martedì 24 aprile 2018

Le indagini parallele della Civilavia

Douglas DC-8-43 I-DIWB "Antonio Pigafetta" dell'Alitalia, precipitato il 5 maggio 1972 in fase di atterraggio contro Montagna Longa vicino all'Aeroporto di Palermo-Punta Raisi. Foto in pubblico dominio su Wikimedia Commons

“Dobbiamo poi rilevare che in Italia manca un ente preposto alle inchieste sugli incidenti aerei.” Così si esprimeva, in un dibattito alla nona commissione della Camera, Ermanno Lotti, presidente di Avianova. Era il 24 ottobre 1989. Della mancanza di un ente che indagasse sugli incidenti aerei si era parlato in quel periodo anche a Telefono Giallo, la popolare trasmissione della Rai condotta da Corrado Augias. Il caso limite di questa grave carenza era proprio la strage di Ustica. Ma come poteva mancare un ente statale che facesse luce sui disastri del cielo, se su Wikileaks stiamo leggendo di inchieste della Civilavia condotte per tutti gli anni Settanta a braccetto con gli americani?
“Tale struttura esiste nella totalità dei paesi aderenti all'ICAO ad eccezione dell'Italia - proseguiva nella sua analisi Lotti -, dove nel caso di incidente, secondo quanto previsto dal codice della navigazione, l'inchiesta tecnica formale viene condotta dal ministro dei trasporti con la partecipazione di rappresentanti di Civilavia, del RAI, dell'ANAV e di sindacati di categoria: tutti enti che, in linea di principio, possono avere responsabilità nell'evento stesso.”
Dunque delle indagini della Civilavia i politici della prima repubblica erano al corrente, ma ne diffidavano. Sapevano di inventare un qualcosa che già esisteva, un doppione. Non stiamo creando un controllore dei controllori, si difendevano. E vogliamo credere che non sapessero che questo ente collaborava con l’ambasciata statunitense?
Civilavia era la sigla che identificava all’epoca la direzione generale dell’Aviazione Civile. Il suo compito principale era di essere “responsabile del controllo dei manuali di volo e di autorizzare le autolinee a seguire determinate rotte”. Ma soprattutto faceva capo al Ministero dei Trasporti e pertanto avrebbe dovuto mettere a disposizione della magistratura ogni elemento che fosse utile per le indagini. Al contrario, come abbiamo visto, Civilavia chiamava l’ambasciata statunitense e conduceva indagini parallele a quelle della magistratura ordinaria. Fu emblematico il caso dell’aereo 897 dell’Itavia caduto a Torino il primo gennaio del 1974. I morti furono 38. Il 30 settembre del 1974 l’ambasciatore statunitense scrisse di essersi informato sulle indagini della magistratura sull’incidente e di aver riscontrato due problemi: uno, l’impossibilità di decifrare la scatola nera, due, il rifiuto del magistrato di rilasciare documenti da sottoporre all’analisi degli esperti.
Se da un lato mi era parso positivo questo interessamento statunitense laddove i giudici italiani non riuscivano a concludere granché, ora comincio a intravedere non più un aiuto esterno degli Usa verso degli italiani in difficoltà, bensì un solido legame politico-militare tra il Ministero, cioè un organo istituzionale dello Stato italiano, e uno Stato estero.
Il 18 febbraio 1975, alle 14 e 11 minuti, l’ambasciatore John Volpe scrisse al dipartimento di Stato americano che i giudici italiani chiedevano collaborazione agli investigatori statunitensi. I magistrati che indagavano sul disastro aereo del 5 maggio 1972, allorché un aereo Alitalia 112 si schiantò a Montagna Longa, in provincia di Palermo, provocando 115 vittime, avevano messo sotto processo il generale Santini, ex direttore generale di Civilavia. Motivo? Per negligenza. Volpe non era del tutto contrario a una collaborazione, ma criticava l’operato dei giudici italiani.
La contrapposizione a questo punto mi pare evidente. Gli americani si tenevano informati sul traffico aereo italiano usando la Civilavia come tramite per interpellare il nostro governo. Appare chiaro da altri cablogrammi.
Senza credere molto in quello che facevo, sono andato a cercare qualche spiegazione nel manuale di medicina legale militare aeronautica che mio nonno scrisse nel 1968. Non mi aspettavo grosse novità e invece qualche passo in avanti dovrei averlo fatto. L’organigramma dell’aeronautica comprendeva a quell’epoca sia militari sia civili. Tra questi ultimi, oltre ai ruoli amministrativi, che comprendevano il direttore generale, l’ispettore generale, il direttore di divisione, eccetera, c’erano anche il personale civile di ruolo nelle carriere di “concetto”, il personale ausiliario, il personale civile dei ruoli aggiunti, il personale civile non di ruolo, i cosiddetti “avventizi”, e infine i direttori degli aeroporti civili, che erano suddivisi in tre classi: prima, seconda e terza.
E’ proprio su quest’ultima categoria che ho trovato dei punti in comune con la Civilavia. Il quotidiano La Stampa negli anni Ottanta pubblicava articoli per annunciare la promozione, o la retrocessione, di un aeroporto piemontese all’interno di una di quelle tre categorie. Il 22 maggio del 1984 nell’articolo: “Ma l’aeroporto non decolla”, Gianni Bisio della Stampa affermava che il consiglio di amministrazione di Civilavia aveva stabilito che l’aeroporto di Caselle sarebbe stato declassato da “aeroporto di primaria importanza” ad “aeroporto di secondaria importanza”. Specificava poi che la “circoscrizione aeroportuale del Piemonte-Valle D’Aosta” passava da un “dirigente superiore di Civilavia a un primo dirigente”. Mi è parso di vedere delle coincidenze con il manuale di mio nonno. Se così fosse, il personale di Civilavia sarebbe civile solo di nome, ma dipenderebbe direttamente dall’Aeronautica Militare, con tutti gli annessi e connessi in caso di processo, visto che la costituzione predispone che i luoghi e il personale militare siano di competenza di un tribunale militare.
Ma allora cosa pensare delle divise dell’aviazione civile che indossavano i brigatisti in via Fani il 16 marzo del 1978? La risposta più semplice è quella che fornirono i giornali esteri in quegli anni: i terroristi avevano a disposizione molto materiale di provenienza ministeriale. Persone molto informate su questi fatti, tuttavia, vanno oltre e azzardano: i brigatisti non avevano solo degli infiltrati nelle istituzioni. Tra i carabinieri circolava la voce che avessero ricevuto un addestramento militare.