giovedì 6 febbraio 2020

Sparatorie contro i fantasmi del passato


Misteriose sparatorie, terroristi, disgrazie, strani omicidi. Questo è quanto accomuna le numerose basi missilistiche che la NATO nascose nel 1960, secondo quanto riporta il dossier 328 dell’archivio di Praga, all’interno di bellissime e insospettabili montagne italiane.
Luoghi sconosciuti, dicevamo, e lo possiamo confermare dopo una sommaria ricerca nell’archivio dei quotidiani, fatta eccezione per Aviano in Friuli Venezia Giulia e Salto di Quirra in Sardegna, che sono le uniche zone militari su cui il cittadino sia stato, nel corso della guerra fredda, adeguatamente informato dai mezzi di stampa. Si può affermare che Aviano non abbia mai avuto grossi segreti nemmeno per i sovietici, visto che nell’ampio dossier che ci è stato inviato da Praga esiste una cartella con le fotografie, scattate nel 1970 probabilmente su un vecchissimo computer, delle schermate contenenti i numeri di telefono interni, e gli uffici, di tutti i militari italiani ed americani della base. Ci sembrerebbe una scortesia se sovietici e statunitensi non si fossero mai scambiati almeno un colpo di telefono e un saluto in tutti questi anni!
Avevamo parlato ampiamente del caso Rinaldi, la spia piemontese arrestata nel 1967 perché sorpresa mentre scambiava con i russi informazioni riservatissime proprio su Aviano e sulle basi spagnole della NATO, o per meglio dire degli americani. Ora spenderemo due parole anche su Salto di Quirra. Due soltanto, perché dell’intensa attività di collaudo di missili nella splendida terra sarda parlano ampiamente le immagini di Youtube, e poi le polemiche, finite negli uffici della procura, per il sospetto che l’intero territorio militare sia stato contaminato dalle radiazioni. Esistono articoli di giornale fin dai primi anni Sessanta su Salto di Quirra. Nel novembre del 1963 l’onorevole comunista Pajetta apprese da un giornale tedesco e denunciò in Parlamento la presenza di almeno duemila militari dell’ex Germania Ovest a Salto di Quirra. Non si trattava di turisti alla scoperta di nuovi luoghi per la tintarella estiva, bensì di guerriglieri impegnati in misteriose esercitazioni, sdegnosamente negate dal democristiano Andreotti, ma, sfortunatamente per lui, fondate e provate dai documenti dell’archivio di Praga.
Non torneremo sul Monte Conero, né sul caso Archia, e proveremo a fare una carrellata di episodi singolari accaduti negli altri poligoni della NATO, forse i primi ad essere costruiti rispetto a tanti altri, segnalati a Praga fin dal 1960 dal mitico “comandante Matricardi”.
Lunedì 10 aprile 1967, il cadavere di un giovane pastore, carbonizzato e reso quindi irriconoscibile, viene rinvenuto da dei ragazzi nel fitto bosco della Foresta Umbra, vicino Vieste, sul Gargano. Era stato ucciso a fucilate alla testa. Fu un regolamento di conti, come si direbbe ora? O qualcuno si era avvicinato incautamente a qualche rampa di Jupiter? Perché c’è da aggiungere un particolare. Il comandante Matricardi scriveva, apparentemente riferendosi alle basi del nord-est, che le zone attrezzate con rampe per missili Jupiter e Nike-Hercules erano pattugliate da carabinieri e da polizia militare. Gli ordini erano perentori: fermare tutti coloro che si fossero avvicinati alla base e non rilasciarli prima di aver accertato il motivo per cui si trovavano da quelle parti. Il che detto per un turista che se ne andasse a spasso per Pratica di Mare sarebbe un conto. Ma accusare di violazione del segreto militare un villeggiante del Gargano o dello Stelvio è cosa ben diversa, diamine! E non mi si venga a dire che negli anni Sessanta il turismo di massa non era ancora decollato.
Venerdì 29 dicembre 1961. La casermetta della Guardia di Finanza di Riva di Tures “viene attaccata per la seconda volta da sconosciuti” - scrive il quotidiano La Stampa il giorno successivo - i quali sparano una trentina di colpi e si dileguano. Un’azione ‘terroristica’ la chiama il giornale, avvenuta a 1700 metri di altezza, in una zona di alta montagna, adatta a degli scalatori, anche se vicina al confine italo-austriaco. Un duro conflitto a fuoco, con i militari che si gettano subito sulle tracce dei malviventi, poi più nulla. Era avvenuto più o meno quanto preannunciava Matricardi, se non fosse che nessuno ha mai parlato di basi per missili in quella zona.
