domenica 1 dicembre 2019

L’americano che aiutava brigatisti e palestinesi


C'è un insospettabile tra i terroristi collegati al covo brigatista di via Gradoli. C’è una persona che non c’entra niente con il terrorismo di sinistra e che invece aveva un documento falso, che proveniva dallo stesso stock trovato dalla polizia a Roma, in via Gradoli, quando il 17 aprile del 1978 fece irruzione nell’appartamento di Mario Moretti e trovò una marea di indizi utili alle indagini sul sequestro Moro.
Il caso Moro, dunque, torna protagonista delle nostre pagine, dobbiamo sbattere ancora lì. Ma ci ripromettiamo di farlo per offrire la nostra versione definitiva del giallo. L’uomo di cui ora parleremo è l’anello di collegamento tra due mondi apparentemente opposti, il governo americano e i palestinesi. Due ambienti che, invece, stando ai documenti che abbiamo trovato ed esposto nel nostro lavoro, risultano coinvolti nel rapimento dell’ex presidente del consiglio Aldo Moro. Gli americani sapevano fin dal primo giorno che nel sequestro erano coinvolti i palestinesi, mentre questi ultimi collaboravano con la RAF, i cui uomini è quasi certo che parteciparono alla strage della scorta di Moro in via Fani, il 16 marzo del 1978.
Ma chi è questo insospettabile? Per saperlo dobbiamo ritirare fuori un episodio dimenticato, che avvenne ad Abano Terme, in provincia di Padova, nel 1979. Nella notte tra il 15 e il 16 luglio di quell’anno un ordigno scoppiò davanti all’albergo Bristol di Abano Terme, in via Monte Ortona. I carabinieri - scrisse il quotidiano La Stampa il 17 luglio - seguendo le testimonianze arrestarono quattro sindacalisti. Due di loro probabilmente stavano trasportando la bomba in un altro luogo, ma all’improvviso gli esplose in mano. Si chiamavano G. V. e P. S., poco più che trentenni. Le altre due persone arrestate erano le loro mogli: A. M. e G. G. Decisiva fu la testimonianza di un metronotte, il quale vide il V. e il S. tentare una disperata fuga dopo l’esplosione, per poi accasciarsi a terra per le ferite. I carabinieri perquisirono la macchina e l’appartamento dei sindacalisti dimostrando che il gruppo, mogli comprese, aveva lasciato dappertutto tracce della fabbricazione di ordigni, inoltre trovarono armi e materiale riconducibile all’organizzazione Prima Linea. I due sindacalisti erano molto conosciuti perché facevano parte della federazione bolognese della CGIL e del PSI, da cui furono subito espulsi. Il fascicolo processuale finì nelle mani del magistrato Aldo Fais, che smistò il tutto al sostituto procuratore Lorenzo Zen.
Nel frattempo, però, alla dogana era stato arrestato un quinto uomo della banda che cercava di scappare dall’Italia: L. B., il nostro uomo misterioso, collegato al covo di via Gradoli. Era la notizia più eclatante dell’articolo dell’Unità del 9 gennaio 1980 firmato da Gian Pietro Testa. Erano passati già alcuni mesi. I magistrati romani si erano recati a Bologna - scriveva Testa - per consultare il fascicolo della bomba di Abano Terme. Le indagini del procuratore Zen avevano accertato che i quattro sindacalisti erano soliti ricattare le proprie vittime, industriali e albergatori, per estorcere loro denaro, e la bomba dell’albergo Bristol doveva servire proprio a questo.
“B. è personaggio tutto da scoprire. - scriveva testualmente il giornalista dell’Unità, Testa - Ha lavorato in Germania, dove andava costituendo fantomatici circoli ‘Lenin’ e dove venne arrestato per una rissa. Poi lavorò in un kibbuz israeliano, infine giunse a Bologna, pronto a partecipare attivamente ai fatti del marzo '77. B. (che aveva acquistato con un passaporto rubato a Roma più di dieci pistole) era in possesso di alcuni documenti falsi, uno dei quali farebbe parte dello ‘stock’ trovato nel covo br di via Gradoli a Roma, scoperto durante le indagini sul caso Moro.”
