giovedì 24 aprile 2014

L'ombra dello stalinismo sulla morte di Mattei


Enrico Mattei fu l’artefice, alla fine degli anni ‘50, di un esperimento di politica economica ambizioso e coraggioso, che forse gli costò la vita. Riprendendo l’Agip di Mussolini e promuovendo la nascita di un ente statale che gestisse le risorse petrolifere in Italia, ossia l’Eni, Mattei attuò una politica filo-sovietica, dirigendo un’azienda statale in regime economico di monopolio; un’azienda pubblica che per giunta funzionava. Quel miracolo si dissolse con la morte del dirigente marchigiano, forse per un attentato progettato dai servizi segreti francesi, il 27 ottobre del 1962 a Bascapè, quando l’aereo presidenziale urtò nell’atterraggio alcuni alberi e prese fuoco. Prima ancora di Mattei erano stati i padri fondatori della Democrazia Cristiana a credere nel rilancio dell’economia italiana su basi nuove rispetto al Fascismo. In un incontro a Camaldoli, durante la seconda guerra mondiale, Aldo Moro e altri leader della DC lanciarono l’idea di ricostruire l’Italia attraverso un anticapitalismo cattolico di solidarietà sociale. Nacque così un compromesso tra più forze politiche, in particolare democristiani e socialisti, che trovò il punto di incontro nella conservazione dell'Iri, un ente pubblico di gestione di aziende inserite nel libero mercato, e la nascita di nuove realtà come l’Eni (l'azienda monopolista di Mattei), l’Efim (ente di gestione), e soprattutto l’Enel (azienda monopolista). Si può dire che la morte di Mattei pose fine al boom economico e da quel momento gli enti di Stato passarono, dall’essere il traino dell’economia, a erogatori di finanziamenti occulti, i cosiddetti oneri impropri, e strumento di costruzione del consenso dei politici. Questo deterioramento della politica economica italiana viaggiò parallelamente alla crescita in Italia del Partito Comunista, che, secondo uno studio della sinistra rivoluzionaria, sembrava guardare con favore allo sviluppo di un capitalismo di Stato in chiave antistatunitense. La DC cercò di contrastare un possibile deragliamento verso il collettivismo attraverso la politica neocapitalistica del direttore della Banca d’Italia, Guido Carli, che portò alla scalata dell’Eni alla Montedison tra il 1968 e il 1969, con la finalità di tutelare il capitale privato.

mercoledì 16 aprile 2014

Donne nude nel "Parlamento" italiano?


Il Cavaliere avrebbe avuto la brillante idea di istituire a Villa La Certosa, in località Punta della Volpe, in Sardegna, una "sede alternativa di massima sicurezza per l'incolumità del presidente del consiglio, dei suoi familiari e dei suoi collaboratori e per la continuità dell'azione di Governo". Un fatto confermato da un documento del Copasir, il quale, oltre a ricordare la funzione istituzionale della zona, faceva cenno qualche anno fa al Segreto di Stato opposto da Gianni Letta contro un'indagine che la Procura di Tempio Pausania stava tentando di avviare, nel 2005, su questa imperiale villa al mare. Ma in questo documento manca proprio il nome di Berlusconi. Inoltre secondo Wikipedia, Berlusconi non avrebbe Villa La Certosa, bensì Villa Certosa, che si trova a Porto Rotondo, una frazione di Olbia, nei pressi di Punta Lada. 

sabato 12 aprile 2014

La via parallela che porta a De Morpurgo Varzi


Uno degli azionisti di maggioranza della Banca Commerciale di Lugano nei primi anni '80 era Domenico De Morpurgo Varzi. Fu fatto il suo nome sui giornali svizzeri (il Corriere del Ticino) nel momento in cui la BCL si apprestava ad allargare la sua influenza anche su Zurigo, il 3 ottobre del 1985. Potrebbe aver lavorato al fianco di Rovelli, per poi essere sostituito dall'industriale solbiatese al vertice del consiglio di amministrazione quando fu il momento di inglobare la Banca Rasini, nel 1984. Ma c'è anche una storia di Tangentopoli che lo riguarda. Stando infatti alle accuse del finanziere italiano Florio Fiorini, direttore dell'ENI che fu arrestato a Ginevra nel febbraio del 1993, De Morpurgo Varzi lo avrebbe ricattato chiedendogli molti soldi, circa 6 miliardi di vecchie lire, per non rivelare i segreti del "Conto Protezione". Era la cassaforte della Loggia P2 di Licio Gelli, il conto bancario svizzero le cui tracce furono trovate dai magistrati a casa del "Venerabile".



