giovedì 18 agosto 2022

Draghi come Cavour: guerra in Crimea


A fine febbraio dell’anno di disgrazia 2022, il premier russo Putin ha deciso che la nazione Ucraina non doveva più esistere sulla carta geografica. Dopo circa otto anni di guerra di trincea nel Donbass, terra di confine contesa per questioni etniche, l’esercito russo si è lanciato in un’offensiva che ha ricordato tanti altri precedenti. L’Europa è passata dalla guerra al virus alla guerra vera, dalle medicine alle armi. 

Nel presidente Putin, ex gerarca del kgb, c’è sicuramente qualcosa di Hitler. Anche il Fuhrer iniziò la sua avanzata con la scusa che in Europa c’erano tanti tedeschi, della più pura “razza ariana”, che aspettavano solo lui per essere liberati: Sudeti, Austriaci, Polacchi, e inizialmente anche Italiani di Bolzano. 

Ma Putin vanta altrettanti precedenti illustri proprio a casa sua: nell’Unione Sovietica post bellica. L’Ungheria, la Cecoslovacchia, furono entrambe invase dai carri armati russi non appena provarono a liberarsi dal gioco marxista. E come non menzionare l’Afghanistan del 1979? Fu una situazione analoga a quella attuale. Una breve rivoluzione scoppiata a Kabul aveva fatto temere all’URSS di essere accerchiata. La CIA stava interferendo nei suoi affari? Il Cremlino decise di far scattare un’invasione. Il conflitto con i guerriglieri afghani durò circa dieci anni e fu l’inizio del tracollo, almeno sul piano militare, dell’Unione Sovietica. Decisivi furono gli aiuti militari che la CIA spedì attraverso il Pakistan ai mujaheddin afghani, tra cui, ma sarà proprio un caso, spiccava un certo Bin Laden...

Sembra che gli Stati Uniti stiano facendo di tutto per far capire al mondo che intendono ripetere in Ucraina quell'esperienza. La Nato, l’Europa, gli Stati Uniti per tutta la primavera del 2022 hanno lanciato la campagna: aiutiamo gli ucraini. Nel senso, non soltanto aiutiamoli a fuggire dai bombardamenti russi, che sono stati pesantissimi, ma forniamo loro anche aiuti militari. 

Protagonista dei nostri telegiornali è diventato il premier ucraino Zelensky, un giovane rampante che ricorda un po’ il nostro Matteo Renzi. Maglietta verde stile militare, sguardo penetrante, voce ferma, si è fatto riprendere quasi quotidianamente per dare la carica al suo popolo. Tutti sanno ormai la sua biografia: si tratta di un ex comico che, come Beppe Grillo, è riuscito a passare dalla satira al timone di un governo. E anche a far parlare di sé.

Ma certamente una differenza con il 1979 esiste. Intanto Zelensky non è Bin Laden, anche se i no-war, figli dei no-vax, ci hanno ricordato che dal 2014 gli americani armano un gruppo neonazista ucraino, che ad Al Qaeda non ha nulla da invidiare: il battaglione Azov.

Ma non è questo il punto. Il fatto è che nella prima guerra d’Afghanistan il supporto della CIA fu segreto! Almeno, non venne così sbandierato sui media come abbiamo visto ogni giorno nel 2022. Alcune indiscrezioni partirono solo dieci anni dopo con il libro-inchiesta di Cooley "Una guerra empia", nel quale finalmente comparivano prove dell'intervento americano. 

Lasciando da parte le questioni filosofiche sulle guerre ingiuste, c'è una differenza sostanziale tra le guerre statunitensi anteriori alla caduta del Muro di Berlino e quelle successive. Dopo l'invasione di Saddam Hussein, dittatore dell’Irak, il Kuwait chiese l'intervento dell'ONU, che in effetti ha potere decisionale per salvaguardare diritti umani e libertà dei popoli. Era il 1990, il mondo comunista a est si stava sgretolando. Da quel momento fu seguito questo principio: che la pace internazionale sarebbe stata nelle mani delle Nazioni Unite, come sancito dopo la seconda guerra mondiale. Ma questo organo supremo, già sistematicamente scavalcato da USA e URSS durante la guerra fredda, smise molto presto di funzionare a causa dei veti. Il sogno che i caschi blu, i soldati internazionali dell’ONU, fossero i moderni paladini della giustizia durò molto poco. E le vicende ucraine, da questo punto di vista, si avvicinano molto a quelle del Kuwait. I caschi blu restano sempre un sogno.

