mercoledì 14 ottobre 2020

La donna che visse due volte

 

Ingeborg Barz









Karl-Heinrich Adzersen






     Asad Muhammad Asad


Taus Raymun Issa






Una delle domande che mi sono posto, quando ho sfogliato l’album del terrorismo internazionale, è stata: perché così tante belle ragazze tedesche scelsero il terrorismo, la violenza? In fondo, sono due cose, la bellezza e l’uso delle armi, che secondo me fanno a pugni.

Ingeborg Barz era bella, bionda. La sua scheda, la numero 13, dice che non era tanto alta: solo un metro e 61. Portava la frangetta, aveva i capelli lisci, un viso gradevole ed era nata nel 1948. Oggi nel 2020 avrebbe 72 anni.

Storia incredibile, la sua. Si unì alla rivoluzione della Banda Baader Meinhof nel 1971, ma l’anno dopo si sarebbe pentita, e per questo sarebbe stata uccisa proprio da uno dei leader del gruppo terroristico, Andreas Baader, che le avrebbe sparato e l’avrebbe uccisa centrandola nel collo. Eppure il suo corpo non fu mai trovato. Sul sito baader-meinhof.com si legge questa breve sua biografia. 

“Ingeborg Barz, una giovane segretaria, si unì alla banda Baader-Meinhof nel dicembre del 1971 insieme al suo fidanzato politicamente attivo Wolfgang Grundmann. Dopo alcuni mesi di fuga Barz chiamò sua madre il 21 febbraio, dicendo che voleva tornare a casa. Non venne mai più vista. Si è sempre pensato che fosse stata uccisa alla fine di febbraio 1972 perché voleva lasciare il gruppo. Ma il luogo in cui si trovava il suo corpo non è mai stato adeguatamente determinato. Un cadavere venne scoperto in una foresta fuori Monaco nel luglio del 1973, ma non si poté stabilire in modo definitivo che fosse di Barz. Il "traditore" Gerhard Müller del gruppo Baader-Meinhof in seguito ha testimoniato che Andreas Baader le aveva sparato, ma la sua testimonianza era piena di incongruenze e quindi rimanevano domande.”

La polizia tedesca trovò il corpo di una donna che aveva il teschio compatibile con quello della Barz, ma non era stata uccisa, tanto meno per un colpo di pistola nel collo. E’ per questo che nel 1976, e anche in seguito, continuò a cercarla. La sua scheda è presente, sia nello schedario della polizia di Bonn, sia nell’album del KGB. Nel corso di un’intervista che l’ex terrorista Hans Joachim Klein concesse al giornale Der Spiegel, alla domanda sul perché la polizia continuasse a cercare la Barz, Klein rispose: conservano tanti dati. Le schede devono essere sempre terrificanti. La polizia ha un motto: “spara senza pietà”. Hanno bisogno di scene teatrali per giustificare il costoso apparato di polizia.

I dubbi restano. Si dice che Ingeborg Barz fuggì in Irak con una nuova identità. Però pochi l’hanno più vista. Tranne in una circostanza. La sua foto-segnaletica è perfettamente compatibile con l’identikit della donna sospettata della strage di Bologna del 1980. Teoricamente poteva essere lì. Ma se la Barz partecipò davvero alla strage, chi erano gli altri tre terroristi degli identikit che furono diffusi all’epoca dai giornali italiani?

Potrebbe esserci dentro un altro tedesco: Karl-Heinrich Adzersen, detto “il dottore di Heidelberg”. Anche lui ha avuto due vite, se così possiamo dire, tuttavia in questo caso la colpa è anche della giustizia tedesca. Sfogliando gli articoli di Der Spiegel c’è qualcosa che non torna. Adzersen sarebbe stato arrestato due volte nel giro di due anni.

