mercoledì 23 agosto 2017

Un’autobomba pronta in via Fani nel 1978



La scena del crimine in via Fani il 16 marzo del 1978 (foto Ansa in pubblico dominio). Con la scritta in basso abbiamo indicato la Mini Cooper con la bomba.

Una bomba “devastante” era pronta a esplodere in via Fani, il 16 marzo del 1978, dopo il sequestro del presidente Aldo Moro. Lo scoop fu del settimanale L’Europeo, che andò in edicola quattro giorni dopo la strage con un’inchiesta sconvolgente. Ma la notizia diventa ancora più sconcertante se riscoperta nel 2017. Una bomba che avrebbe potuto uccidere centinaia di persone, fra cui magistrati, poliziotti, carabinieri, mentre eseguivano i rilievi in via Mario Fani, era stata piazzata su una Mini Cooper verde con il tettuccio nero. I terroristi avrebbero dovuto azionarla per mezzo di un telecomando a distanza, proprio come avvenne nel 1992 con gli attentati ai magistrati Falcone e Borsellino. La stessa dinamica. Perché non lo fecero ce lo spiega un documento della Stasi, la polizia politica dell’ex Germania Est, grazie alla quale il progetto criminale riemerge dall’insabbiamento. “Come una distrazione per la polizia, i colpevoli avevano parcheggiato una macchina con una bomba a orologeria con detonatore vicino alla scena del crimine.” Da Wikimedia Commons si può scaricare un’immagine in pubblico dominio nella quale si nota la macchina incriminata, in una visuale inedita dall’alto. Era stata parcheggiata sul lato opposto della strada, di fronte alle auto crivellate di colpi. Mentre avvenivano i rilievi, c’erano due carabinieri piazzati al suo fianco. Gli inquirenti smentirono quasi subito queste voci, ma furono smentite "con una categoricità fin troppo sospetta”, scriveva il Corriere della Sera il 20 marzo, il quale considerava depistaggi invece le notizie secondo cui i rapitori avrebbero usato armi sovietiche.

venerdì 18 agosto 2017

“Il terrorismo islamico? E’ sostenuto dalla destra”


In un reportage di M. Antonietta Calabrò del febbraio 2001 si parlava sul Corriere della Sera dei fiancheggiatori di Osama, lo sceicco del terrore, quando ancora le sue gesta deprecabili erano appena agli inizi. I servizi segreti tedeschi del Bnd, quelli che una volta lavoravano al “cervellone” di Wiesbaden nella ex Germania Ovest, avevano lanciato un allarme rosso per il G8 di Genova, sostenendo che “Bin Laden, il king maker del terrorismo islamico, avrebbe iniziato a finanziare gruppi di naziskin in tutta Europa, affinché essi possano portare a compimento attentati e azioni violente nel nostro paese durante il vertice dei capi di Stato e di governo che si svolgerà tra cinque mesi nel capoluogo ligure.” La giornalista Calabrò interpretava queste notizie, che arrivavano a margine di un convegno sul futuro dell’antiterrorismo, come l’indizio chiave che all’interno dei "No global", ve li ricordate? allora andavano tanto di moda, ossia “sullo spontaneismo dei contestatori della globalizzazione” si stava inserendo “chi vuole ottenere una platea globale per qualche atto clamoroso”. A sostenere questa tesi c’erano nomi illustri del nostro sistema giudiziario e parlamentare, i quali ora fingono di dimenticarsi di queste parole e non sanno trovare una soluzione al fenomeno del terrorismo islamico.

martedì 15 agosto 2017

Dissidenti sovietici e migranti traditi dall’Italia


Il 26 dicembre del 1969 vi fu sull'Autosole, tra Roma e Firenze, un inconsueto incidente che vide coinvolto Arkady Belinkov, uno scrittore dissidente russo che nel 1968 era “evaso dall’inferno” dei paesi socialisti ed emigrato negli Stati Uniti. Dopo il Natale del 1969 si trovava in Italia con la moglie per un ciclo di conferenze. Sarebbe stato inseguito e tamponato dai servizi segreti russi del KGB, che lo cercavano per ucciderlo. Il Corriere della Sera nella stessa pagina nella quale dava spazio, come fece Araldi nel suo libro, alle parole del dissidente, dimostrò il 10 gennaio del 1970 che la ricostruzione non reggeva affatto. Un incidente c’era stato, intorno alle 17 del 26 dicembre 1969, ma la moglie di Belinkov, Natalia, ai poliziotti della stradale aveva raccontato che la loro DAF era andata a sbattere da sola contro il muretto. “Non so perché mio marito abbia frenato improvvisamente - raccontò la donna al Corriere -. Ero seduta al suo fianco e non mi sono accorta di nulla.” Non certo più semplice fu la vita di altri profughi che, come in questi anni avviene con le navi cariche di disperati del Terzo Mondo, si recavano alla questura italiana per chiedere asilo politico. Venivano spediti nel campo profughi di Padriciano, vicino Trieste, ad attendere che le pratiche burocratiche venissero condotte a termine. Ma a Padriciano mancava veramente poco perché fosse definita una prigione. In un documento, intitolato “United States Government support of covert action directed at the Soviet Union”, “Supporto del governo degli Stati Uniti all’azione segreta diretta all’Unione Sovietica”, apprendiamo che negli anni Sessanta erano attive diverse forme di propaganda politica degli americani nell’est Europa per supportare i dissidenti. “Interrompere il programma per evitare che l’URSS ci accusi? Sarebbe inutile e dannoso”, concludeva la CIA, che sicuramente continuò a pubblicare i testi dei dissidenti per molti anni ancora.

