Stato infedeli ma, potenzialmente anche da attacchi esterni di organizzazioni criminali o terroristiche che potrebbero essere interessate a proteggersi dalle indagini o a minare la sicurezza nazionale», sostengono le parlamentari.
Così - aggiunge Domani - è stato lanciato l’invito a dare «priorità al provvedimento sulla cyberisicurezza». Con relativi investimenti, sottolinea il giornale senza nulla obiettare.


Ma è veramente così? Siamo così fessi? Abbiamo qualche dubbio. Basta fare una ricerca sul web e compare un interessante numero (il 4 del 2021) di una rivista trimestrale della scuola di perfezionamento per le forze di polizia. Uno dei supervisori di questo giornale scientifico è proprio (se non si tratta di un omonimo ma propendiamo per il no) il magistrato Antonio Laudati, ma tu pensa, tra i maggiori indagati del caso Striano. Proprio strano questo Striano. Perché, ed è questo che ci sconcerta, la rivista di Laudati dimostra che il nostro sistema di sicurezza è talmente complesso che metterebbe a dura prova anche il più astuto James Bond del 2024. 

A pagina 55 si legge questo titolo:
Le capacità cyber della Difesa: il Comando per le Operazioni in Rete (COR Difesa) e il CERT Difesa.
Tra i soggetti pubblici che fanno parte dell’architettura strategica nazionale di cyber security un posto di rilievo assumono le strutture della Difesa
preposte alla protezione delle reti e dei sistemi digitali delle forze armate quale
elemento essenziale per la condotta delle operazioni e la protezione delle informazioni. Il Quadro strategico nazionale per la sicurezza dello spazio cibernetico attribuisce, infatti, al dicastero il compito di dotarsi della capacità di pianificare, condurre e sostenere operazioni nello spazio cibernetico e questo per prevenire, localizzare ed individuare la minaccia cibernetica.


Inoltre, in una nota, la 92, si afferma che sono possibili contatti con il Centro Intelligence Interforze.
Riporto testualmente: "Il COR Difesa gestisce – in modo accentrato ed a favore di tutte le F.A. – anche l’adeguamento, l’espansione, l’evoluzione e la manutenzione della Rete Integrata della Difesa RID), in via di totale migrazione alla tecnologia IP, inclusa la sua componente nell’area di ROMA (Metropolitan Area Network - MAN), nonché l’Intranet dell’Area di vertice interforze (DIFENET). Inoltre, il Comando per le operazioni in rete esprime anche una capacità di pianificazione, conduzione e realizzazione dell’intera gamma delle “operazioni militari” nel dominio cibernetico, interfacciandosi con il Centro intelligence interforze, per il necessario supporto di Cyber intelligence, ed in concorso al Comando operativo di vertice interforze e al Comando interforze per le operazioni delle forze speciali, mediante l’impiego di Cellule Operative Cibernetiche (COC) con capacità di proiezione anche “fuori area".


Tutto questo per dire sostanzialmente che la vicenda non è semplice come viene raccontata. Prima di ipotizzare scenari apocalittici con la P2 padrona dell'antimafia bisognerebbe domandarsi se il finanziere non agisse, magari, per il Centro Intelligence Interforze. E se quei documenti prelevati non facessero parte di un controllo dei controllori che viene attuato da qualche tempo a questa parte nello Stato parallelo delle basi Nato. Soltanto dopo aver messo nel racconto tutti i passaggi dei nostri servizi di sicurezza, e averne individuato le falle, sarà possibile dare la caccia agli aspiranti James Bond.

sabato 17 febbraio 2024

"C'è da aspettarsi che non rilascino Moro vivo"

 



C'è un nuovo documento sul caso Moro. Il 2 maggio del 1978 a Roma, nella sede del PSI, si incontrarono tra le ore 11 e le 12 Enrico Manca, socialista, poi presidente della Rai, e la spia cecoslovacca Lamac. All'interno di una relazione che verteva sulla situazione italiana, Manca informò i cecoslovacchi che le Brigate Rosse non avrebbero rilasciato Moro vivo. 

Si tratta di poche frasi, eppure significative, sia per la persona che le pronunciò, sia per l'attendibilità della fonte stessa. 

All'interno del documento, Manca viene citato come spesso accade con il soprannome che gli fu assegnato nel 1963, ovvero KUS. E ciò è documentato da un'altra relazione. La collaborazione dell'ex presidente della Rai e i servizi segreti cecoslovacchi proseguì per quindici anni soprattutto con uno scopo: ricongiungere la sinistra italiana dalle varie divisioni interne, compresa la scissione storica tra PCI e PSI. E' appunto per questo che il documento del 2 maggio 1978 sarà anche l'ultimo, prima dell'archiviazione. Il motivo era semplice: con l'ascesa di Craxi, l'obiettivo cecoslovacco di inserire Manca al vertice del PSI e lavorare a un riavvicinamento della sinistra stava ormai fallendo. 

Secondo il resoconto di Manca, il caso Moro sanciva in pratica l'accordo tra Craxi e la DC e sarebbe stata questa la politica futura del suo partito: l'anticomunismo. Craxi - sosteneva Manca - voleva trattare con le Brigate Rosse per il rilascio di Moro solo per distinguersi dal Partito Comunista, che restava inflessibile sulla linea della fermezza. Stava probabilmente accordandosi - era l'interpretazione di Manca - con qualche democristiano, che avrebbe voluto uscire dalla linea del partito, ma aveva paura ad esporsi. E così usava il PSI per sondare la possibilità di una trattativa con le Bierre.

Sulla base di quali informazioni Enrico Manca poteva affermare, una settimana prima del ritrovamento del cadavere di Moro, e andando anche contro il suo partito, il quale sperò fino all'ultimo di salvare il presidente DC, che le Brigate Rosse lo avrebbero ucciso? Non è facile rispondere. Analizzando l'intero testo, che ho tradotto in maniera molto meticolosa, copiando anche gli accenti, mi colpisce soprattutto la freddezza di Enrico Manca (o di Lamac, visto che il documento lo firma lui) sulla situazione del prigioniero. Il suo sguardo è rivolto già al futuro della politica, a ciò che succederà in Italia "dopo la conclusione" del caso Moro. Un epilogo che - affermava - c'è da aspettarsi che sarà tragico.

Situazione interna

fa parte della politica anticomunista di Craxi anche la sua proposta di trattare con le RB (Rudé Brigady ndr) su Moro. È inoltre contro il parere dell’IKS (il PCI ndr) di mantenere l’intransigenza. Vuole differenziarsi dall'IKS, per dimostrare la sua autonomia. Deve aver parlato con qualche DC che vorrebbe proporre di agire, ma ha paura di fare coming out così. Quindi stanno testando tramite la ISS (il PSI) quale sarà la reazione. 

Le prospettive di sviluppo dell'Italia potranno essere stimate solo dopo la conclusione del caso Moro. C'è piuttosto da aspettarsi che le RB non lo rilascino vivo. E poi quali saranno i risultati delle successive elezioni amministrative, quando voteranno 4 milioni di italiani, sarà un test importante per lo sviluppo del Paese. Ciò che è certo per lei personalmente è che Craxi porterà l'ISS all'anticomunismo, contro l'IKS e si avvicinerà gradualmente alla DC.