domenica 16 settembre 2018

Ponte Morandi: una vecchia storia di tangenti?


Si va profilando sulla storia del crollo del ponte di Genova quanto dicevamo fin dall’inizio. E cioè che, scartata l’ipotesi attentato, bisognava concentrarsi sulla ditta costruttrice per capire le ragioni della tragedia. Non perché chi scrive abbia qualche contenzioso con la Società italiana per condotte d’acqua, ma piuttosto per la presenza in quell’azienda, negli anni in cui il ponte fu costruito, di uomini del clan di Michele Sindona.
Sarebbe bastato fare un minimo di ricerca sulla storia di “Condotte d’acqua”, come facemmo a poche ore dal crollo per semplice curiosità, per capire che qualcosa di strano in quell’azienda c’era. C’era allora e c’è anche oggi, visto che si parla di rischio fallimento, di appalti truccati, e all’estero anche di mafia.
Mafia come quella di Michele Sindona, finanziere che per i suoi traffici sfruttava le amicizie con i membri della loggia massonica Propaganda Due. La sua tessera era la numero 501. Ma in quell’elenco non figurava soltanto lui. La tessera di Loris Corbi, tanto per fare qualche altro nome, era la 562. E sapete ormai bene chi fosse questo personaggio. Era il presidente di Condotte d’acqua. Quando il suo ruolo di piduista divenne di pubblico dominio nei giornali, nel 1981, fu costretto a dimettersi.
Che cosa accadde dunque negli anni ‘60, quando il ponte Morandi fu costruito? La notizia di oggi lo dice chiaramente, e adesso i giornali non potranno più nasconderlo. Secondo una perizia redatta dai consulenti della procura di Genova, la ditta costruttrice cercò di risparmiare sui materiali, non rispettando il progetto dell’ingegner Morandi, che, anzi, aveva cercato più volte di rimediare e di essere inserito nei gruppi di lavoro che si occupavano della manutenzione. Ma bisogna a questo punto aggiungere altri elementi, di carattere storico e politico. La notizia odierna porta alla luce quanto gli studiosi temevano da tempo: e cioè che i soldi della ricostruzione post-bellica, finanziata dopo il 1945 con il piano Marshall, potessero essere finiti nelle tasche dei partiti politici, e in particolare della Democrazia Cristiana, grazie all’intervento di imprenditori compiacenti. Lo dicevamo a proposito di Nino Rovelli, di Edoardo Longarini, e adesso dovremmo solo aggiungere qualche altro nome.
Il quotidiano comunista L’Unità l’aveva scritto il giorno stesso dell’inaugurazione del ponte Morandi: quel viadotto dell’autostrada A-10, che attraversava Genova, era costato cinque miliardi in più. Inoltre la ditta costruttrice, la Condotte d’acqua, non aveva rispettato i tempi di consegna. L’aveva tirata per le lunghe, per poi chiedere molto più di quanto pattuito. La notizia moriva lì, perché il resto della stampa nazionale esultava con il presidente Saragat per il nuovo snodo viario che l’Italia stava mettendo a disposizione degli automobilisti. Ma la storia di Condotte d’acqua continuò ad essere costellata di intrighi. Quando Sindona fu arrestato, nei primi anni ‘80, cercò di difendersi asserendo di trovarsi in quella situazione per una vendetta dei politici, per quello che gli era capitato quando era proprietario di Condotte d’acqua. In un’intervista rilasciata al grande Enzo Biagi e disponibile sul sito Cinquantamila, Sindona disse testuali parole: "Idem con le Condotte d’Acqua, l’amministratore delegato mi disse: ”Noi non possiamo lavorare se non paghiamo i partiti”. Telefonai a Londra: 'Vendete Le Condotte d’Acqua perché non rimango in una società in cui vengono truffati gli azionisti'. Certi partiti non me l’hanno perdonata."
Il Ponte Morandi fu dunque costruito pagando tangenti ai politici? Mettendo insieme gli indizi emergerebbe questa conclusione. Certamente Sindona non fu l’unico faccendiere poco pulito a guidare gli affari di quell'azienda di costruzioni, nata nel 1880 per iniziativa del Vaticano. Intorno al 1973, quando Sindona l’aveva già ceduta all’Istituto per la Ricostruzione Industriale, vi lavorò il discusso Francesco Pazienza, che fece da mediatore per la costruzione di un imponente complesso industriale nel porto di Bandar Abbas, nell’Iran ancora filo-americano e governato dallo scià di Persia. Ma la rivoluzione islamica di Khomeini, nel 1979, creò non pochi ostacoli a questo progetto, lasciando la ditta italiana senza i pagamenti per le opere che aveva già intrapreso. Alle Condotte d’acqua, tuttavia, secondo quanto emerse nei processi che subì per le stragi eversive di destra, Pazienza ebbe modo di fare le conoscenze opportune che gli permisero di entrare nei servizi segreti italiani. Secondo un articolo di Repubblica scritto nel 1987 da Franco Coppola, quando gli chiesero come avesse conosciuto il generale Giuseppe Santovito, Pazienza rispose: “Me lo presentò il fratello, l'ingegner Luciano, per il quale avevo condotto a termine un affare con Khomeini per l'appalto delle condotte d'acqua.”
 

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