sabato 12 agosto 2017

“Togliatti provocò la morte di Gramsci”


Palmiro Togliatti cercò di isolare Gramsci, il suo grande rivale nel Partito Comunista, e ci riuscì a tal punto che anche in carcere Gramsci morì solo e malato. Questa storia che vi ho appena accennato ci riporta indietro di parecchi decenni, ed è il frutto di un duro lavoro di copiatura e traduzione di un nuovo dossier tedesco della Stasi. In questo caso parliamo del fascicolo MfS HA XXII 18613. I paesi socialisti furono molto critici con il Partito Comunista Italiano. Gramsci, stando a questa ricostruzione, era contrario alla linea tracciata dal PCUS, il partito comunista di Mosca. Chiedeva “più indipendenza per i partiti comunisti dalla politica del partito comunista della Russia.” “Durante la 2^ guerra mondiale, Garatschi (Gramsci ndr.) fu imprigionato con un gran numero di membri del partito. I membri restanti dell’esecutivo andarono in Francia. Si formò una leadership in esilio. G. fu esonerato da tutti i suoi poteri, e iniziò una vasta campagna di adulterazione contro G., in modo che si riuscisse ad isolarlo completamente. Questo isolamento è riuscito persino in prigione, di modo che G. è morto malato. Il capo di questa campagna è stato Palmiro Togliatti. Egli è estremista comunista nel suo punto di vista. Egli è il primo a falsificare il comunismo, superando anche Hartschow.”

venerdì 11 agosto 2017

“Due cardinali guidano le BR”, ma era una truffa


Tra le prove che venivano portate dalla Stasi alla tesi della matrice di destra delle Brigate Rosse c’era il caso di un brigatista pentito, che negli anni Settanta avrebbe fatto confessioni di grande rilevanza, coinvolgendo nel terrorismo la DC e il Vaticano. In realtà, si trattava di una volgare truffa e molto probabilmente avevano ragione i giudici, che, almeno in primo grado (poi il giornalista fu assolto, mentre venne confermata la condanna del mitomane) condannarono il giornalista Viglione e i suoi complici ad alcuni anni di galera. Pasquale Frezza, un pregiudicato che già alla fine degli anni Sessanta aveva provato a depistare un altro delitto molto famoso, il caso Fenaroli, si era spacciato per brigatista rosso, mentre Aldo Moro era ancora vivo nel covo BR di via Montalcini e, grazie agli spazi che l’allora giornalista di Radio Montecarlo, Ernesto Viglione, gli concesse, riuscì a imbastire una truffa con tanto di estorsione. Il Frezza, che di professione aveva fatto il piastrellista ma era finito anche in manicomio, sosteneva di essere un ex brigatista pentito, e disse che in cambio di parecchi milioni avrebbe permesso alla giustizia di far arrestare i colpevoli. Moro nel frattempo venne trovato morto, ma l’impianto accusatorio di Frezza e Viglione continuò a tenere banco sui giornali per parecchio tempo.

martedì 8 agosto 2017

Voci in Vaticano: “Aldo Moro era malato di cancro”


Aldo Moro prima di essere sequestrato dalle Brigate Rosse in via Fani, il 16 marzo del 1978, sapeva di essere malato di cancro alla gola. I medici gli avevano diagnosticato poche settimane di vita. Sono le voci che la Stasi raccolse in quel periodo in Vaticano tramite un proprio infiltrato, che probabilmente si chiamava generale Otto. Il rapporto spionistico è sempre quello nel quale vennero ipotizzate le cause della morte di Giovanni Paolo Primo, datato 18 ottobre 1978. Il suo nome, nel codice che gli è stato assegnato dall’archivio di Berlino della Stasi, è il seguente: Mfs HA XX 13332. A pagina nove c’è un breve paragrafo intitolato: “Le opinioni in Vaticano per la morte di Aldo Moro”. Il presidente DC, già gravemente malato, sarebbe stato ucciso in un rapimento organizzato dalla Democrazia Cristiana. Parecchi circoli del Vaticano avrebbero parlato di accordi tra le alte autorità del Vaticano e la Democrazia Cristiana, che sarebbero state a conoscenza di un progetto per rapire Moro. Il movente del delitto starebbe, secondo queste indiscrezioni, nella politica senza via d’uscita in cui la Democrazia Cristiana si era avviata: non poteva far altro che collaborare con il Partito Comunista. Il sacrificio di Moro avrebbe invece offerto un evento sensazionale grazie al quale “guadagnare prestigio nella popolazione” e interrompere il Compromesso Storico.