Sabato 3 agosto 1991. “Numerosi colpi di arma da fuoco” vengono sparati contro un’Alfa 75 dei carabinieri. Lo scrive sempre La Stampa in un trafiletto che spiega. “Secondo i primi accertamenti i colpi sono stati sparati da persone nascoste in un bosco che fiancheggia la strada provinciale che collega Matera a Montescaglioso.” Gli investigatori sospettano una vendetta della malavita locale, a causa dei controlli che facevano seguito ai numerosi omicidi avvenuti in quel paesino della Basilicata. Ma se così fosse anche la zona missilistica di Montecorvino Rovella, nel salernitano, dopo l’utilizzo militare, potrebbe essere diventata territorio della mafia o della camorra. Nei giornali anche questa località citata nel rapporto-Matricardi è conosciuta per fatti di criminalità organizzata. Montecorvino Rovella divenne famosa più di recente per la presenza di una sgraditissima discarica, mentre il cadavere di Sergio Castellari, direttore generale dell’ex Ministero delle Partecipazioni Statali, fu rinvenuto nel 1993 vicino Roma, ma in una frazione chiamata proprio Monte Corvino. Se fu omicidio, come tanti hanno sostenuto, il luogo scelto era un messaggio in codice per qualcuno che doveva ricevere un macabro avvertimento?
Mercoledì 15 luglio 1970. Un soldato del reggimento di stanza a Palmanova muore ferito da un colpo di mortaio. Un suo commilitone resta ferito gravemente. La disgrazia secondo un lancio dell’Ansa avviene anche qui in alta quota, a 1100 metri durante un’esercitazione sul Monte Ciaurlec. Il militare deceduto si chiama Luigi Martino. Aveva solo 21 anni e proveniva dal catanzarese.
Sabato 30 settembre 1967. Nello stesso giorno di un attacco dei terroristi ‘nazisti’ - come il definisce La Stampa - che hanno ucciso con una bomba due agenti a Trento, avviene un attacco terroristico in Val Venosta a Prato allo Stelvio. Poco dopo le 22 un commando attacca la caserma dei carabinieri sparando contro l’edificio con armi automatiche. Ne nasce un conflitto a fuoco che dura mezzora, poi anche in questo caso i terroristi si dileguano. Fu davvero opera del BAS, il famoso gruppo terroristico dell’Alto Adige?
Domenica 2 ottobre 1983, ore 15:30. In una località della Val di Susa chiamata Riposa, a 2100 metri di altezza, alle pendici del Rocciamelone muoiono quattro escursionisti travolti da una vecchia casermetta militare. Secondo il pezzo della Stampa si tratta di Luisa Steffenino 30 anni, Mario Demaria 44 anni, Renzo Fornaca di 32 anni e la fidanzata Francesca Ravera di 25 anni. Gli alpinisti coinvolti sono in tutto cinque, uno resta soltanto ferito e narra l’accaduto ai soccorritori. Si chiama Giancarlo Novello, 30 anni nel 1983, marito della deceduta Steffenino. Si erano fermati sul tetto della casermetta, quando il soffitto, che era stato riutilizzato per una teleferica, sprofondò trascinandoli con sé “nel cunicolo sottostante”. Ne nasce un processo. Vengono accusati dei generali dell’esercito, in quanto si accertano tutti i passaggi di proprietà della casermetta, e le relative responsabilità. Non è però colpa di nessuno, a quanto pare. Un articolo del 1992 che troviamo nell’archivio della Stampa ci avvisa che vennero tutti assolti.
Nessuno ricordava più le rampe di Jupiter segnalate dal comandante Matricardi. C’è però da aggiungere ancora un dettaglio di quel rapporto. Le basi missilistiche comprendevano certamente due zone, una parte più alta riservata al comando militare e una di lancio dei missili, distante un chilometro circa. Solo in quattro località del nord-est vi erano cunicoli sotterranei 'attrezzatissimi' per custodire i missili a testata nucleare: a Cividale del Friuli, Prato di Resia, Aviano, Corvara Pedraces. Questo almeno nell’agosto del 1960, ma nel documento veniva segnalato che in quel momento erano “in costruzione anche nelle altre basi installazioni sotterranee”.
Lunedì 5 marzo 1990. Nei boschi di Prato di Resia è in corso un violento incendio. L'ottantaduenne Luigi Di Leonardo sale dal paese fino alla baita "per tagliare un po' di legna e ripulire il prato circostante" - scrive La Stampa. L'uomo accende un fuoco ignorando il pericolo incombente. C'è vento e le fiamme dei due roghi si uniscono, uccidendolo, nonostante con la pompa d'acqua tenti di "difendersi".


Nessun commento:

Posta un commento