martedì 26 luglio 2016

Tunnel del Conero, in prescrizione le accuse a Montesi?


Vi ricordate la storia del video sui tunnel militari del Conero che fu censurato nel 2014? Matteo Montesi, uno degli autori (gli altri due usavano il nome d'arte di Italian Ghost), mi ha da poco rivelato che il suo caso è finito in prescrizione. Dopo un anno e mezzo sembra davvero un record. Sarà vero? Fino a poco tempo fa temeva di essere ucciso. Mi dispiace che ci siano di mezzo i carabinieri, perché a me questa denuncia sui segreti militari mi pare una presa in giro. In teoria spulciando gli articoli del codice penale l'articolo 262 sembrerebbe quello che avrebbero dovuto applicare contro i tre videoamatori imprudenti. Dice così: "Chiunque rivela notizie, delle quali l’Autorità competente ha vietato la divulgazione, è punito con la reclusione non inferiore a tre anni.” Ma vi sono delle particolari situazioni, come lo spionaggio in tempo di guerra, nelle quali è previsto anche l’ergastolo. La pena è più lieve solo dove non sussista la volontà di arrecare un danno alla nazione. Insomma, avrete capito che lo spionaggio è una faccenda estremamente seria. Le domande a questo punto sarebbero molte: come si fa a sapere che in un parco naturale ci sono tunnel di cui non si può divulgare l'esistenza, se nessuno senza quel video poteva sospettare che il monte fosse stato scavato dai militari? E poi: come mai i giudici furono così indulgenti con i tre ecologisti del 1984 e ora anche con Montesi, mentre la spia della Rau si prese undici anni in primo grado, sempre per colpa del Conero?

"Preparavano attentati confondendosi con i fascisti"


Preparavano attentati confondendosi con i fascisti e con gli altoatesini. Questa frase scritta sulle pagine dell'Unita' il 7 febbraio del 1967 mette paura. Perché è così che le cose sono andate in tutti questi anni nella vicenda della bomba di piazza Fontana. La frase la pronunciò la polizia, che secondo il quotidiano del PCI stava indagando insieme ai carabinieri sui filo-cinesi di Milano, due anni prima del terribile attentato di Milano. Ci sono scritti altri nomi di indagati, il che vuol dire che la vicenda non si concluse affatto con l'arresto dell'operaio milanese. Questi signori sembra fossero in contatto con il partito marxista-leninista d'Italia, un importante gruppo politico extraparlamentare vicino al PCI sorto proprio in quegli anni. Come si può immaginare all'Unita' non piacque che le accuse degli inquirenti si concentrassero sui loro 'compagni', piuttosto che sulla destra. E la storia dei filo-cinesi finì lì. Tra le vittime degli attentatori in quel 12 dicembre 1969 alla banca nazionale dell'agricoltura c'era anche un novarese, Giulio China, 57 anni, commerciante di bestiame. Lo scrisse La Stampa. Visto che abito e lavoro in quella città mi pare doveroso ricordarlo. Il Sid avrebbe potuto fare chiarezza sull'intera vicenda, ma preferì tacere. Mi piacerebbe sapere perché. Fino al 1969 l'attività del Sid per contrastare lo spionaggio sovietico era stata secondo me esemplare, con buona pace dell'Unita'. Molte minacce furono sventate, ma a quel punto le cose cambiarono e prevalse il segreto a oltranza. Ho validi motivi per affermare che dai primi anni '70 il Sid non ha più fatto gli interessi del governo italiano.

