martedì 28 giugno 2016

Stipendi d’oro per abbandonare il nucleare


Sembra che il referendum del 1987, con il quale gli italiani votarono no alle centrali nucleari, abbia fatto la fortuna di qualche dirigente statale. Tutti ricorderanno che i cittadini, durante gli ultimi anni della prima repubblica, bloccarono gli investimenti sull’energia nucleare. Nel 1999 lo Stato, con notevole ritardo, pensò bene grazie al decreto Bersani di costituire una società pubblica, la Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari), che controllasse, smantellasse e decontaminasse i rifiuti nucleari (la cosiddetta decommissioning). Bene, l’incarico della Sogin non si è ancora esaurito, nonostante siano passati già quasi trent’anni dal referendum! E mai probabilmente si esaurirà, per la gioia del direttore generale e dell’amministratore delegato, i quali secondo un documento della Corte dei Conti del febbraio 2008 guadagnavano nel 2007, rispettivamente 167mila euro all’anno il primo, 45mila euro annui il secondo. Per pagare tutto il personale di Sogin (761 impiegati) risulta che vennero sborsati 869mila euro annui lordi. Una gestione che la Corte dei Conti quell’anno giudicò con parole chiare a tutti: “La delibera sui compensi e sulla regolazione dei rapporti di amministrazione non appare allineata ai canoni di sana gestione”.
La Sogin non si è infatti limitata a esistere con i suoi dipendenti, ma come spesso mi è capitato di notare dai documenti statali ha allargato e diversificato la sua attività. Cosa vuol dire? Che la società fondata con il decreto Bersani ha a sua volta acquisito il controllo di un’altra azienda, la Nucleco, che è stata inglobata come nelle scatole cinesi.

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