Perché, già alla fine degli anni Novanta, la Nato iniziò a invadere un ambito che non le competeva. Scavalcò l’ONU e decise i primi bombardamenti su Belgrado. Non contro i serbi, certamente, ma contro Milosevic, un altro dittatore sanguinario poi condannato dal tribunale internazionale dell’Aja. Era il 1999, stava cambiando la politica estera europea. Nelle guerre contro Bin Laden e Saddam, l'ONU si limitò a ratificare le scelte vendicative degli Stati Uniti.

Il Kuwait non era più democratico dell'Ucraina, e lo stesso può dirsi della Croazia di Tudjman, all’epoca alleata degli Ustascia fascisti. Vittime e carnefici sono a volte difficili da distinguere nelle guerre. Si fa fatica persino ad accettare le bombe atomiche lanciate dagli americani sul Giappone, alleato di Hitler, nel 1945. 

Il re del Kuwait non era più simpatico del presidente Zelensky, ma il problema non è nemmeno questo. Ciò che ci differenzia dal passato è la dichiarazione dei diritti dell'uomo. L’ONU dovrebbe garantirci l’applicazione di quei princìpi emersi dopo i disastri della seconda guerra mondiale. Invece tace. La possibilità di veto, offerta ancor’oggi ai russi, non ha alcun senso. Già dopo l’affare-Kuwait si invocava un ammodernamento delle Nazioni Unite. Nulla è stato fatto. 

E’ chiaro che tutto salta. Si può tornare indietro ai nazionalismi d’ottocento, come si torna alle armi, o alle guerre patriottiche. Draghi, che non è un politico di professione, ha parlato nel suo discorso di adesione agli aiuti militari per l’Ucraina di “equilibrio internazionale”. Ma queste cose le diceva Metternich dopo il Congresso di Vienna! noi dobbiamo rispettare i princìpi sacrosanti sanciti nel 1945. Altrimenti tante persone morirono per nulla.

C’è chi sui social ha lanciato in questi mesi la storia della provocazione: la Nato avrebbe continuato ad allargarsi sul territorio orientale fino a minacciare la Russia di Putin. E’ un ragionamento che non regge. La Nato è più un pericolo per la corruzione e le tangenti, che l'hanno caratterizzata nella sua storia, che per le provocazioni, visto che è un'alleanza difensiva e mostra di essere forte coi deboli e debole coi forti. Ma ci si dimentica che la Russia, negli anni Duemila, fu più volte sul punto di entrare nella Nato, perché era caduto il vero punto di scontro della guerra fredda: il sistema economico, capitalismo americano contro socialismo marxista. Con la Russia si era iniziato a trattare. 

Del presunto accerchiamento della Russia si discusse nel lontano 1997. Era il momento in cui le repubbliche baltiche si avvicinavano al Patto Atlantico. All’epoca Eltsin era impegnato a raccogliere i cocci della vecchia Unione Sovietica. Non poteva fare granché, se non cercare di guarire dal suo alcolismo, a causa del quale rimediava brutte figure in mondovisione. Nel frattempo, Putin, suo figlioccio e portaborse, salì al governo, lanciando una nuova propaganda nazionalista e “revanscista”; per recuperare cioè il prestigio della Russia degli zar e rinforzare l’economia. La Nato dov’era? Fino a ieri ha tergiversato. La situazione è esplosa, ma poco alla volta: dalle minacce di Putin alla Georgia si è passati al Donbass, alla rottura sulla lotta al terrorismo islamico, e poi alla Crimea.

Il discorso di Draghi sull'invio di militari nella guerra ucraina, unito ad aiuti umanitari, è apparso freddo, frutto di calcoli strategico-militari, e molto più vicino alla politica ottocentesca di Cavour, fautore del celebre intervento in Crimea di metà Ottocento. E’ un qualcosa che stona. Devia dal percorso storico compiuto dall’Europa. E allora rileggiamoci un brano del discorso che fu pronunciato in parlamento il giorno in cui il Regno Sabaudo decise l’invio del famoso contingente militare in Crimea. Una guerra inutile, ma che sarebbe servita a Cavour per trattare con le nazioni europee la liberazione dell’Italia. Le similitudini con l’attualità non sono una nostra provocazione: “Gli esempi della storia, l’antiveggenza del futuro, le nobili tradizioni della casa di Savoia, tutto s’univa onde scostare il Ministero da una politica timida, neghittosa, e condurlo invece per l’antica via seguita dai padri nostri, i quali conobbero la vera prudenza stare nell’onore di essere partecipe ai sacrifici ed ai pericoli incontrati per la giustizia ond’essere a parte poi della cresciuta riputazione, ovvero del beneficio dopo la vittoria.” (Fonte: il giornale svizzero Gazzetta Ticinese del 29 gennaio 1855)

sabato 13 agosto 2022

Clima, una grande bufala per proteggere le industrie?

