venerdì 8 novembre 2019

“La mia odissea nei paesi socialisti”


Ricordate l’incredibile indagine sul terrorismo che le spie cecoslovacche costruirono, nella primavera del 1977, basandosi esclusivamente sui sospetti di una donna, Barbara Slagorska Berardi?
I fatti si svolsero nel piccolo paese di Fratta Todina, in Umbria. Un responsabile dell’ambasciata cecoslovacca, il 31 maggio del 1977, si recò a casa della signora Berardi, una settantenne di origini praghesi, la quale, non fidandosi dei carabinieri, aveva scritto una lettera firmata indirizzata a un politico di Praga, un certo Indri. La signora denunciava di aver ascoltato dei giovani che preparavano un attentato nei paesi ex sovietici. E aveva riconosciuto tra questi giovani Luigi Ceccobelli, un suo compaesano impiegato alle poste.
Nel dossier 10443-128 rinvenuto all’archivio dei servizi segreti di Praga e relativo alle indagini dell’STB sul terrorismo italiano, tuttavia, non si parlava soltanto di Ceccobelli, ma anche di altri personaggi totalmente sconosciuti alle cronache nazionali. Alcuni erano di Roma, altri del nord Italia. Tra questi c’era Roberto Sponsillo, romano, nato nel 1947. Cosa c’entrava Roberto Sponsillo con Luigi Ceccobelli? In una relazione top secret del 2 giugno 1977, l’STB scrisse di aver identificato il gruppo di presunti terroristi italiani pronti a compiere attentati a Praga e a Mosca. Si sarebbe trattato di quattro persone, tra cui Ceccobelli, il suo amico Fernando Scargetta, e poi altri due uomini: Paolo Bonatti e, appunto, Roberto Sponsillo (o Sponillo, i documenti non sono precisi sul cognome). Ceccobelli, con il quale siamo in contatto dal 2017 e che abbiamo incontrato nell’estate del 2018 (ci aiuta anche con le traduzioni dal cecoslovacco), ha sempre negato di conoscere gli altri due uomini. E’ sempre rimasto fermo nel dichiarare che il suo viaggio si era svolto in piena regola e in macchina, un’Alfasud rossa targata Perugia (e non Roma come scritto nel documento dell’STB). Erano diretti nell’est europeo per un periodo di campeggio. Nell’auto c’erano solo due persone: lui e il suo amico Scargetta.
Ci sono molte novità. Abbiamo cercato ulteriori notizie a Praga di questa strana inchiesta sul terrorismo e abbiamo rinvenuto un dossier del controspionaggio, contenente due cartelle contrassegnate con la sigla: KR661553MV. All’interno abbiamo trovato una trattazione più ampia e completa sul caso Ceccobelli. Ebbene, nei primi fogli, tra i nomi degli indagati, comparivano proprio i quattro giovani segnalati dall’STB il 2 giugno del 1977: Ceccobelli, Scargetta, Sponsillo, Bonatti, più un certo Francesco Tofanetti. Dopo aver tradotto la prima cartella del dossier, con le relazioni relative alle indagini, possiamo dire che i cecoslovacchi non trovarono alcun riscontro concreto, durante la perquisizione dell’auto di Ceccobelli e Scargetta del giugno 1977, di un presunto piano terroristico contro i paesi socialisti, se non qualche sospetto sull’originalità dei documenti di identità di Ceccobelli. Durante l’interrogatorio in carcere, a Ceccobelli fu mostrata una falsa lettera con accuse anonime nei suoi confronti. Con questa prassi piuttosto discutibile l’STB cercò (e probabilmente vi riuscì) di nascondere l’identità della denunciante, la signora Slagorska Berardi. E’ solo grazie ai documenti dei dossier in nostro possesso che la figura di questa signora di Fratta Todina è venuta alla luce in modo chiaro, anche se, secondo quanto dichiara Ceccobelli, i servizi segreti italiani sospettavano fin dall’inizio una sua responsabilità nella disavventura dei due giovani umbri, i quali, lo ricordiamo, rimasero in carcere a Praga per circa due settimane prima di venire rispediti a casa. I Servizi italiani misero sotto controllo il telefono della signora Slagorska Berardi, senza però ottenere significativi risultati. La donna, sempre secondo Ceccobelli, sarebbe deceduta un anno più tardi.