Il triangolo Rovelli-Savoia-Svizzera


Nino Rovelli aveva costruito un impero finanziario parallelo in Svizzera, non solo a Lugano ma anche a Ginevra. La notizia era uscita in Italia nel 1987, sul periodico Il Mondo, ed era rimbalzata rapidamente oltralpe. Rovelli controllava sia la Banca Commerciale di Lugano, sia la Worms e la Atlantis di Ginevra. La novità è che da questo indizio è stato possibile scoprire, andando a scavare nell'emeroteca di Lugano, un intreccio che da Rovelli porta fino al principe Vittorio Emanuele di Savoia. Il fulcro degli affari di Rovelli sarebbe proprio la Banca Commerciale di Lugano. Secondo un articolo dell'11 maggio 1984 uscito sul Corriere del Ticino fu controllata fin da quel primo periodo da Nino Rovelli, ed ebbe in Vittorio Emanuele di Savoia un finanziatore e collaboratore d'eccezione. Il principe avrebbe lavorato alla BCL negli anni '60 come esperto di borsa. La storia di questo gruppo entrò nelle cronache italiane verso la metà degli anni '80, quando la Banca Commerciale di Lugano acquistò (nel 1984) la maggioranza delle azioni della Banca Rasini, un istituto bancario su cui la magistratura italiana aveva indagato nel 1983 per il sospetto che al suo interno si nascondessero i soldi e i traffici della mafia; quella dei "Colletti Bianchi" di Milano, facente capo tra gli altri anche a Vittorio Mangano, amico di Marcello Dell'Utri e stalliere di casa Berlusconi.




martedì 8 aprile 2014

Ecco l'origine delle nostre aziende pubbliche


Le circa 7000 aziende pubbliche di cui si parla in Italia vengono da molto lontano. I primi isolati esperimenti avvennero a fine '800, quando il nuovo stato unitario intervenne con fondi pubblici nella gestione della cantieristica navale, delle ferrovie e delle acciaierie. Ma fu il Fascismo, per cause di forza maggiore, a dover ricorrere a questo tipo di politica economica. Accadde dopo la grande crisi del 1929, quando banche e industrie si trovarono in difficoltà e la dittatura intervenne creando degli enti di salvataggio: l’IRI, che avrebbe dovuto sanare e rivendere ai privati le aziende in crisi, e l’IMI, una banca erogatrice di fondi pubblici. Nel 1926 era già nato un ente statale per la ricerca del petrolio: l’Agip. Poi con la politica economica di Alberto Beneduce, ex antifascista e consigliere di Benito Mussolini, dal salvataggio si passò a una pianificazione aziendale dello Stato. Ciò si verificò nel momento in cui, nel 1937, l’IRI divenne un ente permanente e il Fascismo prese la strada dell’autarchia. Queste notizie, che in gran parte provengono da un bellissimo libro di Ernesto Cianci sulla nascita dello stato imprenditore, non sono però sufficienti a offrire un quadro politico completo. Il concetto delle nazionalizzazioni, più che al Fascismo, il quale credeva, in una sua prima fase, nell’impresa privata e nel corporativismo, ci porta verso Marx ed Engels. Essi infatti erano convinti che la via verso il comunismo passasse attraverso la statalizzazione delle industrie e la distruzione dello Stato borghese, reso ormai inutile dalla rivoluzione proletaria. Durante la guerra fredda i paesi sotto l’influenza dell’URSS realizzarono, anche se solo in parte, questo programma.