domenica 3 giugno 2018

L’affare Skoda smentisce i comunisti


Tra i finanziatori della sinistra eversiva degli anni Settanta c’erano sicuramente anche i cecoslovacchi. Una nota del Sisde del 9 marzo 1978, conservata tra gli allegati della Commissione Moro del 1996 e disponibile online, affermava che, nel periodo del sequestro del presidente democristiano, la ditta Skoda, un noto marchio di automobili, aveva versato a fondo perduto 70 milioni di vecchie lire ai dirigenti milanesi di “Autonomia operaia”, che era il gruppo diretto dal professore universitario Antonio (Toni) Negri. Fondi - sottolineava il Sisde - di chiara provenienza cecoslovacca.
A fare da tramite dell’operazione furono Nanni Balestrini del movimento “Potere operaio”, e Iaroslav Novak, studente di Scienze Politiche, anche lui iscritto a “Potere operaio”. L’agente della Skoda si chiamava invece Pietro De Stefani.
Vi fu uno scambio di corrispondenza tra i vari servizi segreti italiani. La nota finale del generale Santovito, direttore del Sismi, datata 19 ottobre del 1979, non poteva che confermare queste notizie anche se prive degli ulteriori approfondimenti che erano stati richiesti.
Siamo nel periodo in cui i cecoslovacchi, se il lettore ricorderà quanto scritto sul nostro blog a proposito del dossier dell’Stb, erano entrati in contatto con l’ex partigiano Guido Campanelli, che aveva chiesto ai servizi segreti di Praga di sostenere l’attività dell’estrema sinistra. Si ricorderà anche quanto i cecoslovacchi diffidassero di questi estremisti, sia per paura di rovinare ulteriormente i rapporti con il Partito Comunista, sia per la presenza nella sinistra italiana dei maoisti. Ciò nonostante era evidente l’intenzione dell’Stb di attivare dei canali in Italia attraverso cui diffondere la loro posizione sul terrorismo e controbattere agli attacchi che le istituzioni del nostro paese stavano lanciando contro il mondo comunista.
L’affare Skoda conferma anche quanto scritto dal professor Roberto Bartali, quando afferma nel suo lavoro “L’ombra di Yalta sugli anni di piombo” che sul terrorismo di sinistra non vi poteva essere l’influenza di una sola parte dei tanti servizi segreti in competizione tra loro.
Al contrario, su un blog comunista intitolato “Informiskrazione” è stato scritto recentemente che Toni Negri sarebbe stato un membro della massoneria, e avrebbe fatto parte di un progetto fascista di estremizzazione della politica comunista, con lo scopo di condurre il mondo proletario verso la strada sbagliata della lotta armata contro lo Stato. Un concetto che riprende a distanza di anni la campagna propagandistica della Stasi, il servizio segreto dell’ex Germania dell’Est.
Trovato il movente, secondo i giornalisti di Informiskrazione, avremmo anche il mandante del terrorismo italiano, ovvero la CIA, attraverso il famoso Centro di studio delle lingue: l’Hyperion.
L’avete mai sentito nominare? Quella di Hyperion è una storia vecchia, che non finisce mai fuori moda. Su di essa sono stati scritti libri e film (il già citato “Piazza delle Cinque Lune”, tanto per dirne uno). Ma era interessante poter offrire un giudizio dal nostro punto di vista su questo grande enigma della storia italiana, e siamo andati a cercare qualche notizia ufficiale sulle indagini all’epoca portate avanti dalla magistratura. Fortunatamente ci vengono spesso in soccorso, in storie così importanti, gli allegati delle Commissioni Moro dei decenni scorsi. Nella fattispecie fu archiviata dalla Commissione del 1995 una nota del Gabinetto del Ministero dell’Interno con la quale venivano riepilogate tutte le notizie su questa vicenda.
Hyperion aveva sede a Parigi in Quai de la Tournelle 27. Era un centro linguistico dotato di una sede molto elegante, per il cui affitto veniva pagata una somma importante. Oltre all’insegnamento delle lingue, il centro organizzava viaggi per comitive dirette in Francia, per gli italiani, e in Italia, per i francesi.
Ma cosa c’era di vero in tutto questo? Probabilmente molto poco. Ciò che si evince dalla nota del ministero, ma anche dai verbali dei numerosi interrogatori condotti dai giudici (in particolare da Mastelloni) tra il 1979 e il 1983, è che l’Hyperion potesse essere un punto di riferimento per i brigatisti per smistare il traffico di armi tra i gruppi palestinesi e l’Italia. Tra i vari nomi emersi dalle indagini vi era soprattutto quello, come molti saprete per averlo letto da altre parti, di Corrado Simioni, uno dei fondatori delle Brigate Rosse. Poco prima del rapimento Moro, Simioni era sotto processo insieme a Renato Curcio per istigazione a delinquere. Nell’aprile del 1971 questi pionieri del terrorismo rosso avevano pubblicato sul giornale “Nuova resistenza” articoli nei quali spingevano gli operai a “sabotare la produzione delle fabbriche distruggendo impianti e macchinari e cagionando anche lesioni personali”. Così scriveva sulla vicenda il 24 febbraio 1978 il quotidiano svizzero Libera Stampa. Poi le strade di Curcio e Simioni si erano separate, ma è difficile pensare che l’ex terrorista a Parigi si occupasse solo di linguistica francese.
Hyperion aveva aperto succursali anche a Roma e Milano, e nel capoluogo lombardo poteva contare sull’appoggio di un altro personaggio noto ai servizi segreti italiani: tale Giuseppe Sacchi, omonimo del Giovanni Sacchi, marxista-leninista, che era finito sotto inchiesta nel 1967, insieme a Michele Savi, per degli attentati che stavano preparando con il sostegno dell’ambasciata cinese. Giuseppe Sacchi, invece, risulta che avesse partecipato all’albergo Stella Maris di Chiavari, nel 1969, al convegno in cui - come recita la nota ministeriale - “vennero gettate le basi della clandestinità”. La moglie, Dimma Vezzani, faceva parte di uno dei nuclei storici delle Bierre: il “collettivo politico operai e studenti” di Reggio Emilia.
Si tratta di personaggi che in nessun caso, a parte Simioni, conducono a piste straniere dello spionaggio internazionale (sempre se il Sacchi è solo un omonimo del filocinese). Anche gli interrogatori dei giudici lasciano con l’amaro in bocca: fanno intendere che nessuno di questi signori confessò qualcosa di speciale. L’inchiesta, del resto, una volta che la stampa italiana nel 1979 cominciò a battere questa pista “fu gravemente compromessa”. La polizia francese aprì una sua indagine amministrativa, ma non se ne seppe mai nulla. Mentre i terroristi che si erano rifugiati nel loro territorio, come si ricorderà, goderono sempre di grandi protezioni politiche.
Deludente è anche la deposizione di Luigi De Sena della Questura di Roma, il quale affermò il 26 febbraio del 1983, al giudice Mastelloni, sul presunto legame tra Toni Negri e l’Hyperion, che “collegamenti tra Negri e l’istituto non se ne riscontrano”.

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