Insomma una scoperta non di poco conto. La vicenda processuale dei sindacalisti si concluse nel maggio del 1981, con la condanna comminata dal tribunale di Bologna a tutti gli imputati: dagli 8 ai 5 anni, mentre B. si prese due anni, e uno andò a N. L., un altro esponente del PSI. In totale, stando all’articolo di Vincenzo Tessadori della Stampa del 29 maggio 1981, la banda aveva progettato ben 364 estorsioni, portandone a compimento solo due. I proventi di queste attività criminali sarebbero servite ai “profughi cileni”, anche se i militanti socialisti cileni esclusero, durante il dibattimento, di aver mai chiesto soldi a questi italiani. Più probabilmente si trattò di un tentativo dei servizi segreti di inserirsi nell’estrema sinistra.
Ma come siamo arrivati, noi che vi scriviamo da queste colonne, al caso di Abano Terme? si chiederà qualche magistrato che per sbaglio finirà sul nostro blog. E’ molto semplice, dal dossier cecoslovacco sul caso Ceccobelli. Se infatti il postino di Fratta Todina c’entrava ben poco con il terrorismo, non si poteva dire la stessa cosa di L. B. Anche lui se ne andava in giro con la macchina per l’ex Cecoslovacchia nel giugno del 1977. E l’STB, il servizio segreto comunista di Praga, in quei giorni gli italiani che passavano per il loro territorio li stava tenendo d’occhio tutti. Era in corso una vasta operazione antiterrorismo che faceva seguito alla denuncia della signora Barbara Slagorska Berardi: alcuni italiani, a suo dire, si preparavano a compiere attentati nei paesi ex sovietici. Però la montagna partorì un topolino. Cioè di vero non c’era quasi nulla. Non furono trovate prove a quelle accuse. L’unico personaggio che poteva destare sospetti venne lasciato inspiegabilmente libero, ed era proprio il nostro uomo: L. B.
Un L. B., nato il 20-6-1939, partì dall’ex Cecoslovacchia il 9 giugno 1977 alle ore 8.30 con destinazione l’Italia. Che si trattasse della stessa persona poi arrestata dalla nostra magistratura perché legata alla bomba di Abano Terme lo dimostra il particolare che anche per l’STB questo B. era vissuto in Germania, a Berlino, dove aveva lavorato come autista presso la ditta Schenker. L’8 giugno 1977 durante un controllo a Breclav gli agenti gli avevano trovato addosso una pistola di fabbricazione cecoslovacca con delle cartucce. L’uomo si era difeso - scriveva il documento dell’STB - asserendo che le armi gli servivano per la difesa personale e le aveva acquistate a Roma al mercato nero. Dettaglio, anche quest’ultimo, che corrisponde perfettamente con quanto narrato dal giornalista Testa: B. avrebbe comprato più di dieci pistole a Roma con passaporto rubato. In passato aveva viaggiato attraverso l’URSS altre due volte.
Sembra di capire (la traduzione non è chiara in questo caso) che B. venne “rimosso dal treno” in Germania all’altezza della località Bad Schandau e qui sarebbero state adottate “le misure italiane”.
Era già ricercato in Italia? Ma allora perché si attese lo strano attentato di Abano Terme per arrestarlo?
Torniamo all’articolo di Gian Pietro Testa dell’Unità. I giudici romani erano andati, dicevamo, fino a Bologna per saperne di più sui sindacalisti di Abano Terme. Il giudice istruttore Vito Zincani aveva scoperto dei collegamenti incredibili tra il terrorismo di sinistra e la CIA. Il S., uno dei due cui la bomba del 1979 era esplosa in mano, era strettamente legato a degli infiltrati dell’eversione internazionale: due cileni, un certo S. e T. V. V. I due erano stati arrestati a Pisa nell’ambito di un’inchiesta sul gruppo “Azione rivoluzionaria” che faceva capo a un altro oscuro personaggio, americano in questo caso, che è la chiave per capire i contatti tra palestinesi e spie della CIA, Ronald Stark. 