sabato 5 agosto 2017

Papa Luciani, una morte "causata dai cardinali"


Papa Giovanni Paolo primo non appoggiava la democrazia cristiana e per questo sarebbe stato sovraccaricato di lavoro dai cardinali a tal punto da provocarne la morte. E' il contenuto di un'informativa della Stasi che fu redatta il 18 ottobre 1978 grazie alla presenza di agenti segreti infiltrati in Vaticano. Albino Luciani fu proclamato Papa il 26 agosto del 1978. Morì di infarto il 28 settembre dello stesso anno. Fu uno dei pontificati più brevi della storia. In quegli anni non erano i soldi della banca dello Ior, stando a questo breve dossier dell'ex Germania Est, a preoccupare i prelati, bensì i rapporti con i paesi socialisti, i quali premevano per ottenere un riconoscimento politico. Papa Luciani non voleva sostenere la DC. "Voleva essere il pastore di anime della Chiesa universale, in contrasto con la maggioranza dei Vescovi e Cardinali italiani, che erano strettamente legati alla DC." A questo punto, stando a queste accuse, che leggiamo in una traduzione buona ma non perfetta dal tedesco, alcuni esponenti della Curia si sarebbero comportati in modo scorretto. "I capi delle congregazioni vaticane (ministeri) non hanno dato alcun sostegno al Papa. Lo hanno inondato con i problemi e lo hanno esortato a prendere decisioni su questioni su cui non poteva avere alcuna competenza." "La voce, in Vaticano, è che la morte del Papa Giovanni Paolo I sia stata dal sopraccarico deliberatamente causato dai Cardinali della Curia. Questo è anche il parere del Monsignor PANGRAZIO. La famiglia del defunto, nonché alcuni Cardinali, hanno chiesto l'autopsia del cadavere che è stata respinta dalla Curia." Di qui i tanti dubbi sulle reali cause della morte.

mercoledì 2 agosto 2017

Spunta un patto tra l'Italia e i terroristi armeni


Nel 2017 in Russia sono stati celebrati i 40 anni dagli attentati di Mosca. L’8 gennaio del 1977 una serie di bombe lasciate nella metropolitana aveva provocato sette morti e decine di feriti. La notizia uscì sui giornali solo nel mese di febbraio. Altri ordigni furono trovati a Mosca nel mese di novembre, sempre del 1977. Si può dire che fu un periodo denso di attacchi terroristici. Il Kgb condusse un’indagine, che si concluse con tre colpevoli. Erano nazionalisti armeni, armati di ideologie separatiste come i ceceni degli anni ‘90. Il tribunale condannò questi terroristi alla pena capitale, ma la loro morte fu letta dai dissidenti come un depistaggio. Secondo questi ultimi il Kgb avrebbe architettato da solo gli attacchi alla metro come provocazione. Eppure non si può escludere che vi fosse lo zampino dei servizi segreti occidentali. Nel gennaio del 1984 l’americana Cia redasse un rapporto sul terrorismo armeno nel quale denunciava dei legami tra il governo italiano e i terroristi armeni.  E non solo, si parlava anche di complicità francesi. Si intitolava: “The Armenia Secret Army for the Liberation of Armenia: a continuing international threat”, ossia “L’esercito segreto per la liberazione dell’Armenia, una continua minaccia internazionale”. Gli anni in cui questo avvenne sono la fine dei Settanta e l’inizio degli Ottanta. Sembra che per evitare che i nazionalisti armeni colpissero obiettivi in Italia il governo democristiano dell’epoca cercò di accontentare questi criminali, i quali chiedevano che venissero interrotti i flussi di emigrazione degli armeni verso l’URSS. L'Italia tuttavia mutò solo il nome delle agenzie che si occupavano degli emigranti armeni, ma ciò fu sufficiente per non subire più attacchi come quello del 22 dicembre 1979. Quelngiorno, scrive il dossier della Cia, a Roma una pensione che ospitava dei migranti armeni venne attaccata da un gruppo terroristico. L'accordo fu concluso nel febbraio del 1982, quando venne annunciato che i terroristi armeni non avrebbero più compiuto attacchi in Italia se non su obiettivi turchi. In cambio entro sei mesi il nostro governo avrebbe dovuto chiudere tutti gli uffici per l'emigrazione. Ma come abbiamo visto i democristiani escogitarono una via d'uscita meno umiliante. Questo dossier della Cia è stato desegretato il 30 aprile del 2013.