Ma andiamo con ordine. Dati personali: Adzersen Karl-Heinrich, tedesco. La scheda numero 2 lo descrive alto un metro e 90, con foltissimi capelli. E’ nato nel 1944. Nella sua vita criminale, stando a quanto lascia intuire il KGB, usava altri cognomi: Sonke, Nissen e Husum. Vasta eco fu data al suo primo arresto, nel maggio del 1979. In un cablogramma partito da Bonn e diretto al Dipartimento di Stato americano si può leggere, grazie a Wikileaks, il seguente testo: “Le autorità hanno annunciato l’arresto il 9 maggio a Heidelberg di un dottor Adzersen, un medico accusato di aver aiutato la RAF. E’ stato posto in confinamento preventivo a Karlsruhe ma è previsto - potrebbe già esserlo - che sia spostato nel carcere di massima sicurezza.” Secondo l’articolo che uscì su L’Unità l’11 maggio del 1979, Adzersen avrebbe fornito medicinali, narcotici e altro materiale ai membri della RAF. Il suo appartamento fu perquisito. Era un periodo denso di arresti, il 1979, in Germania. Arresti e sparatorie. In una di queste morì Elisabeth Van Dyck, che si sospettava fosse implicata anche nella strage di via Fani. Non mancarono le polemiche, perché pare che la donna fosse di spalle nel momento in cui gli agenti spararono.

Un articolo di Der Spiegel del 1981 spiegò in seguito che, se la Van Dyck non fosse morta, gli agenti sarebbero finiti sulle tracce di Adzersen, come di altri terroristi, il cui mandato di cattura venne sospeso. Adzersen era sospettato di aver partecipato al rapimento Schleyer. Ma intanto erano passati già due anni e l’uomo era tornato libero.

Nel marzo del 1981 la polizia dell’ex Germania Occidentale sorprese alcuni terroristi della RAF, i quali, appena usciti dal carcere, avevano pensato bene di andare a trovare alcuni amici del gruppo. Tra questi c’era il dottor Adzersen, i cui consigli medici erano molto preziosi per i banditi. La polizia sorvegliava tutto di nascosto, senza intenzione di intervenire. Ma ci si mise di mezzo una pattuglia della stradale, che fermò la BMW 2000 grigia di Adzersen per un controllo. Dentro l’auto c’era anche un ricercato e così l’avventura del medico di Heidelberg ebbe nuovamente termine, con la solita coda di polemiche. Sembra di capire che anche in questo caso le accuse contro Adzersen non vennero confermate.

Eppure c’è la scheda del KGB, con tanti cognomi falsi. E c’è la somiglianza con l’identikit di Bologna, quello dell’uomo con tanti capelli. Era Karl-Heinrich Adzersen? E’ possibile che il 2 agosto del 1980 si trovasse a Bologna? Teoricamente sì, è possibile.

Non bisogna dimenticare che, nello stesso periodo, la STASI, la polizia di sicurezza dell’ex Germania Est, in una sua relazione accusava della strage alla stazione di Bologna il gruppo Hoffmann e la RAF. Ne ripropongo il testo già pubblicato su L’indagine impossibile.

“Secondo la comunicazione della BRD-Zeitung "vestfalian Rundschau" del 30.9.1980, uno dei capi dell'organizzazione palestinese "al Fatah", Abu Ayad ha detto ad un corrispondente italiano a Beirut che nell'accampamento di addestramento di Agura in Libano orientale gli italiani così come i tedeschi si stanno addestrando. In termini concreti, l’ 'uz' scrive: "la leadership dell'OLP aveva reso consapevole che in campi di addestramento fascisti in Libano l'attacco a Bologna era pianificato con la partecipazione dei terroristi tedeschi, tra cui un certo Hoffmann. Inoltre, nei mass media occidentali, ci sono state indicazioni di volta in volta che i fascisti italiani si sarebbero formati anche in campi paramilitari in Libia e nello Yemen. I risultati operativi relativi alle attività di viaggio dei membri della "RAF" o "movimento 2 giugno" confermano il loro ripetuto soggiorno in Italia.”

E non è finita. Nell’album del KGB ho trovato anche altri due terroristi compatibili con i rimanenti identikit. Si tratta di due arabi (il testo russo del Kgb dice proprio “volto di discendenza araba”): Abd-Al-Rahman Asad Muhammad Asad (figurina 183), nato nel 1944, e Taus Raymun Issa (figurina 214), classe 1955.

