martedì 30 maggio 2017

USA-URSS, la guerra fredda per la pioggia


Ogni volta che sento in televisione il presidente americano, che sia Obama o Trump, invitare i potenti della terra a salvaguardare il clima, provo un senso di impotenza. Non sono in grado, da solo, di smascherare le loro bugie. Come è possibile, mi chiedo, fingere di non sapere che tra i documenti declassificati dalla CIA ne esistono diversi che parlano di una battaglia che Stati Uniti e Unione Sovietica disputarono per il controllo del clima? Il documento veramente sensazionale è un articolo uscito il 21 ottobre 1966 negli Stati Uniti. Si intitolava: “Can communist control weather”, possono i comunisti controllare il tempo. E non c’era il punto di domanda. L’inchiesta era stata condotta da due giornalisti: Robert Allen e Paul Scott, ed era così interessante da essere stata ritagliata ed archiviata dalla CIA. I russi stavano per portare a termine un esperimento per la modifica del clima chiamato: “Elettrificare il mondo”. E’ un po’ il concetto che sentivo nei forum meteorologici italiani alcuni anni fa, quando venivano descritti i movimenti degli anticicloni indotti dai riscaldamenti della stratosfera. Erano provocati dal sole o da esplosioni nucleari? Beh, bisogna cominciare a considerare questa seconda pazzesca ipotesi, perché l’esperimento dei russi sarebbe consistito proprio in questo: in un bombardamento nucleare nello spazio, i cui effetti secondo gli statunitensi sarebbero stati certamente disastrosi.

venerdì 19 maggio 2017

Neanche la strage di Ancona fu terrorismo


L’incidente causato da un ispanico a New York il 18 gennaio 2017 ci riporta al 2005, quando un’analoga tragedia si verificò ad Ancona. La dinamica fu praticamente la stessa: una carambola in pieno centro con l’urto di un’auto impazzita contro le bitte di una piazza molto affollata, tra gente a spasso e famiglie sedute a mangiare il gelato. Si registrarono svariati feriti, falciati come birilli, e due morti. Due donne. Era il 9 ottobre 2005, una tranquilla mattina domenicale. Facevo il cronista per Il Resto del Carlino. Se oggi sto qui a ricordare questo episodio tragico sul mio blog personale è perché la dinamica non fu chiarita nei dettagli, come una strage del genere avrebbe meritato. Si sarebbe potuto gridare al terrorismo, e si sarebbe potuto indagare con più convinzione. L’episodio di New York ci permette di affermare, oggi, che anche in quel caso, il 9 ottobre del 2005 ad Ancona, non si trattò di terrorismo. Ma la morte di Manlio Mingoia in piazza Roma, nel centro di Ancona, è un giallo. Mingoia quel giorno si stava fermando, poi, da morto, accelerò e percorse buona parte di Corso Garibaldi, all’epoca ancora accessibile alle auto e non pedonalizzato. Ma può un corpo morto riuscire a spingere il piede sull’acceleratore? Ho provato a simulare un mio infarto al volante. Il problema è dare gas. Per farlo serve un atto volontario. La dinamica avrebbe dovuto essere vagliata dalla polizia municipale di Ancona, oppure dalla Polstrada. Invece mi pare che fu tutto molto veloce e confuso.

domenica 14 maggio 2017

Guantanamo, un’oasi tra paradiso e inferno


Il caso dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 credo che abbia la sua soluzione, o una delle sue soluzioni, nel ruolo della base statunitense di Guantanamo. Questo antico fortino si trova nel sud est dell’isola di Cuba, di fronte ad Haiti, pertanto in un territorio che fino al 1989 era parte dell’impero comunista. E’ un fazzoletto di terra che gli Stati Uniti presero in affitto nel lontano 1903, e che trasformarono col tempo in una base militare navale. Tuttavia Fidel Castro non volle mai riconoscere questo diritto. Secondo i documenti che si trovano online, tra cui l’enciclopedia Wikipedia, gli americani decisero di costruire a Guantanamo, nel 2002, un carcere di massima sicurezza nel quale concentrare i terroristi di Al Qaeda colpevoli dell’attacco dell’11 settembre 2001. Uno dei suoi “ospiti” è lo zio di Ramzi Yousef, che si chiama Khalid Shaykh Muhammad. Ma è certa una cosa: Guantanamo negli articoli del passato era tutt’altro che un inferno. Nel 1979 Ennio Caretto della Stampa raccontava: “A Guantanamo si vive come alle Bahamas, in un lusso tropicale. Le case hanno l’aria condizionata, le televisioni, i programmi americani, esiste il cinema, comici come Bob Hope vengono in tournée.” All’epoca quella vita da fiaba era riservata alle famiglie dei militari e dei tecnici. A giudicare dalle più recenti storie che emergono da questa base militare caraibica, il crollo del comunismo ha portato via anche la fiaba capitalistica.

