sabato 26 ottobre 2019

Italia-Peshmerga, un’alleanza sospetta


L’Italia addestra i Peshmerga. Lo abbiamo sentito tutti. Perché esistono milioni di siti, ma, chissà perché, quando escono certe notizie sono uguali dappertutto. E così è giunta voce anche a chi scrive queste righe che l’esercito italiano avrebbe fornito armi e addestramento ai curdi. Attenzione, chiariamo bene il concetto: non viene detto che l’esercito italiano è andato in Iraq, dove dal 2014 esiste un califfato islamico sunnita, a proteggere il popolo curdo. Il che, nell’ambito di una missione di pace dell’ONU, sarebbe anche comprensibile.
No. Il Ministero della Difesa ha avviato fin dal gennaio 2015 una missione di addestramento dei Peshmerga curdi, ossia guerriglieri alleati del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, di ispirazione comunista. Lo ha fatto all’interno di una Coalizione internazionale, non ben definita in sede politica e diplomatica, che prevedeva anche la presenza degli Stati Uniti. Quelli che, mi si corregga se sbaglio, avrebbero “abbandonato i curdi”, secondo le voci diffuse dalla stampa italiana, poco prima del recente attacco della Turchia al territorio siriano occupato dai curdi.
L’ultima velina diffusa dal Ministero della Difesa, datata 27 marzo 2019, riportava questi dettagli: “Con la primavera è ripreso a pieno regime il ritmo degli istruttori italiani nell'ambito della missione in Iraq, impiegati nell’addestramento delle Forze di Sicurezza curde. Gli specialisti dell’Esercito Italiano appartenenti a Fanteria, Genio e Difesa chimica, biologica, radiologica e nucleare sono impiegati quotidianamente nell’addestramento delle unità Peshmerga, presso i centri addestrativi di Sulaymaniya, Atrush e Benaslawa, operando in coordinamento e sinergia con colleghi di altre nazioni appartenenti alla Coalizione.”
E’ indispensabile leggere a questo punto alcuni passaggi della relazione di Kyle Orton, della britannica Henry Jackson Society, intitolata: “The Forgotten Foreign Fighters: The PKK in Syria”. Dobbiamo innanzitutto chiarire chi siano oggi i curdi che combattono contro l’Isis. A pagina 28 Orton scrive: “Il governo degli Stati Uniti ha, in generale, insistito in pubblico sul fatto che l'YPG e il PKK sono entità distinte. Ormai è chiaro che la leadership dell'YPG risponde, in materia grande e piccola, ai leader del PKK nei monti Qandil.”
Le YPG sono le Unità di Protezione Popolare presenti nel Kurdistan siriano. Wikipedia spiega che: “L'YPG ha stretti rapporti con il PKK, la principale organizzazione militante dei curdi in Turchia, mentre è avversato dal PDK, il principale partito curdo al governo nel Kurdistan iracheno il quale tuttavia ha fornito supporto alle operazioni dello YPG contro lo Stato Islamico fino al 2015. Lo YPG è sostenuto anche dal partito iracheno Unione Patriottica del Kurdistan (UPK) e da diverse milizie Peshmerga irachene ad esso collegate.”
Dunque i Peshmerga che abbiamo addestrato contro l’Isis sono questi? Forse sono molto peggio. Quando nel 1998 il leader del PKK, Abdullah Ocalan, in fuga da un mandato di cattura spiccato dal governo turco, cercò riparo a Roma, il Copasir, ossia l’organo di vigilanza del Parlamento italiano sulle attività dei servizi segreti, compilò una relazione agghiacciante. Il lettore si renderà conto che la politica estera italiana in vent’anni ha completamente dimenticato ciò che oggettivamente è stato, in generale, il “separatismo curdo”. Ne pubblico uno stralcio assai significativo. Il documento è datato: 18 dicembre 1998.