 

Continuano a uscire a getto continuo articoli di grandi giornali in cui si tenta di dare i numeri del lotto, nel senso che vengono proposte al lettore le previsioni più catastrofiche possibili sui cambiamenti del clima di qui a 30-50 anni, o forse più. Mi avvicino ai 50 anni di vita e direi che ne ho passati almeno la metà a leggere previsioni come queste, che lasciano le cose come stanno.

L’ultima sparata pubblicata dal quotidiano cattolico Avvenire arriva dalla Cina, uno Stato governato da una dittatura comunista, ateo per giunta, che ha avviato da tempo una pianificazione per creare un clima artificiale, proprio sulla scorta delle scoperte del professor Dessens e dei suoi colleghi. Eppure la Cina in Italia riesce a far pubblicare una previsione catastrofica secondo cui Milano diventerà come il Texas e le estati dureranno il doppio. Sembra una presa in giro: cambia il clima? Sono cavoli vostri, noi abbiamo già risolto. 

Non solo. Il tutto è corredato dalla notizia che 11mila scienziati, come al solito anonimi, hanno sottoscritto una petizione per salvare l’umanità da “sofferenze indicibili”. Per far leva sulla psiche della popolazione, viene utilizzato sempre il solito sillogismo aristotelico, che sulla base di una premessa conduce a una soluzione obbligata: tutti lo dicono pertanto inutile discuterne, è tutto vero. Abbiamo sperimentato di recente con i virologi che gli scienziati raramente sono d’accordo e che le loro personalità emergono con prepotenza in tutti i dibattiti televisivi.

No, non riceviamo notizie credibili. Voglio pertanto segnalare alcune incongruenze piuttosto gravi che ho notato in questa storia del clima che cambia. Avrei voluto risparmiarmelo, perché si tratta di entrare nello specifico di altre materie, come la Chimica, che non conosco così bene. Però so distinguere l’anidride carbonica dall’acido carbonico. Arrhenus è il padre delle moderne teorie sul riscaldamento globale. Ma nel suo testo non parla mai di anidride carbonica, che ha la formula: CO2, bensì di acido carbonico, con formula: H2CO3. Ho riletto più volte il capitolo sul riscaldamento globale e lui è molto chiaro, non ci sono dubbi: la temperatura della terra aumenta per colpa dell’acido carbonico. Come si è arrivati, allora, all’anidride carbonica? Spero che qualche professore di Chimica mi scriva e mi aiuti a capire. 

Seconda grossolana discrepanza: anche i più dettagliati articoli sul riscaldamento globale, usciti in epoca recente su giornali britannici come carbonbrief.org, affermano che le eruzioni vulcaniche abbasserebbero la temperatura della terra. Cioè le eruzioni avrebbero una funzione mitigante rispetto al riscaldamento dovuto alle combustioni di petrolio. Arrhenius afferma anche qui con fermezza una cosa molto diversa: che sono le eruzioni vulcaniche le principali responsabili di aumento di acido carbonico nell’atmosfera e quindi degli aumenti di temperatura sulla terra. E’ l’esatto opposto. Ora, trattandosi chiaramente di combustioni a me viene facilmente da dedurre che Arrhenius abbia ragione e gli altri abbiano capito fischi per fiaschi. E questi ultimi avrebbero anche il movente del loro delitto: rendere le combustioni da idrocarburi le uniche colpevoli degli aumenti di temperatura e quindi delle catastrofi climatiche. 

Ma anche se fosse vero quanto affermano gli attuali anonimi scienziati, come possiamo passare all’azione se non abbiamo la più pallida idea di come ridurre le emissioni di gas serra? Andando per tentativi? Togliendo dalla circolazione prima tutte le automobili col motore a scoppio e guardando se il termometro sale o scende? Di fatto, come avrete letto sui giornali, non ci è stato dato il tempo di rifletterci sopra. Il Parlamento europeo ha deciso subito di agire in modo draconiano. Ha proibito dal 2035 la vendita di auto con motore diesel o benzina. Con quali risultati futuri? Con quali aspettative? Su questo ho provato ad aprire discussioni su Twitter ma regna la più assoluta omertà. 

