martedì 17 marzo 2020

Aldo Moro conosceva un piano segreto di difesa nazionale


Cosa poteva sapere l’ex presidente del consiglio Aldo Moro, personalità di spicco dei democristiani, dei progetti militari della Nato? Era stato informato delle manovre tedesche in Sardegna? E della progettata invasione dell’ex Germania Est? 
I magistrati, i giornalisti, quando Andreotti nel 1990 raccontò che 622 uomini scelti erano pronti a fronteggiare un attacco del Patto di Varsavia, si domandarono se fossero segreti connessi al sequestro dei brigatisti. Il dossier 327 può contenere una risposta. Fanfani e Moro erano stati messi al corrente di qualcosa di molto simile a quanto rivelato da Andreotti. Nella seconda metà del 1960 furono informati di un progetto segretissimo di difesa civile in caso di attacco.
Se ne occupa l’importante documento 53, intitolato proprio “difesa civile”, datato 18 ottobre 1960. La spia dei cecoslovacchi affermava che il Ministero della Difesa possedeva quattro progetti di difesa del territorio pronti all’uso, ossia - scriveva - contrassegnati con la dicitura: “pronta adozione”, senza bisogno di modifiche.
Bisogna a questo punto ricordare al lettore poco esperto di storia italiana che nell’ottobre del 1960 si era da poco insediato il governo Fanfani III, che prendeva il posto del discusso governo di centro-destra, con Tambroni alla presidenza appoggiato dai missini, durato da marzo a luglio di quello stesso anno. Il documento 53 spiega, appunto, che proprio i sospetti generati dall’ascesa al potere della destra avevano convinto il Ministero della Difesa a rivedere quei progetti di difesa civile, ritenendo plausibile che il governo Tambroni avesse messo le mani su quel piano senza segnalarlo “a tutti i ministri e tanto meno alla segreteria della Democrazia Cristiana”.
Perché affermiamo che quel piano era segreto? Perché veniva specificato che al termine del riesame dei quattro punti era stato redatto un documento, “rimesso personalmente a Fanfani e a Moro”, ma - specificava lo scrivente - “di questo rapporto non esiste copia al M.D. (Ministero della Difesa ndr) o almeno se esiste non è facilmente reperibile.” Per saperne qualcosa era necessaria un’indagine, in quanto al ‘riesame’, che si era tenuto nell’agosto del 1960 su richiesta del Consiglio dei Ministri, avevano partecipato solo il Ministro e il capo della polizia. Il Ministro, ovviamente, era il solito Giulio Andreotti. 
Il primo dei quattro progetti di difesa - scriveva la spia dell’Stb - ricalcava una bozza di legge che era stata proposta al Parlamento dal democristiano Scelba nel 1951, ma era stata bocciata. Prevedeva la “mobilitazione e militarizzazione dei dipendenti civili dei ministeri militari e del Genio Civile.” Secondo il protocollo, in 48 ore questo personale avrebbe dovuto essere mobilitato. 
Siamo andati a cercare negli archivi questa proposta di legge di Scelba, trovando un articolo sul quotidiano La Stampa. I cronisti registravano quel giorno, il 22 giugno 1951, la forte resistenza dell’onorevole comunista Pajetta, il quale bollava la legge come “fascista”. Eppure in quel progetto vi erano alcuni punti che sarebbero stati utili persino oggi, in quanto il piano non riguardava soltanto “la protezione della popolazione in caso di guerra”, ma anche, al punto uno, “la riorganizzazione dei servizi di protezione della popolazione civile in caso di calamità in tempo di pace.” Cioè calamità naturali, come potrebbe essere il Coronavirus di questi giorni, nei quali a nostro avviso è mancata del tutto una normativa di riferimento. Lo Stato ha cercato di inseguire il diffondersi del contagio attraverso decreti presidenziali del tutto atipici.
Ma lasciamo perdere l’attualità e torniamo al 1960. Al punto due, il piano segreto del Ministero della Difesa parlava di norme per la mobilitazione degli agenti e dei graduati di pubblica sicurezza in congedo e in pensione. Però molto più interessante è il punto tre, che fa pensare a qualcosa che si avvicini alla P2, se non proprio alla Gladio andreottiana. Il terzo punto del piano di difesa civile prevedeva la mobilitazione e militarizzazione di un quinto dei dipendenti dei ministeri civili. Ciò vuol dire che poteva esistere una lista ridotta di persone “scelte”, appunto un quinto del totale, che avrebbe potuto garantire il normale funzionamento dello Stato in caso di attacco militare. Questa selezione veniva gestita secondo un protocollo redatto dalla polizia di stato e dai carabinieri. Infine vi era un quarto punto che prevedeva la mobilitazione del personale dell’IRI e dell’ENI, anche qui con norme prestabilite.

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