mercoledì 8 ottobre 2014

Antitrust, bocciato il ricorso sul giornalismo


Quello di oggi è un giorno triste per la libera informazione italiana. L'Antitrust ha bocciato il 30 settembre un ricorso che avevo presentato il 4 luglio scorso sulla libera concorrenza nel giornalismo. Segnalavo mancanza di trasparenza nelle assunzioni nei quotidiani, nelle tv e nelle radio, mancanza o quasi di concorsi e di rispetto per l'iscrizione all'albo dei pubblicisti, che pure garantirebbe molti diritti e molte tutele. Ma denunciavo pure la mancanza di concorrenza nella ricerca delle notizie da parte delle redazioni, le quali sembrano uniformarsi ai comunicati stampa e alle veline delle agenzie. Il segretario generale dell'Antitrust Roberto Chieppa scrive nel documento, recapitatomi ieri, che l'Autorità "ha valutato i fatti denunciati" e ha riscontrato che quanto denunciato non è punibile mediante "l'applicazione della legge 10 ottobre 1990 n. 287, o degli artt. 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea". Questi i fatti. Il mio commento, visto che si trattava di una mia denuncia personale, è che hanno vinto i carri armati del PD, ha vinto l'informazione pilotata e cieca, fatta di "immagini di copertura", video inviati dalle forze di polizia, e hanno perso le vere notizie, quelle che coinvolgono i politici e li metterebbero sotto accusa senza bisogno di processi.  

La mia denuncia era questa:

Spettabile Antitrust,

vorrei segnalare la mia situazione personale, che può offrire uno spaccato di quello che è il mercato del giornalismo italiano. Io credo che sia ora di aprire gli occhi su questo mestiere, senza per questo scomodare mafie, P2, massonerie, Sifar, come in passato è stato fatto. Rimaniamo su fatti concreti. E allora diciamo che sono proprio sconfortato nel constatare che in tutta Italia non è possibile accedere, né a concorsi da parte di quotidiani, né a contratti di collaborazione esterna. Sono iscritto all'albo dei pubblicisti dal 2003, e da allora ho cercato di darmi da fare il più possibile, spostandomi a vivere in più città: Ancona, Milano, Novara. Ho ottenuto sempre contratti di collaborazione nei quali il rapporto di lavoro, nei fatti, non rispettava mai l'accordo stipulato tra le parti. Il tutto ogni volta a vantaggio dell'editore, che cercava di risparmiare pure sui contributi pensionistici. Essendoci un elenco pubblico dei giornalisti sarebbe lecito attendersi una chiamata da parte di giornalisti o direttori interessati a un servizio esterno, alla copertura di una notizia, alla gestione di una rubrica. Eppure nessuno chiama, né gli editori si sognano di applicare il contratto collettivo dei giornalisti, cui avrei diritto come pubblicista limitatamente ad alcuni articoli ben precisi: 2, 12, 36.
Io vedo scarsissima concorrenza tra le testate, sia nelle proposte di lavoro verso i giornalisti, sia nella gestione delle stesse notizie, spesso copiate e incollate dalle agenzie. Scoop veri ne vedo pochi, anche perché se la situazione è quella che descrivono, con precariato diffuso, chi potrebbe esporsi anticipando magari i magistrati nel parlare di corruzione, mafie e droga? I sindacati della FNSI? Per quella che è la mia esperienza, non offrono garanzie a chi è già inserito nel mestiere, bensì accettano tacitamente la situazione. Alcuni di essi propongono al giornalista che lavora in redazione, da assunto ma senza un valido contratto, la speranza di cause civili che poi la stessa FNSI non favorisce anticipando le spese legali. La FIEG risponde che le aziende sono in crisi, che i giornali non si vendono e le redazioni vanno chiuse. Ma queste, mi spiace, non sono spiegazioni convincenti: i giornali escono ugualmente, anche grazie a una immeritata pioggia di fondi pubblici. E i posti di lavoro a chi li garantiscono realmente?
Io sono costretto dopo dieci anni di esperienza a dedicarmi ad altri mestieri, senza diritto alla disoccupazione dall'INPGI, e senza poter nemmeno più pubblicare un articolo su un quotidiano nazionale, come era quello che mi permise di conseguire il tesserino stampa. Da sei mesi lavoro da precario come insegnante di Lettere nella scuola pubblica e scrivo su un blog. Questo perché sono stato previdente nel laurearmi e perché mio padre mi ha lasciato i soldi per vivere. Altrimenti sarei un morto senza nome, su una tomba sporca, buttata in un angolo buio del cimitero di Ancona, vicino a mio padre. Le forze di polizia? Io credo onestamente che non siano state comprensive, né hanno colto l'occasione per aiutare altri colleghi che fossero in difficoltà. Io vorrei invece fare qualcosa. Vorrei che la mia carriera buttata al vento non venisse sacrificata invano e che almeno l'Antitrust svolgesse un'indagine.

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