Eppure ne abbiamo date di informazioni da queste colonne! Basterebbe guardare l’esperimento del professor Dessens. Gli utenti francesi, scherzando, hanno commentato: ecco i cambiamenti climatici! E in effetti non fa una piega: erano combustioni di carburante che producevano effetti sul clima. Ma è altrettanto evidente che questi effetti, modestissimi, si materializzano solo dopo l’immissione in atmosfera di enormi quantità di gas serra in pochi chilometri quadrati. Inoltre, le industrie, seguendo questa mia analisi, diventerebbero le principali sospettate del cambiamento climatico, sempre ammesso che i disastri a cui assistiamo non siano imputabili ad altri fattori: esperimenti con lo joduro d’argento? Cataclismi naturali inevitabili? 

Una risposta io ce l’avrei, ed è molto più precisa di quella che arriva da organi politicizzati come l’IPCC (nel quale gli studi degli scienziati sono soggetti all’approvazione del Parlamento Europeo...) o come il CMCC (quest’altro molto contestato perché fu un’idea addirittura del Berlusca). La soluzione del giallo probabilmente ce la forniva il professor Robert Edward Munn, detto Ted. Fu un meteorologo canadese, morto quasi centenario nel 2013, e fu ideatore di uno studio sugli effetti del riscaldamento globale sulla fisica dell’atmosfera. In un articolo del quotidiano La Stampa, datato 1979, a margine di una conferenza sul clima prese la parola, senza nascondere il nome, e fece degli esempi concreti di modifica del meteo: “Le perturbazioni arrivano dall’Europa all’Atlantico settentrionale. Ebbene la loro velocità e la loro direzione possono essere influenzate da fonti di calore artificiale e da inquinamenti. Alle perturbazioni atlantiche di origine naturale si possono aggiungere quelle dovute, per esempio, a un ciclone che attraversando regioni disboscate dell’America ha sollevato e trasportato nella stratosfera tali quantità di polvere da formare una coltre. Questa coltre assorbe i raggi solari con conseguenze immaginabili: freddo, nuvolosità e via di seguito.” Munn qui sembra spiegare il comportamento dei cicloni invernali negli Stati Uniti. Ma ancora, altra perle: “Il gas krypton, emesso in quantità accettabili per la salute umana, può cambiare a lungo termine i campi elettrici nell’atmosfera, con aumento delle perturbazioni.” Mario Fazio, il giornalista della Stampa aggiungeva altri dettagli, sintetizzando probabilmente il pensiero di Munn: “Modelli matematici e ricerche dirette del Centro americano per l’atmosfera confermano che tutte le centrali termoelettriche provocano aumenti di temperatura valutati fino a 8 gradi centigradi sopra il Canada e la Siberia.” Qui invece si intravede quello che per i meteorologi è attualmente il Vortice Polare, che d’inverno si forma, si rinforza, si approfondisce e provoca siccità o grandi nevicate a seconda dei suoi movimenti proprio tra Canada e Siberia. Lo stesso Gino Papuli, nello spiegare i progetti futuri della Francia coi meteotroni, affermava che si pensava, nel 1987, di utilizzare, per formare aria calda, tutte le torri di raffreddamento delle centrali termoelettriche, poiché al contrario dei bruciatori di Dessens producevano calore a costo zero. 

Dunque, eccola la connessione diretta causa-effetto del cambiamento climatico. Quando si chiede di agire, si può andare dritti alla soluzione. Ma perché, se ci si tiene tanto al clima, l’Enciclopedia del cambiamento climatico, redatta da Ted Munn, viene venduta a 4.500 dollari nuova e 1.300 dollari usata?

venerdì 12 agosto 2022

Il sogno infranto del professor Dessens

Che futuro avrà la scoperta che i ricercatori mediorientali hanno presentato su nature.com? Ce la faranno i meteotroni del 2022 a “fabbricare” l’acqua tanto agognata in questi anni di crisi climatica? Abbiamo lasciato i lettori col dubbio e non ci pareva giusto congedarci da loro senza un piccolo approfondimento. Dunque, quella che vi abbiamo esposto è una scoperta sensazionale oppure no? La risposta è no, ma anche sì. Vediamo prima perché non lo è, e poi perché il fallimento potrebbe essere una bugia. 