Ma a questo punto le indagini ufficiali si stavano arenando. Gian Pietro Testa aveva intuito che si preparava l’ennesimo insabbiamento. Del resto Ronald Stark era stato appena scarcerato proprio perché agente della CIA. Pochi mesi dopo altri tragici lutti avrebbero scosso l’Italia con la tragedia del DC-9 caduto a Ustica e la bomba del 2 agosto 1980 a Bologna. Ma chi era Ronald Stark? Di lui le cronache italiane e le trasmissioni sui gialli irrisolti si sono occupate a lungo. Interessante è però l’articolo del quotidiano svizzero Gazzetta Ticinese uscito a firma di Gianni Bucci il 21 ottobre del 1978, secondo cui Stark era “un ricco americano implicato nel traffico di droga, che pare abbia avuto un ruolo nel sostegno dei brigatisti rossi”. Si presentava ai controlli con altri nomi: il britannico Terence Abbott, e il libico Alì Kouri o Kery. Stark, mentre era in cella, fornì una cartina di un campo di addestramento libanese per terroristi situato a Baalbeck “ad un giovane terrorista arrestato a Lucca”. Si trattava di Enrico Paghera. Il campo di Baalbeck era controllato dall’Imam Moussa Sadr, scomparso in circostanze poco chiare da Roma nel 1978. Forse fu rapito e ucciso dagli uomini di Gheddafi.
Il 15 aprile del 1983, quando Stark fu arrestato nuovamente in Olanda, Gianni Marsilli dell’Unità scrisse uno dei migliori ritratti di questo personaggio. L’americano si qualificava come un “palestinese apolide”, sostenitore della causa araba. Era “scuro di pelle, baffi spioventi e corporatura robusta, colto e plurilingue”. Secondo dei testimoni avrebbe avuto un ruolo nell’attentato di Fiumicino a un aereo israeliano, nel 1973, in cui persero la vita 34 persone. Intratteneva anche - sempre secondo l’articolo dell’Unità - “rapporti frequenti con i libici come faceva una certa parte della CIA americana”. “Con ogni probabilità - proseguiva il pezzo - Stark era un infiltrato dei servizi americani nelle frange più estremiste delle organizzazioni palestinesi, con compiti di destabilizzazione nell’area mediterranea e di contatto tra terroristi arabi e italiani.”
Ronald Stark contattò i personaggi più influenti delle Brigate Rosse, Curcio e Franceschini, ma fu tradito da quel Paghera a cui stava fornendo istruzioni su come recarsi al campo di Baalbeck. Ma Paghera disse cose ancora più importanti e gravi. Sarebbe stato proprio Stark a fargli avere una licenza di uscita dal carcere per andare a scrivere il falso comunicato numero 7 delle Brigate Rosse sul lago della duchessa. Quello che è certo è che l’americano anche in carcere intratteneva rapporti con i diplomatici americani, tanto da fornire, una volta scarcerato, come sua residenza, l’indirizzo del consolato americano a Firenze. Questo è quanto affermava in conclusione del suo pezzo Gianni Marsilli, che sottolineava l’importanza della pista armi-droga per comprendere il fenomeno del terrorismo, ossia per capire il contesto nel quale si sviluppava all’inizio degli anni Ottanta il terrorismo politico.
Stark non ammise mai ufficialmente di essere un agente della CIA, eppure gli americani non fecero nulla per ottenere un mandato di estradizione. Lo deduciamo spulciando i cablogrammi di cui disponiamo grazie a Wikileaks. Promettevano alle autorità italiane di procedere all’arresto solo se il misterioso capellone si fosse recato spontaneamente negli Stati Uniti. Cosa che, probabilmente, non era nei programmi della CIA.

P.S. Data la gravità delle accuse che formuliamo in questo articolo, sebbene siano ampiamente documentate, preferiamo siglare i nomi dei sindacalisti coinvolti nei fatti di Abano Terme, perché purtroppo la legge italiana non è sempre alleata del giornalismo e garantisce agli imputati che hanno scontato la loro condanna il diritto all'oblio. Ce ne scusiamo con i lettori, siamo informati della presenza di un'inchiesta giudiziaria in corso di svolgimento sul covo di via Gradoli, ma i tempi per la stampa sono duri, e piuttosto che rischiare minacce o querele, preferiamo glissare sulle responsabilità individuali, anche per evitare confusione con gli omonimi, garantendo di pubblicare questi nominativi negli aggiornamenti del libro cartaceo.

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