La base navale di Guantanamo a Cuba, su Google Maps.

sabato 13 maggio 2017

L’attentato terroristico firmato “Armaldo Forlani”


Ramzi Yousef era un cittadino pakistano di 25 anni quando tentò di far crollare il World Trade Center di Manhattan. Era il 26 febbraio 1993. Ciò che abbiamo vissuto l’11 settembre del 2001, e che è divenuto per molti analisti un momento di svolta nella storia mondiale, in realtà sarebbe potuto accadere ben otto anni prima, con gli stessi autori. Yousef noleggiò quel giorno un furgone insieme al giordano Eyad Ismoil, lo riempì di nitrourea e gas idrogeno, e lo parcheggiò nel sotterraneo del grattacielo sud. L’esplosione provocò sei morti e oltre mille feriti. C’è un bellissimo libro del giornalista John K. Cooley, pubblicato nel luglio del 2000 e quindi un anno prima dell’attentato alle torri gemelle, che racconta in modo impeccabile il percorso che condusse il gruppo terroristico di Al Qaeda verso una serie incredibile di attentati. Si intitola “Una guerra empia, la Cia e l’estremismo islamico”. L’11 dicembre 1994, lo stesso Yousef, introducendosi con il falso nome di Armaldo Forlani, che secondo Wikipedia era la pronuncia errata del nome del leader della Democrazia Cristiana Arnaldo Forlani, riuscì a lasciare una bomba nell’aereo delle Filippine Airlines in volo da Manila a Tokio. L’ordigno esplose poco dopo che l’attentatore era riuscito a lasciare l’aereo durante uno scalo provvisorio a Cebu. Vi fu una vittima. Per tutti questi tragici fatti Ramzi Yousef venne arrestato e condannato “solo” all’ergastolo, pena che tuttora sta scontando in Colorado, negli Stati Uniti.

lunedì 1 maggio 2017

“Jaroslav, forse non ti stiamo simpatici?”


Il 28 ottobre 1976 partì una nuova informativa dell’Stb. Sembra che Giuseppe Setti si sia sempre offerto di lavorare per l’Stb di Praga. E che siano avvenuti degli incontri in ristoranti delle vicinanze degli appuntamenti. Vengono citati due personaggi che avrebbero fatto da tramite con l’imprenditore di Reggiolo: Cermak e Forst. E’ evidente che Setti trattò sulla possibile falsificazione dei documenti italiani, ma che vi fosse pure una certa diffidenza di fondo che ostacolava i rapporti. Tra i documenti del dossier spicca una lettera scritta in italiano dall’imprenditore che riportiamo integralmente. “All’attenzione del signor Jaroslav Forst. Ricevi, unitamente alla tua famiglia, da parte mia e di mia moglie, i migliori saluti. Dalla telefonata di alcuni giorni fa, ho appreso che stai bene e, questo è l’essenziale. Da parte mia non mi posso lamentare, se penso a quello che ho passato. La famiglia sta bene ed il figlio ormai è diventato un giovanotto. E’ passato parecchio tempo da quando ci siamo visti l’ultima volta! Io e mia moglie desideriamo tanto vederti e stare assieme un po’ con te, e parlare di tante cose come si faceva un tempo. Ma per il momento non è possibile per noi venire a Roma. Ma perché tu quando passi da Reggio Emilia non ti fermi? Forse non ti stiamo simpatici? Se così è fai bene a non venire. Ma se siamo appena sopportabili, fai uno sforzo, e soprattutto un grande favore, FERMATI! Vieni a trovarci, ho voglia di fare una lunga chiacchierata con te... Jaro! Unita alla presente, tutti i documenti della ragazza che ha sposato mio cugino. Ti prego fa’ il possibile per farle avere questo visto di soggiorno... E’ una brava ragazza, e sembra che si abitui abbastanza bene, penso che il più difficile siano i primi giorni, ma poi si abitua... Non ti annoierò oltre, rinnovandoti l’invito a te e a tua moglie, tanti auguri. Reggiolo, 27, 5, 976. Giuseppe Setti”

Jannuzzi: “Il Sid creò delle false BR”


I servizi segreti italiani hanno creato delle false Brigate Rosse. Queste terribili affermazioni sono contenute nelle prime relazioni che il servizio segreto cecoslovacco inviò dall’Italia a Praga sul terrorismo italiano, e che sono contenute nel dossier che mi è stato inviato direttamente dall’attuale Repubblica Ceca, dall’archivio dell’intelligence dell’ex partito comunista cecoslovacco. Secondo la spia dell'Stb Jirousek i brigatisti erano un’invenzione dei servizi segreti italiani e occidentali per screditare i paesi socialisti. Ma chi aveva fornito queste informazioni ai paesi comunisti? Se lo chiede anche il professor Roberto Bartali nel suo libro scritto per il dottorato all’università di Siena. Qui, in questi documenti, appare invece chiaro. L’Stb segue le teorie di Lino Jannuzzi, che in quei mesi stava lanciando pesanti accuse dalle colonne di Tempo, un settimanale considerato nell’archivio Mitrokhin alle dipendenze di Mosca e del KGB.