Abbiamo fatto una ricerca sul web per recuperare altre informazioni sui meteotroni. In effetti, le testimonianze dopo l’ultimo nostro articolo sono aumentate. Il sito ina.fr, ad esempio, ha recentemente divulgato le interviste che rilasciò nei primi anni ‘60 il professor Jean Dessens. Chi era costui? Molti blog se ne sono già occupati. Fu un professore dell’università di Clermont Ferrand al quale venne un’idea. Aveva notato che dopo grandi incendi, o addirittura in seguito a pesanti bombardamenti della seconda guerra mondiale, il calore che saliva verso il cielo andava ad interagire con l’aria più fredda presente alle alte quote dell’atmosfera. Risultato, si formavano nubi e in qualche caso addirittura temporali. Nacque il meteotrone, con lo scopo di generare pioggia per le popolazioni del Congo. La Francia, dopo il test nel deserto del Sahara con la bomba atomica, continuava a mostrare i muscoli all’interno della NATO. 

8 novembre 1961. La televisione visita il centro sperimentale di Lannemezan, sui Pirenei francesi. Una serie di ben cento bruciatori, collocati su un terreno arido, provoca, davanti alle telecamere, un fumo nerissimo che sale verso il cielo e genera cumuli nuvolosi, poi nuvoloni neri (come si vede anche nel disegno del quotidiano La Stampa). 

Dunque test riuscito? Si respira grande ottimismo. In realtà, un articolo del 18 marzo 1987, pubblicato sulla Stampa a firma di Gino Papuli, ci dice che la risposta è no. Dopo 25 anni di esperimenti i risultati erano terribilmente scarsi. Il progetto era stato ribattezzato ottimisticamente “cocagne”, cuccagna, ma di acqua se n’era vista pochissima. Furono sperimentate tre generazioni di meteotroni, l’ultimo dei quali in grado di sviluppare una potenza di mille megawatt - spiegava Papuli - ovvero l’equivalente di una centrale termoelettrica, consumando 150 tonnellate di carburante in un’ora e mezza di autonomia. Furono condotti 110 test dal 1961 al 1987: nel 52% dei casi si ebbero nuvole, ma solo nel 5% la combustione diede frutto portando delle “pioggerelle”. Quindi su cento tentativi, 2-3 soltanto produssero qualche risultato. Tutto questo consumando tonnellate e tonnellate di carburante. Era un vero fallimento. Eppure, l’articolo ci annunciava che la Francia non demordeva. Gli esperimenti proseguivano. E qui ci sorge il dubbio. Perché continuare ad investire soldi pubblici per 25 anni in un progetto privo di speranze concrete? La risposta probabilmente è negli altri articoli che ci erano comparsi nel motore di ricerca del quotidiano La Stampa, cercando appunto il nome di Dessens. 

Dobbiamo tornare indietro di 22 anni. 21 maggio 1965: il Piemonte è alle prese con una terribile siccità e il governo ha annunciato alla popolazione in tv di voler provocare la pioggia con lo joduro d’argento. Ce lo spiega un articolo di piede del quotidiano torinese che accompagna la cronaca locale: “furiosi temporali” hanno appena colpito la regione. Cos’è lo joduro d’argento? Anche di questo il nostro blog si era occupato già varie volte. Secondo l’articolo della Stampa firmato da Giberto Severi, si trattava di una sostanza nata con lo scopo di impedire la caduta della grandine e poi via via impiegata per favorire la pioggia. E’ come “un calcio nel sedere dato a un mulo lento ad avviarsi”, dove il mulo sarebbero le nuvole. Così si esprimeva un esperto del centro meteo di Fiumicino nell’articolo di Severi. E chi era l’ideatore di questo rimedio? Ma naturalmente lui, il professor Dessens, con l’aiuto di un altro scienziato, lo svizzero Sanger, e di un chimico americano, Irving Langmuir. Dessens si era accorto che con pochi grammi di joduro poteva produrre tanti millimetri di pioggia su svariati chilometri quadrati di territorio. Come sappiamo, su questi risultati non c’è mai stato accordo tra gli scienziati. Si disse: non sapremo mai se quelle nuvole potevano produrre pioggia anche senza joduro. Ma se le nuvole fossero state autoprodotte da un altro esperimento? Il discorso sarebbe stato diverso. 

