venerdì 4 agosto 2023

Ombre palestinesi sulla strage di Bologna


Cosa accadeva nel mondo politico internazionale nei giorni dell’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980? E’ quanto uno storico si dovrebbe chiedere nel tentativo di contestualizzare i tragici avvenimenti di quell’estate del 1980, che nel 2022 sono stati rievocati solo per strumentalizzarli in campagna elettorale. La solita triste sceneggiata. 

All’epoca avevo 7 anni. Come ho scritto su Twitter, rispondendo all’appello di Repubblica, con il quale si chiedeva ai cittadini se ricordavano il luogo in cui erano e cosa facevano quel maledetto giorno, in realtà non ho alcuna emozione collegata a quella tragedia. Ciò non è dovuto alla tenera età (infatti la strage di via Fani, precedente di due anni, la ricordo come fosse ieri), ma probabilmente al fatto che mi trovavo come ogni estate (luglio prevalentemente) nella casa dei nonni materni a Viserba di Rimini. Lì non c’era la televisione. Se capitava qualcosa di importante, tipo i mondiali dell’82, si andava a vedere la televisione nei bar di via Dati, il lungomare di Viserba. Probabilmente quel 2 agosto del 1980 stavo per tornare a Roma. La mia unica fonte di informazione erano i telegiornali. Quelli me li facevano vedere. I giornali li leggeva papà. Se lesse la notizia dell’attentato non lo so. Non me ne parlò mai. Mentre ricordo bene come fu vissuto più da vicino il terremoto del novembre 1980 in Irpinia, terra natia di mio padre e dei miei nonni paterni.

Ma cosa accedeva dunque nell’agosto del 1980 nel mondo? Scusate la lunga divagazione, serve a capire il motivo per cui oggi apro internet e mi metto alla ricerca di informazioni d’archivio. Ebbene, c’era qualcosa che nei ricordi della strage di Bologna non sento mai nominare. Lo Stato di Israele aveva compiuto un bel colpo di mano: aveva deciso con una legge del Parlamento, varata esattamente il 30 luglio 1980, di proclamare Gerusalemme capitale indivisibile della nazione. “Con  69 voti  favorevoli,  15  contrari  e  tre astenuti,  il  parlamento  israeliano ha  approvato  la  legge  che  fa  di Gerusalemme  la  capitale  unica  ed indivisibile  dello  stato  di  Israele.” Con queste parole veniva annunciato dal giornale svizzero Gazzetta Ticinese un fatto che aveva già un precedente, nel 1950, ma che rischiava di provocare una nuova reazione violenta dei palestinesi. Gerusalemme è da sempre divisa in due zone, la parte israeliana e quella araba. Ogni tentativo di forzare la mano, anche molto recente, è stato interpretato come un abuso. Figuriamoci cosa poteva accadere in un periodo denso di attentati, compiuti in giro per l’Europa dalle fazioni interne dell’OLP, l’organizzazione per la liberazione della Palestina. 

Le reazioni politiche furono veementi. Persino gli Stati Uniti condannarono la decisione israeliana, accusando il capo del governo, Menachem Begin, di mettere in pericolo gli accordi di Camp David, ossia quel patto di pace con cui era stata messa fine alla guerra dello Yom Kippur, tra Israele ed Egitto. Ma gli storici sanno che, quando Israele è in guerra, tutto il mondo arabo si coalizza e si allea con i suoi nemici. 

Anche l’ONU si era inserita nella vicenda lanciando attraverso i suoi Stati membri un ultimatum a Israele: entro novembre 1980 avrebbe dovuto ritirarsi dai territori palestinesi occupati: Cisgiordania e striscia di Gaza. Il quotidiano torinese La Stampa del 31 luglio 1980 affermava che: “con 112 voti a 7, e 24 astensioni, tra cui quella dell’Europa (Italia compresa), l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha chiesto il ritiro di Israele da tutti i territori occupati e la formazione di uno Stato indipendente della Palestina.” Richiesta durissime, quelle dell’ONU, che Israele come si poteva prevedere non accettò. 

Lo status di Gerusalemme era da svariati giorni sulle prime pagine dei giornali. In Francia e Germania ci si aspettava una ripresa degli attentati terroristici, naturalmente di marca arabo-palestinese. E in Italia? Anche qui c’era da settimane un certo fermento. Milano in primavera era stata scossa da piccoli attentati rivendicati da sigle sconosciute, provenienti dalla galassia brigatista rossa. Ma il fatto più eclatante fu la bomba fatta esplodere sempre il 30 luglio davanti al Municipio di Milano. Erano le due di notte: un’auto al tritolo era pronta a fare a pezzettini il neo-sindaco socialista Carlo Tognoli, che si apprestava, come nel periodo del caso Moro, a presiedere una giunta sostenuta dai voti dei comunisti. A leggere gli articoli pare che fossero ben tre gli esplosivi, ma due rimasero bloccati. Non ci fu nessuna vittima e l’episodio venne presto dimenticato, perché l’Italia fu subito travolta dall’evento tragico del 2 agosto. Eppure le rivendicazioni un’indicazione chiara ce la offrivano. Una telefonata al Corriere della Sera  aveva attribuito la bomba di Milano alla sigla: “Comitato rivoluzionario per il contropotere”. Gazzetta Ticinese riferì che gli inquirenti “erano propensi a credere” che si trattasse di un’organizzazione legata alle Brigate Rosse. Ebbene, anche dopo l’attentato alla stazione di Bologna le Brigate Rosse rivendicarono la strage, così come fecero i NAR, salvo poi smentire entrambe la propria responsabilità. 

Che cosa poteva essere successo? A mio giudizio, può essere corretta la ricostruzione offerta dal giornalista Paolo Cucchiarelli. In un recente libro, ha cercato di dimostrare che l’esplosivo di Bologna (e qui Cucchiarelli è senz’altro più preparato di me sui dettagli militari) era solo di passaggio e che i neofascisti, e forse pure alcuni palestinesi, andavano visti come gli incaricati del trasporto. Qualcosa andò storto e la bomba esplose tra turisti innocenti. Forse per questo NAR e Brigate Rosse, pur volendo attribuire un valore politico a quel materiale bellico andato sprecato, furono costretti dall’immane e indesiderata carneficina a lasciare anonimo il gesto. 

Dunque, NAR e Brigate Rosse insieme? Possibile? Perché no. Il lettore del mio precedente libro “L’indagine impossibile” ricorderà l’analisi che la STASI, la polizia di sicurezza dell’ex Germania Est, realizzò nello stesso periodo sui NAR, in un suo rapporto assai completo, e per molti dettagli inedito, sul terrorismo italiano. 

Lo pubblichiamo nuovamente: “Cellule Armate Rivoluzionarie” (NAR): Fu chiamato anche il “gemello delle Brigate Rosse” e considerato l'organizzatore del “Terrore Nero”. A fondare i “NAR” fu Franco Anselmi. Secondo alcuni esperti dell'anti-terrorismo italiano vi confluirono “membri delusi dal “MSI” che voltarono le spalle alla politica legale, dedicandosi alla lotta contro il sistema. Si sapeva anche di una collaborazione che il capo dei “NAR” aveva con le “Brigate Rosse”.

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