venerdì 21 marzo 2025

Ceausescu-Ventura, patto per una strage?

 

Il 12 settembre 1972 usciva uno dei numerosi e mirabili articoli di Giampaolo Pansa su La Stampa. Affrontava una vicenda di quelle destinate a trascinarsi per decenni e che, come è successo spesso, perdono per strada pezzi lungo il loro tortuoso cammino. E, quando superano i tempi ragionevoli per un'inchiesta su una strage, il senso logico è stravolto. 

La storia della strage di piazza Fontana a Milano, del 12 dicembre 1969, è ancora attuale, ritorna puntuale a ogni anniversario e offre spunti ai politici per azzuffarsi inutilmente a caccia dei soliti fantasmi. Colpa tua, no la storia siamo noi. Eccetera. I colpevoli, tanto per essere chiari, non furono mai accertati, eppure i giudici vollero a tutti i costi esprimere delle certezze politiche sulle ragioni di questa strage. Sarebbe stato meglio non farlo. 

La bomba che uccise 17 persone e ne ferì molte altre, ben 88, fu quasi certamente uno dei tanti scontri indiretti tra blocchi della guerra fredda, un tempo nel quale le armi venivano fatte viaggiare da una parte all'altra per accrescere le sfere di influenza di Usa e Urss. Esattamente come adesso, con l'unica differenza che gli attori protagonisti non andavano in diretta su Tiktok a fare "selfie", bensì cercavano di dissimulare il da farsi e nascondersi a vicenda le strategie di attacco. Si chiamava "false flag". I nostri giudici non avevano dimestichezza probabilmente con queste mascherate d'altri tempi.  

Così per decenni ha prevalso in Italia la presunzione che gli attentati gli italiani se li facessero da soli, un'autoflagellazione medievale che il blocco Atlantico della Nato avrebbe escogitato (ma tu pensa che idea) per preparare il campo a un colpo di Stato. Si narra che la campagna sulla Strategia della tensione che tenne banco sui giornali di estrema sinistra nacque dall'articolo di una nipote di un agente doppio, tale Cairncross, fido scudiero dell'eroe della Lubjanka: Kim Philby; colui che ingannò la regina d'Inghilterra per qualche decennio. La stampa comunista in cerca di vendette, con alcune nefaste conseguenze, tutto questo non lo sapeva, o se lo sapeva non lo scriveva. La mattanza poteva iniziare. 

Per la bomba che esplose nella banca dell'Agricoltura, per contrappasso in uno dei punti più eleganti, ricchi e storici di Milano, era stato individuato un colpevole anarchico: Pietro Valpreda. Ma dal Veneto, grazie alle accuse del professor Lorenzon, solerte testimone delle confessioni degli attentatori, nacque un filone parallelo che successivamente prese il sopravvento: quello della pista nera. Con due accusati su tutti: Giovanni Ventura e Franco Freda. Il Freda aveva comprato le valigie, Ventura lo aveva aiutato come editore e portaborse, in tutti i sensi. 

Ma chi era Giovanni Ventura? L'articolo di Pansa non aveva dubbi quel giorno: classe 1944, veneto di Piombino Dese, era un agente segreto rumeno. Uno degli accusati della strage aveva vuotato il sacco? Così sembrava. Perso per perso, se la prospettiva era marcire in carcere, meglio fare nomi e cognomi: Nicolae Ceausescu. Raccontò il Ventura - detto anche nell'articolo "Barbanera", perché grazie alle veline dei Servizi conosceva ogni evento con molto anticipo - che era stato reclutato da un diplomatico dell'ambasciata di Bucarest e aveva stretto un patto di mutuo soccorso: tu mi mandi notizie per il mio giornale politico, io ti fornisco informazioni sull'Italia. 

Ma di quale complotto si sarebbe trattato? "Di una sinistra non legata all'URSS - spiegò Ventura - ma con forze anche di altro tipo, francesi golliste, tanto per fare un nome. Comprende? Lavorano per un'Europa sottratta al bipolarismo Usa-Urss, hanno anche legami con la Cina. Malraux, Ceausescu, Mao, i dissidenti sovietici...". Ventura ricevette dal suo "contatto" rumeno vari rapporti numerati, che il giudice D'Ambrosio raccolse e conservò con cura.

E' una storia vera. Tuttavia un Ventura agente di Ceausescu probabilmente non colpì molto l'opinione pubblica e di questa storia ci è arrivato solo qualcosa: i suoi appunti. Imposimato nel libro scritto poco prima di morire li cita ripetutamente, pur se all'interno di un polpettone complottistico tutt'altro che convincente. Infatti, separare gli appunti dalla storia dell'agente della Securitate Giovanni Ventura fu una pessima idea, che non ci ha restituito la complessità di questa vicenda, ma ha prodotto altre ombre, sospetti, dubbi e confusione. Colpa di qualcuno o semplice dimenticanza?

Forse tutto questo è ciò che volevano i Sovietici, i quali in quel periodo andavano costruendo gruppi maoisti inesistenti, nei quali la CIA - un po' pollacchiotta a nostro giudizio - entrava e rimaneva fulminata. Lo scopo? Controllare e punire le deviazioni contro Mosca. Inventare un movimento dissidente per annientarlo, e al contempo inondare l'Italia di propaganda antiamericana. Ceausescu non era Tito, questo americani e italiani non lo avevano ben compreso.

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