martedì 15 agosto 2017

Dissidenti sovietici e migranti traditi dall’Italia


Il 26 dicembre del 1969 vi fu sull'Autosole, tra Roma e Firenze, un inconsueto incidente che vide coinvolto Arkady Belinkov, uno scrittore dissidente russo che nel 1968 era “evaso dall’inferno” dei paesi socialisti ed emigrato negli Stati Uniti. Dopo il Natale del 1969 si trovava in Italia con la moglie per un ciclo di conferenze. Sarebbe stato inseguito e tamponato dai servizi segreti russi del KGB, che lo cercavano per ucciderlo. Il Corriere della Sera nella stessa pagina nella quale dava spazio, come fece Araldi nel suo libro, alle parole del dissidente, dimostrò il 10 gennaio del 1970 che la ricostruzione non reggeva affatto. Un incidente c’era stato, intorno alle 17 del 26 dicembre 1969, ma la moglie di Belinkov, Natalia, ai poliziotti della stradale aveva raccontato che la loro DAF era andata a sbattere da sola contro il muretto. “Non so perché mio marito abbia frenato improvvisamente - raccontò la donna al Corriere -. Ero seduta al suo fianco e non mi sono accorta di nulla.” Non certo più semplice fu la vita di altri profughi che, come in questi anni avviene con le navi cariche di disperati del Terzo Mondo, si recavano alla questura italiana per chiedere asilo politico. Venivano spediti nel campo profughi di Padriciano, vicino Trieste, ad attendere che le pratiche burocratiche venissero condotte a termine. Ma a Padriciano mancava veramente poco perché fosse definita una prigione. In un documento, intitolato “United States Government support of covert action directed at the Soviet Union”, “Supporto del governo degli Stati Uniti all’azione segreta diretta all’Unione Sovietica”, apprendiamo che negli anni Sessanta erano attive diverse forme di propaganda politica degli americani nell’est Europa per supportare i dissidenti. “Interrompere il programma per evitare che l’URSS ci accusi? Sarebbe inutile e dannoso”, concludeva la CIA, che sicuramente continuò a pubblicare i testi dei dissidenti per molti anni ancora.

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