martedì 8 aprile 2014

Ecco l'origine delle nostre aziende pubbliche


Le circa 7000 aziende pubbliche di cui si parla in Italia vengono da molto lontano. I primi isolati esperimenti avvennero a fine '800, quando il nuovo stato unitario intervenne con fondi pubblici nella gestione della cantieristica navale, delle ferrovie e delle acciaierie. Ma fu il Fascismo, per cause di forza maggiore, a dover ricorrere a questo tipo di politica economica. Accadde dopo la grande crisi del 1929, quando banche e industrie si trovarono in difficoltà e la dittatura intervenne creando degli enti di salvataggio: l’IRI, che avrebbe dovuto sanare e rivendere ai privati le aziende in crisi, e l’IMI, una banca erogatrice di fondi pubblici. Nel 1926 era già nato un ente statale per la ricerca del petrolio: l’Agip. Poi con la politica economica di Alberto Beneduce, ex antifascista e consigliere di Benito Mussolini, dal salvataggio si passò a una pianificazione aziendale dello Stato. Ciò si verificò nel momento in cui, nel 1937, l’IRI divenne un ente permanente e il Fascismo prese la strada dell’autarchia. Queste notizie, che in gran parte provengono da un bellissimo libro di Ernesto Cianci sulla nascita dello stato imprenditore, non sono però sufficienti a offrire un quadro politico completo. Il concetto delle nazionalizzazioni, più che al Fascismo, il quale credeva, in una sua prima fase, nell’impresa privata e nel corporativismo, ci porta verso Marx ed Engels. Essi infatti erano convinti che la via verso il comunismo passasse attraverso la statalizzazione delle industrie e la distruzione dello Stato borghese, reso ormai inutile dalla rivoluzione proletaria. Durante la guerra fredda i paesi sotto l’influenza dell’URSS realizzarono, anche se solo in parte, questo programma.

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