C'è una novità sulla strage di via Fani. E' emersa casualmente sul gruppo Facebook “La Guerra fredda in Italia: Storia della Prima Repubblica (1945-1994), nel quale il 16 marzo del 2025 è comparsa una foto dell’Ansa che riprendeva più da lontano la “scena del crimine”. Avevamo sempre creduto che tra la macchina presidenziale di Moro e i palazzi di via Fani vi fosse un albero molto alto, che rendeva di fatto improbabile uno sparo da un balcone. E invece non è così, non lo era, perlomeno, nel 1978. All’incrocio tra via Fani e via Stresa, sul lato destro dell’incidente fatale, non soltanto c’è un palazzo alto, ma disegnando una linea retta dal terrazzo condominiale (perché tale ci è parso essere) verso la portiera del passeggero dell’auto di Moro viene riprodotta un’inclinazione molto simile a quella dei presunti proiettili visibili nella foto del giornale La Vanguardia. Quindi era possibile sparare da quella posizione? Assolutamente sì. Anzi, questa soluzione risolve alcune incongruenze della versione del colpo di grazia in stile mafioso. Lo abbiamo verificato con Chatgpt, che non ha molti dubbi: lo sparo sul povero maresciallo Leonardi poteva provenire soltanto da lontano. Innanzitutto, uno sparo ravvicinato avrebbe rotto completamente il finestrino del lato passeggero e avrebbe esposto lo sparatore a una valanga di schegge. Inoltre, questa dinamica spiegherebbe per quale ragione il killer non aprì completamente la portiera per sparare e preferì inspiegabilmente farlo attraverso il vetro. Avrebbe avuto opzioni molto più semplici. Ma non poteva, perché si trovava a grande distanza, sul terrazzo di un palazzo, probabilmente appoggiato al muretto con un fucile di precisione. L’inclinazione accentuata e lo sparo da lontano spiegherebbero perfettamente lo stato del finestrino nella foto del giornale spagnolo. Un altro elemento che ci aveva colpito era la perfetta simmetria dei fori, riprodotti allo stesso modo sul vetro e sul cappotto del maresciallo Leonardi. Il killer presumibilmente non utilizzava un cavalletto, ma sparò un colpo e poi si mosse leggermente, mantenendo nel mirino il suo obiettivo: l’auto presidenziale.
Dunque, un cecchino, con un fucile di precisione si era appostato sul terrazzo che dominava nel 1978 l’incrocio tra via Mario Fani e via Stresa? L’intelligenza artificiale sembra non nutrire dubbi. Abbiamo un elemento nuovo da analizzare. Anzi, se dovessimo svolgere noi le indagini potremmo affermare che in mano abbiamo un solo elemento concreto e facilmente dimostrabile: la presenza di un cecchino. Ma le Brigate Rosse agivano in questo modo, portandosi dietro un tiratore scelto? La storia dice di no, che né loro, né la tedesca Raf disponevano di personale addestrato a questo tipo di guerriglia. Avevamo parlato di Rolf Heizsler o Heissler. Ma pare che non avesse una simile caratteristica. Se era sulla scena del crimine poteva trovarsi solo all’interno dei gruppi armati, vestiti da avieri, che spararono sulla strada.
Eppure dal terrazzo qualcuno sparò due colpi. La foto fu scattata da un giornale di Barcellona molto famoso e apprezzato. Che sia falsa lo escludiamo del tutto. Il maresciallo Leonardi si trovava nella stessa postura riscontrabile in altre foto uscite sui mass media italiani. Lo stesso dicasi per il povero autista, Ricci, ancora con la mano sul cambio in un estremo tentativo di fare marcia indietro e uscire dalla trappola posta dal Moretti, che si era fatto tamponare ed era subito sceso per sparare insieme agli altri complici.
Ma a questo punto bisognerebbe ricominciare tutto daccapo. Oppure no, sarebbe sufficiente smontare i pezzi delle varie inchieste già svolte e riassemblarli secondo uno schema nuovo, che in realtà avevamo già inziato a ipotizzare. Se c’era un cecchino in via Fani, non era il solo elemento fuori posto rispetto alla dinamica consueta delle azioni delle Brigate Rosse. Avevamo parlato in precedenza di una bomba pronta a esplodere in una Mini Cooper, parcheggiata sempre in via Fani la mattina del 16 marzo 1978 e di proprietà - fu in seguito accertato - di un militare dei Servizi Segreti italiani. Sappiamo dalle cronache che furono trovati proiettili, non solo in strada, ma pure nei balconi dei palazzi di via Fani: proiettili conficcati nei muri, che erano stati interpretati come un tentativo dei brigatisti di scoraggiare i cittadini che avessero voluto eventualmente affacciarsi. Ma lo scopo tattico, a questo punto, potrebbe essere stato anche un altro: coprire la presenza di un cecchino sulla terrazza condominiale. Sappiamo di un elicottero, che girava su via Fani nei momenti della sparatoria. E poi sappiamo che c’erano dei testimoni, della cui affidabilità abbiamo già detto che dubitiamo. Se ogni anno i giornali cambiano versione o aggiungono dei dettagli su questo delitto, la colpa è anche dei testimoni, che sono degli autentici fantasmi.