giovedì 21 luglio 2016

La pista filocinese dimenticata per colpa del Sid


La strage di piazza Fontana del dicembre 1969, rimasta di fatto impunita, un colpevole avrebbe potuto averlo subito. Leggendo le pagine del quotidiano La Stampa del 13 dicembre 1969 si scopre che gli inquirenti pensarono inizialmente ai filo-cinesi, degli italiani appartenenti all'estrema sinistra che due anni prima erano finiti sui giornali per un'inchiesta del Sid. Nel febbraio del 1967 un operaio siciliano, M. S., era stato arrestato perché accusato di aver progettato in tutta Italia degli attentati dinamitardi su ispirazione dei maoisti. Si trattava cioè di terroristi che probabilmente erano in contatto con dei diplomatici cinesi presenti in Italia. Avevano depositi di armi proprio a Milano. Il quotidiano La Stampa insistette sul fatto che una complice, una certa Milena, era stata vista viaggiare su un'auto targata Modena con delle valigie piene di esplosivo, che avrebbe trasportato dalla Sicilia verso Milano e Roma (dove nello stesso giorno di piazza Fontana esplosero altre bombe). L'operaio se la cavò con un anno e mezzo di reclusione. Perché questa pista venne abbandonata? Probabilmente per degli oscuri interessi dei servizi segreti italiani. Sui filo-cinesi indagava da tempo, infatti, per conto del Sid, il giornalista Guido Giannettini, ovvero uno degli indagati del processo per la strage di piazza Fontana. Le informazioni gli arrivavano da due agenti del Sid infiltrati tra i filo-cinesi, Franco Freda e Giovanni Ventura, cioè gli altri principali indagati neofascisti del processo su piazza Fontana. Le deviazioni del Sid avevano portato dunque a un doppio gioco dei servizi segreti? 

venerdì 15 luglio 2016

La mafia russa dietro gli attentati di Al Qaeda


C’è l’ombra della mafia russa sulle stragi provocate da Bin Laden. Rileggendo gli articoli del quotidiano La Stampa emerge con chiarezza che poco prima dell’attentato al World Trade Center Al Qaeda era appoggiata dai russi di Berezovskij, un imprenditore morto suicida (ufficialmente) nel 2013 sul quale aleggiano da tempo sospetti di collusione mafiosa, con la temuta mafia russa. Il 25 agosto del 1998, analizzando la politica del premier russo Eltsin e del suo alleato Cernomyrdin, Enzo Bettiza de La Stampa scrisse: sul piano internazionale la Russia ricalcherà "schemi manichei da guerra fredda con l’appoggio ai vari Milosevic, Saddam Hussein e Bin Laden." Un paese, quello ex sovietico, che era lanciato nel “neocapitalismo burocratico di avventurosi tycoons come Berezovskij e compagni”. Quest'ultimo sicuramente sapeva dei progetti di Bin Laden per colpire gli Stati Uniti. Il 10 dicembre del 2001 i lettori del quotidiano La Stampa appresero dall’articolo di Maurizio Molinari della confessione piena di Bin Laden. La principale cassa di risonanza delle sue gesta fu proprio l’agenzia di stampa cecena di proprietà di Berezovskij: Kavkaz (considerata addirittura l'organo di informazione dei guerriglieri ceceni). Nel video di Kavkaz citato da La Stampa lo sceicco si appellava ai musulmani di tutto il mondo per combattere la Jihad, “fino a quando gli infedeli e le forze antislamiche non saranno state annientate - fu l'anatema di Bin Laden -, e fino a quando tutte le false religioni non saranno state sconfitte.” 

