sabato 29 aprile 2017

Gli incappucciati della P1 che guidavano le BR


Le possibilità che gli americani siano stati i grandi manovratori delle Brigate Rosse che rapirono Aldo Moro passano inevitabilmente per un personaggio, e per una storia. Il personaggio è Luigi Cavallo, la storia è quella un po’ dimenticata della Supermassoneria. Siamo nel 1977, e sulla Stampa scoppia il caso delle logge massoniche deviate. Tutto era nato da un dossier scandalistico costruito da un massone dissidente, Francesco Siniscalchi, ingegnere antifascista, oppositore del gran maestro della loggia storica di Palazzo Giustiniani, Lino Salvini. Il dossier aveva rivelato ciò che solo diversi anni dopo fu accertato dalle indagini dei pm Colombo e Turone. Licio Gelli aveva fondato una Supermassoneria che aveva due livelli, e non solo uno come poi fu detto. Non vi era soltanto la loggia P2, infatti, che era formata da industriali, banchieri, militari, uomini dei servizi, magistrati, giornalisti, funzionari di Stato e parlamentari, ma anche la P1. Quest’ultima era segretissima. I suoi membri potevano riunirsi soltanto con indosso guanti bianchi e cappucci, in modo da non essere riconoscibili. Al suo interno comparivano funzionari di Stato che avevano raggiunto i gradi più alti, dal quinto in poi. Cosa c’entrano gli americani in tutto questo? E in che modo si può giungere alle Brigate Rosse? Scriveva il giornalista della Stampa Mario Bariona nel suo pezzo dell’8 marzo 1977 che quasi tutti i partiti erano avvolti dai tentacoli di questa piovra, e anche alcuni servizi segreti occidentali come la CIA. “Da questa struttura - proseguiva - si sfocia nel terrorismo rosso e nero, con il fine eversivo di dare un ordine nuovo al paese, una specie di Golpe Bianco.” I legami con le Brigate Rosse sarebbero stati garantiti soprattutto da Luigi Cavallo, ex comunista, poi membro del movimento eversivo di destra di Edgardo Sogno "Pace e libertà".

lunedì 24 aprile 2017

“Gli americani? Sono fermi agli anni ‘50”


Gli americani sono fermi ai tempi della guerra degli anni ‘50. L’uomo che pronunciò queste parole non aveva in mente i programmi recenti del presidente americano Trump contro la Corea del Nord. Era un agente degli ormai scomparsi servizi segreti cecoslovacchi. Si chiamava Lamac. Bisogna tornare molto indietro nel tempo. Al ristorante “Da Benito” sulla via Flaminia Nuova, a Roma, si incontrarono più volte le spie dell’est e dell’ovest. Era il 1977. In gioco c’era la pace mondiale in un momento critico della Guerra Fredda. Entriamo allora nel vivo della discussione segretissima che avvenne nella periferia di Roma. Le spie cecoslovacche cercarono tra il marzo e l’ottobre 1977, meno di un anno prima del rapimento di Aldo Moro, di contattare questo Martin Arthur Wenick. Volevano ottenere da lui delle informazioni. Quali? E perché lo ritenevano così importante? Probabilmente la risposta sta nell’aumento delle armi atomiche in Italia. Se ne parla in alcuni passaggi delle relazioni che i servizi cecoslovacchi archiviarono nell’ormai famoso dossier sul terrorismo italiano. Questi documenti inediti aprono una breccia nella sempre più arida e omertosa politica internazionale di questi ultimi anni. Dimostrano che, se fosse venuta alla luce l’opinione dei paesi oltrecortina, e non fosse esistito solo il punto di vista occidentale dopo la caduta del Muro di Berlino, oggi non conosceremmo solo le criticità dell’economia pianificata dell’URSS, ma anche l’aggressività della Nato verso i propri nemici, della quale la perenne lotta al terrorismo costituisce probabilmente solo ciò che emerge dai soffocanti segreti militari.

sabato 22 aprile 2017

Non è l’ex giudice Di Pietro il ladro di Torino?