“2. La ricostruzione della vicenda con riferimento all'attività dei servizi.
Il fenomeno del separatismo curdo e l'attività sul territorio nazionale di soggetti e di strutture ad esso a diverso titolo riconducibili costituisce da tempo oggetto di specifica attenzione da parte dei servizi di informazione e sicurezza. Di ciò fanno fede sia le relazioni bimestrali sull'attività svolta dal SISMI e dal SISDE trasmesse dal Presidente del Consiglio dei ministri al Comitato, sia le più recenti relazioni semestrali sulla politica informativa e di sicurezza presentate alle Camere, sempre dal Presidente del Consiglio dei ministri, in adempimento all'obbligo di cui all'articolo 11, primo comma, della legge 24 ottobre 1977, n. 801. Ciò è stato inoltre confermato dallo stesso Vicepresidente del Consiglio nel corso della ricordata audizione.
La problematica curda risulta in particolare oggetto dell'attività dei nostri apparati di intelligence sotto un duplice profilo: da un lato, quello connesso all'immigrazione clandestina; dall'altro lato, quello concernente l'attività terroristica e militare svolta dal PKK in Kurdistan ed all'estero.
Sotto il primo profilo, il perdurante stato di belligeranza nella regione del Kurdistan, alimentato dalla grave conflittualità tra governo turco e PKK, è stato da tempo individuato quale causa primaria dell'intensificarsi del fenomeno dell'immigrazione clandestina di origine curda. In tale contesto, è stato in particolare adombrato il possibile coinvolgimento di esponenti del PKK, anche attraverso accordi con la criminalità organizzata turca, nella gestione del traffico degli immigrati clandestini, finalizzato al conseguimento di risorse finanziarie.
Per ciò che riguarda invece l'aspetto della minaccia terroristica, è stato ripetutamente evidenziato che il separatismo curdo, pur se impegnato in un conflitto connotato da caratteri propriamente militari solo nel territorio di origine, risulta comunque attivo all'estero in una serrata attività di propaganda e di proselitismo, finalizzata a garantire visibilità e riconoscimento internazionale alla causa curda ed a reclutare proseliti, soprattutto tra le fila dell'immigrazione clandestina, nonché, più in generale, a controllare di fatto la dissidenza curda all'estero. Al fine di conseguire i necessari finanziamenti per tali attività, le risultanze informative prima citate ipotizzano che talune frange del PKK farebbero ricorso a traffici illeciti di stupefacenti e di armi nonché al contrabbando.
All'atto dell'arrivo di Ocalan in Italia, il fenomeno del separatismo curdo, nelle sue articolazioni politiche, militari e propagandistiche, non era dunque ignoto agli organismi informativi, che risultavano seguirne anzi con attenzione gli sviluppi con riferimento alle possibili minacce per la sicurezza del nostro paese.
Tuttavia, le informazioni raccolte in tali contesti hanno costantemente evidenziato come le strutture del PKK presenti in Italia non si siano mai contraddistinte per il ricorso ad azioni violente nel nostro territorio, operando, come detto, sul piano propagandistico. Come espressamente riportato nel punto di situazione predisposto dal CESIS in data 30 settembre 1998, la ragione del mancato ricorso ad azioni violente consisterebbe nell'esigenza di non privare il movimento dei consensi e della solidarietà che la comunità internazionale - e soprattutto molti ambienti e organizzazioni di simpatizzanti italiani - hanno sinora assicurato alla causa curda, a fronte delle violazioni dei diritti umani che, nelle sedi più diverse, sono attribuite alle autorità turche. Di conseguenza, i servizi di informazione e sicurezza hanno costantemente rappresentato alle autorità di Governo l'avviso secondo cui l'attivismo di militanti del separatismo curdo sul territorio nazionale non possa tradursi in iniziative controindicate e pregiudizievoli per la sicurezza interna del nostro paese. Tale opinione, manifestata nell'ambito del già ricordato documento di sintesi del 30 settembre 1998, risulta altresì confermata nel successivo appunto dell'11 novembre 1998, alla luce delle cui risultanze, come si vedrà, il CESIS ha ritenuto di attivare gli organismi informativi in merito al possibile arrivo di Ocalan in Italia."

Nessun commento:

Posta un commento