Tutto questo ovviamente non basta per cambiare la storia processuale, ma sono certo che qualche dubbio i giudici d’ora in poi lo avranno.

sabato 10 ottobre 2020

Telefono giallo, il caso Augias


Cosa ha combinato Corrado Augias, conduttore della nota trasmissione televisiva della Rai “Telefono giallo”? Negli anni Sessanta consegnò documenti riservati ai cecoslovacchi. Lo affermano svariati documenti del dossier numero 311, che, come scritto nel solito bigliettino iniziale, che ne descrive in sintesi il contenuto, affronta il tema della politica estera italiana. Ma è Augias il protagonista assoluto della scena. Fu lui l’informatore, il tramite per arrivare ad alcuni segreti italiani. Tra le carte ho rinvenuto persino degli appunti scritti a mano in lingua italiana. Di chi erano? Di Augias? 

Non avrei mai creduto di poter aprire con le mie mani la cartella della sua attività spionistica. Proprio lui, la perfetta applicazione dei principi di oggettività in un’inchiesta giornalistica. Il conduttore discreto, che non entra mai nelle tragiche vicende narrate. Introduce, lascia parlare gli altri, interviene per correggere, sintetizza, analizza i concetti meno chiari ai telespettatori, e poi guida i suoi intervistati verso la soluzione del giallo, in un ampio dibattito finale nel quale appare sempre nelle vesti del moderatore e mai dell’accusatore.

Ho trovato nei documenti l’esatto contrario. Ho davanti un altro dottor Jakyll? Oppure questi documenti furono redatti per rovinargli la reputazione? Ma, ancora, mi sono chiesto: si può parlare veramente di documenti compromettenti?

Corrado Augias venne descritto come un appassionato antifascista, sostenitore della causa socialista e difensore delle vittime della dittatura di Francisco Franco in Spagna. Il 26 luglio 1963 il documento 67 annotò: “Politicamente, fu dapprima membro del Partito radicale e si unì all’ISS (il PCI, ndr) nel 1959/60, dove adottò una posizione chiaramente di sinistra. In particolare, si occupa dei problemi della Spagna. Ha numerosi contatti con i socialisti lì. Ha effettuato numerosi viaggi in Spagna per mantenere questi contatti. A Roma, ha partecipato a tutti i raduni a sostegno della Spagna e di tutte le manifestazioni antifasciste.”

Nel documento 49-51 si legge ancora: “Appartiene alla sinistra del partito, è antifascista e ha buone posizioni politiche. DOŠEK lo riconobbe durante la manifestazione antifascista organizzata a Roma dalle forze democratiche in occasione della fucilazione di Grimau. Due giorni prima, AUGIAS si è confrontato con i fascisti romani. Nel 1962 era in Spagna e in quell'occasione entrò in contatto con i gruppi di opposizione del regime di Franco. Da loro ha ricevuto raccomandazioni ed alcuni spagnoli a Roma con i quali AUGIAS è ora in contatto. Nel mese di Agosto, nell'interesse di questi lavoratori, vanno di nuovo in Spagna.”

Dunque, un giornalista schierato e appassionato, e direi anche piuttosto battagliero.

Il 21 ottobre 1963, dopo un incontro al ristorante Re degli amici, in via del Babuino a Roma, fu redatta un’altra relazione in cui Jaros tornava sull’impegno politico di Augias in Spagna: “DONÁT (soprannome che gli fu dato, ndr) ha detto che l'intero gruppo di spagnoli che ha incontrato è in prigione. Sono circa 15 persone. Uno è in prigione in Italia, gli altri in Spagna. In Italia fu arrestato durante le manifestazioni a Roma, gli altri dopo essere arrivati in Spagna per andare in vacanza. E' certo che in Italia avevano un traditore, che riferiva tutto sulla loro attività, quindi tutto era già preparato in anticipo. Fu arrestato anche un buon amico di DONAT, Fernando SANCHES (l'abbiamo lasciato con il signor Kotva). La più grande sfortuna è che Sanches è andato insieme a Donat e sua moglie in Spagna.”

Curiosa la descrizione in italiano che si legge nel documento 47: “Ha espresso dubbi sulla sua permanenza alla Rai, perché ciò limiterebbe le sue possibilità di dedicarsi al lavoro politico, e perché gli alti guadagni e l’estrema sorveglianza contrastano la sua formazione ideologica”. Sempre nello stesso documento, infatti, si rammentava che nella Rai dell’epoca vi erano programmi curati “direttamente dal ministero degli interni (direzione del servizio informazioni) e che hanno la sede distaccata in via Po”.

