venerdì 5 settembre 2014

Euro-Italia, dodici anni di caos dei prezzi


La distorsione dei concetti basilari di politica monetaria ha ormai raggiunto il culmine. Gli annunci di Draghi e lo spauracchio in stile fascista della deflazione non risolveranno una situazione politica italiana già compromessa. L'inflazione è una costante dal 2002 e leggendo alcuni quotidiani come Il Manifesto si ha l'impressione che l'aumento dei prezzi sia diventato l'unico sistema delle aziende italiane per creare introiti. Pochi finanziamenti, pochi progetti, pochi posti di lavoro. I proliferanti contratti a progetto sono sottopagati e gli stipendi dei contratti collettivi raramente vengono adeguati al costo della vita. Ciò produce effetti a cascata: il cittadino con stipendio fisso, oltre a non avere più soldi nel portafoglio, rischia di perdere anche quelli investiti in precedenza. Inflazione infatti non vuol dire aumento dei prezzi, che semmai è la conseguenza diretta di questo fenomeno, bensì significa aumento del numero di cartamoneta in circolazione. Inflazione è la svalutazione della moneta, deflazione è il suo contrario, ma né da una parte né dall'altra vi è la stabilità, e la storia italiana ne è un esempio. L'introduzione dell'euro avrebbe potuto salvarci. Nel 2004 la Banca Centrale Europea aveva emesso un documento, tuttora presente online, nel quale venivano rese note le linee guida di politica monetaria, cioè gli effetti futuri della circolazione dell'euro. Essa avrebbe dovuto garantire proprio la stabilità dei prezzi; così l'aumento o la diminuzione di cartamoneta da parte della Banca Centrale Europea avrebbe avuto lo scopo unico di controbilanciare gli aumenti o le diminuzioni dei costi delle materie prime o dei prodotti. In Italia sembra che nessuno dei nostri ricchi politici abbia letto questo documento.

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