sabato 2 luglio 2016

Al Qaeda, quello stato terrorista virtuale


“Al Qaeda è uno stato terrorista virtuale”. Lo affermava Maurizio Molinari in un suo articolo del 19 febbraio 2001, vale a dire pochi mesi prima dell’attacco al World Trade Center. Bin Laden pareva fosse pronto ad attaccare l’Europa. Tra i suoi contatti, secondo i servizi segreti europei citati dal quotidiano torinese, c’erano i terroristi algerini, i quali nel 1994 avevano tentato di dirottare un aereo verso la Torre Eiffel. E’ un fatto che sembra anticipare ciò che avverrà a New York sei mesi più tardi. Ma non è certo l’unico. A Londra era stato appena sventato un attentato con il gas nervino, che avrebbe dovuto far strage nella metro della capitale inglese. Gli attentatori fermati erano uomini di Bin Laden. Lo sceicco del terrore era comparso due anni prima anche in un altro “Terrorism review” della Cia, datato settembre 1998, ma questa volta per delle minacce che gli Stati Uniti avevano ricevuto da gruppi a lui affiliati, quali gli estremisti della Jihad islamica egiziana, e l’altro gruppo egiziano denominato “al-Gama’at al-Islmaiyya”. Si trattava, appare evidente, di un terrorismo privo di un radicamento territoriale. A Beirut, in Libano, Al Qaeda e i terroristi palestinesi si erano incontrati fianco a fianco per un seminario di studio reso pubblico. Era la prima volta, affermava Molinari. Un evento storico, dal quale sarebbe cominciata la cacciata dei “non musulmani” da Israele.

La Cia: “Gheddafi appoggiava il terrorismo”


La Cia nel 1999 avvisava il governo statunitense della pericolosità della Libia. Il colonnello Gheddafi sostiene il terrorismo internazionale, fu la sua denuncia. Lo si scopre in un documento che il servizio segreto statunitense ha parzialmente liberato dal segreto d’ufficio. Dunque non c’era accordo tra Cia ed Fbi. Leggendo le poche righe che sono state messe a disposizione del pubblico si evince che il vero pericolo, in quel periodo che precedette di pochi mesi l’attentato alle torri gemelle, era il terrorismo palestinese: Hamas, la Jihad islamica palestinese, e il fronte popolare per la liberazione della Palestina. Tutte organizzazioni alle quali lo stato libico forniva appoggio finanziario, logistico e diplomatico, nonostante formalmente Gheddafi si sforzasse di apparire disposto a fronteggiare il terrorismo, in modo tale da ottenere una tregua alle sanzioni che gli erano state imposte dalle Nazioni Unite nel 1992. Più direttamente connesso ad Al Qaeda risultò essere invece il gruppo denominato Harakat ul-Ansar (Hua), il quale agiva in Pakistan con il supporto del governo locale, interessato ad un appoggio nella guerra contro l’India nel Kashmir. Lo affermava sempre la Cia in un documento di sole quattro pagine, in gran parte desegretate nel 2008. L’Hua agiva contro gli occidentali.

venerdì 1 luglio 2016

Bin Laden era ricercato anche dalla Libia


Osama Bin Laden era un assassino e un terrorista anche per la Libia di Gheddafi. Secondo un documento originale presente nell’archivio dell’FBI, anzi, i libici furono i primi a spiccare un mandato di cattura contro il leader di Al Qaeda. Il 10 marzo del 1994 Bin Laden e tre suoi complici, che si chiamavano Al-Alwan, Al-Warfali e Al-Chalabi, uccisero vicino Sirte due cittadini tedeschi. Si occupò del caso l’Interpol di Tripoli, la quale il 15 aprile del 1998 fece diramare un comunicato mediante il quale si chiedeva la cattura e l’estradizione di Bin Laden in tutti gli stati eccetto Israele. La foto segnaletica in alto a sinistra del telegramma indica chiaramente che si stava parlando già allora del capo della più pericolosa organizzazione terroristica mondiale. Il look è inconfondibile. Il 6 marzo del 2000 scattò un nuovo mandato contro Bin Laden, stavolta dall’Interpol di Washington. Bin Laden, che era conosciuto anche con altri nomi, alto quasi due metri, per soli 67 chili di peso, capelli neri, occhi marroni, aveva aggiunto al suo curriculum criminale altri delitti più efferati. Quello che mi colpisce in questi documenti conservati dall’FBI è il fatto che questo Bin Laden sembrava non avere alcun collegamento con i luoghi in cui, dopo l’attentato del World Trade Center, gli statunitensi lo andarono a cercare, con tanto di eserciti della Nato al seguito.