domenica 23 marzo 2025

Anatomia di un attentato politico

Giovanni Ventura apparteneva davvero a una rete spionistica comunista? Nelle dichiarazioni rilasciate all’epoca dall’editore veneto ci sono a nostro avviso molte coincidenze con l’affare Caraman, per come lo conosciamo e anche per aspetti che ancora - ne siamo certi - devono emergere. 

La rete Caraman era composta da una dozzina di agenti di origine principalmente rumena, ma le informazioni arrivavano anche da sub-agenti che simpatizavano per la politica comunista, i quali potevano essere di qualsiasi nazionalità. Sebbene ciò avvenisse in un contesto politico più autonomo rispetto all’ortodossia politico-economica dell’URSS, date le manie di grandezza del dittatore Ceausescu, è certo che le informazioni, dopo essere passate per Bucarest, arrivavano a Mosca. Si trattava di notizie di carattere militare sulla NATO. Caraman fu la più vasta operazione orchestrata in questo senso, più grande anche di altre infiltrazioni del Kgb o dell’Stb cecoslovacco, poiché coinvolgeva moltissimi e potenti collaboratori.

E quindi eccoci a Ventura. Operava nel Veneto, a due passi dal centro operativo della NATO (Monte Venda, West Star, e via dicendo), aveva con sé, conservati nella sua cassetta di sicurezza a Montebelluna, informazioni su praticamente tutti gli esponenti della NATO - scrisse Pansa - lista che gli venne poi sequestrata dalla magistratura italiana. Qualcosa aveva pure del Kgb, ma probabilmente erano i suoi referenti (sarebbe bello poter analizzare lo stile di quei rapporti). Ci siamo anche con le date: le informazioni di Ventura si fermano al 1968, quando la polizia francese cominciò a scoprire i vari agenti della rete spionistica. Ci siamo con i luoghi. Avrebbe incontrato il suo “contatto” rumeno, dell’ambasciata di Bucarest, probabilmente non in Italia bensì a Parigi. La Francia, dunque.  Ma l’Italia era l’obiettivo principale - ci dice Wikipedia - di Mihai Caraman, quando nel ‘56 entrò nella Prima Direzione "Intelligence Estera", come capo dell'ufficio 2 "Italia", all'interno del IV servizio "Francia-Italia-Belgio". 

Eppure il suo “contatto” - “padre confessore” lo chiamava Pansa nel suo articolo - non venne mai svelato, mentre con il passare del tempo Ventura cominciò a sovrapporre alla rete rumena la storia dei suoi contatti con il Sid. Parlò principalmente del giornalista Guido Giannettini e dell’ammiraglio Eugenio Henke, agenti del servizio segreto italiano di cui è abbastanza nota la vicinanza con gli americani. E suo obiettivo per l’autodifesa dalle accuse per la strage di piazza Fontana fu inoltre Gianadelio Maletti, altro esponente del clan dei Sid con simpatie a stelle e strisce. Nell’intervista che rilasciò nel 1977 a Marco Fini per il documentario “La forza della democrazia”, Ventura sembrò più titubante nell’accanirsi contro Vito Miceli, non a caso avversario storico di Maletti e del “clan” democristiano di Giulio Andreotti. Miceli non a caso era vicino agli ambienti palestinesi e libici, simpatie antiebraiche che condivideva anche con il neonazista Franco Freda. 