Il caso dei contatti tra Augias e Praga non è certamente nuovo. Esplose nel 2009, allorché Il Giornale, quotidiano filo-berlusconiano di destra, pubblicò una serie di articoli di Antonio Selvatici, con i quali veniva rivelato che, stando ad alcuni 007 dell’ex Cecoslovacchia, Augias sarebbe stato un loro infiltrato negli Stati Uniti. La reazione del conduttore televisivo fu immediata e furibonda. Minacciò querele per diffamazione. “È un'accusa talmente ridicola che non varrebbe la pena neanche di rispondere - disse su Repubblica - ma questi sono i tempi in cui viviamo, in cui si è costretti a reagire alle calunnie mediatiche. Ho letto il servizio e mi sono chiesto il perché di tutto quel chiasso.”

La vicenda rimase più o meno sospesa lì, tra rivelazioni peraltro documentate da un libro poi pubblicato dallo stesso Selvatici, e sdegnose smentite. Wikipedia neanche riporta questa breve parentesi della vita del conduttore Rai.

Eppure il cronista del Giornale le cose non se l’era certamente inventate. Aveva ragione ad affermare ai microfoni di Radio Radicale: i documenti sono a disposizione di tutti, chi vuole può leggerli. E’ così. Semmai c’è da rimarcare qualcos’altro: che nei suoi articoli mancano due punti fondamentali. Uno è, come detto, la finalità tutt’altro che deprecabile dei colloqui di Augias con gli emissari di Praga: la volontà di difendere la democrazia in Spagna. Il secondo è che ai cecoslovacchi parlò della Rai e della sua organizzazione. Fu quest'ultimo il tema degli appunti scritti a mano di cui parlavo, ascrivibili con tutta probabilità al conduttore. Basterebbe una prova calligrafica per stabilirlo. E la querela eventuale finirebbe lì, se mai avesse senso portare dal giudice chi divulga documenti provenienti da un archivio pubblico.

Inizialmente è probabile che Augias non fosse consapevole di partecipare a un dossieraggio dei sovietici. Nel documento 33-35, redatto il 24 maggio del 1963 dopo una cena al ristorante Alfredo alla Chiesa Nuova, la spia Jaros espresse questa valutazione del suo candidato: “Dopo due incontri, che si sono svolti con le mie parti principalmente allo scopo di stabilire un contatto amichevole con Augias, si può dire che lo scopo è stato raggiunto. Nonostante la notevole differenza di età tra di noi, ho guadagnato la sua fiducia. Continuerò a essere in stretto contatto (al massimo con mia moglie per i primi due incontri) poi solo tra noi due, dove verranno elaborati e sfruttati.”

Molto importante ai fini dell’attività spionistica era la moglie di Augias. Come si sa, per averlo letto sul Giornale, la signora Daniela è figlia del generale Nino Pasti, uomo influente della NATO. Sembra che il matrimonio con un socialista non fosse stato digerito bene, tanto da essere motivo di alcune liti in famiglia. Un giorno Augias rubò un dossier dal tavolo del generale Pasti e lo consegnò al suo giornale, Paese Sera, per montare una campagna di stampa. Si legge così nei documenti. Sarà vero?

Certamente ai cecoslovacchi un infiltrato nell’ambiente militare della Nato faceva molto comodo e risulta che cercarono di sfruttarlo per ottenere ogni genere di notizia sul nostro armamento.

I contatti tra il conduttore Rai e le spie di Praga proseguirono con incontri al bar e al ristorante. Augias propose uno scambio di programmi tra la sua azienda pubblica e radio Praga. Il 21 dicembre del 1963, Jaros annotò: “DONAT mi ha mostrato una lettera del nostro operatore televisivo Brdeček, che ha inviato a Praga. Lo incontrò a Napoli, dove erano i nostri deputati. Brdeček ha inviato a sua moglie una sciarpa per la nostra televisione (di seta con i personaggi della nostra TV). DONAT vuole negoziare uno scambio di programmi con la nostra radio. Sarebbero canzoni e interventi con i nostri attori. E’ molto attivo nella collaborazione con i nostri attori. Gli ho promesso che avrei scoperto le possibilità.”