Sul contenuto del dossier del controspionaggio di Praga torneremo con maggiori notizie in un secondo momento. Nel frattempo, però, abbiamo cercato con insistenza tracce degli altri giovani, fino a questo momento irreperibili. Grazie alle informazioni anagrafiche di questo nuovo dossier, e grazie anche a Facebook siamo riusciti a contattare Roberto Sponsillo (si chiama proprio così).
Esiste, dunque, questo signore romano, come esiste Paolo Bonatti. Sponsillo ci ha risposto molto gentilmente, ha visto i documenti dello spionaggio comunista dell’ex Cecoslovacchia e ci ha assicurato di non aver nulla a che fare con questa storia, né di aver mai avuto rapporti con i servizi segreti italiani. Inoltre, non conosce Luigi Ceccobelli. Ma grazie al nostro invito, ha stretto amicizia su Facebook anche con lui. Per le spie comuniste dovevano conoscersi e adesso, perlomeno, si sono incontrati.
L’impressione che abbiamo avuto è che la storia di Sponsillo e Bonatti sia molto simile a quella raccontata da Ceccobelli. Si tratta di altri due “ragazzi” degli anni ‘70 che nel 1977 volevano farsi un viaggio nell’est, ma dovettero fare i conti con il clima inquisitorio che vigeva oltre la cortina di ferro. Secondo l’STB di Praga Roberto Sponsillo era un impiegato della Cassa di Risparmio di Roma. E in effetti è così. Lo abbiamo riconosciuto perché sul suo profilo Facebook scrive che è stato un dipendente dell’Unicredit, che negli ultimi anni ha inglobato la Cassa di Risparmio di Roma. Ci ha spiegato che adesso è in pensione.  Ecco il racconto che Roberto Sponsillo ci ha rilasciato di quel viaggio e che ci ha autorizzato a pubblicare.
“In quel periodo transitai in Cecoslovacchia. L’andata avvenne il primo maggio 1977, il ritorno circa sette o otto giorni dopo, solo in transito. Non conosco il signor Ceccobelli. Noi avevamo regolare visto di transito andata e ritorno per la Cecoslovacchia e visto con regolare cambio obbligatorio per la Polonia, un visto turistico per sette o otto giorni.
Nel settembre 1977 io e Bonatti decidemmo di tornare in Polonia, ma il visto fu negato a Bonatti, senza spiegazioni, dai cecoslovacchi. Così partii da solo. Avevo una Alfa Romeo GT 1300 di colore rosso bordò. Attraversai la Cecoslovacchia e giunsi in Polonia. Dopo una perquisizione molto accurata fui libero di entrare, ma dopo due giorni, mentre ero a casa di un’amica, arrivò la polizia e mi arrestò con l'accusa di terrorismo. Fui tenuto in polizia tutto il giorno e la sera mi accompagnarono alla frontiera cecoslovacca con addirittura sei poliziotti, due con la mia macchina e quattro con me sul furgone speciale. Alla frontiera mi tolsero tutti i soldi polacchi e fui consegnato ai cecoslovacchi, i quali, controllati i documenti, mi diedero 24 ore per attraversare la Cecoslovacchia. Una volta arrivato a Roma la Farnesina fece una protesta alla Polonia, che rispose dopo quasi un anno dicendo che avevo contravvenuto alle norme sul soggiorno. Secondo me forse avevano pensato che era meglio liberarsi di me. Non so per quale motivo ciò avvenne. Tornai al mio lavoro in banca e feci tutta la carriera finita con la pensione.”
Domani è il 9 novembre e l’Europa festeggerà i 30 anni dalla caduta del muro di Berlino. Ci è sembrata dunque un’ottima occasione per raccontare cosa è stata la guerra fredda per alcuni giovani che decisero di recarsi nei paesi socialisti. Tutto questo a prescindere dalle accuse della signora Slagorska Berardi, che, intendiamo sottolinearlo, avrà avuto i suoi buoni motivi per spedire una lettera firmata al governo di Praga. E noi speriamo che qualche parente, che legge queste righe, possa offrirci anche il punto di vista della denunciante.

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