Fin qui i possibili contatti di Ventura con lo spionaggio del Patto di Varsavia. Ma come si arrivò alle bombe dell’autunno caldo del 1969? Secondo l’articolo di Pansa, gli amici dell'editore trevigiano sostennero che fu Freda a “bruciarlo”. C’è un passaggio dell’articolo del 1972 che ci ha fatto riflettere. “Per sondare fino in fondo l’avversario - aggiunsero gli amici di Ventura -, per sapere che cosa prepara, devi sempre concedergli qualcosa. E allora il contatto diventa vischioso, la compromissione ti si appiccica addosso come una seconda pelle, e spesso finisce col mutarti, col darti un’altra identità. Ventura è come il poliziotto che, indagando su un reato, finisce con l’apparire complice del colpevole.” Analizziamo in parallelo le indagini sulla rete Caraman. La polizia francese arrestò l’ultimo agente che riuscì a scoprire fino ad allora il 4 agosto del 1969 (molti anni dopo vennero fuori altri nomi eccellenti, come sappiamo). A quel punto era scattato certamente l’allarme in tutta Europa, perché la fuga di documenti era di enorme entità. Lo storico Florian Banu rilasciò un’intervista online, sul sito bucurestiivechisinoi.ro, il 28 novembre 2022, in cui sottolineò i numeri impressionanti di questa operazione: “ Il solo agente Francis Roussilhe - disse Banu - ha fornito, durante sette anni di collaborazione, circa 12.000 documenti N.A.T.O.! A questi si aggiungono migliaia di altri documenti ottenuti tramite l'agente turco Nahit Imre (solo al momento del suo arresto aveva con sé le fotocopie di 1.500 documenti!), ma anche i 60 importantissimi documenti, molti dei quali della categoria COSMIC, forniti dal primo agente della rete, Robert van de Wielhe.”

In Italia nello stesso periodo, agosto 1969, scoppiavano le bombe sui treni di cui Ventura parlava con il suo amico professore Guido Lorenzon. Quest’uomo, spinto dal senso del dovere, il 31 dicembre del 1969 decise che era ora di recarsi dal giudice Calogero a raccontare ciò che sapeva. 

Da questo punto in poi abbiamo un buco che dobbiamo riempire. Quando ritroviamo la storia rumena nelle dichiarazioni di Ventura su La Stampa è già il 1972 e ci sono delle novità che non ci convincono. Racconta, come abbiamo visto, di una centrale spionistica a metà strada tra est e ovest, con dentro molti soggetti la cui politica era allora difficilmente interpretabile: da Ceausescu, a Mao, ai gollisti francesi, ai dissidenti sovietici. Accettando per buona la tesi della politica più autonoma di Ceausescu rispetto a Mosca, qualcuno è comunque di troppo, perché il terzo polo fatto intravedere da Ventura e poi da Anno Zero, non è mai esistito, sebbene fosse una scelta non sbagliata del tutto.

Cosa può essere successo? 

Sia Ventura, sia Giannettini nella loro attività di giornalismo-intelligence studiavano i gruppi filocinesi. Con una sostanziale differenza: che i sovietici sapevano di averli in pugno, essendo una loro creatura, gli americani no. Subentra un nuovo personaggio: Pietro Valpreda, il ballerino salito per primo sul banco degli imputati dopo lo scoppio delle bombe del 12 dicembre 1969. Fu vittima designata? Molto probabilmente era questo il piano iniziale. Basti pensare alla trovata malriuscita di Gino Liverani, di cui si sospetta oggi un’appartenenza ai servizi di Washington. Mesi prima dell’attentato, con un look simile a quello di Valpreda, si faceva notare in un bar di Milano a parlar di bombe da mettere qui e lì. Per quel che sappiamo servì a ben poco, anzi, il sosia imbranato Liverani finì per essere riconosciuto e accusato da Valpreda. Fu perciò arrestato e interrogato. 

Dunque per rispondere alla domanda su cosa avvenne tra l’agosto del 1969 e il dicembre dello stesso anno dobbiamo tornare alle parole degli amici di Ventura: 

“E allora il contatto diventa vischioso, la compromissione ti si appiccica addosso come una seconda pelle, e spesso finisce col mutarti, col darti un’altra identità.” Il Sid fu messo in guardia dai servizi francesi sull'attività dei rumeni? Si ricordi che i servizi occidentali erano praticamente una cosa sola, seguendo pedissequamente la CIA, quindi è impossibile che non si fossero confrontati. Dagli interrogatori francesi potrebbe, usiamo ovviamente il condizionale, essere uscito il nome di Ventura. E di conseguenza il Sid potrebbe aver usato Freda come esca. Dopo averlo messo alle strette, Henke potrebbe aver utilizzato per Ventura lo schema tipico della guerra fredda: ormai sei scoperto, aiutaci a trovare gli altri tuoi complici e avrai una riduzione della pena. Ecco quindi perché il cambio di pelle di cui parlava Pansa potrebbe avere un senso più profondo. 