Ma il punto principale della mia ricerca è stato capire se il noto conduttore Rai potesse affermare di essere all’oscuro dei progetti spionistici dei sovietici. Vi sono dei passaggi che non lasciano spazio a dubbi. Sì, a mio parere Augias sapeva di consegnare agli ambasciatori cecoslovacchi documenti compromettenti. Documento 115: “desideravo porre una domanda a DONAT - scrisse Jaros dopo l’incontro del 6 giugno 1964 all’Eur di Roma - se poteva procurarmi un elenco telefonico del Ministero della Marina. Rispose affermativamente, dicendo che lo avrebbe detto a Daniela, e se non lo avesse fatto avrebbe trovato il modo per prenderlo da solo.” Questa è la traduzione che ho avuto da Luigi Ceccobelli. Presumo sia attendibile. 

Documento 129-131-133. Si tratta di una scheda di riepilogo per fare il punto sui contatti con Augias. Ne pubblico ampi stralci perché mi è parsa significativa. “Dati personali: nato il 16.2.1935 a Roma, nazione: è Italiano, appartamento a Roma in via Rocca Porena 9, studiò legge, impiego in Italia, televisione in dipartimento programmi stranieri – scambio di programmi culturali all'estero. Prima di entrare in televisione, ha lavorato per qualche tempo nella FAO e in agenzia di viaggi. Alcol: beve di tanto in tanto, soprattutto nella società, ma non si ubriaca. Stabilisce facilmente contatti sociali, buon compagno, può intrattenere la società. Buono, allegro di natura, può accettare battute, anche se concentrate sulla sua persona. Sit. Finanziaria: dalla RAI ha circa 150.000 lire al mese, con lo stipendio di sua moglie il loro reddito è di circa 200.000 lire al mese. Non è noto quanto riceve per la scrittura di articoli. Non riesce a cavarsela bene, è in difficoltà finanziaria prima della fine di ogni mese. Politicamente: membro ISS (PCI) (dal 1959). La sua conoscenza delle questioni politiche è nella media. Era un membro del Partito radicale.”

“Relazioni: soprattutto con i socialisti: DOŠEK, DOX, DALAI, DAN, TONI, DAMO, BONI Vittorio, capo della radiodiffusione estera RAI, DC di sinistra, LEGGERI Antonietta, per qualche organizzazione di culto. SANCHEZ Angelo, comunista, sposato, studente, studia a Roma, BORELLI – ricercatore RAI, membro DC.”

Ma ecco la parte che ci interessa di più: “Materiale compromesso: Ha passato i nomi di giornalisti e annunciatori italiani, interfaccia di radiodiffusione straniera, ha preparato uno schizzo dell'organizzazione radiofonica gestita dal personale del Ministero dell'Interno, il materiale non è stato utilizzato. Il materiale è principalmente prezioso come materiale di compromesso. Possibilità del suo utilizzo: è principalmente l'uso di sua moglie per acquisire conoscenze dal suo posto di lavoro e per cerchie vicino a suo padre, specialmente durante la visita di suo padre negli Stati Uniti nell'estate trascorsa – acquisire conoscenza delle relazioni Italia-USA. Sviluppo operativo: contatto stabilito il 30 Maggio 1963 presso la reception dell’Ambasciata bulgara. Dall'inizio del contatto fino al 31 Gennaio 1964, si tenevano le riunioni con Donat di cui 2 riunioni nell'appartamento di Donat e 8 riunioni in bar e ristoranti. Rilasciato: dall'inizio del contatto al 31.1.64: 39.360 lire spese per riunione, 7.570 lire per “premi”. Conclusione: lo sviluppo di Donat ha fatto notevoli progressi. L'attuale conoscenza dei suoi tratti caratteriali è positiva. Quando gli è stato chiesto dall'AG se ha amici che si occuperebbero di problemi della NATO, ha risposto che ci avrebbe pensato, soprattutto perché il suo contatto fosse diretto e non attraverso diverse persone. I dati mancanti dovranno ancora essere aggiunti. Come prossimo passo, sarà necessario parlare con Donat delle possibilità di usare sua moglie e, secondo i risultati, preparare una proposta per un libro di reclutamento di Donat.”

