lunedì 10 febbraio 2020

L'ex Jugoslavia complice delle Brigate Rosse


Un'unica strategia lega l’omicidio di Lando Conti al sequestro Dozier, all'attentato ad Heidelberg a una base Nato, all'assassinio di Leamon Hunt a Roma nell' 84, ad altre azioni compiute in Francia e in Germania. “Ci dice che si è creata una pericolosa saldatura organica tra i vari gruppi armati e i gruppi intransigenti mediorientali che fanno capo ad Abu Nidal.”
Con queste parole Giuseppe D’Avanzo descriveva su Repubblica, il 10 settembre del 1989, il terrorismo internazionale delle Brigate Rosse. “Le BR come la RAF”, era il titolo dell’articolo, molto chiaro sui mandanti di questi assassini, ma anche sulle complicità di paesi “non allineati” quali la ex Jugoslavia o la Libia.
Facciamo un passo indietro. E’ la sera del 15 febbraio 1984. Siamo all’Eur, quartiere residenziale di Roma. In via Sudafrica alloggia un diplomatico americano, Leamon Hunt. Da alcuni anni ha assunto un ruolo politico di primo piano, deve vigilare sull’applicazione del trattato di Camp David tra Egitto, Israele e Stati Uniti. Il suo quartier generale è in via Shakespeare. Per tornare a casa dalla sua famiglia deve percorrere poche centinaia di metri. Nella quiete dell’Eur, tra il verde che circonda le ville dei romani, Hunt arriva davanti al cancello di casa con la sua Alfa 6 guidata dall’autista. Giuseppe Zaccaria, giornalista del quotidiano La Stampa, parla di due uomini dai tratti mediorientali che lo seguivano con una vecchia Fiat 128. Tutto dura pochi secondi. I due killer scendono e sparano. Ma l’auto è blindata. Urlano ‘abbassati’ all’autista. Poi appoggiano la canna dell’arma al lunotto posteriore e riescono a sfondarlo. Hunt viene colpito alla nuca. Morirà durante il trasporto all’ospedale. L’autista intanto ha innestato la retromarcia e si è schiantato contro la 128. Ne è uscito un terzo killer che è fuggito a piedi, insieme ai due ‘mediorientali’, verso la Cristoforo Colombo, una grande arteria che conduce fuori dalla Capitale. L’attentato verrà rivendicato dal ‘Partito Comunista Combattente’: le Brigate Rosse. E’ sempre il pezzo di Giuseppe Zaccaria della Stampa a raccontarci questi dettagli. “Dobbiamo rivendicare l’attentato al generale Hunt - dice una voce maschile con una telefonata - garante degli accordi di Camp David. Via le forze imperialiste dal Libano, fuori l’Italia dalla Nato, no ai missili di Comiso.”
Gli inquirenti restano spiazzati. Le Brigate Rosse non si erano mai schierate così apertamente in favore di forze estranee alla politica italiana. Passerà alla storia come un delitto inedito, senza dei veri responsabili. Oggi grazie a internet possiamo avvicinarci alla verità. E’ molto probabile che vi fosse un legame tra i brigatisti e un gruppo arabo noto come Frazione Armata Rivoluzionaria Libanese. Uno dei colpevoli sembra che fosse stato riconosciuto. Un cablogramma top secret partito dalla Segreteria di Stato americana alle 22:58 del 7 febbraio 1985 affermava che l’autista di Hunt aveva riconosciuto uno dei killer in Mohamad Fahs. “Gli inquirenti italiani potrebbero dedurre che le Brigate Rosse abbiano assoldato Fahs per uccidere Hunt. Sebbene non vi siano elementi per smentire la notizia, non siamo in possesso nemmeno di prove per confermarla.” Così si esprimeva Washington rivolgendosi agli ambasciatori europei.
Nei giorni successivi all’attentato vi fu un accavallarsi di rivendicazioni. Sia Bruno Seghetti delle Brigate Rosse, sia i libanesi si assunsero la responsabilità dell’insano gesto politico. Ma non accadde ciò che si attendeva la Casa Bianca. Stando a quanto ci racconta un articolo di Daniele Mastrogiacomo, comparso su Repubblica il 18 ottobre del 1985, Mohamed Fahs fu condannato in quel periodo a due anni di reclusione. Ma non per il delitto Hunt. Avrebbe cercato di costituire una banda armata insieme ad altri esponenti del movimento rivoluzionario libanese. Fu invece assolto per insufficienza di prove dalle accuse di aver tentato di organizzare una strage, peraltro mai compiuta, contro l’ambasciata statunitense. Era in carcere da un anno perché si sospettava fosse il destinatario di alcuni esplosivi rinvenuti a Zurigo. Nessun cenno al delitto Hunt.
Soltanto due mesi dopo, altri terroristi stroncavano sedici vite nella famosa strage di Fiumicino. “Il commando palestinese arrivò a Roma da Damasco - spiegava ancora Giuseppe D’Avanzo su Repubblica - attraverso Belgrado e trovò in Italia armi e apporto logistico.” Un commando facente capo ad Abu Nidal, agendo indisturbato, prese di mira i passeggeri in fila al check in della compagnia israeliana El Al. Fu una carneficina. Era il 27 dicembre 1985.

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