E allora forse qualcosa la Francia ci nasconde. C’è solo un articolo, molto datato in verità, del 27 marzo 1964, in cui il giornalista, che si firmava con lo pseudonimo di Didimo, presentava la nascita del meteotrone, in Francia, proprio con lo scopo di unire la formazione delle nuvole all’inseminazione delle stesse con lo joduro d’argento, che non stava fornendo i risultati che erano stati sognati. 

Dunque, attenzione: anche la scoperta di due mesi fa degli scienziati mediorientali non va sottovalutata, perché rappresenta un tentativo di costruire meteotroni di nuova generazione, che consumino meno carburante e offrano la massima resa. Sempre che tutto vada come nei sogni di Dessens...

Scoperta una tecnica per creare temporali artificiali


Il 7 giugno 2022 è stato presentato sul sito nature.com un interessante esperimento sul clima.

Una equipe di scienziati del medioriente sembra sia riuscita a generare dei temporali artificiali alimentandoli da terra con un getto di aria calda, simulando, pertanto, l'attività delle correnti ascensionali naturali. 

"In questo lavoro vengono presentati i risultati dello sviluppo di un modello matematico e della simulazione numerica della risalita in atmosfera di un getto diretto verticalmente alimentato dal calore di condensazione del vapore acqueo su un aerosol igroscopico introdotto nel getto in partenza. È stata valutata la possibilità di creare nubi convettive artificiali in funzione dei parametri del getto, del potere calorifico di condensazione e dei profili verticali della velocità del vento, della temperatura e dell'umidità dell'aria."

Questa l'introduzione del lavoro degli scienziati, i quali non fanno altro che proseguire la ricerca tecnologica sui meteotroni, di cui già questo blog si era occupato. Alcune macchine per generare da terra le nubi furono utilizzate sicuramente dai francesi sui Pirenei. Erano gli anni Sessanta del secolo scorso. Gli esperimenti, documentati dal quotidiano La Stampa, ebbero risultati sconosciuti.




L'esito del più recente test, di cui vedete qui sopra alcune foto, sembrerebbero incoraggianti, almeno per chi crede che la tecnologia possa integrare le carenze di pioggia naturale. Ecco le conclusioni degli scienziati.

"La creazione di nubi artificiali e precipitazioni con l'aiuto di un getto reattivo diretto verticalmente con rifornimento è possibile in condizioni atmosferiche favorevoli, che sono vicine, ma non hanno ancora raggiunto le condizioni di sviluppo naturale. La gamma di condizioni favorevoli per stimolare la convezione delle nubi è notevolmente ampliata grazie all'uso di un aerosol igroscopico come nucleo/guscio NaCl/TiO2."

In buona sostanza, le condizioni che la natura ci deve offrire perché questo esperimento vada a buon fine sono facilmente raggiungibili: pressione dell'aria alta ma non troppo, calma di vento e una discreta umidità (sul 66%). Poi ci penserà il meteotrone a favorire artificialmente la risalita di aria calda. Ma, per un risultato ottimale, gli scienziati consigliano di piazzare l'attrezzatura in media montagna, sopra i 1100 metri di altitudine, in modo da essere più vicini all'area in cui si generano in natura i cicloni temporaleschi. 

Attenzione soltanto a un particolare. Tra gli scienziati citati in bibliografia compare anche un certo L. G. Kachurin. Non è uno scienziato qualunque. Fu molto attivo in guerra fredda al servizio dell'URSS. Redasse un documento molto preciso, corredato da illustrazioni, sulle modifiche artificiali del clima. Era il 1978. Lo studio fu intercettato e tradotto dalla CIA. È presente nell'archivio Foia, sebbene sia in parte censurato. Kachurin a noi sembra fosse molto più avanti rispetto a questa tecnologia dei meteotroni. Nell'introduzione del suo saggio accennava a nuove tecniche di modifica della stratosfera, che avrebbero permesso di generare disastri meteorologici capaci di annientare intere popolazioni, e per questo auspicava un accordo internazionale di pace. Purtroppo l'analisi dettagliata di queste tecnologie non è disponibile nell'estratto presente in archivio.

Ci pare a questo punto doveroso aggiungere che la politica dovrà fare buon uso di queste tecnologie, informando adeguatamente la popolazione e assumendosi le responsabilità di eventuali, sempre possibili, errori negli esperimenti. Sembra scontato dire queste cose, ma non lo è.