Sono parole a mio avviso molto gravi. Come quelle del documento 137. L’incontro avviene il 17.11.1964, dalle 12 alle 12.15 al Bar ADUA, in via del Corso. Scrive sempre Jaros: “Sono riuscito a catturare DONAT in TV fino al 16.11.1964. Si offrì immediatamente di incontrarsi il giorno successivo e decise lui stesso il posto. Questo è un bar poco visitato, che ha una stanza separata che è di circa 5 tavoli. Quando è arrivato DONAT, nessuno, tranne noi due era lì, DONAT ne ha approfittato e mi ha consegnato il giornale, dicendo che dentro era quello che volevo qualche tempo fa. Disse brevemente che DANIELA non lavorava più al ministero, aveva preso un congedo di maternità e non sarebbe tornata. DONAT è diventato un critico culturale presso L'AVANTI e si dice che sia abbastanza soddisfatto. Si dice che abbia fatto bene a non trasferirsi al PSIUP. Collabora anche per le elezioni, perché aiuta nella segreteria della città. E' felice in TV. Dato che doveva tornare immediatamente in TV, ci siamo organizzati per vederci nella settimana dopo le elezioni. Sfortunatamente, non è stato in grado di determinare esattamente quando e quindi rimarrà il telefono.”

Una persona che consegna un oggetto nascosto all’interno di un giornale, in un bar poco frequentato, sa quello che sta facendo. Mi pare una scena vista in qualche film. E aver “passato” i nomi dei colleghi della Rai a una nazione in cattivi rapporti con l’Italia non è un comportamento da apprezzare. Se non è una spy story, questa, le somiglia parecchio, mi vien da dire.





venerdì 9 ottobre 2020

Tutti gli errori di Ustica&Bologna

Ho trovato sugli scaffali di una grande libreria il volume di Paolo Cucchiarelli, intitolato “Ustica&Bologna” e durante l’estate ho deciso di acquistarlo, sia per il mio interesse sull'argomento, sia per leggere qualcosa di divertente nel tempo libero.

Nel complesso sono seicento pagine di inchiesta giornalistica, ben costruita, con interviste e verifiche sui giornali dell’epoca, quindi tecnicamente ottima. Eppure ho riscontrato subito tre errori, che in un volume così vasto, così avvincente, perché è una lettura che sicuramente non annoia, potrebbero passare inosservati. In un primo momento ero disposto a perdonarli, perché li attribuivo all’interpretazione soggettiva che l’autore cerca di far emergere dalla mole consistente di documentazione che viene presentata nel volume. Si tratta comunque di sviste piuttosto gravi. Analizziamole un attimo.

1) Viene scritto che il cielo su Ustica era terso. A me non risulta affatto. Il clima meteorologico è stato totalmente snobbato nella vicenda Ustica e invece in un volo aereo ha la sua importanza. Forse su Palermo il cielo poteva essere terso, come mi pare affermasse il comandante del DC-9 ai passeggeri nell’audio della scatola nera. Ma ci sono giornali che parlano di cielo nuvoloso sulla Campania, dove l’aereo di linea sarebbe precipitato, inoltre le mappe meteo di archivio dimostrano che sul mar Tirreno, la sera del 27 giugno 1980, potevano esserci vento e qualche temporale. Se anche sulla dinamica degli aerei, su cui si sofferma a lungo, Cucchiarelli è così impreciso c’è da preoccuparsi.

2) L’autore scrive che il DC-9 cadde perché il Mossad, per evitare che venisse trasportato in Libia, tramite il DC-9, un carico di uranio, gettò su un’ala dell’aereo di linea italiano dell’Itavia il motore di un A7 Corsair, che in seguito fu trovato nel mare nella zona della strage. Ma se Cucchiarelli avesse fatto meglio le sue ricerche nei giornali, che in parte cita, avrebbe capito che nel 1969 nel mare di Ustica era precipitato proprio un A7 Corsair, con forse un carico atomico. Nel mio libro che gli avevo mandato parlo proprio di questo episodio, peccato che lui si senta bravo e non lo legga.