La foto che comparve il 25 novembre 1968 sulla Gazzetta del Popolo.
L’ex giudice di Mani Pulite da giovane era un ladro d’automobili che cercava di sfuggire ai controlli della polizia? Un altro giornale con la cronaca di Torino era L’unità, nel 1968. La Gazzetta del Popolo la si può leggere pure a Novara, ma nei faldoni del 1968 mancano tutti i lunedì. La Gazzetta del Popolo e L’Unità parlarono in realtà di un Antonino Di Pietro. In entrambi i quotidiani compare ora la madre di Antonino o Antonio Di Pietro. Corse all’ospedale e disse ai poliziotti, mentre lo piantonavano per poi trasferirlo in carcere e affidarlo al giudice istruttore, che temeva per il figlio, il quale faceva l’idraulico e rischiava con quella bravata di perdere il posto. Quel Di Pietro in ogni caso non è il giudice. Sull’Unità non c’è nessuna foto, ma la Gazzetta del Popolo le aveva. E ne aveva tante, come al solito. In alto si vedono i feriti, sempre rigorosamente nel letto del primo soccorso. In basso colpisce subito il lettore il primo piano di Antonino Di Pietro. E’ ammanettato e tenta di coprirsi il volto con le mani. Riesce invece a stento a coprire la bocca, ma restano gli occhi, il naso, i foltissimi capelli, la testa molto grande e rotondetta. No, quello sguardo spento, triste, gli occhi piccoli, il naso un po’ affilato non sono di Antonio Di Pietro, il castigamatti di Tangentopoli.

venerdì 14 aprile 2017

Droga, una legge prevedeva sequestri in fotocopia?


Da diversi anni certi articoli dei giornali locali, specialmente di Ancona, si ripetono in fotocopia. Lo avrete notato pure voi. Ci riferiamo agli innumerevoli sequestri di droga portati a termine dalle cosiddette forze dell'ordine. Stamattina leggendo un pezzo di Daniele Carotti del Corriere Adriatico, impeccabile come un ex cronista dell'Ansa deve essere, mi ha colpito un dettaglio: la droga sequestrata viene inviata dalla stessa polizia a Teramo per essere bruciata. Mi sono allora chiesto: come andava in passato? Ho cercato nel bellissimo archivio della Stampa, che va ringraziata mille volte per questo servizio, e ho scoperto che negli anni '80 non era così semplice liberarsi del corpo di un reato, com'è ovvio. Intanto c'era un unico inceneritore ministeriale, non uno in ogni regione italiana, o quasi, come pare avvenga adesso. Inoltre, quella droga sequestrata doveva rimanere in tribunale a disposizione dei giudici fino alla fine del processo, e i tempi allora non erano velocissimi. Ma comunque non potevano certo essere le questure a occuparsi dello smaltimento, bensì serviva una delibera di una speciale commissione. Era un iter lungo durante il quale potevano verificarsi dei furti. Come si è arrivati allora ai freddi arresti di questi tempi? Nel 1990 uscì una norma specifica sulla procedura da seguire. La mia personale impressione è che un simile decreto legge prevedesse, come accennato prima, arresti e sequestri scaglionati simili a quelli a cui abbiamo assistito in questi decenni. La scarsa credibilità di questo sistema la si coglie anche scoprendo su Wikipedia che la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, che fu istituita con legge del 1991 al posto del Servizio Centrale Antidroga, dipende direttamente dal Ministero dell'Interno e non dalla magistratura, con evidente violanzione dell'autonomia del potere giudiziario.

sabato 8 aprile 2017

Il "consenso" ci salverà dalla crisi economica?


"Alla fine dell'anno scorso circolavano in Italia titoli di Stato e obbligazioni per un valore che superava l'astronomica cifra di 40 mila miliardi. L'incremento è ormai di diverse migliaia di miliardi ogni dodici mesi e, in rapporto alle dimensioni della nostra economia, è forse il maggiore del mondo. Ciò significa che — asfittico e fuori dalle sue funzioni istituzionali il mercato azionario — è sul reddito fisso che sono incentrati l'interesse e le cure sia delle autorità centrali, sia degli esperti finanziari." Questa era nel 1972 l'introduzione che l'economista cieco e senza contratto giornalistico della Stampa, Renato Cantoni, faceva nel suo articolo su obbligazioni e debito pubblico. Grazie al suo straordinario talento, posso confermare ancora una volta che la nostra visione della politica economica, nel 2017, è assai limitata. In sostanza, la garanzia dello Stato adesso viene offerta a costo zero, almeno negli annunci dei politici. I rimborsi arrivano con estrema facilità, i controlli sono centralizzati, ma l’impressione è che l’ombrello statale difficilmente potrà contenere tutte le necessità immediate del paese. Chi salderà i conti? In un recente articolo sul debito pubblico è stato scritto che i titoli di stato permettono al governo di coprire il deficit. Ce lo auguriamo. Almeno vorremmo continuare a sopravvivere. Secondo Radio Radicale, nel 1995 una buona metà di essi veniva assorbita dal mercato italiano, composto di famiglie private, banche, assicurazioni. Garantivamo con il nostro stipendio, e garantiamo ancora perché le oscillazioni sono state minime, i soldi che il nostro datore di lavoro nel settore pubblico avrebbe dovuto corrisponderci il mese successivo.