Ma se il nuovo punto fermo è il cecchino sul terrazzo, questo misterioso personaggio porta con sé altri nodi da sciogliere. E’ possibile che nessuno lo abbia visto? Riflettiamo un attimo. Dalla posizione in cui era, al di sopra di un grande incrocio, poteva controllare ogni movimento, ma era altrettanto visibile dagli estranei all’azione. Lo avrebbero notato dai balconi di via Fani e poi soprattutto dai piani alti delle palazzine di via Stresa, sia all’incrocio con via Fani, sia più lontano. Eppure conosciamo la meticolosità dei brigatisti nel preparare questo agguato. Andarono a forare le gomme al furgoncino del fioraio, affinché non si presentasse in via Fani quella mattina. Ne fu dedotto che il presidente Moro poteva essere rapito soltanto in quel punto, e non da altre parti. Però in questo scenario il cecchino non è fuori posto. Bisogna soltanto allargare la copertura “di Stato” ad altri potenziali complici. C’erano i servizi segreti in via Fani? Perché allora non ipotizzare che tutto quell’isolato fosse stato identificato come una specie di “zona rossa”, cioè area posta sotto il completo controllo dei Servizi? Se fossimo stati al posto del cecchino, di quali vie di fuga avremmo potuto disporre senza l’aiuto di nessuno? Scendere per strada con un fucile di precisione sarebbe stato un suicidio, anche ipotizzando di poterlo nascondere in una sacca. Avremmo avuto l’opzione di scendere le scale e salire velocemente sulla macchina di un complice. Mah, troppo rischiosa. E se invece avessimo affittato un appartamento in quello stesso palazzo, in cui rifugiarci appena dopo la sparatoria? Meglio ancora se avessimo potuto godere dell’ospitalità di un amico. E noi oggi sappiamo che nelle zone interessate dal caso Moro gli appartamenti affittati o acquistati dai Servizi Segreti erano numerosissimi.
Come si vede, la presenza di un tiratore scelto, esterno alle Brigate Rosse, predisposto da un Servizio Segreto, più che essere di intralcio, sembra l’anello mancante che spiega tanti indizi emersi nel corso delle indagini.
C'è un ulteriore elemento di indagine che riguarda l'auto presidenziale di Aldo Moro. Confrontando la foto spagnola (uscì anche su un giornale austriaco) con quelle italiane, risulta evidente una manomissione del vetro del finestrino del passeggero. In particolare su Trieste news è stata divulgata una foto del lato destro del finestrino in un momento successivo alla strage e posteriore anche alla foto spagnola, poiché i corpi erano già stati coperti dai famosi teli bianchi. Il vetro qui però si presenta completamente sfondato nella parte centrale. Il perimetro della rottura è facilmente riconoscibile e ciò rende autentica al cento per cento la foto del giornale di Barcellona, tuttavia risultano eliminati del tutto i piccoli fori che dimostravano gli spari da destra. Qualcuno tentò di alterare gli indizi?
Chatgpt ha analizzato ancora una volta l'immagine spagnola, stavolta senza le traiettorie disegnate da noi, certificando che quei fori furono prodotti da un proiettile in entrata da destra nell'abitacolo e non in uscita. In verità di fori potrebbero essercene più di due. Quello più grande, poi alterato da qualcuno sulla scena del crimine e divenuto un'unica grande spaccatura, potrebbe appartenere a uno sparo partito dal livello della strada e quindi più ravvicinato, quelli più piccoli potrebbero provenire da un fucile di precisione di piccolo calibro e posizionato sul tetto di un edificio, appunto come il terrazzo di via Fani.
Quali colpi finirono sul corpo del maresciallo protettore di Aldo Moro? Se si trovava già disteso al momento di quegli spari da destra è quasi impossibile che un killer posizionato al livello della strada potesse raggiungerlo, rannicchiato com'era sotto il cruscotto e quasi fuori dall'abitacolo. E' comunque assai plausibile che un killer posizionato sul terrazzo e a grande distanza potesse colpire il suo bersaglio attraverso il vetro senza una significativa deformazione della traiettoria. Per stabilirlo con esattezza servirebbe una ricostruzione più dettagliata fatta con degli esperti (chi scrive non lo è affatto), che ripartisse da questi due punti fermi nuovi: un killer che spari da destra del convoglio presidenziale e magari anche sul terrazzo dell'edificio.
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