3) Il giornalista Cucchiarelli romanzando un po’, cosa che un cronista non dovrebbe mai fare, immagina che il pilota del Mig23 libico precipitato sulla Sila stesse scortando il DC-9 e il carico di uranio. Avrebbe visto l’attacco del Mossad, sarebbe stato preso da rimorsi e sarebbe atterrato in un aeroporto segreto della NATO a Crotone (se non ricordo male). Qui i carabinieri lo avrebbero inviato con il suo aereo, già bucherellato dai colpi di mitraglia del Mossad, in Puglia in un altro aeroporto della NATO. Ma lui, ancora devastato dai rimorsi, si sarebbe suicidato. Bella storia. Però il francese Sablier affermò nel 1983 in un libro sul terrorismo che il Mig23 caduto sulla Sila era in perlustrazione sulle basi NATO del monte Mancuso e del monte Nardello e che fu abbattuto dalla stessa NATO. Io non so se andò così, però Cucchiarelli dimentica completamente di citare queste due basi. Ora, del fatto che il Mig fu abbattuto prove non ce ne sono, ma che un nemico degli americani come Gheddafi potesse mandare un suo aereo ad atterrare vicino alle basi che lui minacciava apertamente in quegli anni mi pare veramente fantascienza.

E vengo a un altro errore, che c’è, secondo il mio parere, nell’interpretazione della politica internazionale che emerge dalla lettura dell’intera inchiesta. Sullo sfondo di un antiamericanismo abbastanza marcato, Cucchiarelli sembra attribuire le due stragi, di Ustica e Bologna, alla fine di una politica double face di Italia e Stati Uniti durante l’era Carter, e cioè la fine di una politica estera che, sottobanco, permetteva al raìs Gheddafi di costruirsi in Libia un arsenale da guerra in grado di produrre la bomba atomica. Ossia, i servizi segreti israeliani, Gladio e la P2, già pronti a caldeggiare la salita al potere del più intransigente Reagan, avrebbero colpito i cittadini italiani a Ustica e Bologna per dare un segnale al nostro governo: smettila di giocare su più tavoli. Il che è plausibile, perché Carter fu accusato di aver permesso proprio questo emergere di dittature in Africa, dittature tuttavia ostili agli Stati Uniti. Il manuale di Sabbatucci lo specifica. Tuttavia, far credere, come a me è parso di capire dalla lettura del volume di Cucchiarelli, che Italia e Usa fossero alleati di Gheddafi fino al punto di cedergli gli aeroporti della NATO, mi pare un passo troppo azzardato.

Fino a che punto Gheddafi era padrone del territorio italiano? Quando ero adolescente un amico di mio padre (che lavorava come impiegato alla NATO...) scherzava polemicamente sul fatto che l’Italia stesse per diventare un protettorato della Libia. C’erano sicuramente degli infiltrati occidentali, come Ed Wilson, che rischiavano grosso inserendosi nel traffico di armi del raìs. E ce n’erano altri che si inserivano nella Brigate Rosse, commettendo furti e forse anche altro, prima di arrivare, se ci si arrivava, all’arresto dell’intera organizzazione. Lo stesso Cossiga si chiedeva, dopo la strage di piazza Fontana del 1969: fino a che punto sono infiltrati e quando inizia la vera complicità? Non è facile rispondere. In fin dei conti, gli Stati Uniti processarono e misero in galera Ed Wilson e il suo complice Frank Terpil. Allargare il doppio gioco di un solo uomo, o due, ai governi mi pare eccessivo.

Cucchiarelli omette il dossier Mifobiali, che ho letto e commentato in passato e che dimostra l’esatto contrario: i traffici tra il nostro governo e la Libia avvenivano nell’ambito di settori deviati e corrotti della nostra politica e del settore militare. Tanto è vero che questi criminali vennero accusati di aver ceduto materiale coperto dal segreto militare, come armi e radar della NATO, a Gheddafi, in cambio di un grosso affare nell’acquisto del petrolio libico. Come potevano, dunque, i servizi segreti israeliani colpire gli inermi cittadini del DC-9 e di Bologna se la politica filo-libica era, come da me più volte sostenuto, condotta da settori deviati della nostra politica di centro-sinistra? E’ evidente che concentrare una ricerca storica su due singoli episodi, eclatanti ma comunque circoscritti nel tempo, senza indagare, più in generale, sugli scopi politici del terrorismo italiano, ed estero, degli anni Settanta, è stato un errore di impostazione del lavoro di Cucchiarelli. E rimandare il lettore alle prossime puntate non mi pare un modo serio di procedere.