giovedì 21 dicembre 2017

Gli americani indagarono su un altro caso Ustica


Il governo degli Stati Uniti fu mai contattato per indagare sulla strage di Ustica? E’ quanto ci si domanda scoprendo sul sito di Wikileaks che l’ambasciata di Washington, un anno e mezzo prima che il DC9 dell’Itavia cadesse a Ustica, il 27 giugno del 1980, portando con sé negli abissi del Mediterraneo 81 vittime, era stata contattata per un altro incidente aereo, avvenuto esattamente nello stesso posto. Anzi fu chiamata per quello e per molti altri incidenti aerei.
Cercando infatti la parola Ustica nel motore di ricerca di questo enorme database, contenente i cablogrammi del governo statunitense e delle varie ambasciate, compaiono soprattutto due importanti documenti. Il primo è l’unico cablogramma (o meglio l’unica serie di documenti) che si riferisca alla strage di Ustica. Risale a molti anni dopo il fatto, ossia al giugno-luglio 2003, e si riferisce a una richiesta di chiarimenti del ministro italiano per le relazioni con il parlamento, Carlo Giovanardi, su uno scoop giornalistico del TG3. Nel servizio veniva denunciato che nel 1992 il governo statunitense intercettò una telefonata tra l’allora presidente del consiglio Giuliano Amato e il ministro della difesa Salvo Andò. In questa telefonata i due membri del governo italiano discutevano sulla posizione americana nella vicenda del disastro del DC-9.
Per chi non lo sapesse, la storia del disastro di Ustica fu subito un giallo. Nel corso degli anni si fece concreta l’ipotesi che l’aereo civile fosse stato abbattuto da un missile lanciato durante un’esercitazione militare, oppure per contrastare dei Mig libici di scorta all’aereo di Gheddafi. In secondo piano vi era una pista che portava ad ipotizzare che una bomba fosse stata piazzata nella toilette, a scopo terroristico. Fu invece scartata molto presto l’idea del cedimento strutturale del velivolo. Ma la strada per la verità fu molto difficoltosa e costellata di omertà e suicidi sospetti tra i militari dell’aeronautica militare italiana, accusati dall’opinione pubblica di aver taciuto sulle vere cause dell’incidente.
Il cablogramma del 2003 mi pare molto deludente. Giovanardi chiede lumi sulla vicenda, che smentisce la sua ipotesi della bomba a bordo della toilette. Vorrebbe reperire i documenti in modo da replicare alle voci del TG3. Ma ciò sarebbe possibile solo se si dimostrasse che questi documenti ufficiali non esistono. L’ambasciatore statunitense, rivedendo il video giornalistico, dichiara sempre nello stesso cablogramma di aver provato ad identificare il documento della presunta intercettazione, senza ottenere dei dati certi. Le comunicazioni sul caso finiscono qui. Oggi i documenti della CIA sono a disposizione di tutti sul loro portale, il FOIA. Del caso Ustica, lì, non v’è alcuna traccia.
E’ possibile che i politici di Washington nel 1980 e anche dopo non ebbero nulla da dirsi? Sembra strano, perché quando gli aerei cadevano, alla fine degli anni ‘70, le comunicazioni tra l’ambasciata di Roma e il Dipartimento di Stato statunitense non mancavano. Ciò accadde per casi eclatanti come la strage di Punta Raisi del 23 dicembre 1978, quando a morire per un altro incidente aereo furono ben 108 persone, e per incidenti molto meno conosciuti, o addirittura ignorati dai giornali italiani.
E’ il caso dell’altro incidente aereo di Ustica, quello del secondo documento di cui parlavo prima, avvenuto esattamente il 18 dicembre del 1978, alle ore 5 e 27 del pomeriggio. Si trattava di un “Cessna 421-A” fabbricato in Italia. Era partito da Monaco ed era diretto a Palermo. A bordo, solo una persona, il pilota, che nonostante l’aereo fosse caduto vicino a Ustica era riuscito a salvarsi e a raccontare l’accaduto. L’incidente era capitato per l’accumulo di ghiaccio nel motore. Una situazione climatica completamente diversa da quella in cui si trovò l’anno successivo il disgraziato DC-9 dell’Itavia.
L’ambasciatore statunitense Richard Gardner citava questo modesto episodio perché era stato analizzato dalla stessa commissione di inchiesta dell’aviazione civile italiana, presieduta dal dottor Sbalchiero, che si stava occupando di un altro Cessna, caduto pochi giorni prima. In quel caso erano rimaste uccise ben dieci persone. Quest’ultima vicenda era apparsa anche sui giornali. Un aerotaxi “Cessna 421-C” di Catania, partito il 16 dicembre 1978 dall’aeroporto Ronchi dei Legionari di Gorizia, era precipitato a mezzogiorno e 45 sulle montagne intorno ad Amatrice, nel reatino, precisamente nei pressi di Leonessa. Trasportava del personale qualificato di una società padovana, la Icomsa, che stava progettando un centro universitario in Algeria. Dall’articolo di Gigi Bevilacqua della Stampa vorrei citare i nomi delle vittime dello schianto: Giulio Brunetta, Giovanni Indri, Giuseppe Trapanese, Enzo Bandelloni, Gian Paolo Schwarcz, Pino Bottacin, Adriano Brunetti, e l’ingegnere francese Henzel.
Nel cablogramma, spedito il 10 gennaio 1979 dall’ambasciata di Roma al Dipartimento di Stato americano, Gardner scrisse che il dottor Sbalchiero aveva chiesto agli statunitensi un aiuto nelle indagini. La causa dell’incidente era comunque attribuibile all’avaria del motore del Cessna, che aveva costretto il pilota a tentare un atterraggio d’emergenza sulle montagne di Leonessa. Il cablogramma di Gardner specificava che un caso analogo, secondo quanto affermava un secondo membro della commissione d’inchiesta dell’aviazione civile, il dottor Peresempio, era capitato a un altro Cessna 421, un terzo, che era caduto a maggio del 1978 per mancanza di carburante. I morti quella volta erano stati quattro: tre passeggeri più il pilota.

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