martedì 31 gennaio 2012

1966: Gli Isotopi Radioattivi in medicina interna


Il libro intitolato “Gli isotopi radioattivi in medicina interna” del 1966 mette in evidenza la pericolosità delle cure mediche praticate dal professor Giocondo Protti, il quale scopriamo aveva aperto un centro isotopi radioattivi sia a Busto Arsizio, sia ad Ancona. Ma poi anche a Roma in via Marco Polo 41, numero civico che oggi corrisponde a una casa di cura, ma che nel 1966 era sede del centro isotopo terapico di Protti. Qui i pazienti malati di cancro venivano sottoposti a cure molto dubbie, di cui l’assistente di Protti, dottor Bortolini, in questo libro ci offre una descrizione dettagliata e allarmante. Gli isotopi venivano inseriti nell'organismo del paziente e la loro circolazione veniva anche cronometrata. Si parla di Jodio Radioattivo 131, ma non solo. Ogni sostanza può acquisire una carica atomica tramite l'uranio. Tuttavia alla prova con i pazienti, ci si accorge che la cura portava solo ad atroci sofferenze e la morte.


venerdì 27 gennaio 2012

Giocondo Protti, un filo-nazista tra i medici italiani


Chi era veramente il dottor Giocondo Protti? Fu un vero medico o un assassino? Lo sconcertante libro “La Luce del sangue” scritto nel 1945 dal professore mette in luce una sua possibile relazione politica con il gerarca nazista, Otto Rahn. In una nota infatti viene scritto che il Rahn aveva dato il suo patrocinio alla presunta scoperta scientifica del professor Protti: i raggi di Gurwitsch-Protti, che costituiscono il fulcro di quel libro. Questi raggi consisterebbero in realtà nelle radiazioni contenute secondo il professore nel nostro sangue; ma non solo. Ne sarebbero pieni molti altri elementi del nostro pianeta. Protti quindi era convinto che attraverso le radiazioni contenute nei lieviti sarebbe stato possibile curare il cancro. In realtà il lettore scopre nel libro che i pazienti-cavia su cui aveva tentato l’esperimento finiscono per morire tutti tra atroci sofferenze e lo stesso Protti alla fine del libro non sembra convinto della bontà del suo lavoro.

lunedì 16 gennaio 2012

La famiglia di una spia russa nell'anconetano


Il 10 marzo del 2010 il quotidiano online Viveresenigallia riportava la notizia che il padre di Alexander Litvinenko, la spia russa morta a Londra avvelenata dall'isotopo radioattivo noto con il nome di Polonio 210,  si era rifugiato nell'anconetano per paura di ritorsioni. Da una ricerca sul personaggio si scopre che prima del suo avvelenamento su cui si ipotizzò un coinvolgimento del premier russo Putin, Litvinenko stava organizzando un attentato con i guerriglieri ceceni proprio contro il leader discusso del Cremlino. Lo riportava La Stampa il 20 ottobre 2003 in un articolo intitolato: "Un cecchino ceceno per uccidere Putin". L'articolo dovrebbe stimolare un dibattito sul ruolo delle spie in campo nazionale e internazionale, quando sono utili e quando invece rappresentano dei rischi per la vita democratica del paese.





mercoledì 4 gennaio 2012

"Blast in Italy kills 100"


E' il titolo con cui il primo settembre 1945 il New York Times usciva su una notizia che aveva tutta l'aria di essere l'ennesima strage di quella lunga e terribile guerra che fu il secondo conflitto mondiale. E' un titolo, inoltre, che gli americani erano soliti leggere fino ad alcuni mesi fa riguardo alle stragi dei talebani in Afghanistan. E invece no. Non è l'Afghanistan, ma una strage rimasta apparentemente senza un colpevole e un perché accaduta nelle Marche. Dove? Ad Ancona.
La notizia veniva riportata soprattutto dai giornali italiani: il Corriere della Sera, La Stampa, mettevano in prima pagina, sempre il primo settembre, un piccolo articolo a due colonne sulla tragedia. Una grande tragedia, poiché un treno, appena partito dalla stazione di Ancona, era esploso a 4 km dalla stazione stessa, mentre si dirigeva verso sud. Oggi potremmo dire che l'incidente è accaduto nei pressi dello stadio Del Conero. "Impressionante sciagura" la definiva La Stampa. Ben 100 passeggeri erano rimasti uccisi nell'incendio divampato nelle carrozze del treno. Il motivo secondo il giornale sarebbe da ascrivere al fatto che in alcuni vagoni erano state sistemate delle munizioni, che sarebbero poi esplose per la presenza in quegli stessi vagoni di alcuni clandestini che si erano messi a fumare. La cronaca parlava anche di gravi danni alle case che si trovavano nella zona dell'esplosione, il che farebbe pensare al fatto che possa proprio trattarsi della zona di Passo Varano. Inutili dunque i soccorsi di medici, infermieri giunti con la Croce Rossa. Si stava anche indagando sulle cause, scriveva l'articolista, ma poi quello che è certo è che sulla notizia non tornerà, per quello che ho potuto verificare, nessun giornale. Lo stesso articolo, va aggiunto, veniva redatto anche dal Corriere della Sera, e dal giornale svizzero Libera Stampa. Restano tante domande su questo episodio: dove è avvenuto realmente l'incidente. Perché questo, che dovrebbe essere considerato il più grave incidente del dopo-guerra, non viene mai citato nei servizi che parlano di attentati o incidenti ferroviari? Chi realmente fece esplodere il convoglio? E, soprattutto, chi erano i morti? Quali erano i loro nomi? Di dove erano? Domande a cui sembra incredibile ma non c’è una risposta, poiché i giornali locali di quel periodo sono difficilmente reperibili.