A questo punto quali scelte può aver compiuto Ventura? Collaborare con Henke e condurlo fino ai rumeni e quindi al Kgb? Non avrebbe fatto una bella fine. Oppure far esplodere delle bombe in vari punti strategici dopo aver promesso che non ci sarebbero state vittime e la colpa sarebbe ricaduta sui filocinesi di Valpreda? Noi avremmo scelto la seconda. Ma le bombe esplosero, provocarono 17 vittime e l’opinione pubblica si ribellò a tanta violenza. Vi sono alcuni film di quell’epoca secondo cui le bombe a Piazza Fontana esplosero per un errore. Purtroppo alcune importanti prove di quei reati furono distrutte, vedi la famosa valigetta che era rimasta intatta con l’ordigno inesploso. 

La storia da questo momento in poi è quella che il lettore già conosce: fu indagato il circolo anarchico 22 marzo e Pietro Valpreda finì in carcere. Ma Lorenzon decise di parlare e costrinse la magistratura veneta ad avviare un secondo procedimento, parallelo al primo su Valpreda, che seguiva il suo corso a Milano. Il professor Lorenzon mettendosi addosso dei microfoni raccolse prove sufficienti per far prevalere questo secondo filone di indagine. Valpreda fu salvo. Ventura fu arrestato, processato, inizialmente condannato anche per la strage, scappò e si rifugiò come sappiamo in Argentina. Ma prima di scappare fu intervistato all'isola del Giglio da Marco Fini. Era il 1977, il processo si era spostato a Catanzaro e i due principali indagati, Freda e Ventura appunto, erano braccati, isolati, controllati con i cani poliziotto. 

Vorremmo ritornare su alcuni punti di quell'intervista che ci paiono molto importanti, alla luce delle novità rumene. Ventura si confidava spesso col professor Lorenzon, probabilmente sapeva che prima o poi lo avrebbero indagato. Non era un comportamento adatto a una spia. La storia della rete Caraman ci fornisce adesso una spiegazione. Ventura era rimasto presumibilmente solo fin dal 1968. Anzi, poteva essere costretto a seguire le direttive del nuovo capo del suo doppiogioco: Henke. Era stretto tra l'incudine, la vendetta dei rumeni, e il martello, la sanzione che lo Stato gli avrebbe inflitto. Questa premessa spiegherebbe le sue confidenze con il professore. Ma non ci dice chi volle quella strage. 

Adesso prendiamo le altre sue parole che ci hanno colpito. Ventura afferma che nel 1969 non era pensabile che il Sid "non utilizzasse le informazioni sui possibili attacchi" "che fosse sleale democraticamente". Sono parole di una persona che si sente tradita? Colpevole sì, ma non di tutto quel che accadde nel 1969? Aggiunge che Giannettini era stipendiato dal Sid, lui no: comunicava solo notizie. Tutto ciò è compatibile con una spia smascherata e costretta al doppiogioco. Prende le distanze dal Sid: "riuscirò a difendermi meglio quando verrà tolto il segreto politico-militare che ha salvato la banda moderata che ha ispirato il terrorismo del 1969-70". Lo diranno anche Ordine Nero e le Brigate Rosse. Il giudice D'Ambrosio però avvertiva: se indagherete su Ventura capirete ogni cosa. E lui secondo noi pronuncia un'altra frase chiave, che tuttavia ci arriva indirettamente dal suo accusatore, Lorenzon, sempre nel bel servizio di Fini. Ventura dopo la strage torna da Milano o da Roma - afferma il professore - e gli dice: "adesso se la destra o la sinistra non faranno niente servirà qualcos'altro." Chiara ci pare l'allusione a una reazione degli estremisti all'attentato. Ma una reazione voluta da chi?

Il processo non portò ad alcun risultato: si allungò ulteriormente, assumendo il carattere di una telenovela. Le vittime e i cittadini meritavano maggiore rispetto. 



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